Razionalismo, Empirismo, Locke e Hume

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Testo

RAZIONALISMO ED EMPIRISMO
La problematizzazione del rapporto fra certezza e verità trova diverse spiegazioni nel razionalismo e nell’empirismo, che saranno poi sintetizzati da Kant.
La tendenza sta nel dividere razionalismo ed empirismo: sono due modi diversi di intendere il procedere della ragione, ma i razionalisti non escludono l’esperienza e gli empiristi non escludono la ragione.
• La ragione degli empiristi ha l’esperienza come punto di partenza e trova il suo punto di controllo entro la ragione. È una ragione limitata → funziona solo come elaborazione del dato di esperienza.
• Il razionalismo non rifiuta l’esperienza, ma è il procedimento di una ragione che rende a procedere per via essenzialmente deduttiva e ritiene di poter trovare nella ragione stessa il criterio ultimo di verità. La ragione assume il modello del procedimento matematico e geometrico, e trova in sé stessa la verità indipendentemente dall’esperienza.
Per Cartesio c’è il problema della corrispondenza fra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto → problema gnoseologico. Il suo modo di procedere è razionalistico, perché non si riferisce all’esperienza come modello di conferma. Le idee innate sono verità che la mente ha in sé in modo autonomo.
Empirismo e razionalismo sono legati al problema dell’origine delle idee.
RAZIONALISMO → ci sono alcuni contenuti propri della mente stessa (ad esempio l’idea di perfezione) che sono veri indipendentemente dall’esperienza. L’evidenza razionale prova la verità oggettiva.
EMPIRISMO → i contenuti della mente derivano dall’esperienza, che è il ponte fra pensiero ed essere.
La ragione illuministica è la ragione dell’empirismo, quella di Spinosa e Leibniz è la conferma del razionalismo.
LOCKE
È considerato il fondatore dell’empirismo
Accetta ed eredita il problema gnoseologico cartesiano (affrontato nella prefazione al “Saggio sull’intelletto umano”), ed accetta pienamente la accezione di idee come contenuto della mente o rappresentazione mentale.
Attua un’analisi critica dell’idea di sostanza che trova le basi nella res cogitans e nella res extensa.
È importante anche dal punto di vista pedagogico → svolta decisiva attorno all’idea dell’educazione → il bambino non è più visto come un uomo in miniatura, ma come un individuo che deve essere aiutato a sviluppare le proprie capacità.
Differenza fra Locke e Cartesio : Locke esclude l’innatismo, cioè l’esistenza di idee innate. Quando Cartesio parla di idee innate intende quelle che si costituiscono nel momento in cui la mente pensa. Locke si contrappone alla scuola innatistica inglese di stampo platonico, e a tutto ciò che attribuisce la nascita delle idee a qualcosa di diverso dall’esperienza.
QUALSIASI CONTENUTO DELLA NOSTRA MENTE DERIVA DALL’ESPERIENZA
Costruisce una mappa delle rappresentazioni mentali (le idee) e della loro origine, comprendendo le operazioni che la mente può compiere su questo materiale nel Saggio sull’intelletto umano
Il rifiuto delle idee innate non esclude l’esistenza di Dio come intuizione della mente.
Locke è poco appariscente, come Cartesio, ma estremamente importante perché porta l’analisi filosofica ad analisi del linguaggio, che ritorna come elemento basilare nella filosofia moderna, soprattutto in quella positivista.
Fonda il liberalismo → Epistola sulla tolleranza, due Trattati sul governo
L’impostazione della riflessione di Locke apre le strade all’illuminismo, che assume la sua ragione fondata sull’empirismo, con qualche influenza razionalista.
Kant chiamerà la sua riflessione “criticismo” considerando il problema dei limiti conoscitivi della ragione proposto da Locke.
Il problema critico viene in un certo modo impostato da Locke, che pone esplicitamente l’esigenza di trovare una soluzione.
I LIMITI DELLA RAGIONE
Nell’ambito della riflessione filosofica conta più il piacere della “caccia” verso ciò a cui tendiamo, rispetto al piacere che troviamo quando ci siamo arrivati.
• Metafora dell’occhio → l’intelligenza, come l’occhio, si fonda su ciò che vede, e giudica gli oggetti in base a questo → non è turbata da ciò che non può vedere
• Metafora della candela → la candela ha dei limiti nel fare luce → non illumina la notte, ma quanto ci basta per poterci muovere nel buio.
