Rousseau

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia
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Testo

ROUSSEAU
I discorsi e la critica all’illuminismo
➢ Contro il mito del progresso
Quando scrive il primo Discorso, Rousseau è considerato un illuminista, anche per la collaborazione che sta prestando all’Enciclopedia (scrive degli articoli inerenti alla musica). L’allontanamento dall’illuminismo iniziò già a delinearsi già in questo Discorso, fino a trasformarsi in rottura completa nel 1757. Dopo un’ironica esaltazione del progresso, Rousseau iniziò a criticare le arti come fattore di sviluppo. Esso )lo sviluppo) ha migliorato esteriormente la condotta umana (ingentilendone i modi), ma nella sostanza ha prodotto un comportamento standardizzato, che impedisce di conoscere le caratteristiche dei singoli individui e ha cancellato l’individualità a vantaggio di un conformismo dominante. Questo determina la contrapposizione tra stato di natura e civiltà. La maggior ricercatezza indotta dalle arti ha portato nei rapporti umani:
1: la perdita di spontaneità e d’immediatezza nei rapporti umani
2: l’uniformità e perdita d’individualità.
La tesi di Rousseau è che sussista una stretta correlazione tra sviluppo delle arti e decadenza morale. Le arti e le scienze nascono dai vizi umani per soddisfare le esigenze negative legate ad essi e a loro volta li alimentano suscitando nuovi falsi bisogni. Ne scaturisce un processo inarrestabile di incremento dei vizi e del sapere.
➢ Le scienze nascono dai vizi umani
All’origine di ogni scienza è possibile individuare un vizio, al cui essa (scienza) mira al soddisfacimento. A loro volta, poi le scienze e le arti, una volta costituite, producono nuovi vizi e falsi bisogni. L’astronomia è nata dalla superstizione, l’eloquenza dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna, la geometria dall’avarizia, la fisica da una vana curiosità, tutte e la morale stessa nascono dall’orgoglio umano. Le scienze e le arti debbono la nascita ai nostri vizi. All’esaltazione del ruolo delle arti per la società e per la vita completa, Rousseau contrappone la denuncia della loro funzione negativa per la natura umana e per la morale. L’analisi si sviluppa secondo 2 direzioni: A) l’esame dell’origine storica delle arti B) la considerazione del loro rapporto con i vizi attuali.
Nella prima, Rousseau nota che la geometria nasce dall’esigenza di misurare i terreni posseduti per impedire agli altri di appropriarsene, la MORALE nasce dall’orgogliosa pretesa degli uomini di stabilire da sé i principi del bene e del male. La seconda, Rousseau sottolinea che anche attualmente le arti hanno bisogno di vizi per perpetuarsi. La conclusione contrappone conoscenza¹e morale², dicendo che la prima non sarebbe necessaria se l’uomo potesse seguire la natura e il proprio sentimento ( se cioè lo sviluppo stesso della civiltà non ostacolasse il naturale comportamento morale degli uomini).
➢ La statua di Glauco
L’uomo moderno è trasformato dalla secolare abitudine alla vita sociale e da tutti i pregiudizi conoscitivi e morali che ne derivano. È come la statua di un Dio , deformata dal mare e dal tempo al punto da assomigliare all’immagine d’una belva. Non è più possibile rintracciare l’immagine originaria, cioè l’uomo come doveva essere prima dell’incivilimento e della vita associata. Simile alla statua di Glauco, l’anima umana ha mutato d’aspetto fino al punto d’essere irriconoscibile.
Lo stato naturale di cui parlano i contrattualisti seicenteschi non è quello storicamente esistito. E non potendo ricostruire i lineamenti storici dei primi uomini, i filosofi vi proiettano se stessi, e immaginano, come Hobbes e Locke, un uomo selvaggio che è già filosofo, ossia capace di ragionare, di stipulare patti e di valutare l’efficacia delle leggi. Rousseau dice che l’uomo di natura non era un filosofo, non stipulava contratti. Egli critica la proiezione di se nel passato e questo è molto simile alla critica di Vico. I primi uomini non dovranno dunque venir considerati come esseri razionali che decidono intenzionalmente di costituire una società.
