Rousseau, discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini

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Testo

VITA
Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 1712 - Ermenonville, 1778) ebbe un'infanzia difficile: la madre Suzanne morì dandolo alla luce, il padre fu presto costretto ad abbandonare la città, senza poter portare con sé i figli. Affidato al pastore Lambercier di Bossey, venne educato ai princìpi religiosi e alle letture morali. Nel 1745 si avvicinò a Diderot e a Condillac, collaborando successivamente alla stesura di alcune voci dell'Encyclopedie. Nel 1757 interruppe i suoi rapporti con gli Enciclopedisti e si ritirò a Mountmorency, dove scrisse le sue opere più importanti: La nuova Eloise, Il contratto sociale e l'Emilio. Queste opere furono messe all'indice dalle autorità parigine e Rousseau fu costretto a rifugiarsi a Neuchatel. A causa delle cattive condizioni di salute, si ritirò dopo qualche tempo a Ermenonville, dove morì.
DISCORSO SULLA DISUGUAGLIANZA:
☺ INTRODUZIONE:
Scritto in occasione di un concorso bandito dall’Accademia di Digione nel 1754 sul tema: «Qual è l'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini e se essa è autorizzata dalla legge naturale », il Discorso fu pubblicato ad Amsterdam nel 1755.
L'opera che si divide in due parti è preceduta da una dedica alla repubblica di Ginevra e da una breve introduzione in cui Rousseau non nasconde le difficoltà che presenta lo studio dell'uomo, e dell'«uomo della natura» in particolare: troppe circostanze lo hanno modificato nel corso del tempo, alterandone le caratteristiche sia fisiche sia intellettuali; il progresso l'ha irrimediabilmente allontanato dal suo stato primitivo. Ma è proprio in queste trasformazioni che si deve ricercare, secondo Rousseau, la spiegazione della disuguaglianza tra gli uomini che per natura sono uguali tra di loro. Servendosi di ipotesi Rousseau si propone, così, di distinguere nettamente, nella sua ricerca, le due specie di disuguaglianze che lui riconosce ma che i filosofi del diritto naturale hanno, in genere, trascurato:
- naturale o fisica: è stabilita dalla natura e consiste nelle differenze a livello fisico, del corpo;
- morale o politica: dipende dagli uomini che riuniscono le loro volontà in una specie di patto, e dalla quale scaturiscono le differenze sociali e di potere. E sempre da questa differenza, secondo Rousseau, sono nate le società e l’assoggettamento della volontà dei singoli al volere di un solo uomo o comunque di un gruppo ristretto.
☺ PARTE PRIMA: DIFFERENZE NATURALI:
- ASPETTO FISICO:
Il “selvaggio”, così Rousseau definisce l’uomo primitivo, era un uomo robusto che sfruttava tutto il vigore di cui la specie umana è fornita, questo grazie al fatto che era stato abituato, fin da bambino, a vivere nudo all’aperto e a subire quindi ogni tipo di clima, a faticare per difendersi dalle bestie feroci e per procurarsi il cibo. La Natura dal canto suo compiva una specie di selezione, facendo morire i più deboli e irrobustendo sempre più quelli più forti.
L’uomo moderno invece è più incapace dal punto di vista della forza fisica, in quanto a causa di tutte le comodità a cui è abituato fin dalla nascita ha perso la forza e il vigore che contraddistinguono il selvaggio.
“Il corpo dell'uomo selvaggio essendo il solo strumento a lui noto egli lo impiega per usi diversi, di cui i nostri corpi, per difetto d'esercizio, sono incapaci; sono proprio le nostre capacità acquisite a toglierci la forza e l'agilità che egli è costretto ad acquistare per necessità. Se avesse avuto un'ascia, romperebbe il suo pugno rami tanto saldi? Se avesse avuto una fionda, scaglierebbe con tanto impeto un sasso la sua mano? Se avesse avuto una scala, si arrampicherebbe così agile su un albero? Se avesse avuto un cavallo, sarebbe così veloce nella corsa? Date all'uomo civilizzato il tempo di raccogliere intorno a sé tutti questi mezzi: senza dubbio risulterà facilmente superiore al selvaggio; ma, se volete vedere una lotta ancora più disuguale, metteteli a fronte nudi e disarmati e non tarderete a vedere il vantaggio di poter disporre senza posa di tutte le proprie forze, di essere sempre pronto a qualunque evenienza e, per così dire, di portar sempre con sé tutto se stesso.”
Come in molte altre parti dell’opera, Rousseau critica la filosofia di Hobbes, in questo caso lo sminuisce riguardo l’affermazione relativa alla presunta aggressività che sarebbe insita nell’animo dell’uomo selvaggio, fatta dal filosofo inglese, descrivendolo invece come un timido esserino pronto a tremare non appena il vento muove una foglia, ma è abbastanza lampante la contraddizione che si viene però a creare con la descrizione data in precedenza e cioè di un essere quasi abominevole abituato a combattere contro bestie feroci e a non temere nè il caldo nè il freddo.
“Hobbes pretende che l'uomo sia naturalmente intrepido, sempre in cerca di assalire e di combattere 33. Un filosofo illustre pensa il contrario, e anche Cumberland e Pufendorf assicurano che nessun essere è timido come l'uomo nello stato di natura: sempre tremante, sempre pronto a fuggire al minimo rumore che lo colpisce, al minimo movimento che scorge.”
“Ma l'uomo selvaggio, vivendo disperso fra gli altri animali, trovandosi ben presto a doversi misurare con loro, stabilisce per tempo il confronto e accorgendosi di superarli in accortezza più di quanto non ne sia superato in forza, impara a non temerli più. Mettete un orso o un lupo alle prese con un selvaggio robusto, agile, coraggioso come tutti i selvaggi, armato di sassi e d'un buon bastone; vedrete che il pericolo sarà per lo meno reciproco e che dopo molte ripetute esperienze del genere le bestie feroci, aliene dall'assalirsi tra di loro, assaliranno malvolentieri l'uomo che avranno sperimentato altrettanto feroce.”
- MALATTIE:
Riguardo alle malattie l’uomo selvaggio è più immune di quanto lo possa essere l’uomo moderno, nonostante la sua vasta perizia in campo medico, e a questo proposito Rousseau cita le infermità naturali, l’infanzia, la vecchiaia e le malattie in generale, soffermandosi in particolare sull’infanzia e la vecchiaia: la prima si risolve molto similmente a quella degli animali, in quanto i piccoli dipendono totalmente dai riguardi della madre, mentre la seconda viene vista come condanna della vita umana all’interno dello stato naturale; il vecchio a causa della sua condizione fa sempre meno movimento e necessita di sempre meno cibo per cui è sempre meno presente fra glia altri e quando arriva per lui il momento di morire quasi nessuno, forse nemmeno lui, se ne accorge anche grazie al fatto che tutte le malattie oggi legate alla vecchiaia (gotta, reumatismi, ecc.) nello stato di natura non esistevano.