• Metafora dello scandaglio → mi consente di misurare il necessario per non incagliarmi

Si ha l’immagine di una conoscenza limitata.
La riflessione sulla nostra intelligenza e sui suoi limiti è necessaria per comprendere cosa sia di nostro appannaggio e cosa non lo sia, in modo da non perdere tempo riflettendo su ciò che so già di non essere in grado di comprendere.
Non possiamo esplorare la metafisica; l’oggetto della conoscenza è il mondo empirico → PROBLEMA CRITICO.
Ogni volta che noi non usiamo la nostra intelligenza, fondandoci sui pregiudizi altrui, viviamo di ELEMOSINA INTELLETTUALE., mentre bisogna scoprire il piacere della conquista → intima soddisfazione.
L’opera non è stata composta per i maestri, ma per coloro che non sono esperti e per gli “amici” che non hanno ben compreso l’argomento. Raccoltisi insieme per discutere di tutt’altro, arrivano ad un punto morto → decidono di dover comprendere cosa sia appannaggio loro e cosa no.
VITA E SCRITTI
Nato il 29 agosto 1632 a Wringhton, visse la sua giovinezza nel periodo turbinoso della rivoluzione inglese e della decapitazione di Carlo I. Studiò all'Università di Oxford, il cui cancelliere John Owen era sostenitore di una politica di tolleranza nei confronti delle altre religioni e questa idea influenzò abbastanza la produzione del filosofo.
Nel 1658 ottenne il grado di maestro delle arti e fu chiamato ad insegnare ad Oxford: qui cominciò il periodo più importante della sua formazione, quando studiò gli scritti di Cartesio assieme a quelli di Gassendi e di Hobbes.
Nel 1666 cominciò ad occuparsi di medicina e sebbene non abbia mai conseguito la laurea regolare. A circa trentacinque anni divenne segretario di Lord Ashley e quando questo, nel 1672, venne nominato Lord cancelliere, Locke partecipò attivamente alla politica. Nel 1675, Locke si ritirò in patria dove visse per quattro anni e si dedicò alla stesura del Saggio.
Tornò a Londra verso la fine del 1679, ma Shaftesbury fu incolpato di tradimento e, costretto a fuggire in Olanda, morì qui poco dopo; a causa di ciò Locke cadde in sospetto e nel 1683 partì volontario per l'esilio in Olanda dove rimase più di cinque anni.. Qui prese parte attiva ai preparativi della spedizione di Guglielmo d'Orange e con costui Locke tornò in Inghilterra, dove la sua autorità, come filosofo e difensore di un governo liberale, era indiscussa.
Cominciò il periodo più intenso della sua attività letteraria:
a) Nel 1689 usciva anonima la Epistola sulla tolleranza
b) Nel 1690 uscirono anonimi i Due trattati sul governo
c) Nel 2690 uscì il Saggio sull'intelletto umano
d) Nel 1693 pubblicò i Pensieri sull'educazione
e) Tra il 1695 e 1697 pubblicò i saggi sulla Ragionevolezza del cristianesimo
Si spense il 28 ottobre nel 1704 nel castello di Essex, a circa venti miglia da Londra, ospite di Sir Francis Masham.
RAGIONE ED ESPERIENZA
Locke, ispiratosi ad Hobbes, ha una concezione della ragione totalmente diversa rispetto a quella che aveva Cartesio:
a) La ragione non è uguale in tutti gli uomini, perché ognuno ne partecipa in maniera diversa;
b) La ragione non è infallibile, dal momento che le idee sono limitate, confuse o non si lasciano concatenare in forma di ragionamenti:
c) La ragione può essere tratta in inganno da falsi principi;
d) La ragione non può ricavare da sé né idee né principi, ma deve sempre ricavarli dall'esperienza.

Ma debole ed imperfetta come è, la ragione è l'unica guida che l'uomo ha a sua disposizione
Tutta l'opera di Locke è diretta a stendere il campo della sua azione a tutto ciò che è interesse dell'uomo, quindi alla morale, alla politica ed alla religione.
Il Saggio sull'intelletto umano nasce dalla necessità di affrontare problemi non strettamente filosofici. Quest'opera nacque in un'occasione particolare: un gruppo di amici, nell'inverno del 1670, si era riunito per trattare problematiche filosofiche, ma dal momento che continuavano ad incappare in mille difficoltà, Locke decise di dover definire cosa fosse appannaggio dell'intelletto e cosa invece non lo fosse ⇒ questa si rivelò essere la prima indagine critica sulla filosofia moderna e sulle capacità effettive dell'intelletto.