➢ Il diritto naturale
Esso dice l’uomo in natura è buono. La ricostruzione dello stato di natura non può avvenire sul piano storico, ma rintracciando in noi stessi le reazioni più immediate, anteriori alle mediazioni della ragione e del sapere. In noi troviamo 2 principi anteriori alla ragione: l’impulso di conservazione (autoconservazione) e una ripugnanza naturale verso la morte o la sofferenza altrui . su questa base si può ricostruire il diritto naturale. Rousseau ipotizza 2 sentimenti originari a cui fa riferimento nel Contratto Sociale e nell’Emilio: 1)l’amor di sé 2) la pietà. Sono sentimenti naturali e compatibili con una condizione in cui l’uomo non è ancora filosofo. Da questa premessa derivano 2 conseguenze: l’uomo è buono per natura e la società non nasce con un patto intenzionale, ma in seguito a dinamiche molto più complesse, dalle quali risulta un’associazione basata su sentimenti comuni e su tradizioni e costumi partecipati. La prima forma di unione è la famiglia, prodotta dall’affetto e non dalla ragione. Le famiglie si costituiscono fino a formare gruppi + numerosi, tenuti da sentimenti reciproci, in una condizione che Rousseau considerò ideale (non è stato naturale, ma una fase intermedia che corrisponde al grado di sviluppo raggiunto dalle popolazioni primitive conosciute da Rousseau) → Cioè lo stato dove non si vuole né dominare né subire la natura (regime di collaborazione e non di sfruttamento)
➢ Il buon selvaggio
L’uomo selvaggio è nella condizione ideale in cui la natura non è più un pericolo, perché è sufficientemente organizzato per difendersi, ma neppure una realtà estranea, perché vive a stretto contatto con essa. Questa condizione ottimale idilliaca vede individui pienamente realizzati, ma al tempo stesso aperti al rapporto con gli altri che vivono in gruppi basati sulla collaborazione e sull’aiuto reciproco. Questo stato felice sembra quello più naturale per l’uomo, che ne esce solo quando la divisione del lavoro stabilisce, tra gli individui, rapporti di dipendenza e si creano gerarchie e disuguaglianze sociali. Finché gli uomini vivono nelle loro capanne rustiche, si cuciono gli abiti in pelle, dipingono il corpo di colori diversi…vivono liberi, sani, buoni e felici, ma nel momento che un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro ì, si vide che era utile a uno solo aver provviste per 2 e l’uguaglianza scomparve, la proprietà s’introdusse, il lavoro era necessario…
Il legame tra gli uomini sussiste, ma non è dipendenza, perché ognuno è in grado di provvedere ai propri bisogni. Il punto di rottura di questo stato naturale è la nascita di attività economiche che implicano la divisione del lavoro, la perdita dell’indipendenza individuale e l’istituzione della proprietà privata (che R. indica come degenerazione dello stato di natura). La condanna della proprietà privata, che è la prima causa dell’origine della diseguaglianza fra gli uomini, è esposta in uno dei passi del saggio.
➢ L’origine dell’ineguaglianza
Lo stato di natura ha termine con l’inizio della proprietà privata, in particolare della terra. Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare “questo è mio”, e trovo persone abbastanza semplici per crederlo, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, omicidi non avrebbe risparmiato al genere umano colui che , strappando i piuoli e colmando il fossato, avesse gridato di guardarsi dall’ascoltare l’impostore, perché i frutti sono di tutti e il terreno di nessuno.
L’istituzione della proprietà privata non è considerata da R. originaria. Non è un diritto naturale, come diceva Locke. Essa deriva dalla divisione del lavoro e dalla diffusione dei mezzi produttivi che hanno consentito l’accumulazione dei beni , per cui i prodotti non erano più finalizzati al soddisfacimento dei bisogni primari, ma di bisogni indotti, legati al desiderio di potere e prestigio (+ ho, + sono considerato migliore).
La proprietà privata nasce dall’agricoltura, che implica il poter disporre d’un terreno almeno nel periodo tra la semina e il raccolto. All’inizio è proporzionata al lavoro, ma ben presto viene accumulata e si creano differenze sociali. Con esse si stabilisce una nuova realtà oggettiva, alla quale l’uomo deve adattarsi e ciò produce una trasformazione della stessa natura umana. I vizi che caratterizzano la società derivano da un processo d’adattamento a un ambiente mutato e non dalla malvagità o dalla volontà come diceva Hobbes, da un egoismo originario.