- CONCLUSIONI:
A conclusione della trattazione riguardo l’aspetto fisico R. dice che “l’uomo divenendo socievole e schiavo diventa debole, timoroso (aggettivo che R. ha attribuito anche al suo tipo di uomo selvaggio per contraddistinguerlo da quello hobbesiano) , strisciante, e alla sua maniera di vivere molle ed effeminata finisce di infiacchire a un tempo la sua forza e il suo coraggio.”
Infatti il filosofo afferma che così come gli animali liberi nella natura hanno caratteristiche diverse da quelli che invece vengono addomesticati, allo stesso modo l’uomo moderno è notevolmente diverso da quello selvaggio, in quanto per quest’ultimo non crea nessun problema la nudità, la mancanza di una casa, o più in generale “la privazione di tutte le superfluità che ci sembrano tanto necessarie”.
☺ DIFFERENZE MORALI
- PERFETTIBILITÀ:
Una delle caratteristiche che contraddistinguono l’uomo dagli animali è appunto questa capacità di perfezionarsi, la quale unita a tutte le situazioni che si possono creare, porta allo sviluppo di tutte le altre facoltà: percepire e sentire, volere e non volere, desiderare e temere.
Le passioni quindi sono state un elemento fondamentale per il perfezionamento dell’intelletto umano: esse si incrementano in base ai nostri bisogni e si migliorano grazie alle nostre conoscenze; l’uomo selvaggio, quindi, conosceva solo i desideri più carnali e fisici, finalizzati alla sua sopravvivenza e alla soddisfazione di un bisogno del tutto passeggero.