La ragione ed il controllo dell'esperienza ⇒ i limiti propri dell'uomo sono i limiti della ragione dell'uomo e causa ne è il fatto che questo debba basarsi sull'esperienza, la quale fornisce il materiale della mente. La ragione può elaborare le nozioni percepite dall'esterno e dedurne pensieri complessi, ma anche nel fare ciò deve basarsi sull'esperienza, perché altrimenti i pensieri risultano essere arbitrari e fantastici. Dal momento che la ragione è controllata dall'esperienza, è la stessa esperienza ad indicare all'uomo quali siano i suoi limiti ( la METAFISICA, al di là della "fisica" appunto):
LE IDEE SEMPLICI E LA PASSIVITÀ DELLA MENTE
Locke desume da Cartesio il punto di partenza della sua indagine: l'idea

Secondo Locke l'idea può derivare solo dall'esperienza,
L'idea è il frutto della passività della mente nei confronti della realtà: dal momento che per l'uomo esistono due tipi di realtà: quella esterna delle cose e quella interna del proprio spirito.
Le idee possono essere divise in sensazioni, ( es. il giallo, il caldo ecc.), se derivano dalla realtà esterna
e riflessioni ( es. il pensiero, il dubbio, il ragionamento), se derivano da quella interna.
Critica all'innatismo: le idee esistono solo se vengono pensate; se le idee fossero innate, allora dovrebbero esistere anche nei bambini o negli idioti, ma dal momento che da queste persone non sono pensate, in esse non esistono e perciò non possono essere considerate innate. Si dice che i bambini giungono a scoprire le conoscenze innate all'età della ragione, ma se all'età della ragione si giunge anche ad ottenere conoscenze che non sono innate, nulla ci vieta di pensare che anche le conoscenze che si ritengono innate non siano acquisite.
Se tutta la nostra conoscenza deriva da idee acquisite dall'esperienza, l'analisi della nostra capacità conoscitiva dovrà fornire una classificazione di tutte le idee che l'esperienza ci fornisce: l'esperienza ci fornisce solo idee semplici, le idee complesse sono prodotte dalla nostra ragione dalla combinazione di idee semplici ⇒ la conoscenza umana è ciò che deriva da questa capacità di combinazione.
Il limite dell'intelletto è proprio quello di non poter né costruire né distruggere idee semplici.
Locke compila un catalogo sulle idee semplici derivanti dalla sensazione o dalla riflessione. Per quanto riguarda le idee di sensazione, distingue la sensazione stessa dalla qualità della cosa che produce in noi (non ogni sensazione è la copia della qualità oggettiva); riprende anche la distinzione tra qualità oggettive e soggettive di Galilei, ma definisce primarie le prime e secondarie le seconde.
Qualità primarie: producono le idee semplici di solidità, estensione, figura, movimento, quiete e numero; sono immagini dei corpi stessi.
Qualità secondarie: producono le idee di colori, suoni, sapori e odori. Non somigliano ai corpi.
L'ATTIVITÀ DELLA MENTE E DELLE IDEE
Nel ricevere le idee semplici lo spirito è passivo; diventa attivo quando le rielabora, dando origine ad idee complesse o generali. Queste possono essere divise in tre categorie: modi, sostanze o relazioni.
a) Modi: idee non considerate sussistenti per sé ma solo manifestazioni della sostanza ( es. triangolo)
b) Sostanze: idee complesse considerate esistenti di per sé stesse ( es. uomo, piombo, pecora)
c) Relazioni: prodotto del confronto di un'idea con un'altra.
Analisi critica dell'idea di sostanza:
Ciò che noi definiamo sostanza non è altro che un supposto e sconosciuto sostegno delle qualità effettivamente esistenti. Per sostanza si definisce quello che "sta sotto"; in base al principio di Locke, secondo il quale l'uomo è in grado di formulare idee solo basandosi sulla realtà, se la sostanza trascende il mondo empirico, allora l'uomo non è in grado di percepire la sostanza e di comprenderla. Così facendo, il filosofo non nega l'esistenza della sostanza, ma nega che la stessa sia appannaggio dell'uomo, che non riesce a prescindere dal mondo empirico. Questo vale sia per la sostanza corporea sia per quella spirituale: la prima è substrato sconosciuto delle qualità sensibili, la seconda è substrato sconosciuto delle qualità dello spirito. L'idea di sostanza è estranea all'empirismo e potrà avere una nuova rielaborazione solo con Kant.