➢ La civiltà modifica la natura umana
La proprietà privata amplifica e rende permanenti le differenze naturali, creando la stratificazione sociale. Per ottenere una posizione migliore, l’individuo impara a fingere qualità che non possiede. Inoltre, dipendendo sempre più dagli altri, cerca di ingannarli per utilizzarli ai propri fini e incominciare a provare sentimenti d’invidia e rivalità. (l’uomo nasce libero, ma nella società è ovunque in catene).
R. in questo brano propone l’analisi delle trasformazioni sociali che introduce la proprietà privata. Il punto di partenza è la sua istituzione e quello d’arrivo sono una serie di trasformazioni storiche. Essa produce una disuguaglianza sociale che si somma a quella naturale e quindi si crea una nuova realtà : si ha una gerarchia fatta di dominatori e dominati. La 1° conseguenza è che l’individuo si adatta alla nuova situazione, sviluppando le abilità atte a procuragli maggior ricchezza e un posto migliore nella collettività. Infatti la considerazione sociale deriva da come gli altri lo vedono ossia da come appare. Questa cosa da luogo a : ostentazione della proprietà come segno di prestigio, finzione di qualità non possedute. La 2° conseguenza è che la società di disuguali crea delle dipendenze, infatti ogni individuo ha bisogno degli altri per conseguire dei fini. I rapporti interumani diventano d’inganno. Ognuno cerca d’utilizzare gli altri, non considera il loro valore come persone, ma per il vantaggio che ne può trarne. La 3 ° conseguenza è la nascita di un atteggiamento di competizione.
Dalla disuguaglianza sociale nascono anche il diritto e lo Stato. R. opera una netta rottura con le precedenti teorie contrattualistiche, sia quella di Hobbes (presuppone al momento del patto la rinuncia da parte di ciascuno ad ogni diritto), sia quella di Locke (continuità dei diritti civili con quelli naturali).
Il diritto e lo Stato vengono istituiti dai privilegiati per garantirsi contro il tentativo di ristabilire il diritto naturale, che imporrebbe la giustizia e l’uguaglianza. Proprio da questo patto, imposto con l’inganno dai + forti, ha inizio la concezione della p.p. come diritto naturale, quindi disuguaglianza e guerra tutti contro tutti che Hobbes pone come condizione originaria.
La volontà generale.
➢ La teorizzazione della democrazia
La proposta politica di R. è quella di costruzione di una società solidale che, invece di esaltare l’individualismo e la competizione, consenta la conservazione di principi propri dell’uomo naturale. Egli condanna l’assolutismo di Hobbes, ma anche il liberismo di Locke, ridefinendo la nozione di PATTO SOCIALE. Il nuovo contratto sociale deve garantire la conservazione della libertà e dei diritti naturali (Hobbes diceva che l’uomo nasce libero e diviene schiavo della società). R. è un punto di riferimento della rivoluzione francese. La rivolta del popolo contro il dispotismo per riappropriarsi della libertà è considerato un diritto, ma allo stesso tempo l’ordine sociale è alla base di ogni altro diritto. Egli non separa totalmente la società e il potere politico e non considera lo stato un male necessario dai poteri limitati (come nel liberalismo di Locke e Smith), ma essi devono compenetrarsi. L’elemento comune con il liberalismo è la libertà che per R. è un diritto naturale ed inalienabile.
