Platone

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CAP. 6. PLATONE: L’ORDINE DELL’ANIMA E L’ORDINE DELLA POLIS

§ 1. LA VITA, L'AMBIENTE SOCIALE E L'AZIONE POLITICA ED EDUCATIVA DI PLATONE
Platone (426/427-348/347) nacque da un'importante famiglia aristocratica di Atene; per parte di madre discendeva da Solone e per parte di padre da un antico re della città. L'episodio che segna la sua gioventù è quello del processo e della morte di Socrate (399), che è a sua volta, come si è visto, nel bel mezzo della crisi politica e sociale di Atene. In questa crisi la costituzione democratica di Clistene si dimostrava incapace di resistere alle tensioni tra le diverse classi sociali, i diversi partiti e le diverse culture che si erano potuti differenziare proprio grazie a tale costituzione. Le differenziazioni si erano ulteriormente sviluppate sotto il governo di Pericle e infine la guerra del Peloponneso aveva trasformato le tensioni in scontro aperto.
PLATONE : I SOFISTI CORROMPONO I VALORI; LA MASSA E' INCAPACE
La presa di posizione di Platone nei confronti della crisi di Atene si delinea ben presto nelle sue opere: la sofistica ha la responsabilità morale della corruzione estrema dei valori. La massa è per natura incapace di governare e di giudicare rettamente e i sofisti la hanno adulata, difendendo con i loro argomenti capziosi le opinioni "dei più" (della maggioranza, diciamo noi). Il teatro, con il successo accordato dagli applausi del grande pubblico a certi autori senza tener conto dell'opinione degli uomini migliori, ha finito di corrompere la città. Non ci sarà salvezza se all'autorità "dei più" non si sostituirà l'autorità dei saggi e dei competenti.
Questa visione può sembrare alquanto diversa o addirittura opposta rispetto a quella di Socrate, il tanto amato maestro di Platone. In effetti l'insegnamento di Socrate, per quanto ne sappiamo, era essenzialmente critico: era volto soprattutto a demolire le sedicenti autorità degli uomini, ad instillare il dubbio, a ricordare ai pretesi sapienti che "solo vero sapiente è il dio". Tuttavia, prima di considerare Platone in blocco un dogmatico e un antidemocratico, il lettore ricordi che le pagine più belle su Socrate ironico, critico ed "erotico" sono proprio quelle dei dialoghi del giovane Platone (sulla tensione "erotica" verso la perfezione, cfr. cap.5, § 8 e in particolare 8.3). Qualunque cosa si pensi sull'opera di Platone maturo (e *la presentazione che qui ne facciamo non manca di metterne in luce alcuni aspetti antipatici), bisognerà riconoscere però la straordinaria ricchezza della sua problematica e la sua geniale capacità di esplorare diverse, se non opposte, soluzioni.
LEGATO ALLA PARTE ARISTOCRATICA
Platone dunque è dalla parte del partito aristocratico, nel quale poi milita Critia, suo cugino (l'intellettuale di cultura sofistica che partecipò al governo oligarchico dei Trenta Tiranni, finendo ucciso) e altri suoi congiunti, come suo zio Carmide. Tuttavia egli non fu coinvolto in azioni contro la legalità democratica. Pare che abbia lasciato Atene per qualche tempo dopo la morte di Socrate, per evitare persecuzioni, ma per il resto potè restare sempre liberamente in patria (mentre p.es. Senofonte, un altro filoaristocratico vicino a Socrate, era stato in precedenza esiliato).
Ma i progetti politici di Platone vanno più in là sia delle ristrette vedute del partito aristocratico, sia dell'ambito cittadino ateniese. Egli entrò in contatto con il filosofo e uomo politico Archita di Taranto, si recò a Creta, in Egitto e in Cirenaica. Ma soprattutto intraprese diversi viaggi a Siracusa (nel 388, nel 367-365 e nel 361), presso i tiranni Dioniso I e Dioniso II, che erano praticamente i dominatori della Sicilia di lingua greca. Ad essi si propose come consigliere politico, ventilando una grande riforma su basi filosofiche. I progetti di Platone si fondavano, a quanto pare, su di un ideale panellenico, come è mostrato anche dal fatto che Ermia, Erasto e Corisco, tiranni di città greche dell'Asia Minore e appartenenti alla cerchia di Platone, tentarono di liberarsi dalla dominazione persiana cercando appoggio presso la dinastia macedone, che ostentava ideali panellenici. I soggiorni siracusani furono tutti insuccessi: pare che Platone fosse in pericolo di vita, e il suo amico e discepolo Dione, che tentò un colpo di stato contro Dioniso II, morì di morte violenta.
L'ACCADEMIA, COMUNITA' DI VITA POLITICO-RELIGIOSA
Il frutto più significativo dell'attività pubblica del filosofo fu l'istituzione dell'Accademia, una scuola riservata alla gioventù aristocratica , che aveva contemporaneamente finalità educative, politiche, religiose e di ricerca filosofica. I corsi propedeutici erano di aritmetica e geometria, da Platone considerate basi necessarie per preparare la mente alle conoscenze superiori. Sotto la sua direzione lavoravano numerosi maestri che tenevano corsi specializzati: tra essi l'astronomo Eudosso di Cnido, che è autore di una teoria elaborata del mondo planetario, e il matematico Teeteto, che compiva ricerche innovative sulla geometria dei solidi.
La scuola, meticolosamente organizzata, era una specie di comunità di vita, legata al modello pitagorico, di cui Platone si diceva "guida e maestro", probabilmente tanto in senso politico quanto in senso spirituale, e che aveva dottrine esoteriche, destinate a non essere divulgate all'esterno.
Da essa dovevano uscire intellettuali capaci di divenire consiglieri dei re: in effetti Aristotele, allievo prima e poi docente dell'Accademia, divenne il precettore di Alessandro il Macedone.