Le relazioni: l'intelletto umano non si limita mai alla considerazione di una cosa isolata, ma tende sempre a rapportarla ad altro; nascono così le relazioni ed i nomi con cui si indicano le cose che sono poste in relazione; le relazioni più importanti sono quelle di causa/effetto e quelle identità/diversità. (c.f.r. identità della persona).
Idee generali: l'attività dello spirito si manifesta anche attraverso l'elaborazione di idee generali. Tali idee non indicano nessuna realtà, ma sono segni delle cose particolari ⇒ i nomi generali sono segni di idee generali, e le idee generali sono segni di un gruppo di cose particolari, tra le quali è possibile riscontrare una certa somiglianza.
LA CONOSCENZA E LE SUE FORME
L'esperienza fornisce il materiale per la conoscenza, ma non è conoscenza: la conoscenza è percezione di un accordo o di un disaccordo di idee tra loro. La conoscenza può essere:
• Conoscenza intuitiva: l'accordo o il disaccordo di idee è visto immediatamente ed in virtù delle stesse idee (es. si percepisce subito che il banco non è nero o che non è uno solo). Questa conoscenza è la più chiara e la più certa che l'uomo possa raggiungere ed è quindi il fondamento della certezza.
• Conoscenza dimostrativa: l'accordo o il disaccordo tra due idee non è percepito immediatamente, ma viene reso evidente dall'uso di idee intermedie che si definiscono prove; la conoscenza dimostrativa deriva da una catena di conoscenze intuitive.
• Conoscenza delle cose esistenti al di fuori delle idee: se la conoscenza consiste nel percepire l'accordo o il disaccordo tra idee, c'è il rischio che questa sia ridotta ad un puro "castello in aria"; secondo Locke la conoscenza è vera solo se c'è conformità tra le idee e la realtà. Ma come può essere verificata questa conformità se le cose reali ci sono conosciute solo attraverso le idee?
Secondo Locke ci sono tre ordini di realtà: l'io, Dio e le cose, e tre modi diversi di giungere alla certezza di queste tre realtà. Noi abbiamo la conoscenza dell'esistenza del nostro io attraverso l'intuizione, dell'esistenza di Dio attraverso la dimostrazione, dell'esistenza delle cose attraverso la sensazione.
a) Dimostrazione dell'esistenza dell'IO = si avvale del principio cartesiano: cogito ergo sum
b) Dimostrazione dell'esistenza di Dio = se dal nulla non si produce nulla, ciò significa che qualcosa è stato prodotto da un'altra cosa e, non potendo risalire all'infinito, è necessario ammettere un ente primo, fonte di tutto.
c) Dimostrazione dell'esistenza delle cose: non possono essere conosciute dall'uomo se non attraverso la sensazione attuale. Il fatto che noi percepiamo qualcosa dall'esterno attualmente ci comunica che questo qualcosa, ora, esiste; questa certezza attuale si fonda sul minimo di fiducia necessario nei confronti dell'intelletto umano e questo grado di conoscenza permette all'uomo di orientarsi nel mondo.
Ragioni supplementari a favore dell'esistenza delle cose terrene:
a) Le idee mancano quando manca l'organo di senso adeguato, il che è prova che le sensazioni sono prodotte da cause esterne.
b) Le idee sono prodotte nel nostro spirito senza che noi possiamo evitare ciò, il che vuol dire che non sono prodotte da noi ma da una causa esterna
c) Molte idee sono prodotte con piacere o con dolore, mentre quando sono solo ricordate non sono più accompagnate da piacere o dolore: ciò significa che solo l'oggetto esterno che colpisce i sensi produce in noi dolore o gioia.
d) I sensi si fanno testimonianza reciproca, ad esempio il tatto o la vista confermano l'esistenza di una cosa e rafforzano la certezza della stessa. .
Questi elementi valgono solo per l'attimo in cui la sensazione è ricevuta; quando l'oggetto non è più testimoniato dai sensi, allora ogni certezza svanisce e viene sostituita da una semplice possibilità. È ragionevole supporre che gli elementi rimangano immutati, ma ciò non costituisce una realtà.
Per questo motivo, Locke, accanto alle conoscenze certe limitate all'intuizione (l'esistenza dell'io), alla dimostrazione (l'esistenza di Dio) ed alla sensazione attuale (esistenza delle cose), contempla una conoscenza probabile, molto più estesa d quella certa.