➢ La libertà è inalienabile
La famiglia può essere considerata come il 1° modello della società politica e prevede una dipendenza temporanea: figli devono ubbidire al padre che ha anche degli obblighi nei loro confronti. Questo viene a meno quando i figli sono in grado di provvedere a se stessi. Il contrattualismo di Hobbes può essere assimilato al modello della schiavitù dove la dipendenza pretende di fondarsi su differenze qualitative tra le persone. Questo è assurdo e nessuno può rinunciare alla propria libertà e a quella dei suoi discendenti, come pretendeva Hobbes. L’uomo è nato libero, e dappertutto è in catene. Quello che si crede padrone degli altri, non è mai meno schiavo di essi. Secondo R. il cambiamento è avvenuto in quanto, fino a che un popolo sia costretto a obbedire ed obbedisce, fa bene, ma non appena può dire no e lo fa, fa anche meglio, perché riavrà la propria libertà. L’ordine sociale è un diritto sacro che non proviene dalla natura ed è fondato su convenzioni. Anche Aristotele aveva detto che gli uomini non sono naturalmente uguali, ma che gli uni nascono per la schiavitù, gli altri per la dominazione. Aveva ragione, ma prendeva l’effetto x la causa. Infatti ogni uomo nato dalla schiavitù, nasce per essa. Dire che l’uomo si dà gratuitamente è assurdo. Gli uomini nascono liberi e la loro libertà non appartiene a nessuno (solo a loro). Prima che siano giunti all’età della ragione, il padre può, a loro nome, stipulare le condizioni per la loro conservazione, benessere. La libertà è parte della natura umana, tanto che essa non può essere sottratta da un potere comunque giustificato e non può essere alienata neppure volontariamente dall’individuo, questo sarebbe illegittimo. Secondo R. la natura sociale è il principale risultato del patto, attraverso il quale si determina, tra gli individui che lo stipulano, una società, un popolo. Il popolo si costituisce in seguito al patto, è anteriore allo Sato e al potere. La conseguenza è che il popolo è il depositario del potere. Hobbes afferma la sovranità popolare solo anteriormente al patto: quindi ritengono che con esso si costituisce un’autorità che neppure il popolo ha + diritto di modificare. Per R. la sovranità rimane il fondamento ultimo dello Stato.
➢ Nozione di popolo
L’associazione non è un semplice patto tra uomini che restano uguali, ma crea una nuova realtà collettiva, questo è il popolo, entità unitaria, dotata di una propria individualità e volontà e non semplice aggregazione di individui.
➢ Il popolo come individuo collettivo
Per fronteggiare gli ostacoli che si oppongono alla loro conservazione, gli uomini scelgono di unirsi in un corpo collettivo, in un “io comune” che difenda la libertà degli individui e ne esprima in maniera unitaria la volontà. R. parla di ostacoli che non sono specificati. Piuttosto che di uno stato di lotta di ognuno contro tutti, siccome l’uomo è buono allo stato di natura, si tratta di far fronte comune contro le avversità dell’ambiente. Per farlo occorre che l’uomo cambi modo d’essere, che da un individuo isolato diventi membro della società per costituire con altri una forza comune. Così si forma una nuova realtà, che deve potersi conciliare con la conservazione della libertà di ogni singolo, alla quale nessuno può rinunciare senza rinunciare alla propria natura umana. La parte iniziale sembra riproporre la formula di Hobbes, ma si differenzia: per R. i contraenti non rinunciano ai loro diritti, ma li mettono in comune, affidandoli alla volontà generale. Lo stato è passivo in quanto istituzione che amministra l’esistente, la sovranità è attiva perché detta nuove leggi, gli associati sono sudditi e cittadini.
Col costituirsi della volontà generale, sorge una realtà collettiva, che ha una propria identità. È formata materialmente dagli individui che la compongono, ma è distinta da ogni individuo particolare. Alla volontà generale è associata la nozione di popolo (è come una psiche collettiva cui corrisponde un individuo collettivo). La volontà generale obbliga tutti, perché si è cittadini in quanto ad essa soggetti. Allo stesso tempo lascia la propria libertà
➢ La volontà generale
La concezione della volontà generale come depositaria di potere, fa di R. un teorico della democrazia, ma anche una serie si problemi relativi: 1) la volontà popolare non può mai errare 2)la volontà generale è espressione della volontà individuale, quindi introducendo elementi totalitari.
➢ Volontà di tutti è volontà generale
La volontà generale ha carattere unitario e non è la somma delle volontà particolari. Affinché si possa esprimere, nello stato non vi devono essere associazioni parziali di cittadini che porterebbero ad un conflitto. La volontà generale è sempre retta e tende all’utilità pubblica. VOLONTÀ DI TUTTI= guarda all’interesse privato ed è la somma di volontà particolari. VOLONTÀ GENERALE= guarda all’interesse comune.