L'Accademia, all'interno dello stesso ambiente aristocratico, era in competizione con la scuola di retorica di Isocrate, al cui indirizzo retorico-umanistico Platone contrapponeva lo studio della matematica e della filosofia.
Platone morì nel 348/347. Nonostante il suo panellenismo, le costituzioni statali da lui sognate erano tutte di tipo cittadino, ma di lì a pochi anni, con la battaglia di Cheronea (388), la dinastia macedone pose fine per i greci all'età delle poleis, per dare inizio a quella dei grandi regni multinazionali: l'età ellenistica.

§ 2. LE OPERE
2.1. Platone è il primo autore di cui ci è stato conservato un ampio corpus di opere, oggi equivalente a oltre duemila pagine a stampa. E' da qui, come dall'ancor più vasto corpus aristotelicum, che sono tratte una gran parte delle notizie che ci permettono di scrivere la storia del pensiero greco precedente. Perché questa sopravvivenza selettiva delle sole opere di Platone ed Aristotele?
PERCHE'E' SOPRAVVISSUTO LO STERMINATO "CORPUS PLATONICUM"?
Probabilmente la spiegazione si deve cercare soprattutto nella vittoria fin dal periodo ellenistico ed ellenistico-romano (e tanto più in periodo cristiano) dell'impostazione della filosofia come puro sapere teorico, come contemplazione dell'ordine divino del mondo, propria di questi due autori; questa impostazione aveva trionfato sul naturalismo anassagoreo e democriteo e sul relativismo umanistico dei sofisti erano espressioni tipiche dell'età di Pericle nella quale aveva trionfato l'idea democratica dell'ordine della polis. In breve, la concezione di un ordine divino trascendente, che si irradia dall'aldilà del "mondo delle idee" di Platone e quella di un ordine divino incarnato nella natura, propria di Aristotele, trionfarono nel periodo alessandrino sull'idea dell'autonomia dell'ordine della natura e del mondo umano. Questo non significò naturalmente l'uso sistematico della censura o della persecuzione ideologica, metodi nel complesso estranei alla società greca, ma piuttosto, verosimilmente, la concentrazione degli sforzi di trascrizione dei papiri e di conservazione nelle biblioteche su quei due autori, la cui autorità era ormai prevalente: la deperibilità del papiro, la mancanza di organizzazione e di fondi, e infine il senso di scoramento della corrente culturale sconfitta probabilmente fecero il resto. Del resto anche le opere degli eleatici o dei pitagorici, in cui si immergevano le radici del pensiero platonico, furono semplicemente sostituite da quelle legate alla nuova cultura, che non si curò di conservare i suoi propri precedenti storici. Quando cristiani ed islamici cominciarono ad esercitare la loro censura sugli autori "scandalosi", probabilmente non c'era già più molto da censurare.
2.2. Vale la pena di segnalare qui un altro fatto paradossale: Platone, il primo filosofo di cui ci è pervenuto un ampio corpus di opere, si dichiarò ostile, in un paio di occasioni, alla trascrizione delle dottrine filosofiche, che riteneva dovessero rimanere viva parola orale nel vivo rapporto tra maestro e discepolo.
SOCRATE E PLATONE SI OPPONGONO ALLA SCRITTURA COME NUOVO MEDIUM DELLA COMUNICAZIONE
Nel dialogo Fedro Platone affermò che le opere scritte di filosofia potevano avere solo il senso di ricordi personali o di giochi letterari, ma mai essere il veicolo del messaggio filosofico integrale, che poteva trasmettersi solo nel vivo del dialogo diretto, in cui l'autore difende personalmente le sue idee e ne da l'interpretazione autentica. In sostanza Platone è fortemente preoccupato dal fatto che, grazie allo scritto, chiunque possa impadronirsi di dottrine non sue e possa illudersi di capire ciò che di fatto non capisce, spacciandolo poi anche agli altri come sapere autentico. Del resto il suo maestro Socrate non aveva mai scritto nulla e aveva dedicato la sua vita alla viva discussione nelle case private, nelle palestre e sulle piazze e alla formazione della generazione successiva.
LA VERITA' NASCE NEL DIALOGO E NELLA VIVA RICERCA
Lo spirito che spinge il Platone maturo, ormai autonomo dal maestro, ha qualcosa di aristocratico, di elitario e, se così si puo' dire, di monastico. La comunità dei filosofi (realizzata nell'Accademia) vive separata dal volgo e dalle passioni comuni, ed è un gruppo ristretto di persone selezionate per cultura e disciplina interiore, che dedicano in comune la vita alla riflessione e alla ricerca filosofica (anche se rimane sempre la prospettiva di un intervento nella vita politica); la fiamma della verità, che si sprigiona dalla ricerca comune, si comunica solo ai suoi membri: la verità, fissata per iscritto e letta da chi non ha la stessa esperienza intellettuale e la stessa ascesi morale della comunità dei filosofi, è sapere apparente, che deforma la retta dottrina e gonfia d'orgoglio il lettore, come dicono la II e la VII Lettera di Platone.
Socrate e Platone, dunque, hanno guardato con diffidenza il nuovo grande medium di comunicazione intellettuale, la parola scritta, che fino ad oggi è rimasto (e resta per ora, nonostante tutte le innovazioni) il mezzo di espressione essenziale del discorso razionale. Benché aspramente critici nei confronti dell'oratoria sofistica e della retorica in genere, lo sono stati ancora di più nei confronti della comunicazione scritta, vedendo in essa lo strumento di un sapere superficiale, in cui chi scrive perde il contatto diretto con il destinatario del messaggio, non può più assumersi la responsabilità di quanto afferma e non è più tenuto a quell'unità di teoria e di pratica, di sapienza e di virtù, di contemplazione dell'ordine universale e di dominio sulle passioni individuali, che sono essenziali per il saggio secondo la concezione antica.
