Rousseau e gli effetti della sua filosofia in Marx

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Categoria:Filosofia

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RICERCA A CURA DI:
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• Kantzavelos Giorgio
• Mazza Alessandro
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INDICE
1. Rousseau: vita e opere
2. Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini
3. Il superamento dell’illuminismo ed il Contratto sociale
4. Il regime politico in Rousseau
5. Critica dell’uomo astratto di Rousseau
6. Socialismo e libertà
7. La problematica del Discorso sulla disuguaglianza e la sua attualità
8. Critica Marxista di Rousseau
9. L’atteggiamento di Marx nei confronti di Rousseau
BIBLIOGRAFIA
• Abbagnano N., Fornero G., Rousseau, in “Protagonisti e testi della filosofia” (vol. b, tomo 2), Bruno Mondadori Editori, Pioltello (Mi), 2003;
• Marx Karl, Engels Friederich, “Manifesto del Partito Comunista”, Bur, Pavia, 2002:
• Della Volpe Galvano, “Rousseau e Marx”, Editori riuniti, Roma, 1974
SITOGRAFIA
• http://www.filosofico.net/rousseau.htm
• http://www.filosofico.net/marx.htm
ROUSSEAU
VITA
Scrittore e filosofo svizzero di lingua francese (Ginevra 1712 - Ermenonville, presso Senlis, 1778). Discendente da famiglia ugonotta francese, emigrata a Ginevra nel 1550, rimase orfano della madre alla nascita, e perse presto il padre, quando questi, venuto in contrasto con un signorotto locale, lasciò qualche anno dopo Ginevra e fece giungere sempre più rade notizie di sé. Uno zio materno, che lo aveva sotto tutela, collocò il bambino appena decenne presso il pastore Lambercier: Rousseau scrisse più tardi di “ricordare senza disgusto” le ore di studio trascorse con lui. Due anni dopo il piccolo orfano, accusato di un malestro da lui in realtà non commesso, dovette lasciare la casa del pastore. Lo zio gli trovò allora un posto prima come aiuto scrivano di un cancelliere e poi come apprendista presso un incisore. Una sera del 1728, reduce da una lunga passeggiata in campagna, il giovane Rousseau trovò le porte di Ginevra già chiuse e, prevedendo le ire del padrone, approfittò dell'occasione offertagli dal caso e dette inizio alla sua vita errabonda. In Savoia trovò rifugio presso un prete cattolico, che rifocillò il giovinetto e lo indirizzò presso una neoconvertita di Annecy, Madame Eléonore de Warens, che divenne subito la sua ambigua protettrice. Da Annecy fu inviato in un istituto per catecumeni di Torino, dove poco dopo l'eretico sedicenne si sottopose senza troppa convinzione alla cerimonia dell'abiura (1728). Dimesso dall'istituto, fece la triste esperienza del mestiere di valletto presso case signorili e la interruppe bruscamente tornando ad Annecy (1729), dove Madame de Warens, amante e amica comprensiva, lo aiutò a proseguire negli studi di latino e di musica e tollerò con pazienza le sue brusche impennate e le sue fughe (a Lione, a Friburgo, a Ginevra, a Losanna, a Neuchâtel, a Berna, a Parigi). Tornato a piedi da Parigi (1732), Rousseau venne ospitato dalla Warens nella casa di campagna detta “Les Charmettes”, presso Chambéry. Fu questo l'unico periodo veramente felice della sua vita, allietato dall'amore devoto della cara “maman”, dalla natura circostante propizia alle passeggiate solitarie e dalla libertà feconda degli studi. Ma al ritorno da un viaggio a Montpellier compiuto per motivi di salute (1740) Rousseau trovò occupato da un altro il suo posto di amante e dovette cercarsi un impiego e un nuovo modo di vita. Fu precettore a Lione (1740), copista di musica a Parigi (1741), segretario a Venezia (1743) del signore di Montaigu, ambasciatore del re di Francia. Ritornato a Parigi (1744) dopo un litigio con il diplomatico, Rousseau fece rappresentare con successo in una casa privata la sua opera lirica Le muse galanti(1745), divenne segretario di una dama del gran mondo e fu da questa presentato a Madame d'Epinay (1749). La protezione di quest'ultima gli schiuse le porte dei salotti alla moda, mentre l'amicizia di Diderot, su invito del quale scrisse alcune voci di argomento musicale per l'Enciclopedia, stimolò il suo pensiero alla meditazione filosofica. Nacque così la sua prima opera di vasta risonanza, il Discorso sulle scienze e le arti (1750), preparata per un concorso bandito dall'Accademia di Digione e solennemente premiata. Rousseau rinunciò tuttavia subito ai vantaggi del successo mondano (fra l'altro un suo intermezzo musicale, Le devin du village, era stato nel 1752 rappresentato nel teatro di corte). Non volle essere presentato al re, per non diventare uno stipendiato della Corona, lasciò il suo posto di segretario, prese alloggio in una soffitta e cercò di guadagnarsi la vita facendo il copista di musica. Alla rottura con il mondo elegante si accompagnò anche l'abbandono delle amicizie intellettualmente più stimolanti (con Diderot, con il barone d'Holbach, con Melchior Grimm, ecc.). Il suo disprezzo per la frivolezza degli intellettuali dominatori dei salotti e per le convenzioni del bel mondo si manifestò anche nella scelta di un abbigliamento volutamente bizzarro e trasandato e nell'ostentazione del suo legame con una lavandaia, Marie-Thérèse Levasseur, dalla quale ebbe cinque figli, tutti abbandonati all'ospizio dei trovatelli, se si deve prestar fede a quanto egli ha lasciato scritto nelle Confessioni Nel 1754, in occasione di un viaggio a Ginevra, riprese a professare pubblicamente la fede calvinista, dando anche a questo gesto il valore di un ritorno alle origini dopo gli sbandamenti della giovinezza. Il Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza fra gli uomini (1755), che rinnovò almeno in parte il successo di quello sul progresso delle scienze e delle arti, può essere considerato la premessa agli scritti fondamentali della maturità. Madame d'Epinay gli offrì il modo di vivere nella quiete tanto amata della campagna e di portare avanti in condizioni più favorevoli le sue meditazioni mettendo a sua disposizione l'Ermitage, un padiglione sito nel parco del castello della Chevrette, nella foresta di Montmorency. Ma dopo diciotto mesi l'amore impossibile di Rousseau per la contessa di Houdetot, cognata della sua