R. propone un ragionamento statistico: tutte le persone hanno diversità di interessi, che nel gran numero si eliminano e la somma degli interessi comuni, porta ad una volontà unitaria. Ma se all’interno della società si formano piccoli gruppi d’interesse comune (classi, ceti..) questo darà origine ad un confronto d’interessi particolari. Secondo Locke la società civile è tanto + vitale quanto organizzativa. R. ritiene che vi debba essere una società fondata da individui singoli e dallo Stato. SOVRANO= colui ke detiene la rappresentanza della volontà generale. SUDDITO= cittadino ke è subordinato alla volontà generale.
Lo stato è un’unica persona rispetto alla quale gli individui sono semplici membri. Lo Stato (volontà generale) domina gli individui. Gli obblighi di ognuno verso il corpo sociale devono essere stabiliti e devono essere uguali per tutti i cittadini. Il singolo quindi è subordinato alla volontà generale ke è espressione della volontà individuale.
1) Come la natura dà ad ogni uomo un potere assoluto, così il patto sociale da al corpo politico un potere assoluto. Questo potere è la sovranità.
2) Oltre alla persona pubblica noi dobbiamo considerare anke il singolo individuo. Occorre distinguere i diritti dei cittadini e del sovrano e i doveri a cui devono adempiere , dal diritto naturale di cui devono godere.
4) Il patto sociale stabilisce fra i cittadini un’uguaglianza, che essi s’impegnano alle stesse condizioni e devono godere degli stessi diritti. L’ATTO DI SOVRANITÀ è la convenzione del corpo con ciascuno dei suoi membri. È legittima perché alla base v’è il contratto sociale ( che è comune a tutti).
➢ I principi dello Stato.
Il patto sociale non può prevedere la cessione della sovranità. Questo è del popolo che deve esercitare il potere legislativo. Può domandare il potere esecutivo, ma non può revocarlo. R. fu considerato il teorizzatore della democrazia diretta, la democrazia giacobina. La sovranità è indivisibile (ma appartiene al popolo). R. si contrappone alla divisione dei poteri (Locke & Montesquieu). Per loro la società civile è prioritaria e lo Stato ha funzioni limitate. Gli uomini si associano per convenienza senza subordinare i loro diritti. La divisione dei poteri è garanzia di reciproco controllo, in modo che nessuno possa imporsi alla società civile. R. ritiene che la volontà generale esprime un legame profondo tra i singoli, che genera un popolo prima dello stato. Esso è l’espressione istituzionale del popolo, è individualità collettiva. La sovranità equivale a smembrare un individuo pretendendo che conservi la propria esistenza.
➢ La sovranità è inalienabile ed indivisibile
La sovranità (che è esercizio della volontà generale) non può essere delegata e non può essere divisa nei suoi poteri, ma esercitata dal popolo. La prima conseguenza dei principi stabiliti, è che la volontà può dirigere le forze dello stato secondo il fine della sua istituzione che è il bene comune. SOLO LA VOLONTÀ PUÒ DIRIGERE LO STATO VERSO IL BENE COLLETTIVO. La sovranità, non essendo che l’esercizio della volontà generale, non può mai alienarsi, e il sovrano, che è un ente collettivo, può trasmettere il potere ma non la volontà.
La seconda conseguenza è che la sovranità è indivisibile perché o la volontà è generale, o non è tale. La critica al contrattualismo si esprime quando R. si occupa del governo. Il popolo è l’unico depositario della sovranità, ma può curare l’applicazione delle proprie deliberazioni. Quindi ci vuole un organo intermediario (GOVERNO) che può essere assemblea o singolo. Tra questi e il popolo non v’è alcun patto. Chi governa è l’esecutore della volontà generale. Al governo compete l’esecuzione delle leggi. R. è contrario al parlamento perché si sostituisce al popolo. Le leggi devono essere sempre stabilite dal popolo riunito in un’assemblea (DEMOCRAZIA DIRETTA). La necessità di una sovranità popolare diretta è uno dei motivi per cui R. sostiene che lo stato non sia mai di grandi dimensioni (il modello è Ginevra).

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