2.3. I filologi moderni hanno tentato di stabilire l'ordine cronologico e l'autenticità delle opere tramandateci: 42 dialoghi (di cui uno è praticamente un discorso: l'Apologia di Socrate), 12 lettere e le Definizioni. Già gli studiosi antichi consideravano "spuri", cioè non autentici (per errata attribuzione o per un falso deliberato) 6 dialoghi e dubbi altri 4; i filologi moderni poi hanno contestato l'autenticità di alcuni altri dialoghi e di buona parte delle Lettere. Partendo dalle Leggi, di cui si sa con certezza che furono scritte per ultime, si è fatto uno studio assai fine della frequenza di certi stilemi impiegati da Platone (cioè di intercalari e modi di dire che in parte sfuggono alla coscienza dello scrivente e sono quindi relativamente indipendenti dall'impiego deliberato di un certo stile letterario) e si è potuto così stabilire l'ordine approssimativo dei restanti dialoghi, combinando tuttavia questo criterio con altri: il riferimento di Platone a proprie opere precedenti, i riferimenti a fatti storici contemporanei e deduzioni logiche sullo sviluppo del suo pensiero.
I filologi sono riusciti, con una certa approssimazione, a dividere i dialoghi di Platone per periodi :
1)Quelli del primo periodo, giovanile, in cui il filosofo rispecchia essenzialmente le concezioni del suo maestro Socrate, sono di argomento morale e non pervengono a conclusioni positive.
2)Quelli del secondo periodo, della maturità, espongono le dottrine di Platone stesso sull’immortalità dell’anima e sul mondo trascendente delle idee.
3)Quelli del terzo periodo, della tarda maturità, partendo da una critica a Parmenide, costituiscono una trasformazione della dottrina platonica delle idee.
Il pensiero del giovane Platone in sostanza lo abbiamo già esposto nel capitolo precedente, nei paragrafi dedicati a Socrate. I dialoghi del 2° periodo saranno esposti qui di seguito in §.3, §.4, §.5 e§.6 mentre quelli del 3° periodo occupano i paragrafi 7 e 8.

§ 3. DALLA RICERCA SENZA FINE DI SOCRATE ALLA DOTTRINA DELLA REMINISCENZA. LA "DOTTRINA DELLE IDEE" E LA METEMPSICOSI
Socrate andava alla ricerca della forma o idea che è comune ad una molteplicità di cose sensibili o di azioni umane. Per Platone una tale idea non può derivare dall’esperienza delle cose sensibili stesse, imperfette e mutevoli, ma deve piuttosto provenire da una conoscenza precedente.
In effetti, le idee non sono da noi realmente ricavate dal mondo sensibile attraverso un processo di astrazione. Noi non conosciamo il concetto o idea del triangolo equilatero geometricamente perfetto per il solo fatto che lo abbiamo astratto (cioè tirato fuori) da oggetti sensibili triangolari: il mondo sensibile è ben lontano dalla perfezione e precisione richiesta dalla geometria pura. In esso non esistono triangoli equilateri perfetti in senso geometrico, ma solo approssimazioni.
Platone ritiene al contrario che sono le idee, già presenti nella nostra anima, che ci permettono di giudicare le cose con il loro superiore metro: p. es., se siamo in grado di percepire l'eguaglianza approssimativa che c'è tra gli oggetti dell'esperienza e di criticarne l'imperfezione, è perché abbiamo dentro di noi un modello superiore, l'idea dell'"eguale in sè" (Fedone).
Ma quando abbiamo avuto conoscenza di questi principi superiori di verità? Secondo Platone questo è avvenuto in un precedente soggiorno della nostra anima in un mondo superiore, “posto sopra il cielo” (iperuranio), del quale è rimasta qualche traccia nella nostra memoria. La conoscenza è quindi per noi reminiscenza, ricordo (in greco: anamnesis).
A questo punto la dottrina delle idee si salda con la metempsicosi pitagorica: il precedente soggiorno dell’anima viene considerato insieme fonte di ogni sapere e felicità suprema, e là essa aspira a ritornare attraverso la purificazione degli impulsi sensibili che la trattengono nel corpo, luogo d’esilio, vera e propria “tomba dell’anima”.
Le idee, dunque, sono gli originali (o modelli) eterni e perfetti, posti nel mondo iperuranio, di cui le cose sensibili, mutevoli e transitorie, sono le imperfette copie; esse sono una sorta di Essere esente dal mutamento e dal non-essere come quello parmenideo. Della sua eterna essenza "partecipano" però in qualche misura anche le cose mutevoli, che così anch'esse in qualche modo sono. Nei triangoli particolari, ciò che veramente è, è il concetto comune ed universale, cioè l'idea di triangolo. Ma anche solo per essere semplici copie della vera realtà, è necessaria che le cose del nostro mondo partecipino in qualche misura ad essa, che è dunque la causa *trascendente dell'ordine cosmico,

Abbiamo visto che l’anima per Platone non è propriamente di questo mondo. Questo è argomentato da lui nel Fedro, dove è enunciata la dimostrazione dell’immortalità dell’anima: l’anima è eterna, ingenerata, animata da un movimento che nasce da lei stessa, mentre il corpo è sempre mosso da qualcos’altro, e rimane in movimento per uno stimolo esterno; se mai fosse possibile che ciò che si muove da sé cessasse di muoversi, verrebbe meno lo stesso principio del moto e il mondo stesso si arresterebbe.

§ 4 . LA DOTTRINA DELL’EROS NEL “SIMPOSIO” E NEL “FEDRO”.
Il processo di anamnesi (reminiscenza) con cui l’anima ritrova in sé le idee apprese nell’aldilà non è un processo puramente razionale . Secondo Platone l’uomo ha una tensione “erotica”, simile a quella di un innamorato, verso la bellezza ideale eterna. Quest’ultima può essere raggiunta per successivi gradini: attraverso l’amore dei bei corpi, e poi delle belle anime, delle belle leggi e delle belle scienze, per essere infine contemplata con un atto *spirituale che è più in alto della scienza e del concetto.