protettrice, le impazienze della Levasseur e di sua madre, ambedue annoiate della vita campestre, le indiscrezioni di Diderot e di Grimm, quest'ultimo amante di Madame d'Epinay, unitamente all'irritabilità del filosofo, acuita dalle crisi ricorrenti di una malattia della vescica, provocarono la rottura dei rapporti con l'ospite (1757). Accolto in una casa di campagna non molto distante, appartenente al maresciallo di Lussemburgo, Rousseau portò a termine la Lettera a d'Alembert sugli spettacoli (1758) e attese in un momento di eccezionale felicità creativa alla composizione dei suoi tre capolavori: Giulia o La Nuova Eloisa (1761), Il contratto sociale (1762) e l'Emilio o Dell'educazione (1762). L'Emilio gli procurò le ire dei benpensanti e fu condannato dalle autorità civili e da quelle ecclesiastiche, sia a Parigi sia a Ginevra; per evitare l'arresto Rousseau si rifugiò in Svizzera, prima a Yverdun, nel cantone di Vaud, e poi a Môtiers-Travers, villaggio della contea di Neuchâtel, allora inclusa nei domini del re di Prussia. Qui, in una situazione di provvisoria sicurezza, scrisse alcune lettere in propria difesa, una contro l'arcivescovo di Parigi (Lettera a Christophe de Beaumont, 1763) e altre contro il Gran consiglio di Ginevra (Lettere dalla montagna, 1764) e contro Voltaire, al quale nel 1756 aveva già indirizzato la polemica Lettera sulla provvidenza. Snidato dal suo rifugio, dovunque malvisto e perseguitato Rousseau poté comunque trascorrere due mesi (1765) particolarmente piacevoli nell'isoletta di SaintPierre, in mezzo al lago di Bienne. Parve infine che il lungo peregrinare dovesse trovare la sua conclusione nella tranquilla ospitalità di Strasburgo, ma qui Rousseau fu raggiunto dall'invito di Hume a recarsi in Inghilterra (1766). Nonostante la discrezione e la tolleranza del grande filosofo inglese, Rousseau, ormai in preda alla mania di persecuzione, ruppe anche con lui e tornò in Francia (1767). Dapprima non osò fermarsi a Parigi, timoroso che il fuoco dell'ira covasse ancora sotto le ceneri. Solo nel 1770 vi rimise piede, prendendo alloggio in un modesto appartamento di rue Plâtrière (oggi rue J.-J. Rousseau), cercando di guadagnarsi la vita col vecchio mestiere di copista di musica (di musica aveva sempre continuato a interessarsi e nel 1767 aveva anche pubblicato un Dizionario musicale) e uscendo solo raramente per qualche passeggiata in campagna insieme col suo discepolo Bernardin de Saint-Pierre. Nel frattempo, fra due progetti di riforme politiche destinati alla Corsica (1765) e alla Polonia (1772), Rousseau aveva portato a termine le Confessioni, pubblicate nel 1782-1789, ma circolanti nel testo manoscritto già intorno al 1770. L'opera conteneva troppe indiscrezioni e allusioni imbarazzanti od offensive a personaggi ancora viventi. L'autore dovette affrontare, ormai vecchio e stanco, una nuova ondata di ostilità. Scrisse ancora due opere, che uscirono postume: i Tre dialoghi (Rousseau giudice di Jean-Jacques) [1789] e le Meditazioni del passeggiatore solitario (1782). L'appoggio di un ultimo protettore gli permise di tornare a vivere in campagna e di dedicarsi ai prediletti studi di botanica: accolto dal marchese de Girardin nel castello di Ermenonville (22 maggio 1778), Rousseau vi morì all'improvviso circa due mesi dopo e fu sepolto nel parco per suo espresso desiderio. Nel corso della Rivoluzione (1794) la salma fu trasferita nel Panthéon parigino.
DISCORSO SULL’ORIGINE E I FONDAMENTI DELLA DISUGUAGLIANZA FRA GLI UOMINI
Nel 1753 il Rousseau scrisse, per un concorso bandito dall’Accademia di Digione, il “Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini”. Come egli stesso afferma, il suo scopo è di rimontare allo stato di natura e porre a nudo l’essere originale degli uomini prima che la cultura e la vita sociale, ovvero gli elementi corruttori, l’alterassero. Il Rousseau consegue uno scopo progressista, ha il compito di migliorare la società, ma si serve di un’ideologia conservatrice per risalire ai diritti originali dell’uomo naturale. Il filosofo non intende cadere nello stesso errore di Locke o di Hobbes che dipingevano lo stato di natura proiettando l’uomo civilizzato della loro società in un ipotetico mondo naturale. Di fronte al problema di come giungere alla descrizione del vero uomo di natura, Rousseau contesta anche i giusnaturalisti per aver dato una finta soluzione attribuendo al selvaggio caratteristiche dell’uomo razionale; come dice il ginevrino, “parlavano dell’uomo selvaggio e dipingevano l’uomo civile”. Lo stato di natura del Rosseau è un modello ipotetico, come egli stesso afferma “non esiste più, forse non è mai esistito e probabilmente non esisterà mai”, ma allo stesso tempo è un modello logico, poiché non esistono fonti dirette sulle quali tracciare le caratteristiche dello stato di natura; l’uomo a cui perviene non corrisponde sotto a nessun aspetto all’uomo artificiale offertoci dalla realtà, ma è un essere dotato di due sentimenti fondamentali, l’amor di sé, cioè l’istinto di sopravvivenza che permette all’uomo di autoconservarsi e la pietà (incapacità di veder soffrire o perire ogni essere sensibile); è mosso da bisogni modesti e da passioni elementari: quest’ultime, in modo particolare, sono il combustore della ricerca della conoscenza: “…non si cerca di conoscere se non perché desideriamo di godere…”. Un’altra caratteristica è che l’uomo allo stato di natura vive schiacciato nel presente, in una relazione immediata con la natura: non ha progetti, immaginazione, non può pensare a se stesso oltre la fine di una giornata e non può tantomeno temere la morte. Per quanto riguarda la morale, il buon selvaggio è considerato pre-morale, poiché si trova in un ambiente in cui la morale ancora non esiste: di conseguenza l’uomo naturale non è buono, né cattivo, non possiede vizi o virtù e non ha desiderio di possesso come invece sosteneva Hobbes. Concludendo, si può osservare come Rousseau intrecci continuamente diritto, critica storica ed antropologia : infatti, per trovare i diritti dell’uomo su base naturale è necessario risalire alla struttura antropologica originale dell’uomo; che a sua volta viene recuperata per mezzo di un’attenta critica storica.