“Facoltà che, con l’aiuto delle circostanze, sviluppa successivamente tutte le altre, e che vige tra noi, nella specie come nell’individuo, mentre l’animale è, in capo a pochi mesi, ciò che sarà per tutta la vita, e la sua specie in capo a mille anni ciò che era nel primo di questi mille anni.”

- ORIGINE DEL LINGUAGGIO:
Su questo punto R. dichiara di trovarsi in completo accordo con quanto detto dall’abate Condillac nel “Saggio sull’Origine della Conoscenza Umana”: a differenza di quanto molti pensano la parola non può essere nata all’interno del nucleo famigliare, poiché esso ancora non esisteva: donne e uomini erano soliti accoppiarsi occasionalmente, i figli una volta che erano in grado di sfamarsi e provvedere a se stessi lasciavano la madre senza più fare ritorno. Così nacque un insieme di lingue diverse per ogni individuo: ognuno assegnava un nome o un gesto a seconda della sensazione che l’oggetto gli provocava. Questo primo abbozzo di linguaggio non comprendeva, però quei concetti che vengono definiti astratti, come i sentimenti, i quali non posso essere riprodotti con un gesto o una parola.
Il primo linguaggio dell’uomo fu, quindi, il “grido di natura”: esso nasceva quasi istintivamente, quando si voleva chiedere aiuto, quando si era in preda al dolore, ma non veniva usato nella vita quotidiana, poiché era improntata su sentimenti più moderati.
Con l’incremento della popolazione terrestre e quindi con i primi avvicinamenti e riunioni in piccoli clan, l’uomo primitivo cercò di stabilire gesti più numerosi e un linguaggio più sviluppato: si andarono moltiplicando le inflessioni della voce, si aggiunsero nuovi gesti, indicando con la prima tutto ciò che riguardava l’udito, (imitavano quindi i suoni che sentivano) mentre con i secondi gli oggetti visibili e mobili. Ma ben presto si capì che il gesto non era conveniente come la parola: bastava infatti che calasse la notte o semplicemente che ci si trovasse al buio e la comunicazione gestuale diventava impossibile, così ben presto la voce diventò il mezzo di comunicazione principale.
Rousseau ritiene che il linguaggio sia nato più facilmente e con più anticipo nelle isole, in quanto gli uomini, inizialmente quasi “intrappolati” su di queste, si trovarono costretti dal continuo contatto a trovare una lingua comune, e, in seguito, con i primi tentativi di navigazione siano stati proprio loro a portare la parola nel continente.
Le prime parole usate, molto probabilmente, avevano significati più estesi di quelle della lingua moderna, riguardavano concetti in generale, e a volte una sola parola poteva riassumere un’intera proposizione; non esisteva una corretta analisi logica e grammaticale: i primi sostantivi erano nomi propri, i verbi molto probabilmente erano usati all’infinito, mentre per quanto riguarda gli aggettivi, la loro creazione dovette essere più difficoltosa, in quanto essi descrivono solo concetti astratti, e le astrazioni sono operazioni difficili e non naturali.
A ogni oggetto venne inizialmente dato un nome che non teneva conto della sua specie, anche perché non conoscevano questo concetto, dal momento che questo tipo di classificazione presupponeva una conoscenza delle proprietà e delle differenze, occorrevano osservazioni e definizioni, che gli uomini di quel tempo non potevano mettere in atto.
“Se una quercia si chiamava A, un’altra quercia si chiamava B: dimodochè più le conoscenze erano limitate, più il dizionario era esteso.”

- PIETÀ:
Riguardo questo argomento prende spunto per attaccare nuovamente le teorie di Hobbes: infatti il francese sosteneva che inizialmente l’uomo “nel solo istinto aveva tutto ciò che gli occorreva per vivere nello stato di natura”, mentre il filosofo inglese lo descriveva come un essere naturalmente cattivo, vizioso, egoista, in quanto rifiutava sempre ai suoi simili i servizi che non era obbligato a concedere, e che credeva di essere il padrone dell’universo. Rousseau lo accusò allora di aver trasferito tutti i difetti della società moderna all’uomo primitivo, senza compiere un’attenta analisi come invece stava facendo lui. Critica anche la definizione che Hobbes dà dell’uomo primitivo: un bambino malvagio e robusto, ma Rousseau riesce a confutare quest’affermazione dicendo che nel caso in cui si trovasse ad essere così dipendente come quando è debole arriverebbe a concedersi qualunque eccesso: “batterebbe la madre se tardasse a porgergli il seno, strangolerebbe un fratellino se diventasse molesto, morderebbe la gamba a un altro per esserne stato urtato o infastidito”, ma nello stato di natura l’uomo è debole quando è dipendente e si emancipa prima di diventare robusto.
Tutto questo per dimostrare che, in realtà, l’uomo, così come è per gli animali, è dotato del sentimento della pietà: è il sentimento più naturale che precede ogni riflessione, è in pratica ciò che salva l’uomo dalla totale depravazione, e da questa virtù derivano tutte le altre (generosità, clemenza, umanità, benevolenza, amicizia, ecc.).