Da dove provengono questo amore e questa tensione, che non possono fermarsi a nessun traguardo, che spingono sempre oltre? Da dove nasce la filosofia, amore per il sapere che non potrà mai essere pienamente appagato? Essi nascono dal desiderio umano di immortalità, che si cerca di realizzare prima attraverso la generazione fisica di altri esseri come noi, poi attraverso la gloria e il ricordo che ad essa si accompagna, e infine attraverso l’opera di educazione e la generazione spirituale.

5. IL GORGIA: L’ATTACCO CONTRO LA RETORICA INGANNATRICE E CONTRO IL NICHILISMO SOFISTICO
La filosofia di Platone non ha sempre l’alata poesia del Simposio e il sorriso ironico di Socrate. Si presenta anzi ad un certo punto come una dottrina militante che lotta contro l’errore in difesa di una precisa verità.
La morte di Socrate è stata certamente uno degli elementi che hanno mutato l’atteggiamento di Platone. Da quel momento egli ha cominciato una capitale riflessione sulla sofistica che lo ha portato ad individuare in essa una causa fondamentale della degenerazione di Atene.
La retorica insegnata dai sofisti è l’arte di adulare e sedurre le anime, di manipolare la volontà delle moltitudini attraverso discorsi che muovono le loro passioni, una sorta di culinaria dell’anima, mentre la vera politica ne equivale alla scienza medica.
I retori senza scrupoli, che, per sé, non credono in nient’altro che nel piacere senza limiti e che aspirano al potere attraverso il controllo dell’opinione delle masse, hanno corrotto Atene portandola verso la rovina. Del resto da sempre i politici democratici hanno lusingato le masse, e, per meglio persuaderle, ne hanno assecondato le passioni, anziché aiutarle a vincerle.
Vi sono due tipi di persuasione: quella che persuade attraverso la conoscenza e quella che persuade attraverso la credenza in quanto altri hanno detto. Socrate (nel dialogo Gorgia) condanna i “discorsi lunghi” ad effetto dei retori, che non permettono all’ascoltatore un consenso ragionato sull’argomento, e si dichiara fautore del “discorso breve”, in cui i dialoganti, verificando insieme la validità del ragionamento punto per punto, procedono insieme verso la verità. Platone vuole dunque restaurare, per quanti sono in grado di conseguirlo, un sapere politico vero, fondato sulla corretta conoscenza dell’ordine cosmico di cui la polis è parte, e riportare le masse alla disciplina e al controllo delle passioni.
§ 6. IL CAPOLAVORO DI PLATONE, LA REPUBBLICA: IL PROBLEMA DELLA GIUSTIZIA NELL'INDIVIDUO, NELLO STATO E NEL COSMO
IL SIGNIFICA-TO DELLA GIUSTIZIA E' MORALE, PO-LITICO, CO-SMICO E ME-TAFISICO

LO STATO COME "MA-CROANTRO-PO"
SI IMMAGINA UNO "STATO-TIPO": PER SOPRAVVIVE-RE ESSO A-VRA' BISO-GNO DELLA DIVISIONE DEL LAVORO
LA "SCONFI-NATA BRAMA DI RICCHEZ-ZA" E' FONTE DEL COM-MERCIO E DI MOLTI MALI
DALLA BRAMA DI RICCHEZZA DERIVA IL BI-SOGNO DEL-LA GUERRA E DEI GUERRIE-RI
IL “MITO FENI-CIO”: LA MA-DRE TERRA GENERA
GOVERNANTI, GUERRIERI E ARTIGIANI
LE TRE CLAS-SI CORRI-SPONDONO ALLE TRE ANI-ME: RAGIONE, CORAGGIO E DESIDERIO
LE DONNE POSSONO SVOLGERE LE STESSE FUN-ZIONI DEGLI UOMINI
LA RAGIONE DEVE CO-MANDARE NELL'ANIMA E I FILOSOFI NELLO STATO
IL LAVORO NON E' UNA VIRTU'
IL "COMUNI-SMO" PER I GUERRIERI E I FILOSOFI
ORDINE POLITICO E ORDINE TRA-SCENDENTE
VIETATE LE ARTI CHE IMITANO LE COSE SENSIBILI
IL MITO DEL-LA CAVERNA
GLI INGANNI DELL'IMMAGI-NAZIONE SENSIBILE
LA CREDENZA: SENSIBILITA' LIBERATA DAGLI INGANNI
LE SCIENZE MATEMATI-CHE E LA DIMOSTRAZIONE
LA DIALETTI-CA, CONO- SCENZA DI-RETTA DEI PRINCIPI E CLASSIFICA-ZIONE DELLE IDEE SULLA BASE DEL LORO LIVEL-LO DI GENE-RALITA'
LA POLITICA E' EDUCAZIO-NE: IL FILO-SOFO, CHE HA CONTEM-PLATO LE IDEE, HA L'AUTORITA' PER INSE-GNARE AGLI ALTRI LA GIUSTI ZIA
La Repubblica è probabilmente il dialogo più importante di Platone (ed è anche molto lungo). Alla lettera "Perì Politèias" significa "sullo Stato" o meglio "sulla Costituzione" (naturalmente la costituzione dello Stato-polis). Il sottotitolo era invece "Sulla giustizia". Il tema morale della giustizia però lega insieme discipline e campi di indagine diversi, che noi siamo abituati a considerare separati ed autonomi: filosofia politica, *pedagogia, *gnoseologia, *estetica, *metafisica. Daremo conto ora della Repubblica secondo l'ordine espositivo originale.
Per lui la giustizia è una virtù dell'anima individuale che
1) consiste nell'adeguarsi all'ordine dell'anima collettiva statale, nello stare al proprio posto, svolgendo la funzione cui si è predestinati dalle vite precedenti,
2) deve essere sviluppata dallo Stato attraverso l'educazione, la promozione della vera arte, e la trasmissione del sapere vero (conoscenza dell'ordine cosmico-metafisico),
3) poiché a sua volta l'ordine dello Stato deve adeguarsi all'ordine divino del tutto, la giustizia come virtù individuale si inquadra in un ordine e in una giustizia cosmico-metafisici.