IL SUPERAMENTO DELL’ILLUMINISMO ED IL CONTRATTO SOCIALE
J.J. Rousseau rappresenta la generazione avanzata del “secolo dei lumi”. La cultura illuminista aveva conosciuto, con Diderot e Voltaire, il suo momento di massimo splendore riuscendo ad aprire un ampio dibattito sui principi di eguaglianza e di libertà che avrà come naturale conclusione la rivoluzione francese del 1789 le cui parole d’ordine furono, appunto, “libertà, fraternità ed eguaglianza”. Le idee liberali di cui sarà impregnato il XVIII secolo hanno come padre nobile Voltaire tanto che Victor Hugo ebbe a dire: “Il ‘700 è Voltaire” e Luigi di Borbone, prigioniero dopo il tentativo di fuga dalla Francia rivoluzionaria, accusò il filosofo di “aver rovinato la Francia”. Con Rousseau, invece, si entra in una seconda fase del pensiero illuminista, in cui l’elemento razionalista viene a convivere obbligatoriamente con il recupero del sentimento e di alcuni elementi che fecero del filosofo ginevrino un precursore del pensiero romantico. Non c’è più una fede nel progresso e nella scienza anzi, recuperando autori classici (da Plutarco a Seneca) si accusano le arti e le conoscenze scientifiche di aver provocato la corruzione dell’uomo che, invece, nel suo stato di natura (condizione mai esistita realmente in un preciso momento storico) viveva in una sorta di “età dell’oro” in cui poteva godere ed usufruire di tutti i suoi diritti naturali che ne facevano un essere felice e libero. La critica di Rousseau è rivolta soprattutto verso i giusnaturalisti e verso Hobbs i quali hanno proiettato nella propria concezione di uomo ideale le caratteristiche dell’uomo civilizzato finendo, così, per giustificare i difetti di quest’ultimo. Altra tematica del pensiero politico è la ricerca dell’uguaglianza e della comunanza dei diritti come condizione base dell’esistenza dell’uomo. L’uomo, contrariamente a quanto sostenuto da Hobbs, e a quanto a ciò che era stato detto da Locke, non può alienare alcun diritto: la società è un corpo sociale che rappresenta tutti i suoi componenti i quali hanno stipulato liberamente un patto con il quale hanno riposto tutti i loro diritti nella stessa comunità di cui sono partecipi; vi è, quindi, un corpo sociale composto da tutti gli individui che lavorano insieme per la comunità stessa. Opera principale in cui sono contenute tali tematiche è il “Contratto Sociale”, scritto nel 1762 e divenuto uno dei principali testi di “dottrina politica” della storia del pensiero moderno. Nella prima parte dell’opera Rousseau descrive le condizioni dell’uomo nello stato di natura: “(l’uomo naturale) è un animale meno forte di alcuni, meno agile di altri, ma nell’insieme, organizzato più vantaggiosamente di tutti” in quanto ha bisogni modesti, passioni elementari e timori limitati. Progettualità ed immaginazione sono assai limitate poiché vi è una vita in simbiosi con la natura. Nel pensiero di Rousseau è assente, inoltre, ogni giudizio di tipo morale: vivendo isolato l’uomo naturale non può essere né buono, né cattivo. Esistono, invece, tendenze per così dire “naturali”, anteriori alla razionalità quali l’autoconservazione (amor di sé) e la pietà per gli altri intesa come naturale ripugnanza al dolore ed alla violenza. Non è, però, corretta l’equazione uomo naturale-animale, poiché l’uomo naturale è capace di perfezionarsi, sviluppando le proprie facoltà e le proprie capacità giungendo ad avere una propria storia. Tale perfezionabilità è tragicamente ambivalente: infatti in essa convivono progresso e corruzione intesi come sviluppo delle potenzialità umane unitariamente alla rottura totale dell’equilibrio naturale ed originario della condizione dell’uomo. La seconda parte dell’opera descrive l’incredibile e straordinario sviluppo delle potenzialità dell’uomo che, attraverso la scoperta e l’attuazione delle principali attività dell’uomo civilizzato (agricoltura, artigianato, industria, commerci ecc. …) trasformano l’uomo aumentandone i bisogni fino a trasformare “l’amore di sé” in un egoistico “amore proprio” tanto che, con l’introduzione della proprietà privata, si giunge alla scoperta della disuguaglianza tra ricchi e poveri, tra chi possiede e chi è nullatenente. Si può, quindi affermare che la disuguaglianza è un frutto della storia e della civiltà e non della natura. Il contratto in Rousseau è il momento in cui gli individui giungono consapevolmente e liberamente a costruire la società attraverso un patto di associazione e non di sottomissione perché ogni individuo nel cedere alla comunità la propria sovranità diviene automaticamente sovrano di sé stesso. L’atto costitutivo della comunità avviene sul piano di una assoluta uguaglianza: così non esiste nessun rapporto di dipendenza fra gli individui, ma soltanto un legame di ciascuno con la realtà politico-associativa, cioè un legame con se stessi. Altro tema importante dell’opera è il concetto di “volontà generale”, che non è la semplice somma delle volontà particolari, ma è la volontà dei cittadini visti come corpo comune: è qualche cosa di qualitativamente e quantitativamente diverso dalla somma delle singole volontà particolari. Seguendo la “volontà generale” si riesce a governare la politica attraverso la “sovranità” che trova espressione nella “legge”. C’è un esplicito rifiuto del principio di delega; la democrazia di Rousseau non è di tipo fiduciario come in Locke od in Montesquieu, ma è di tipo diretto, la sovranità non è divisibile e, pertanto, è separata dal governo che ha come compito l’attuazione delle leggi e la difesa della libertà. La forma di governo monarchica viene quindi irrimediabilmente condannata e si propende, ritenendo impossibile una reale democrazia diretta, per un modello di tipo “aristocratico elettivo” sul modello della repubblica ginevrina in cui i governanti sono pochi, ma eletti dai cittadini i quali possono esautorarli dal potere quando lo ritengano opportuno. Con il “Contratto Sociale” Rousseau, per la prima volta nella storia della filosofia politica moderna, descrive un ipotetico stato etico in cui impegna la “volontà generale” ed in cui il contratto sociale è un patto dei cittadini con loro stessi per giungere alla fondazione di una società di liberi ed eguali in cui sia possibile una convivenza tra gli individui componenti. La sicurezza e la libertà sono gli elementi costitutivi della nuova realtà immaginata dal filosofo ginevrino: il loro perseguimento e la loro conservazione sono gli obiettivi dell’uomo e della nuova comunità e politica. Lo spirito di quanto detto nel “Contratto Sociale” ed in questo capitolo è riassumibile con le parole dello stesso Rousseau: “Trovare una forma di associazione che difenda e che protegga con tutta la forza comune la persona ed i beni di ciascun associato; e per la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti altrettanto libero di prima”.