La conoscenza certa e la conoscenza probabile danno luogo alla ragione
Dalla ragione si distingue la fede, che è fondata solo dalla rivelazione

IL SENSO STORICO DELLA FILOSOFIA DI LOCKE
1. si muove nell’ambito gnoseologico della filosofia cartesiana
2. rifiuta l’innatismo
3. applica l’empirismo, l’analisi e l’indagine sui limiti della ragione
4. scrive il saggio sull’intelletto umano → mappatura delle idee (semplici, complesse, generali)
5. critica (non negazione) del concetto di sostanza e della metafisica
6. scala dei livelli di conoscenza (sensibile, intuitiva, volitiva, del mondo esterno)
HUME
Nel settecento si formano le premesse dell’illuminismo
Hume compie:
1. un’analisi critica del principio di causalità
2. legge di Hume → impossibilità di derivare proposizioni prescrittive da proposizioni descrittive
3. analisi del tema della religione → religione razionale
VITA E SCRITTI
Riconducendo la conoscenza umana nei limiti dell’esperienza, Locke non aveva inteso diminuirne il valore; le aveva anzi riconosciuto una piena validità. Hume conduce l’empirismo ad una conclusione scettica: l’esperienza non è in grado di fondare la piena validità della conoscenza, la quale non è certa, ma soltanto probabile.
David Hume nacque il 26 aprile 1711 a Edimburgo. Si recò in Francia dove rimase dal 1734 al 1737 a proseguire i suoi studi. Durante la sua permanenza in Francia, compose la sua prima opera, il Trattato sulla natura umana che fu pubblicato nel 1739. Frattanto Hume era ritornato in Inghilterra e qui pubblicava nel 1742 la prima parte dei suoi Saggi morali e politici.
Tra il 1745 e il 1748 ebbe vari incarichi politici; si trovava a Torino, quando nel 1748 usciva a Londra la Ricerca sull’intelletto umano che rielaborava in forma più semplice la prima parte del Trattato. Nel 1752 ebbe un posto di bibliotecario a Edimburgo e cominciò a comporre una Storia dell’Inghilterra. Nello stesso anno pubblicava la Ricerca sui principi della morale, rielaborazione della seconda parte del trattato. Del 1757 è la Storia naturale della religione. Ma egli aveva già scritto prima i Dialoghi sulla religione naturale. Nel 1763 Hume divenne segretario del conte di Hartford, ambasciatore d’Inghilterra a Parigi e qui rimase fino al 1766, frequentando la società intellettuale della capitale francese. Tornato in Inghilterra, ospitò in casa sua Rousseau; ma il carattere ombroso del filosofo francese provocò una rottura fra i due. Dal 1769 in poi Hume condusse la vita tranquilla del benestante inglese e morì a Edimburgo nel 1776.
L’opera principale di Hume rimane il Trattato sulla natura umana, sebbene nella Ricerca sull’intelletto umano e nella Ricerca sui principi della morale egli abbia riesposto in modo assai più rapido e chiaro i capisaldi essenziali di quell’opera.

LA SCIENZA DELLA NATURA UMANA
Alla base del filosofare di Hume vi è l’ambizioso progetto di costruire una “scienza” della natura umana su base sperimentale; in altri termini, voleva essere una sorta di Newton della natura umana, in grado di offrire un’analisi sistematica delle varie dimensioni che la costituiscono.
Hume è persuaso che la natura umana costituisca la capitale del regno del sapere e che quindi risulti ancor più basilare e urgente delle altre scienze.
Non c’è questione di qualche importanza la cui soluzione non sia compresa nella scienza dell’uomo, e non ce n’è nessuna che possa essere risolta con certezza se prima non ci rendiamo padroni di quella scienza.
La tendenza empiristica e anti-metafisica che sta a monte del procedimento di Hume è riassunta dall’immagine dei libri in una biblioteca.
Questa scelta empiristica finirà per mettere capo ad una forma di scetticismo moderato nel quale le pretese conoscitive della natura umana risultano fortemente limitate. Da ciò la funzione storicamente “provocatoria” esercitata dalla filosofia di Hume, cui Kant riconoscerà il merito di averlo svegliato dal “sonno dogmatico”.