Man mano che esporremo questi diversi temi platonici segnaleremo anche le diverse discipline ad essi corrispondenti, che *per noi moderni sono separate, distinte e autonome.
§ 6.1. La fondazione della città-modello e la divisione del lavoro tra i cittadini-artigiani
Nel 1° Libro viene respinta la concezione di Trasimaco, per cui giusto è ciò che giova al più forte, e per cui non esiste una vera e propria giustizia in sè, valida per tutti e dimostrabile con ragionamenti; il "giusto" esiste invece per convenzione: è ciò che fissano le leggi, promulgate da chi detiene il potere, chiunque sia, un tiranno o la maggioranza dei cittadini. Se dunque il giusto non esiste solo per legge, per convenzione, dovrà essere qualcosa di esistente in sé, e quindi valido sempre e per tutti (come si vedrà oltre).
Nel 2° libro ci si continua a chiedere che cosa sia la virtù della giustizia e se l'uomo giusto sia anche felice. Socrate, protagonista del dialogo, ritiene opportuno per questo analizzare lo Stato e i vari tipi di Stato, perché in essi, veri "macroantropi" (cioè "uomini in grande", individualità collettive) sono visibili le virtù e i vizi, e in particolare la giustizia e l'ingiustizia, con più evidenza che negli individui, nei "microantropi" ("uomini in piccolo").
Socrate e i suoi interlocutori provano dunque a fondare una città-Stato "en logois" ("nei discorsi", cioè con il puro ragionamento), entrando nel campo di quella disciplina che *noi chiamiamo "filosofia politica". Si comincia ipotizzando una comunità patriarcale che viva al livello di pura sussistenza, e che sia quindi autosufficiente o quasi. Qui ci sarà già una elementare divisione del lavoro, poiché ciascuno è in grado di produrre meglio nell'arte alla quale è naturalmente portato e che esercita per tutta la vita.
Tuttavia questo Stato, pacifico e sano, dove si vive in modo semplice e frugale nei costumi e nei cibi, alla contadina, non è conforme all'"uso comune", ai costumi dei contemporanei di Socrate, cosicché il suo interlocutore, il giovane aristocratico Glaucone (fratello di Platone), lo definisce "uno Stato di porci", che si accontentano di mangiare ghiande.
Si immagina allora che ci sia una più grande varietà di merci, eccedenti i bisogni naturali, e conseguentemente una più grande varietà di mestieri. Si infittiscono così anche i commerci, poiché la stessa terra non può produrre di tutto, e nasce il desiderio di impadronirsi del territorio dei vicini, per la "sconfinata brama di ricchezza oltre il limite del necessario", che caratterizza ora lo Stato. Essa è la "massima fonte di mali privati e pubblici".
§ 6. 2. Il problema del potere: guerrieri e filosofi. L'ordine della città e l'ordine dell'anima nei libri III, IV e V: confronto con il mito dell'anima tripartita nel Fedro.
La brama di ricchezza senza misura, che caratterizza secondo Platone in modo costitutivo l'uomo come essere corporeo, spinge dunque alla guerra, e alla creazione di un nuovo compito specializzato: quello del guerriero (si noti, per contrasto, che nell'Atene democratica in cui egli viveva, l'attività guerriera non era il compito esclusivo di un ceto, ma un diritto-dovere di tutti i cittadini liberi).
I guerrieri devono essere forniti della virtù del coraggio (thymòs, che in greco significa anche collera, ferocia), ma ciò comporta subito il pericolo che siano feroci tra di loro e contro i concittadini, come i cani da pastore nei confronti del gregge. Questo pone il problema della scelta di coloro che tra di essi devono detenere il potere di comandare su tutti gli altri. Si dovrà dunque narrare ai cittadini dello stato fondato "coi discorsi" il mito seguente: essi sono nati tutti insieme dalla madre terra e sono perciò fratelli; la divinità, però, nel formarli mescolò in alcuni oro (attitudine al comando), in altri argento (attitudine alla guerra), in altri bronzo e ferro (cittadini comuni o artigiani).
Questo mito (chiamato da Platone “il mito fenicio”) è del tutto parallelo a quello dell'anima come biga alata esposto nel Fedro: prima di incarnarsi in un corpo, l'anima (immaginata come un carro con due cavalli, uno valente e l'altro balzano, guidato da un auriga) viveva nel cielo insieme agli dei (anch'essi bighe alate, ma con cavalli perfetti) e con essi poteva volare fino nell'iperuranio (hypér ouranòn: sopra il cielo) a contemplare le idee. L'auriga (la ragione) cerca di tenersi il più possibile in alto per meglio contemplarle, aiutato dal cavallo buono (la forza di volontà), ma l'altro cavallo (che rappresenta il desiderio o epitymìa) lo trascina verso il basso. L'incarnazione è dunque una caduta dell'uomo da una precedente condizione di quasi perfezione e di beatitudine.
Le diverse attitudini naturali degli uomini derivano poi dalla parte dell'anima che è in loro prevalente, e ciascuno dovrebbe svolgere la funzione per cui ha naturale attitudine.
*Possiamo dire tuttavia che le anime in Platone appaiono dotate di eguale dignità, perché tutte egualmente provenienti dal mondo trascendente divino. Per esempio, le donne, secondo la Repubblica, possono svolgere le stesse funzioni degli uomini, nella misura in cui sno davvero in grado di farlo, e inoltre Platone non parla mai di schiavi nel suo Stato ideale. Tuttavia questa uguaglianza riguarda la prospettiva della vita eterna, mentre in ogni singola incarnazione gli essere umani devono seguire le attitudini che derivano immediatamente dalla loro condotta nella precedente vita e rispettare il destino che si sono scelti prima di incarnarsi (cfr. INFRA→ § 5 .5).