IL REGIME POLITICO IN ROUSSEAU
Una volta analizzato il pensiero politico del filosofo ginevrino è importante individuare la realtà empirica alla quale Rousseau vuole applicare la propria filosofia. Appurato che il compito dello stato per Rousseau è preservare le intrinseche libertà dell’uomo naturale e garantirne la sicurezza e l’incolumità è importante vedere come si possa giungere a ciò dopo che l’uomo ha abbandonato lo stato di natura e stipulato il contratto sociale. Il “governo” è al servizio della volontà, ma non ne è il depositario, è un organismo che si trova in posizione intermedia tra cittadini e governo. Il governo decade ogni volta che il popolo si riunisce in assemblea. In tale occasione cessa ogni potere del sovrano in quanto il popolo rievoca a sé tutti i poteri per la conservazione del patto sociale. L’autorità sovrana viene preservata e perpetuata grazie alla Costituzione che, qualora sia valida ed in grado di mantenere l’equilibrio sovrano-governo. Col termine “sovrano” si intende colui che riesce “nel far guidare la forza comune dalla volontà generale”(5). Questi è, quindi, il depositario del principio di sovranità che possiede due diversi attributi: inalienabilità ed indivisibilità. La sovranità non può essere alienata poiché essa è in stretta relazione con un’altra realtà, per sua natura inalienabile: la volontà generale. Il sovrano può essere rappresentato solamente da se stesso poiché è un essere collettivo. Per i medesimi motivi neppure la volontà generale e la sovranità possono essere divise. Una Costituzione in grado di assolvere ai propri compiti è quella che costringe il governo ad adempiere al proprio compito primario: l’applicazione delle leggi e soltanto delle leggi. Le leggi, infatti, sono l’espressione diretta e più autentica della volontà generale. E’ anche molto importante che le istituzioni politiche create dal popolo in assemblea non rafforzino troppo la propria esistenza fino a non poter essere sospese o mutate. Infatti leggi troppo rigide, non flessibili e non in grado di adattarsi alle diverse realtà con le quali si troverebbe a contatto, risultano essere pericolose e dannose. Solo in casi eccezionali si può ricorrere a forme di particolare rigidità e fermezza creando realtà politico-istituzionali definibili con il termine “dittatura”. In tal caso, anche se ciò può apparire paradossale se confrontato con ciò che si è detto fino ad ora e con ciò che si può leggere nella prima parte del “Contratto Sociale”, la volontà generale non è affatto intaccata poiché, come ha scritto lo stesso Rousseau: “E’ evidente che il popolo vuole innanzi tutto che lo Stato non perisca. A questo modo si sospende l’attività legislativa senza abolirla; il magistrato che la fa tacere non può farla parlare; la domina senza avere il potere di rappresentarla; può fare tutto eccetto le leggi “. Inoltre tale esperienza dittatoriale è, sull’esempio dell’antica Roma, un evento che deve consumarsi in un breve lasso di tempo e non prolungabile in modo che il dittatore, dovendo affrontare in breve tempo l’emergenza, non possa fare futuri progetti personali di potere spinto dalle proprie ambizioni. La ricerca della migliore forma di governo deve essere compiuta tenendo ben presente due principi fondamentali: la libertà viene meglio preservata e difesa nelle comunità composte da un basso numero di individui poiché in caso contrario si assiste ad un progressivo sganciamento delle singole volontà particolari dalla più ampia volontà generale. In secondo luogo bisogna tenere presente che quanto è maggiore il numero dei governanti tanto è minore e più debole l’incisività risultante dall’azione del governo poiché un tale esempio di governo deve concentrare troppa parte della propria azione su se stesso non riuscendo, così, ad avere abbastanza forza pubblica da impiegare in un’azione che abbia ripercussioni tali da coinvolgere tutto il popolo. Rousseau recupera una terminologia comprendente espressioni quali monarchia, aristocrazia, democrazia e repubblica, o, per esprimersi utilizzando un linguaggio più rigoroso, si deve parlare di governo monarchico, di governo aristocratico e di governo democratico. Tali forme di governo differiscono per quanto riguarda il luogo di allocazione del “concetto di governo”: nel primo caso esso è nelle mani di un solo magistrato, nel secondo di poche persone e nel terzo dell’intero popolo. Le forme di governo citate ed analizzate sono tutte legittime poiché guidate dalla volontà generale e dalla legge che è espressione della già citata volontà generale. La democrazia viene vista come una forma di governo insufficiente in quanto non è mai esistita realmente in nessun luogo poiché si tratta di un governo adatto agli dei: “Un tale governo tanto perfetto non conviene agli uomini”. Nel Terzo libro del IV Capitolo “Contratto Sociale” col termine democrazia si intende quella forma di governo in cui il popolo , in quanto corpo, applica direttamente le leggi: c’è una palese unione tra legislativo ed esecutivo. Ciò è visto in maniera negativa poiché il popolo distoglie il proprio interesse dalle idee generali per applicarlo alle necessità particolari in quanto è venuta meno la distinzione tra sovrano e popolo: i due poteri devono restare necessariamente divisi. L’aristocrazia viene apprezzata nella sua accezione elettiva e condannata, invece, nell’accezione ereditaria. Si assiste, quindi, ad una sorta di governo dei migliori che, una volta posti alla guida dell’esecutivo, possono occuparsi del governo guidando il popolo tenendo come obiettivo finale, ovviamente, il massimo e supremo interesse del popolo medesimo. L’aspetto negativo di tale forma di governo sta nel fatto che la volontà generale può risultare mortificata a vantaggio della volontà di una sola parte: i governanti. L’ultima forma di governo, quella monarchica, viene apprezzata per la forte vigoria che è in grado di esprimere, ma viene condannata in quanto può divenire illegittima, ossia espressione della volontà particolare, cioè dell’ambizione dei potere di un singolo. E’ questo tipo di monarchia illegittima basata su un potere abusivo quella tipica del dispotismo illuminato e del pensiero assolutistico. Poiché nessuna di queste forme di governo è quella perfetta ci si interroga come si debba scegliere il tipo di potere esecutivo che uno stato debba adottare. Si è, quindi, alla ricerca di un nuovo criterio selettivo in campo politico per creare l’organigramma di uno stato. L’elemento che viene indicato dal filosofo ginevrino per raggiungere tale meta non è affatto né nuovo né, tanto meno, innovativo; infatti si prende in considerazione la dimensione dello stato analizzato. Ritorna l’elemento “clima” analizzato e scelto come criterio discriminante già da Montesquieu nella prima fase del periodo illuminista. Per gli stati piccoli vanno bene governi democratici, per gli stati medi quelli aristocratici e quelli monarchici per gli stati di grandi dimensioni. Si torna, quindi, all’affermazione iniziale che può essere riassunta dicendo che, per tentare di ottenere la miglior forma di governo possibile, il numero dei governanti deve essere inversamente proporzionale al numero dei governati. Rousseau indica, inoltre, anche criterio che può essere utilizzato per verificare la bontà di un regime politico: si avrà un buon governo in quelle realtà nelle quali il popolo aumenta di numero senza bisogno di innesti ed interventi esterni.
CRITICA DELL’UOMO ASTRATTO DI ROUSSEAU
1
La coscienza morale è l’amore degli uomini, e nasce dal rapporto tra l’amore di sé e l’amore per i propri simili, principio primo della giustizia umana. A sua volta l’amore per i propri simili non è altro che una forma di amore verso sé stessi, in quanto: è per amore di Dio che devo amare il prossimo come me stesso (forma di egotismo,o esaltazione di sé).
Dio fa da elemento unificante tra l’amore di sé e gli altri, ma ciò che è innato, e caratterizza l’uomo presociale, preistorico, ovvero l’uomo naturale è appunto questo amore verso sé stesso.