IMPRESSIONI E IDEE
Nella sua analisi della conoscenza umana Hume divide le percezioni della mente in due classi, che si distinguono fra loro per il grado diverso di forza e di vivacità con cui colpiscono lo spirito. Le percezioni che penetrano con maggior forza ed evidenza nella coscienza si chiamano IMPRESSIONI, e sono tute le sensazioni. Le immagini illanguidite di queste impressioni si chiamano IDEE o pensieri. L’idea non può mai
raggiungere la vivacità e la forza dell’impressione. Ogni idea deriva dalla corrispondente impressione e non esistono idee o pensieri di cui non si sia avuta precedentemente l’impressione. L’illimitata libertà di cui pare che goda il pensiero dell’uomo trova il suo limite invalicabile in questo principio. Dal punto di vista pratico è chiaro che ciò che mi dicono le impressioni è sufficiente, con il passare del tempo però l’impressione non mi garantisce più la certezza dell’esistenza di qualcosa. La fondatezza e la comprensione di idee più complesse si avrà quando ricondurrò quelle idee articolate alle impressioni semplici che le hanno costituite.
Hume si tiene rigidamente fedele a questo principio fondamentale da un capo all’altro della sua analisi.
Per spiegare la realtà del mondo e dell’io, Locke non ha a disposizione se non le impressioni, le idee e i loro rapporti. Ogni realtà deve risolversi nei rapporti con cui si connettono tra loro le impressioni e le idee. Tale è il tentativo di Hume. Ma è un tentativo che non può riuscire a fondare le realtà che esamina, ma solo a risolverle nei loro elementi originari. La conclusione scettica è inevitabile.
Non esistono idee astratte, cioè idee che non abbiano caratteri particolari e singoli; esistono solo idee particolari assunte come segni d’altre idee particolari ad esse simili. Per spiegare la funzione del segno, cioè la possibilità di un’idea di richiamare altre idee simili, Hume ricorre ad un principio di cui si servirà largamente in tutte le sue analisi: l’abitudine.
Quando abbiamo scoperto una certa somiglianza tra idee che per altri aspetti sono diverse, noi adoperiamo un unico nome per indicarle. Si forma così in noi l’abitudine di considerare in qualche modo unite fra loro le idee designate da un unico nome. La funzione puramente logica del segno concettuale diventa in Hume un fatto psicologico, un’abitudine.
IL PRINCIPIO D’ASSOCIAZIONE
La facoltà di stabilire relazioni fra idee è detta “immaginazione”. Essa non risulta completamente affidata al caso, poiché anche nei sogni e nelle fantasticherie troviamo che viene sempre mantenuta una connessione tra le diverse idee che si succedono l’una all’altra. Questa connessione è garantita da una forza che rappresenta, per la mente, ciò che la forza di gravità rappresenta per la natura. Tale è il cosiddetto principio d’associazione delle idee, che opera secondo tre criteri fondamentali:
1. La somiglianza → collega le cose simili
2. La contiguità nel tempo e nello spazio → collega le cose vicine l’una all’altra (es. il fumo e il fuoco)
3. La causalità → collega le cose che possono essere ricondotte ad alcune cause
Hume ritiene che l’associazione stia alla base di quelle che Locke chiama “idee complesse”. Fra queste idee le più importanti sono quelle di spazio e di tempo, di causa ed effetto, di sostanza. A tali idee noi attribuiamo consistenza e oggettività. Invece Hume si propone di mostrare come ad esse non corrisponda alcuna impressione. Per Hume spazio e tempo non sono impressioni, ma delle nostre maniere di sentire le impressioni. L’idea di tempo nasce dalla maniera complessiva con la quale le impressioni si affacciano alla mente senza essere nessuna di esse. Parimenti destituite di oggettività sono le idee di causa - effetto e di sostanza materiale e spirituale.
PROPOSIZIONI CHE CONCERNONO RELAZIONI FRA IDEE E PROPOSIZIONI CHE CONCERNONO I FATTI
Hume distingue fra proposizioni che concernono relazioni fra idee e le proposizioni che concernono i fatti. Le prime si possono scoprire per mezzo della sola operazione del pensiero, indipendentemente da ciò che è realmente esistente in una qualsiasi parte dell’universo. Si tratta di proposizioni che noi costruiamo basandoci semplicemente sul principio di non-contraddizione. Nella terminologia instaurata da Kant queste proposizioni sono dette analitiche, in quanto il predicato è già implicitamente contenuto nel soggetto, dal quale può venir razionalmente ricavato per via di analisi. Le proposizioni che concernono relazioni fra idee hanno in se stesse la loro validità.
