Rapporti tra filosofia e cristianesimo

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Testo

RAPPORTI TRA FILOSOFIA E CRISTIANESIMO:

Il movimento cristiano si rivelò subito in grado di soddisfare, molto meglio degli indirizzi filosofico-religiosi, il prepotente bisogno di religiosità che nei primi secoli della nostra era aveva profondamente scosso tutto il mondo mediterraneo. Il movimento cristiano si affermò in un primo momento come puramente religioso, trasformandosi solo più tardi in movimento filosofico.
Il cristianesimo mostrò innanzitutto il PROBLEMA DELLA VOLONTA' come problema di una conversione radicale di essa, da uno stato di soggezione al peccato, allo stato di libertà nell'amore di Dio e del prossimo. E, ciò che è ancora più notevole, sostenne, contro il caratteristico modo ellenico di intendere il processo conoscitivo, che proprio tale raddrizzamento della volontà è la vera conoscenza. Per tutto ciò si suol parlare di volontarismo cristiano in antitesi con l'intellettualismo greco.
Riconoscere l'ESSERE COME VOLONTA' significa riconoscere il carattere personalistico dell'essere: la volontà, infatti, è espressione di spontaneità di scelta, di iniziativa in un senso piuttosto che in un altro.
Le conseguenze di questa nuova concezione dell'essere sono enormi, sia in riferimento all'essere divino sia a quello umano. Dio, infatti, non è più concepito come l'atto puro di Aristotele, ossia generico ed astratto pensiero del pensiero; è invece persona che vuole il mondo e lo crea: persona infinitamente superiore a quella umana, ma pur sempre ad essa analoga. Anche l'uomo è persona, e cioè non più solo intelletto o sensazione, unitamente capace di conoscenze vere o false, volontà rivolta all'azione.
Tra la persona divina e quella umana esiste infinita differenza; questa, però, e questa è la differenza rispetto all'Ebraismo, non scava fra di esse un invalicabile abisso. Dio, infatti, non è solo creatore degli uomini, ma anche PADRE. Ama le sue creature e spinge il suo amore fino a farsi uomo, per salvarle attraverso la croce.

Sono evidenti le difficoltà che sorgono appena si cerchi di tradurre razionalmente tutto ciò. La storia della filosofia cristiana sarà in gran parte quella dei tentativi per mettere a fuoco queste difficoltà e trovare il modo di risolverle.
Due furono i compiti principali che i pensatori cristiani dovettero affrontare man mano che approfondivano il messaggio di Cristo filosoficamente:
1. caratterizzazione del cristianesimo di fronte all'ebraismo;
2. caratterizzazione del cristianesimo di fronte al pensiero filosofico greco-latino.
Il primo fu facilmente risolto, dimostrando che il cristianesimo prosegue ed integra l'ebraismo. Lo prosegue, in quanto accoglie il DIO-PERSONA, creatore e signore di tutto. Lo integra in quanto introduce il DIO-PADRE anziché il Dio padrone assoluto e dispotico. Il cristianesimo predica inoltre la ricerca della salvezza non più in un rispetto estrinseco alla legge, bensì in un atteggiamento interiore di SINCERO AMORE verso Dio e verso gli altri.

Assai più difficile è la soluzione al secondo problema. La caratterizzazione ha vari aspetti. Vi è quello TEORETICO che si accentra sul rapporto fede-ragione, cioè fra l'accettazione di una verità non perché dimostrata o dimostrabile, ma solo perché rivelata, e la spiegazione di essa razionalmente, filosoficamente o scientificamente. I pericoli erano due:
• attribuire troppo peso alla razionalità, cioè assorbire la fede nella ragione;
• accettare la contrapposizione pura e semplice della fede alla ragione, il che avrebbe comportato la rottura completa con la tradizione della filosofia greca e l'impossibilità di assorbire, sia pure solo in parte, preziosi insegnamenti nel patrimonio della cultura cristiana.
Oscillando tra questi due estremi, i pensatori cristiani cercarono di conciliare le due posizioni, per consentirsi di mantenere vivi entrambi gli atteggiamenti.
Non meno difficoltoso era l'aspetto ETICO della questione. Il cristianesimo ammette la realtà del peccato e la necessità, affinché l'individuo si salvi, della grazia divina. Ma a questo punto si incontrano due eccessi da evitare:
• riconoscere al male una sua positività, cioè concepirlo come principio metafisico contrapposto a Dio;
• cadere nell'ottimismo greco, pensando al male come deficienza passeggera e colmabile.
In connessione con l'azione si avevano poi due diverse interpretazioni del processo di salvazione:
• una vede in esso un puro e semplice effetto dell'intervento divino;
• l'altra un processo essenzialmente umano, che ha bisogno sì dell'ausilio della grazia, ma trae origine dal libero arbitrio dell'uomo.
La Chiesa le rifiuta entrambe, ma soprattutto quest'ultima, rendendosi conto della subdola minaccia che essa arrecava alla stessa ragion d'essere del cristianesimo; se fosse vero che l'inizio del processo di salvezza trae origine dall'uomo, che necessità ci sarebbe stata che il Verbo divino, per salvarci, si incarnasse e accettasse la morte?

PRIMA SCOLASTICA (IX-XII sec.)-S.Anselmo D'Aosta
SECONDA SCOLASTICA (XIII sec.)-S.Tommaso D'Aquino
TERZA SCOLASTICA (XIV sec.)-Guglielmo D'Ockham

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