Secondo Rousseau, la Giustizia, la capacità di ciascuno di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, è un’idea che nasce nell’uomo dall’unione dell’amore che prova per sè stesso e l’amore che prova verso gli altri. Il filosofo chiama questo principio Coscienza morale. A sua volta egli considera lo stesso amore che noi nutriamo verso gli altri un derivato dell’amore verso sè stessi, secondo questa affermazione: è per amore di Dio che devo amare il prossimo come me stesso. Da sottolineare questa forma di egotismo, ovvero esaltazione di sè, che pone l’amore verso sè stesso come modello da seguire per amare gli altri; Dio è il termine medio che riunisce i due concetti di amore, essendo Rousseau fortemente religioso. Da ciò consegue che il mio metodo di comportamento verso gli altri segue i principi della Giustizia, e quest’ultima nasce in noi come principio di comportamento verso noi stessi, che cerca ovviamente il giusto che ognuno di noi preferisce per sè. L’uomo sceglie ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, quindi, secondo ciò che è giusto per sè, e secondo quindi quell’amore di sè che, secondo Rousseau, caratterizza l’uomo naturale, pre-sociale, pre-istorico.
Il ritorno alla natura può essere effettuato abbandonando la ragione spesso ingannevole, per seguire questa coscienza morale, cioè quel sentimento innato dell’amore di sé,che, essendo amore verso Dio, è amore verso il prossimo.
Tutto sta nel non guastare l’uomo naturale nell’appropriarlo alla società, ovvero, nel diventare socio-politico, l’uomo naturale deve preservare la sua specifica integrità di persona originaria investita di valori a priori.
L’uomo, per ritornare nella condizione che lo caratterizzava prima dell’avvento della società, deve abbandonare la ragione e seguire la propria coscienza morale che porta ad amare il prossimo come noi stessi. Il problema che si pone Rousseau quindi è: come non guastare questa natura umana primordiale, e quindi questa coscienza morale, appropriando l’uomo ad una società? E’ questo ora il fulcro dell’indagine roussoiana.
La difficoltà consiste quindi nel trovare una forma di aggregazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ogni associato (diritti di proprietà, diritti naturali) e per la quale ciascuno unendosi a tutti gli altri, non obbedisca pertanto che a sé stesso e resti libero come prima.
La difficoltà è quindi rappresentata dalla formulazione di una società che non corrompa la natura dell’uomo e la sua capacità intrinseca di seguire la propria coscienza morale. Questa società deve essere in grado quindi di preservare anche quello stato di natura che garantisce il diritto di proprietà e i diritti naturali. L’uomo deve rimanere integro, obbedendo solo a sé stesso, e quindi deve essere libero. La funzione di questa società ideale è quindi quella di utilizzare tutta la forza comune per preservare le libertà degli individui.
La soluzione era stata trovata nella formulazione di un contratto, col quale ognuno consegna i propri diritti alla comunità, realizzando così l’eguaglianza politica (instaurata per la prima volta con la Rivoluzione francese) e l’emancipazione politica dell’uomo comune. La volontà generale, che costituisce l’apparato politico, si fonda come già detto sulla coscienza morale (come principio primo della giustizia umana), ma essendo questa una forma di egotismo, l’eguaglianza istituita da e per un tale corpo politico sarà quella che quell’egotismo permette.
Una società del genere era già stata formulata dalla Rivoluzione francese, previa la stipulazione di un patto tramite cui ogni cittadino affida ad un apparato politico, il governo, i propri diritti e le proprie libertà, realizzando così l’eguaglianza politica. In questo modo il cittadino ottiene la garanzia che le proprie libertà saranno garantite dai diritti che la società gli riconosce. Questo governo è il depositario quindi della Volontà generale, come la definisce Rousseau, ovvero è il rappresentante della Giustizia collettiva, e quindi di tutte le coscienze morali. Ma questa forma di governo ha un limite: gli stessi uomini che fanno parte dell’apparato politico ricercano i principi del giusto secondo quell’egotismo già accennato, e quindi la loro idea di Giustizia sarà personale, ed escluderà quella generale, unione delle coscienze morali di tutti i cittadini. Quindi l’eguaglianza istituita da un tale corpo politico sarà quella che quell’egotismo permette. Lo Stato avrà quindi come fondamento della propria Giustizia le coscienze morali di pochi singoli, e non realmente la Volontà generale.
Si concepisce in questo modo l’eguaglianza in funzione della libertà, ovvero una forma di tutela delle libertà individuali dell’uomo naturale, ma non viceversa: la libertà non è in funzione dell’eguaglianza fra gli uomini. Di conseguenza l’eguaglianza descritta è di tipo formale, astratta, giuridica, una traduzione legale dei diritti naturali, una legittimazione di questi. In questo modo non si realizza l’eguaglianza reale, ovvero di tipo sociale (richiesta dalla necessaria convivenza degli individui), che sola è in grado di costruire quella libertà sociale che, essendo libertà nella e per la comunità, è libertà di tutti.
In questa società si ricerca quindi prima la libertà dei cittadini, a cui dovrebbe seguire l’eguaglianza. Infatti l’individuo è libero, come già detto, grazie ai diritti che gli vengono garantiti, ed a ciò segue l’eguaglianza politica, ovvero l’universalità dei diritti e delle leggi che valgono ugualmente per tutti. Questa forma di eguaglianza non è reale, quindi: è una formalità giuridica, semplice traduzione e legittimazione dei diritti naturali, che però non rende un uomo uguale ad un altro, anzi, garantisce al ricco di mantenere le proprie ricchezze a scapito del povero. Quindi in una società di questo tipo non viene raggiunta la vera eguaglianza fra gli uomini, che è quella di tipo sociale e non politica. Quindi nella ricerca di una società ideale bisognerà ricercare prima di tutto l’eguaglianza, a cui seguirà poi la libertà, e non viceversa. L’eguaglianza sociale è l’unica in grado di costruire la libertà di tutti.
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Ritornando a Rousseau c’è da esaminare l’eredità positiva che lascia , precisamente quanto della sua originale problematica storico – filosofica non è storicamente esaurita con la rivoluzione borghese, una volta caduto, perché questo si storicamente esaurito, il metodo di soluzione originario.
Si tratta di vedere cosa resti dei problemi russoniani, tutt’ora in corso, della democrazia moderna: cioè della problematica del socialismo scientifico. Ciò vuol significare qualcosa di diverso dalla tradizionale applicazione della teoria socialista e da una formale dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Per occuparci un momento di Kant e del suo discepolo Guglielmo di Humboldt, basterà dire che: essendo il loro stato di diritto quello stato il cui unico scopo è quello di garantire l’ordinamento giuridico, cioè i diritti di proprietà e libertà dei cittadini, la sicurezza, come diceva Humboldt, presuppone un disinteresse per l’istanza democratico – egualitaria russoniana, ma un interesse per quella democratico – liberale borghese.
Kant si dimostra anche contro il dispotismo etico, come nella forma razionale e democratica di Rousseau: lo stato che vuole attuare con mezzi coattivi la felicità individuale o la morale collettiva non raggiunge lo scopo e diventa oppressore.