“Per non parlare della tenerezza delle madri per i loro piccoli e dei pericoli che sfidano per proteggerli, si può osservare quotidianamente la ripugnanza che provano i cavalli a calpestare un corpo vivente; un animale non passa senza turbamento vicino a un animale morto della sua specie; ce ne sono perfino che danno loro una sorta di sepoltura; e i dolorosi muggiti del bestiame quando entra nel macello mostrano l’impressione che prova colpito da quell’orribile spettacolo.”

- AMORE:
Rousseau lo definisce come la passione impetuosa che rende necessario un sesso all’altro, e distingue all’interno di questo sentimento l’aspetto morale da quello fisico:

“L’aspetto fisico è il desiderio generale che porta un sesso ad unirsi all’altro; l’aspetto morale è quello che determina tale desiderio fissandolo esclusivamente su un solo oggetto, o per lo meno dandogli per oggetto preferito un maggiore grado di energia.”

Questo sentimento, essendo fondato su certe nozioni di merito o di bellezza, non poteva esistere in un selvaggio che egli ascolta solamente il temperamento che la natura gli ha dato e quindi per lui va bene ogni donna; è privo di quell’immaginazione che al giorno d’oggi crea tanti problemi all’anima dell’uomo: egli infatti aspetta l’impulso naturale e si abbandona, senza stare a scegliere, con più piacere che furore e una volta appagato il bisogno, il desiderio è spento.

- CONCLUSIONI:
Rousseau afferma che le disuguaglianze sono più visibili tra gli uomini moderni che tra quelli primitivi, in quanto “se si paragonano i diversi tipi di educazioni e stili di vita presenti oggi, con la semplicità e l’uniformità dell’uomo primitivo dove tutti mangiano le stesse cose e vivono alla stessa maniera, si capirà quanto la differenza da uomo a uomo debba essere minore nello stato di natura che in quello di vita consociata, e quanto la naturale disuguaglianza debba aumentare nella specie umana attraverso la disuguaglianza stabilita dalle istituzioni.”
☺ PARTE SECONDA:
- SOCIETÀ PRIMITIVE:
Man mano che le conoscenze si moltiplicavano, la superiorità dell’uomo sugli animali si fece sempre più evidente e in lui si creò un primo moto d’orgoglio che lo faceva sentire più potente delle altre specie e dei suoi stessi simili; tuttavia, osservando questi ultimi si accorse che pensavano e di conseguenza agivano alla sua stessa maniera, così si convinse che se essi avessero collaborato nelle occasioni in cui per così dire “l’unione fa la forza” avrebbe tratto ulteriore vantaggio: in questo modo si formarono le prime società dedite principalmente alla guerra e alla caccia; essi infatti si riunivano nel caso in cui la preda, che sarebbe poi stata divisa, fosse stata particolarmente feroce o di grandi dimensioni, ma queste associazioni non legavano strettamente nessuno, per cui tutti potevano decidere di lasciarla quando e come volevano, e il “patto” terminava una volta terminato il bisogno per cui era stato creato.

“Se si trattava di prendere un cervo, ognuno era senz’altro convinto di dovere allo scopo tenere fedelmente il proprio posto; ma, se una lepre si trovava a passare a tiro di uno di loro, non c’è da dubitare che questo la inseguisse senza scrupolo e che, raggiunta la sua preda, ben poco si curasse di far perdere la loro ai suoi compagni.”