Dunque, secondo il Fedro, per la singola anima il giusto ordine consiste nel sottomettere il desiderio e il coraggio (la volontà) alla ragione, che conosce le idee; analogamente, secondo la Repubblica, il giusto ordine politico consiste – nel "macroantropo" dello Stato - nella sottomissione degli artigiani e dei guerrieri al comando dei filosofi, il cui compito specifico è la conoscenza del bene e la cui virtù è la sapienza (sofìa). *Si noti che mentre le classi dei filosofi e dei guerrieri sono caratterizzate da virtù positive specifiche - coraggio e sapienza - la classe dei contadini e artigiani partecipa solo alle generiche virtù dell'intero Stato e di tutte le classi giustizia e temperanza. La prima consiste nello stare al proprio posto e nel dare a ciascuno il suo e la seconda nel dominare il desiderio: virtù dunque che consistono piuttosto nell'obbedienza e nel non-fare che nel saper fare qualcosa di specifico). In effetti, *contrariamente a quanto noi moderni ci potremmo aspettare, l'alacrità, il lavoro produttivo e le capacità tecniche non sono virtù dell'anima per Platone, ma semmai è proprio l'anima dei produttori che è più facilmente preda del desiderio illimitato (epithymìa).
Saranno dunque solo i filosofi a governare nella città-modello, ma per poterlo fare dovranno anch'essi essere sottratti ai pericoli del desiderio, della brama oltre il limite: perciò filosofi e guerrieri non avranno proprietà privata, né famiglia propria, ma vivranno in comunità, avendo anche moglie e figli in comune, e senza alcun lusso. I loro accoppiamenti saranno predisposti nascostamente dai governanti anziani, che sorvegliano discretamente la vita collettiva e i banchetti. Inoltre essi non dovranno accoppiarsi mai con i cittadini della classe più bassa. Queste regole ed altre ancora hanno dato luogo all'accusa di razzismo e di totalitarismo nei confronti di Platone .
§.6.3. La teoria dell'educazione e la teoria della conoscenza: la condanna dell'arte imitativa, la funzione del mito, le scienze matematiche e la dialettica. Confronto con il Fedro (dialettica)
Le teorie dell'educazione (*pedagogia), dell'arte (*estetica) e della conoscenza (*gnoseologia) nascono da due esigenze complementari: 1)dall'esigenza politica di insegnare ai cittadini a stare al loro giusto posto nell'ordine della polis e, in particolare, di formare la classe dirigente dei filosofi, depositaria della conoscenza, e 2)dall'esigenza morale e religiosa di mostrare agli uomini la "via che porta in alto", al mondo delle idee, che li riporta cioè al loro posto originario vicino alla divinità.
LA PEDAGOGIA E L'ESTETICA
L'educazione avrà dunque lo scopo di purificare dal desiderio esclusivo e senza misura dei piaceri sensibili. L'amore per la bellezza sensibile deve essere semplicemente introduzione all'amore per la bellezza ideale, come era già stato detto nel Simposio. Sono perciò bandite dall'educazione dei fanciulli e dallo Stato stesso le arti imitative, che imitano direttamente le cose sensibili (in particolare le arti figurative, la poesia mitologica, la tragedia e la commedia) e sono promosse istituzionalmente la ginnastica, che rende sani e disciplina i corpi, e la musica del tipo più puro, che imita l'armonia delle idee. Platone dunque affronta il problema del significato dell'arte e della poesia, ma non come ambito autonomo e distinto della vita spirituale o culturale (questa impostazione sarà tipica solo dell'età moderna), bensì come aspetto dell'azione educativa, che secondo lui deve svolgersi essenzialmente per iniziativa dello Stato e sotto il controllo dei filosofi.
LA TEORIA DELLA CONOSCENZA: I QUATTRO LIVELLI DEL SAPERE
L'educazione dei filosofi (Libro VI) è il momento culminante della pedagogia platonica. Essa è al tempo stesso un problema politico (essi devono comandare sulle altre classi, garantire che ciascuno stia al posto assegnatogli dalle sue attitudini naturali, e che il desiderio senza misura non faccia uscire i cittadini dal quadro dell'equilibrio, dell'ordine e della misura dettati dalla ragione) e un problema religioso, metafisico e gnoseologico (i filosofi sono gli unici che conoscono veramente l'ordine divino dell'anima e del mondo).
Parlando dell'educazione dei filosofi, Platone delinea il quadro della conoscenza nel suo complesso (Libro VII). A questo scopo Platone impiega il "mito della caverna": l'uomo è come un prigioniero incatenato sul fondo di una caverna (il mondo sensibile), che non ha mai visto il mondo esterno e che - in un primo livello della conoscenza - scambia per realtà le ombre proiettate sulla parete della caverna dagli oggetti portati dai suoi carcerieri.
Questo livello si chiama "eikasia" o immaginazione: in esso l'uomo comune resta abbagliato dai riflessi illusori delle cose sensibili, nonché dagli artifici della fantasia e del linguaggio. Liberatosi dalle catene, l'uomo potrà elevarsi ad un secondo livello di conoscenza, nel quale riconosce il carattere illusorio delle ombre.
Si tratta della "pistis" o credenza, conoscenza sensibile e quindi sempre imperfetta, ma liberata dall'abbagliamento e dalle illusioni tipici del primo livello, in cui la realtà sensibile era considerata come la vera ed esclusiva realtà.
Dovrà poi, in terzo luogo uscire dalla caverna nel mondo esterno (il mondo intelligibile delle idee) dove dapprima, ancora abbagliato dalla luce, potrà guardare solo le ombre e i riflessi delle cose nell'acqua.