Ciò che rimane della problematica russoniana di non esaurito è il concetto di una società egualitaria non livellatrice: una società da realizzare consistente in una proporzionalità universale di differenze sociali e di differenze personali di merito (forza, talento, ecc…): proporzionalità universale assicurata dalla “forza comune” del “corpo sociale” o vero “sovrano”.
L’originaria formulazione di questa società non consentiva che la garanzia dei meriti e quindi dei diritti di una sola classe sociale: quella borghese, risultando quindi contraddetti i concetti cardinali di volontà generale e di sovranità popolare. Così il problema, scoperto da Rousseau, del riconoscimento sociale dell’individuo, ossia della proporzionalità di valori sociali e meriti individuali, il problema insomma di una libertà egualitaria, resta un problema reale e attende la sua piena soluzione. Bisogna anche vedere come, nel complicato contesto dello sviluppo storico – ideale della democrazia moderna, tale problema sia completamente risolubile con un metodo diverso da quello di Rousseau.
Il metodo di un razionalismo concreto, ossia materialistico, è il metodo del socialismo scientifico, quello marxista – leninista che sostituisce la lotta di classe all’inefficiente principio dell’interclassismo.
SOCIALISMO E LIBERTA’
1. La doppia faccia (le due anime) della libertà e della democrazia moderna:
1)La libertà civile o propriamente borghese, istituita dalla democrazia parlamentare (Locke Kant Montesquieu) è la libertà dei membri della società civile in quanto classe di individui produttori. Garantisce i diritti dell’iniziativa economica individuale e della sicurezza della proprietà privata.
Strumenti giuridico politici di questa libertà sono: separazione dei poteri dello Stato e parlamentarismo dello stato liberale borghese (organamento del potere legislativo)
2)La libertà egualitaria istituita dalla democrazia socialista (Rousseau Marx Lenin) esprime un’istanza generale: il diritto di qualunque essere umano al riconoscimento sociale delle sue personali capacità, strettamente democratica del merito e quindi del diritto al lavoro garantito
Il contrasto fra queste due anime della democrazia moderna esemplifica il contrasto fra liberalismo (libertà senza eguaglianza) e socialismo (libertà con giustizia sociale, ossia per tutti)
In questa maniera Rousseau vuole dare valore alla libertà democratica socialista, che garantisce il riconoscimento di ogni singolo individuo, in contrasto con “l’ineguaglianza” della democrazia parlamentare in quanto garantisce solo quei diritti non universali come la proprietà privata.
Proprio per questo motivo la libertà borghese viene definita senza eguaglianza in quanto non fa altro che sottolineare il divario fra le classi privilegiandone una sola in particolare.
2. La libertà egualitaria, sviluppata col metodo della lotta di classe di Marx-Engels sostituito al metodo borghese spiritualistico di Rousseau, è alla base dello stato socialista nato dalla rivoluzione russa di ottobre. L’uomo in questa società ha il senso di un progresso costante e armonico della propria vita con quello della vita sociale. L’eguaglianza, però, non è un livellamento in cui ciascuno verrebbe ad essere eguale all’altro ma è una gerarchia che si crea spontaneamente attraverso il lavoro e il merito.
Comprendiamo, qui, l’eredità lasciata da Rousseau allo stato socialista nato dalla rivoluzione russa di ottobre; la libertà egualitaria, cioè quella sociale, è alla base di questo nuovo Stato. Ma Marx e Engels la sviluppano con un diverso metodo rispetto al filosofo francese, infatti la lotta che ne è alla base parte dal popolo, è lotta di classe, e non è borghese. La libertà, partendo dal popolo, non potrà essere soltanto una libertà dei membri della società civile in quanto classe di individui produttori ma bensì il diritto di qualunque essere umano al riconoscimento sociale delle sue personali capacità
3. L’integrazione delle libertà civili col progressivo soddisfacimento delle istanze egualitarie: la costruzione di vie nazionali al socialismo partendo dai parlamenti borghesi ai fini della realizzazione di riforme democratiche di struttura e antimonopolistiche: “solo partecipando al parlamento borghese si può combattere la società borghese e il parlamentarismo…” (Lenin 2 agosto1920)
Lenin, nel suo discorso del 1920, spiga le tappe che, partendo dalla libertà civile, portano ad ottenere quella egualitari. Egli dice, infatti, che il primo passo è integrare la libertà civile con istanze egualitarie, in questa maniera lui intende modificare la società e il parlamentarismo borghese partecipando al parlamento stesso; così la sua opera riformatrice avviene dall’interno e non dall’esterno.
LA PROBLEMATICA DEL “DISCORSO SULLA DISUGUALIANZA” E LA SUA ATTUALITA’
1. Il rapporto Rousseau-marxismo, tra la problematica dell’egualitarismo e quella del socialismo scientifico, risulta ancora poco chiaro. La posizione di Engels riguardo la problematica egualitaria è contraddittoria perché da un lato ritiene che: “il contratto sociale di Rousseau si realizzò come repubblica democratica borghese perché da quando la borghesia francese, della rivoluzione, ha posto in primo piano l’uguaglianza civile, il proletariato francese le ha risposto chiedendo l’eguaglianza sociale ed economica e quindi la soppressione delle classi”. Dall’altro lato tentando un’analisi della teoria egualitaria di Rousseau dice che: “Ogni nuovo progresso della civiltà è un progresso dell’ineguaglianza… così l’ineguaglianza si cangia nuovamente in eguaglianza, ma non più quella spontanea dell’uomo di natura, ma quella superiore del contratto sociale”.
Engels arriva a contraddirsi in quanto: in principio afferma che il Contratto sociale di Rousseau si realizzò nella repubblica democratica borghese e, quindi, in un’eguaglianza civile che in realtà era disuguaglianza in quanto si basava sui quei diritti che non erano universali. In un secondo tempo invece afferma che il progresso della civiltà procede contemporaneamente con quello dell’ ineguaglianza e così si arriva ad ottenere una eguaglianza , del contratto sociale, superiore a quella spontanea dell’uomo di natura.
In questa maniera Engels arriva prima a minimizzare la capacità del Contratto sociale di sopprimere le classi e creare una reale uguaglianza; ma in un secondo tempo dà all’opera del filosofo francese più validità di quella spontanea dell’uomo di natura.
2. Se cerchiamo di cogliere la problematica specifica dell’egualitarismo roussoiano, che è anti-livellatore per eccellenza, scopriremo una delle grandi eredità lasciate dal filosofo francese al socialismo scientifico, non utopistico, distinguendo due tipi diversi di inégalité : 1) una che definisce naturale o fisica, perché è stabilita dalla natura e consiste nella differenza di età, forza, salute e qualità; 2) l’altra che chiama morale o politica perché dipende da una sorta di convenzione, che è stabilita tramite il consenso degli uomini, e consiste nei diversi privilegi come l’essere più ricco, più rispettato o onorato. Rousseau nega che nell’età dell’assolutismo, in cui egli si trova ad iniziare la sua ricerca, si possa trovare alcun legame fra i due tipi di inégalité, tra la natura umana e la legge, tra il singolo individuo e la società. In caso contrario si adulerebbe il tiranno ammettendo che chi ha il potere politico ed è più ricco valga di più di chi è povero e obbedisce.