- LA FAMIGLIA:
Questa prima aggregazione era solo il primo passo verso la creazione di vere e proprie società; più avanti nel tempo il nomadismo andò sempre più scomparendo e si cominciarono a costruire capanne, dove gli uomini si stabilivano creando le prime famiglie, considerate da Rousseau come delle piccole società. Dove si stabiliva una famiglia se ne stabiliva un’altra, e poi un’altra fino a formare i cosiddetti clan.
A questo punto Rousseau colloca i primi sviluppi sentimentali: inizialmente si trattava del rapporto che legava i membri di una singola famiglia, poi con la nascita dei clan, il sentimento si estese anche fra membri di diverse famiglie, con la conseguente nascita di altri nuclei famigliari.
Fra i due sessi si affermò, poi, la prima differenza nel modo di vivere, che prima era uguale: le donne divennero più sedentarie e si abituarono a custodire la capanna e i figli, mentre l’uomo andava a cercare il cibo per tutti. L’uomo cominciava così a perdere qualcosa della sua ferocia e del suo vigore, cominciò a cercare di rendersi la vita sempre più comoda continuò a indebolirsi nel corpo e nello spirito, stabilendo i primi segni di quello che oggi è uno dei peggiori difetti dell’uomo.
Questa rivoluzione nello stile di vita dell’uomo condannò l’uguaglianza, creando i primi segni di disuguaglianza: “fu introdotta la proprietà privata e il lavoro diventò necessario, e le vaste foreste si trasformarono in campagne ridenti che dovevano essere bagnate dal sudore degli uomini, e dove presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria.”

- METALLURGIA E AGRICOLTURA:
Alla base di tutti questi cambiamenti c’è l’invenzione dell’arte della METALLURGIA e dell’AGRICOLTURA.
Difficilmente si può sapere con certezza come gli uomini possano essere venuti a conoscenza del ferro, Rousseau, per esempio, ipotizza che l’invenzione della fusione del ferro sia avvenuta in seguito all’eruzione di un vulcano: nel “vomitare materiali metallici in fusione” crede abbia dato agli uomini l’idea di servirsene per i propri scopi; questa scoperta portò alla conseguente nascita dell’agricoltura: i primitivi, infatti, già conoscevano il principio di tale arte, ma solo con l’invenzione del metallo fuso fu possibile costruire strumenti che permettessero loro di lavorare la terra.

- PROPRIETÀ PRIVATA:
La spartizione delle terre fu una conseguenza dell’agricoltura e da questa spartizione derivò anche una primitiva normativa che regolasse i rapporti umani: la lavorazione di un terreno dava il diritto alla persona di possedere l’appezzamento.
La proprietà privata creò le prime differenze sociali, mettendo in evidenza le inclinazioni dei singoli a comandare sugli altri: era diventato d’obbligo riuscire ad assoggettare alla propria figura qualcuno che, magari, lavorasse il proprio podere: “bisogna dunque che cerchi senza posa di cointeressarli alla sua sorte, facendo in modo che, di fatto o in apparenza, trovino il loro utile a lavorare per il suo utile; ciò lo rende astuto e ipocrita con gli uni, imperioso e duro con gli altri e lo costringe ad ingannare tutti quelli di cui ha bisogno, quando non può farsi temere e quando non trova il proprio tornaconto a servirli utilmente.”

- SCHIAVITÙ:
Prima che i segni della ricchezza fossero inventati, gli unici beni erano le terre, e quando i beni ereditari si fossero accresciuti in numero ed estensione fino al punto da coprire l’intero suolo e da essere tutti confinanti tra loro, gli uomini non poterono più ingrandirsi se non a spese degli altri: questa fu la nascita della dominazione, della schiavitù.

- “LA SOCIETÀ SUL NASCERE FECE POSTO AL PIÙ ORRIBILE STATO DI GUERRA”:
Ognuno si sentiva così libero di muovere guerra contro chiunque lui volesse; ne conseguivano guerre, uccisioni, massacri, e uomini che si uccidevano senza saperne il perché. Questa legge del dominante più forte, diversa da quella dello stato di natura, portò all’assoggettamento di molte persone ad opera di una o più persone, a seconda del tipo di governo.
- IL GOVERNO DEMOCRATICO:
Questo tipo di governo nacque in seguito alla volontà del popolo di mantenere la propria libertà, e di fare in modo che non fossero solo i ricchi a comandare.
In un governo democratico gli uomini erano tutti alla pari e detenevano loro il potere legislativo ed esecutivo. Le stesse persone si trovano coinvolte sia come cittadini dotati di sovranità, sia come magistrati, sia come sudditi obbligati, come individui singoli, ad obbedire alle stesse leggi di cui detenevano l'esecuzione.
Un vantaggio innegabile di questo sistema risiede nella necessaria concordia tra intenzioni del legislativo e dell’esecutivo, poiché, evidentemente, nessuno interpreta la legge meglio di chi l'ha promulgata. Nel caso in cui il governo fosse affidato a delle commissioni, la democrazia si trasformerebbe in OLIGARCHIA, in quanto il potere esecutivo passerebbe nelle mani del più forte e agile di quei gruppi. Questo avviene proprio perché difficilmente l'uomo riesce ad avere quelle virtù che Rousseau indica come necessarie alla democrazia: l'uomo fatica a mettere tra parentesi il suo io individuale in nome del bene comune e a maggior ragione faticherà a farlo laddove ha la possibilità di partecipare direttamente anche all'attività dell'esecutivo.
La democrazia richiede dunque che le qualità umane che Rousseau giudica fondamentali siano presenti nella cittadinanza elevate all'ennesima potenza.