Le proposizioni che concernono dati o materie di fatto non sono fondate sul principio di non contraddizione, bensì sull’esperienza, giacché il contrario di un fatto è sempre possibile. Infatti, argomenta Hume, la proposizione “il sole domani non sorgerà” è una proposizione non meno intelligibile né contraddittoria di “il sole domani sorgerà”.
L’ANALISI CRITICA DEL PRINCIPIO DI CAUSA
Tutti i ragionamenti che riguardano realtà o fatti si fondano sulla relazione di causa ed effetto. La relazione tra causa ed effetto non può essere mai conosciuta a priori, ma soltanto con l’esperienza.
Nessuno, messo di fronte a un oggetto che per lui sia nuovo, è in grado di scoprire le sue cause e i suoi effetti prima di averli sperimentati e soltanto ragionando su essi. La connessione tra causa ed effetto, anche dopo che è stata scoperta per esperienza, rimane arbitraria e priva di qualsiasi necessità oggettiva. Causa ed effetto sono due fatti interamente diversi, ognuno dei quali non ha nulla in sé che richiami necessariamente l’altro.
Le possibilità non possono essere escluse se non sono contraddittorie. L’esperienza ci dice che una sola si verifica, ma l’esperienza non ci illumina se non intorno ai fatti che abbiamo sperimentato nel passato e non ci dice nulla circa i fatti futuri. Poiché, anche dopo che l’esperienza è stata fata, la connessione tra la causa e l’effetto rimane arbitraria, e non potrebbe essere assunta come fondamento in nessuna previsione, in nessun ragionamento per il futuro.
Che il corso della natura possa cambiare, che i legami causali che l’esperienza ci ha testimoniato per il passato possano non verificarsi nell’avvenire, è ipotesi che non implica nessuna contraddizione e che perciò rimane sempre possibile. Né la continua conferma che l’esperienza fa nella maggior parte dei casi delle connessioni causali muta la questione: perché questa esperienza riguarda sempre il passato, mai il futuro. Tutto ciò che sappiamo dall’esperienza è che da cause che ci appaiono simili ci aspettiamo effetti simili. Ma questa attesa non è giustificata dall’esperienza. Se ci fosse qualche sospetto che il corso della natura potesse cambiare e che il passato non servisse di regola per il futuro, ogni esperienza diverrebbe inutile e non potrebbe dare origine a nessuna inferenza o conclusione. È impossibile quindi che argomenti tratti dall’esperienza possano dimostrare la rassomiglianza del passato con il futuro.
Queste considerazioni di Hume escludono che il legame tra cause ed effetto possa essere dimostrato come oggettivamente necessario, cioè assolutamente valido. L’uomo tuttavia lo crede necessario e fonda su di esso l’intero corso della sua vita. La sua necessità è quindi puramente soggettiva e va cercata in un principio della natura umana.
Questo principio è l’abitudine. La ripetizione di un atto qualsiasi produce una disposizione a rinnovare lo stesso atto senza che intervenga il ragionamento: questa disposizione è l’abitudine.
È l’abitudine che ci spinge a credere che domani il sole sorgerà, ed è l’abitudine che guida e sorregge tutta la nostra vita quotidiana. Senza l’abitudine noi saremo interamente ignoranti di ogni questione di fatto, fuori di quelle che ci sono immediatamente presenti alla memoria o ai sensi. Ogni azione sarebbe finita e così pure la parte principale della speculazione.
L’abitudine spiega la congiunzione che noi stabiliamo tra i fatti non la loro connessione necessaria. Spiega perché noi crediamo alla necessità dei legami causali, non giustifica questa necessità. E veramente questa necessità è ingiustificabile. L’abitudine è una guida infallibile per la pratica della vita, ma non è un principio di giustificazione razionale o filosofico. E un principio di questo genere non c’è.
Non si può quindi costruire una realtà oggettiva, perché una gnoseologia fondata sull’empirismo esclude la costituzione di una scienza universale e necessaria
LA CREDENZA NEL MONDO ESTERNO E NELL’IDENTITA’ DI DIO
Ogni credenza in realtà o fatti, in quanto è il risultato di un’abitudine, è un sentimento o un istinto, non un atto di ragione. Tutta la conoscenza della realtà è priva di necessità razionale e rientra nel dominio della probabilità. Hume non intende annullare la differenza che c’è tra finzione e credenza. La credenza è un sentimento naturale, che non soggiace ai poteri dell’intelletto, quindi è dovuta alla maggiore vivacità delle impressioni rispetto alle idee: il sentimento della realtà si identifica con la vivacità e l’intensità proprie delle impressioni. Ma gli uomini credono abitualmente nell’esistenza di un mondo esterno.