Rousseau nega ogni possibile legame in quanto se ne esistesse qualcuno la disuguaglianza morale o politica sarebbe legittimata ad esistere in quanto connessa a quella naturale o fisica che esiste sempre. Se, infatti, esistesse un solo legame si accetterebbe il sistema fondato su disuguaglianze sociali dove i meriti non vengono retribuiti che risulterebbe ingiusto per la sua indifferenza anarchica alla diversità degli individui.
L’ineguaglianza, anche naturale, è lontana dall’avere in questo Stato una realtà o un’influenza così si comprenderà che la differenza fra uomo e uomo deve essere minore nello stato di natura rispetto alla società. Ma allora la ricchezza, la nobiltà, il rango e i meriti personali sono la distinzione, o sorta di ineguaglianza, principale attraverso la quale ci misuriamo nello stato; l’accordo o il conflitto fra queste forze diverse è l’indicazione più sicura di uno Stato costituito bene o male. Il rango dei cittadini deve dunque essere regolato sui servizi reali (in proporzione ai talenti e alle forze) che rendono allo Stato. Solo in questo caso uno Stato è ben proporzionato. Ne consegue che l’ineguaglianza è pressoché nulla nello stato di natura e si legittimizza stabilendo nello Stato la proprietà privata e le leggi, e che l’ineguaglianza morale è contraria al diritto naturale, e alla ragione, tutte le volte che non è proporzionata all’ineguaglianza fisica. Rousseau afferma quindi che l’eguaglianza effettiva universale debba essere condizionata dal riconoscimento (sociale) delle possibilità o libertà di tutti: in altri termini l’égalité è una sintesi proporzionale di inégalité che sono l’ineguaglianza d’istituzione, ossia fra gli uomini, e quella politico-morale degli uomini. Questa affermazione, però, implica la teoria di una nuova società, essendo evidente che l’instaurazione dell’uguaglianza non può che essere sociale.
3. Il marxismo-leninismo, nella ripartizione dei prodotti del lavoro nella società comunista vera e propria, tiene conto della rivendicazione egualitaria roussoiano di ogni merito e condizione personale. Qui si può infatti rilevare il nesso fra egualitarismo e socialismo scientifico: basti soltanto ricordare l’appello conclusivo di Rousseau alla “giustizia distributiva”, al fine di contrapporre la superiorità dell’ eguaglianza sociale (basata sui servizi reali proporzionati ai talenti e alle forze) alla stessa eguaglianza naturale, che risulterebbe ingiusta per la sua indifferenza anarchica alla diversità degli individui. Mentre il Contrat social, per la sua ispirazione etico-politica giusnaturalistica non poteva che offrire una soluzione egualitaria borghese del problema del Discours sur l’inégalité: “trovare una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persone e i beni di ogni associato”; la portata storico-problematica del Discours, invece, del suo criterio di un egualitarismo mediatore di persone trascende non solo ogni soluzione egualitaria democratico-borghese ma anche democratico-socialista per risolversi nella futura realizzazione egualitaria del comunismo scientifico. Cosi la consequenzialità (egualitaria) proletaria si è espressa in un contenuto teorico positivo che è stato anticipato e preparato proprio dai teoremi dell’egualitarismo antilivellatore del padre della moderna democrazia e che quindi considerano il pensiero di Rousseau di grande attualità.
4. Infine bisogna soffermarsi sulle differenze strutturali delle due moderne libertà : l’egualitaria e la civile. La prima si risolve in una universale eguaglianza sociale mediatrice di persone, la seconda in un’eguaglianza politica di tutti di fronte alla legge. La prima, formulabile come la libertà di ognuno di sviluppare le sue individuali umane capacità di vita, trascende lo Stato in genere; la seconda, formulabile come la libertà che è non impedimento dell’individuo da parte del potere statale, non ha ragion d’essere che nello e per lo stato ed è destinata ad estinguersi con questo. Per questa ragione la libertà egualitaria è detta maggiore mentre quella civile è detta minore. Queste libertà armonizzano solo nella legalità dello Stato socialista dove si equilibrano l’ istanza della: “ libertà in funzione della eguaglianza” o libertas maior e l’istanza dell’:”eguaglianza in funzione della libertà” o libertas minor.
CRITICA MARXISTA DI ROUSSEAU
DISEGUAGLIANZA IN MARX
Nella prima fase del comunismo, dice Marx, ognuno avrà pari diritto al prodotto del lavoro sociale, il che, come ogni diritto, è una forma di disuguaglianza, in quanto la stessa norma, applicata agli uomini che fra di loro sono diversi, premierà coloro che, a parità di partecipazione alla produzione sociale, è meno produttivo, perché riceverà più di quanto produca realmente, diventando più ricco rispetto ad un gran lavoratore. Il diritto deve essere perciò diseguale. La giustizia e l’uguaglianza non possono essere quindi realizzate nella prima fase socialista del comunismo, ma si eviterà almeno lo sfruttamento, poiché i mezzi di produzione appartengono a tutti.
Marx, ne Il Capitale, formula una teoria per realizzare una società comunista. La prima fase di questo progresso passerà per il socialismo scientifico, una situazione in cui i mezzi di produzione appartengono allo Stato e ognuno avrà pari diritto al prodotto del lavoro sociale. Questa divisione dei beni di produzione è sancita quindi dal diritto di ogni lavoratore di avere pari quantità di ricchezze, e quindi ogni uomo, in tal caso, sarebbe ricco come gli altri. Ma questa è, afferma lo stesso Marx, una forma di disuguaglianza, in quanto la stessa norma, applicata agli uomini che fra di loro sono diversi, premierà coloro che, a parità di partecipazione alla produzione sociale, è meno produttivo, perché riceverà più di quanto produca realmente, diventando più ricco rispetto ad un gran lavoratore. Il diritto deve essere perciò diseguale. La giustizia e l’uguaglianza non possono essere quindi realizzate nella prima fase socialista del comunismo, ma si eviterà almeno lo sfruttamento, poiché i mezzi di produzione appartengono a tutti.
DISUGUAGLIANZA IN ROUSSEAU
Rousseau parla così dell’inevitabile disuguaglianza degli uomini: egli distingue tra disuguaglianza dovuta alle capacità che le nostre caratteristiche fisiche ci forniscono (età salute, forza), denominata disuguaglianza degli uomini, e disuguaglianza morale o politica, ovvero la disuguaglianza fra gli uomini, stabilita da convenzioni autorizzate dal consenso degli uomini, che consiste nel godere di privilegi rispetto agli altri, come, ad esempio, nel caso della nobiltà, oppure, modernizzando il concetto, come nel caso del diritto di proprietà, che privilegia il capitalista che possiede di più.