- IL GOVERNO ARISTOCRATICO:
Il governo aristocratico essendo basato sulle parole povero e ricco, ben si adattava a quei tempi in cui l’uomo per assoggettare i suoi pari non aveva altro mezzo che attaccare i suoi beni, e solo chi riusciva ad imporsi da solo o insieme a pochi altri prendeva il potere.
In un regime aristocratico ben organizzato è pressoché impossibile che il potere legislativo si corrompa, in quanto l'esecutivo è nettamente separato da esso.
E' con questo sistema che si organizzarono, secondo Rousseau, le prime aggregazioni politiche umane, essendo naturale l'affidamento del governo ai membri più anziani di una comunità. A questa prima aristocrazia naturale subentrò in un secondo tempo l'aristocrazia elettiva, conseguenza non solo dell'aumento quantitativo dei membri della comunità stessa, ma anche della disuguaglianza artificiale introdotta dalla maggiore complessità del sistema economico. Infine l'aristocrazia è destinata a divenire ereditaria, per cui la titolarità delle magistrature viene trasmessa di padre in figlio, come se non si trattasse più di qualcosa di totalmente appartenente all'ambito della res publica.
L'aristocrazia elettiva presenta la difficoltà di privilegiare i ricchi e i personaggi più in vista, ma tale difficoltà è ampiamente compensata dalla possibilità di scegliere, attraverso l'elezione, coloro che sono dotati delle qualità indispensabili allo svolgimento dell'incarico di governo.

- IL GOVERNO MONARCHICO:
Nasce dal rapporto conquistatore – conquistato, e non può essere definito né società, né corpo politico, ma solo regime fondato sul diritto del più forte. Nelle monarchie, dove il potere esecutivo è unito all'esercizio della sovranità, il governo non è altro che il sovrano stesso, che agisce per mezzo dei suoi ministri, del suo consiglio, o di corpi assolutamente dipendenti dalla sua volontà.
E’ difficile incontrare delle monarchie legittime, poiché rivendicando per sé la sovranità ogni monarca diventa automaticamente un DESPOTA, cioè un detentore del potere al di fuori delle norme costitutive dello Stato. E' stato rilevato come a questo proposito Rousseau faccia propria la distinzione greca tra despota e tiranno: quest’ultimo era colui che assumeva il potere secondo l'interesse comune, mentre l'altro era chi occupava tale funzione illegittimamente, senza l'avallo del sovrano o addirittura sostituendosi ad esso.
La funzionalità della monarchia risiede interamente nella sua innegabile forza, derivante dall'assenza di attrito ed anzi dalla perfetta coincidenza tra l'interesse del corpo di governo e quello dell'individuo.

- CONCLUSIONI:
L’origine della disuguaglianza sta quindi nella creazione della società civilizzata e governata; le tappe di questo progressivo degradamento sono:
• fondazione delle leggi e del diritto di proprietà che portò alla creazione della condizione di ricco e povero;
• istituzione della magistratura la quale distinse le condizioni di potente e debole;
• trasformazione del potere legittimo in potere arbitrario con il quale si arrivò alla creazione della condizione padrone e schiavo.
Rousseau conclude dicendo che, essendo la società arrivata a un grado talmente elevato di depravazione e di corruzione, torna ad essere in vigore la legge del più forte, colui che riesce a sopraffare gli altri, ingannandoli e sfruttandoli, si torna per così dire ad un nuovo stato di natura, diverso però da quello primitivo, in quanto nato da un eccesso di corruzione.

CAPPELLETTI CLAUDIA
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