Hume comincia con il distinguere a questo proposito la credenza nell’esistenza continua delle cose, e la credenza nell’esistenza esterna delle cose stesse, la quale ultima suppone la distinzione semifilosofica o pseudofilosofica delle cose dalle impressioni sensibili. Dalla coerenza e dalla costanza di certe impressioni, l’uomo è tratto a immaginare che esistano cose dotate di un’esistenza continua e ininterrotta. La stessa coerenza e costanza di certi gruppi di impressioni ci fa dimenticare o trascurare che le nostre impressioni sono sempre interrotte e discontinue e ce le fa considerare come oggetti persistenti e stabili.
Questa credenza, che appartiene alla parte irriflessiva e afilosofica del genere umano è però presto distrutta dalla riflessione filosofica, la quale insegna che ciò che si presenta alla mente è soltanto l’immagine e la percezione dell’oggetto e che i sensi sono soltanto le porte attraverso le quali queste immagini entrano, senza che ci sia mai un rapporto immediato tra l’immagine stessa e l’oggetto. La riflessione filosofica conduce così a distinguere le percezioni (soggettive, mutevoli e interrotte) dalle cose oggettive (esternamente e continuamente esistenti). La sola realtà di cui siamo certi è costituita dalle percezioni; le sole inferenze che possiamo fare sono quelle fondate sul rapporto tra causa ed effetto. Una realtà esterna è dunque ingiustificabile; ma l’istinto a credere in essa è ineliminabile.
La credenza nell’unità e nell’identità dell’io trova una spiegazione analoga. Noi non abbiamo esperienza o impressione del nostro “io”, ma solo dei nostri stati d’animo successivi, che fanno apparizione nella nostra coscienza come in una specie di teatro. Ciò che noi sperimentiamo come “io” è soltanto un fascio di impressioni che si susseguono nel tempo.
La credenza e la filosofia, l’istinto e la ragione appaiono in contrasto fra loro. Tale contrasto, secondo lo scetticismo moderato di Hume, non va tuttavia inteso alla maniera di un dualismo insanabile. La natura umana rimane fondamentalmente sentimento e istinto, più che ragione. Tant’è vero che la stessa ragione indagatrice, la stesa filosofia, si radicano nella curiosità istintiva che porta l’uomo ad indagare su ciò in cui crede. Tutto questo non toglie che Hume abbia cominciato a insistere su un tema – l’antitesi fra ragione e sentimento – che avrà significativi sviluppi nella cultura europea fra Settecento e Ottocento.
MORALE E SOCIETA’
Per alcuni la morale si fonda sul sentimento (il “senso” del giusto o dello sbagliato), per altri sulla ragione (calcolo). Hume non prende partito nella disputa che vuol riconoscere soltanto nella ragione o soltanto sul sentimento il fondamento delle valutazioni morali, intende piuttosto analizzare tutti gli elementi del merito personale (qualità, abitudini,sentimenti, facoltà), che rendono un uomo degno di stima o di disprezzo.
Il problema morale diventa quindi una questione di fatto, che può essere analizzata con l’osservazione empirica, anche se la ragione ultima del nostro comportamento non è comprensibile fino in fondo.
Le regole della morale e la giustizia nascono in vista della pubblica utilità, infatti per gli animali il problema non si pone. → in una situazione in cui fosse data al genere umano la più prodiga abbondanza di tutte le comodità e di tutti i beni materiali, in cui l’uomo non dovesse preoccuparsi di nessuna delle sue necessità materiali, la giustizia sarebbe inutile e non potrebbe neppure nascere.
La necessità della giustizia per mantenere in vita la società umana è il solo fondamento del valore che attribuiamo alle virtù.
L’utilità sociale è il fondamento della massima virtù politica: l’obbedienza → l’obbedienza mantiene i governi, e i governi sono indispensabili.
Tute le virtù si radicano nella natura dell’uomo, che non è mossa dall’egoismo: il benessere e la felicità individuali sono simpateticamente congiunti al benessere e alla felicità collettiva.
Hume vuole togliere alla morale l’abito “da lutto”, perché oil suo fine è quello della felicità degli uomini.

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