Questa disuguaglianza non esiste nello stato di natura, ma viene sancita dall’istituzione della proprietà privata, appunto, e delle leggi; essa va contro il diritto naturale ogni volta in cui non concorra in medesima proporzione con la disuguaglianza fisica (di forza e qualità, e quindi basata sui meriti). La disuguaglianza morale è quella che, in tutti i popoli civili, fa sì che un giovane nobile, imbecille, comandi un vecchio e povero saggio, mentre la moltitudine affamata manca del necessario.
Rousseau parla così dell’inevitabile disuguaglianza degli uomini in una società borghese: egli distingue tra disuguaglianza dovuta alle capacità che le nostre caratteristiche fisiche ci forniscono (dovuta a età, salute, forza), denominata disuguaglianza degli uomini, e disuguaglianza morale o politica, ovvero la disuguaglianza fra gli uomini, stabilita da convenzioni autorizzate dal consenso degli uomini, che consiste nel godere di privilegi rispetto agli altri, come, ad esempio, nel caso della nobiltà, oppure, modernizzando il concetto, come nel caso del diritto di proprietà, che privilegia il capitalista che possiede di più.
Questa disuguaglianza non esiste nello stato di natura, ma viene sancita dall’istituzione della proprietà privata, appunto, e delle leggi; essa va contro il diritto naturale, che stabilisce l’uguaglianza, ogni volta in cui non concorra in medesima proporzione con la disuguaglianza fisica (di forza e qualità, e quindi basata sui meriti), creando così una forma di disuguaglianza morale, che, in tutti i popoli civili, fa sì che un giovane nobile, imbecille, comandi un vecchio e povero saggio, mentre la moltitudine affamata manca del necessario.
LA SOLUZIONE DI MARX
Il diritto non dovrebbe essere eguale ma diseguale. Con il socialismo il “diritto borghese” non è abolito completamente, poiché ad uomini diseguali che producono quantità diseguali di lavoro vengono attribuite quantità uguali di prodotti.
Successivamente a questa fase, Marx parla così:
In una fase superiore della società comunista, quando sarà scomparso l’asservimento degli individui alla divisione del lavoro e con esso l’antagonismo fra il lavoro intellettuale e quello manuale, quando il lavoro non sarà soltanto un mezzo per vivere ma diverrà esso stesso la prima necessità vitale, quando con lo sviluppo multiplo degli individua le forze produttive accresceranno, e tutte le sorgenti di ricchezza collettiva sgorgheranno in abbondanza, allora soltanto lo stretto orizzonte borghese potrà essere completamente superato e la società potrà scrivere sulle sue bandiere: da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni.
Possiamo notare come questa successiva fase comunista venga descritta quasi come un’età dell’oro, in cui l’uomo vivrà secondo le necessità collettive, lavorando quanto le sue abilità gli permetteranno e ricevendo solo ciò di cui ha bisogno.
LA SOLUZIONE DI ROUSSEAU
Secondo Rousseau, la soluzione consiste nella creazione di una uguaglianza sociale, che tenga conto del merito di ogni persona. Questo presuppone materialmente il regolamento di questioni di rango, ossia di ordine civile, con la nascita di una giustizia distributiva, che si oppone all’eguaglianza dello stato di natura L’organo cui competerebbe la distribuzione delle ricchezze, delle libertà e dei privilegi, infatti, non riconoscerebbe gli uomini tutti uguali, ma premierebbe i più meritevoli. L’eguaglianza naturale è indiscriminata, poichè pone tutti gli uomini a pari livello, senza considerare le differenze esistenti realmente tra uomo e uomo. Questa non è infatti attuabile né con un ritorno alla natura, né all’interno di una società civile, poiché porre quest’eguaglianza in una società sarebbe ingiusto e auto-contradditorio, data l’indifferenza anarchica che possiede nei confronti del valore originale e diverso di ogni individuo.
RELAZIONI FRA LE DUE CONCLUSIONI
La soluzione marxista del riconoscimento economico-proporzionale da parte della società comunista delle disuguaglianze e delle differenze fra gli individui esprime la continuità e lo sviluppo del pensiero antilivellatore di Rousseau.
Il problema capitale di Rousseau consisteva nel non guastare l’uomo naturale nell’appropriarlo alla società, problema che Marx riformula nel cercare una società che non guasti l’uomo di natura.
CONCLUSIONI SULLA DISUGUAGLIANZA
• Il socialismo scientifico, col suo metodo materialistico, di fatto è in grado di risolvere il problema della disuguaglianza roussoiana del riconoscimento sociale dei meriti e la relativa distribuzione dei prodotti proporzionale ai servizi resi allo Stato.
L’ATTEGGIAMENTO DI MARX NEI CONFRONTI DI ROUSSEAU
Marx, nel Discorso sull’economia politica, riprende il passo di Rousseau:
Colui che osa intraprendere l‘ istituzione di un popolo deve sentirsi in grado di cangiare, per così dire, la natura umana, di trasformare ogni individuo, che, per sé stesso, è un tutto perfetto e solitario, in una parte di un tutto più grande, da cui questo individuo riceva in qualche modo la sua vita e il suo essere...
Marx, nel concetto di trasformare l’uomo naturale, individuo intero e perfetto, in un individuo-parte di una società che lo rappresenti in grande, individua il preambolo per l’istituzione di uno stato borghese basato sull’eguaglianza e sancito da un patto.
Sempre nello stesso testo egli riporta un altro passo di Rousseau:
Io permetterò -dice il capitalista- che voi abbiate l’onore di servirmi, a condizione che voi mi darete il poco che vi resta per la pena che mi prendo di comandarvi.
Egli utilizza questo passo per criticare i capitalisti, o, come li definiva Rousseau, i ricchi, che hanno espropriato la moltitudine di piccoli produttori per la creazione di grandi manifatture. Si può ben notare come in questa fase del capitalismo l’ “unione necessaria”, cioè sulla base delle condizioni materiali, non rispecchia l’ “unione volontaria” del Contratto Sociale.
Rousseau ha contribuito molto nella formulazione del pensiero di Marx, soprattutto per quanto riguarda l’idea di socialismo scientifico, per la sua originale ricerca dell’eguaglianza sociale attraverso la conciliazione tra la disuguaglianza fra gli uomini (o politica, sancita da leggi, patti e convenzioni inesistenti in natura), e la disuguaglianza naturale o fisica, attraverso la creazione di una società che stabilisca il rango e la retribuzione del cittadino in base ai suoi meriti. Inoltre ha avuto un’enorme influenza con i concetti di “volontà generale” e “sovranità popolare”.
Il progetto roussoiano di un egualitarismo antilivellatore, cioè di un’uguaglianza sociale, che concilia la disuguaglianza nella distribuzione e la disuguaglianza di merito legata alla produttività, è la premessa storica e ideale del concetto di abolizione delle classi in una società di liberi uguali quale è la società comunista.

Esempio



  


  1. rousseau

    libertò ed uguaglianza per rousseau