Si tratta del livello della conoscenza "dianoetica", cioè delle scienze matematiche, che, pur facendoci conoscere il mondo intelligibile delle idee, la vera realtà, ce lo fanno conoscere in forma derivata e ipotetica: l'aritmetica e la geometria si basano infatti su ipotesi non provate da cui deducono, in modo non contraddittorio e per dimostrazione, una serie di conseguenze). Alla fine il prigioniero liberato potrà contemplare le cose stesse, che simbolizzano le idee, e il sole, che sta per l'idea del Bene (conoscenza "noetica" o dialettica, che è la conoscenza diretta dei principi del mondo intelligibile, in particolare dell'idea del Bene, che è la causa reale di tutte le idee). Non si tratta più di una conoscenza ipotetica, come nel caso delle scienze matematiche e geometriche, ma di una conoscenza dei principi primi che giustificano le ipotesi di tutte le altre scienze.
Questi principi sono colti intuitivamente dalla mente, o intelletto (la conoscenza noetica è appunto la conoscenza attraverso il nous, mente o intelletto), fonte dell'ordine di tutta la conoscenza. Infatti la dialettica, come si vede anche in altre opere platoniche, come il Sofista e il Politico (→ §. 6) è l'arte di ordinare e classificare le idee dalla più generale alle più particolari. Secondo l'esempio del Politico, l'idea di "scienza" si suddivide in "scienza pratica" e in "scienza pura", la scienza pura si suddivide in "scienza dell'enunciare giudizi" e "scienza del comandare", dalla quale, dopo alcune suddivisioni, si giunge alla distinzione tra la "scienza del comandare su esseri irrazionali" e la "scienza del comandare su esseri razionali", che si divide infine in "scienza del comandare con costrizione violenta" e "del comandare con libera accettazione”: la Politica sarà così definita - in quel dialogo - come "scienza pura del comandare su esseri razionali con libera accettazione" .
La dialettica di Platone permette così di passare da una idea generalissima e astratta (in questo caso: la Scienza in generale) ad un'idea particolare (in questo caso, l'idea di Politica) attraverso la suddivisione delle idee in due sotto-idee sulla base della presenza o meno di una data caratteristica essenziale (per es. la presenza o meno della purezza teorica, dell'occuparsi di esseri forniti di ragione, del comandare attraverso la libera accettazione razionale), giungendo alla fine alla definizione completa dell'idea particolare.
Tornando al mito della caverna, in esso il filosofo è proprio l'uomo liberato, che ha contemplato la vera luce e che si assume la missione di tornare nella caverna e di illuminare gli altri prigionieri. Questi però sono legati alle loro illusioni e probabilmente lo respingeranno, lo ridicolizzeranno e lo minacceranno addirittura di morte (si pensi al destino di Socrate). Tuttavia il filosofo è l'uomo più adatto per comandare ed educare gli altri uomini.
Dunque Platone concepisce la politica essenzialmente come educazione. Il filosofo più degli altri ha contemplato le idee, sia nella vita precedente, sia grazie all'educazione che riceve dallo stato ideale: egli si è elevato non solo al di sopra della conoscenza sensibile, ma anche al di sopra delle semplici ipotesi, fino al mondo dei principi non ipotetici. Si è inoltre liberato, anche attraverso un'autodisciplina ascetica, dai desideri sensibili. Ha perciò l'autorità per comandare agli altri e per imporre loro il giusto comportamento. Egli ha quel senso della misura e del limite, quella conoscenza dei fini (dell'Essere in generale e della convivenza umana in particolare), quella conoscenza del bene e del male che già per Socrate costituivano la vera sapienza, coincidente con la vera virtù. Essa gli permette di levarsi al di sopra del sapere pratico-tecnico, delle varie "scienze dei mezzi", scienze meramente strumentali, di cui tanto si vantavano, in mezzo al demos, i sofisti, i professionisti e gli artigiani.
Tuttavia Socrate (così come ce lo presentano le opere giovanili di Platone) non pretendeva altra conoscenza oltre a quella di sapere di non sapere e altra autorità oltre a quella di criticare quanti pretendessero di sapere ciò che non sapevano: egli invitava tutti ad un lavorio interiore che portasse gradualmente, in linea di tendenza, verso la virtù o scienza dei fini (scienza del bene e del male), fermo restando che, per ogni uomo, la ricerca non avrebbe avuto termine, perché "sapiente è solo il Dio" (Apologia di Socrate). Il libro IV della Repubblica e i libri successivi ci presentano invece Socrate come un possibile filosofo-re , cioè come un uomo superiore agli altri, positivamente saggio e virtuoso ed in grado di comandare ai sudditi, nonchè di educarli (per quel tanto che è possibile data la natura della loro anime).

IL GOVERNO PERFETTO DEGENERA IN GOVERNI SEMPRE PEGGIORI, FINO ALLA TIRANNIDE

L'UOMO GIU-STO E' FELI-CE, E L'IN-GIUSTO IN-FELICE
I BUONI TORNERAN-NO NEL MONDO DELLE IDEE

LE ANIME SCELGONO I CORPI IN CUI REINCAR-NARSI
§.6.4. La degenerazione della città-modello: la storia come decadenza (libro VIII)
Ogni cosa che è generata deve anche perire, e solo ciò che è ingenerato, come le anime e le idee, è eterno e non perisce: questo è l'ordine del cosmo per Platone. Così anche la città-modello degenera e perisce, quando i governanti non riescono più a individuare i nuovi "uomini d'oro" che devono loro succedere nel comando.
Viene meno così la "monarchia" (letteralmente "governo di uno solo") del re-filosofo (che è anche "aristocrazia" nel senso del "governo dei migliori", cioè della classe dei filosofi, gli "uomini d'oro").
Ad essa succedono così altre forme di governo:
la "timocrazia" o "governo del coraggio", in cui comandano i guerrieri dediti a continue guerre (tale governo ricorda chiaramente quello spartano);
l'"oligarchia" ("governo dei pochi", e cioè dei ricchi) in cui comincia a dominare la "smisurata brama di ricchezza" intesa soprattutto come avarizia e accumulazione di capitali;
la "democrazia" (o "governo dei molti") in cui domina la massa, guidata dall'invidia per le ricchezze dei pochi, dagli appetiti sensibili, dal desiderio licenzioso di fare quel che le pare, e in cui sono trattati come eguali gli uomini che sono per natura ineguali;
e infine la "tirannide", in cui gli uomini, già prima schiavi dei loro desideri e passioni, sono ora schiavi di uno che è schiavo della bramosia senza limite e di tutte le passioni, tra cui la paura dei suoi sottoposti e dei suoi stessi amici. Esso pertanto domina attraverso il terrore.
§ 6.5. La giustizia nell'ordine umano e nell'ordine divino e il mito di Er (libri IX e X)
Nel Libro IX la giustizia è infine considerata nel suo aspetto individuale, e viene dimostrata la sua superiorità sull'ingiustizia in rapporto alla felicità dell'individuo. Gli individui sono classificati come "uomo regale", "timocratico", "oligarchico", "democratico" e "tirannico", sulla base della somiglianza della loro anima con la struttura di un certo Stato, o "macroantropo". L'"uomo regale" (il filosofo) è il più giusto e insieme il più felice, mentre l'"uomo tirannico" è il più ingiusto e il più infelice: il primo infatti realizza in sé la città ideale, realizzando la giusta gerarchia fra le tre anime e puntando ai veri beni, mentre l'"uomo tirannico" è dominato, come il tiranno, dall’anima inferiore e perciò dalla brama smisurata per i beni corruttibili del mondo sensibile.
*Come si vede, giustizia e ingiustizia, da cui conseguono felicità e infelicità, dipendono in ultima analisi dall'accordo o dal disaccordo con l'ordine divino *trascendente, con la gerarchia beni eterni soprasensibili / beni corruttibili di questo mondo. Il mito panfilio, narrato nel Libro X, espone questo ordine *trascendente. Il guerriero Er, della Panfilia (regione dell'Asia Minore), risorge dalla morte ed è inviato dalla divinità a narrare agli uomini il giudizio delle anime: a seconda della loro condotta nell'esistenza terrena, le anime dopo la morte sono punite dai giudici divini con le pene infernali, o per i loro meriti sono riammesse nel mondo delle idee, oppure sono sottoposte ancora al ciclo delle reincarnazioni per completare la loro purificazione. In questo caso la scelta dei corpi in cui incarnarsi, e dei conseguenti destini, è fatta da loro stesse sotto la propria responsabilità. Gli uomini, dunque, in ultima analisi sono liberi. Se crederanno a questo mito e avranno cura della loro anima, saranno salvati.
§.7. IL "PARRICIDIO" DI PARMENIDE NEL "SOFISTA" E L'ORDINE DIVINO DEL MONDO NEL "TIMEO"
L'idea che il vero Essere sia il mondo intelligibile, afferrabile non con i sensi, ma con il discorso razionale e con l'intuizione intellettuale (cioè con la visione interiore del filosofo), è derivata *verosimilmente da Platone dalla tradizione eleatica: egli del resto nel Parmenide riconosce la matrice eleatica della sua filosofia. L'idea del Bene, causa suprema unitaria di tutte le idee intelligibili, è *dunque un tentativo di adeguarsi all'esigenza parmenidea dell'assoluta unità dell'Essere. Ma alcune cose che abbiamo esposto in precedenza ci mostrano che per altri versi egli era assai lontano da tale tradizione: 1) il dualismo mondo sensibile-mondo intelligibile, pur svalutando l'al di qua rispetto alla *trascendenza, non lo riduce a puro Non Essere, come fa invece il monismo* di Parmenide (per il quale l’Essere è uno solo, e non è propriamente un mondo, un assetto ordinato, ma qualcosa di assolutamente semplice, non articolato), 2) la dialettica di Platone, pur considerando il Bene come il principio unitario da cui dedurre tutte le altre idee, non esclude affatto la pluralità dal mondo intelligibile, che si presenta come una complessa gerarchia d'idee generali e idee particolari.
L'IDEA TRASCENDENTE DEL BENE CI RICORDA L'ESSERE DI PARMENIDE
TUTTAVIA IN PLATONE PERMANE LA MOLTEPLICITA' DELLE IDEE E DELLE COSE
La critica sistematica di Parmenide costituisce un momento di svolta nel pensiero di Platone, che comporta una rielaborazione di moltissime sue posizioni precedenti. Essa inizia nel dialogo Parmenide in cui è immaginato un incontro tra Socrate giovane, Zenone e Parmenide, durante il quale Socrate (*e cioè naturalmente Platone) riconosce la
PLATONE INDIVIDUA I "GENERI SOMMI" DEL DISCORSO
contraddittorietà della sua precedente dottrina delle idee, e confuta anche la posizione eleatica per cui "solo l'uno è". Nel Sofista non sarà più Socrate il protagonista, ma uno "straniero di Elea" che identificherà cinque "generi sommi del discorso" (i predicati più generali di tutte le possibili affermazioni e proposizioni): l'Essere, il Moto, la Quiete, l'Identico e il Diverso. L'Essere, di tutti il più predicabile, non sarà più definito come ciò che è assolutamente "in sé", al di sopra di ogni generazione e corruzione, ma come ciò che possiede la potenza di fare o subire qualcosa, anche solo per una volta", cioè, come si vede, in modo tale da includere anche il mondo sensibile del divenire.
ESSERE E' TUTTO CIO' CHE PUO' FARE
O SUBIRE QUALCOSA ANCHE PER UNA SOLA VOLTA
La dialettica, identificata con la filosofia stessa, è l'arte di predicare nel modo giusto un certo genere di un certo altro, per cui si potrà dire dell'Essere che certe volte è Moto e certe volte è Quiete, ed è Identico a certi altri Esseri e Diverso da certi altri. Si potrà così anche dire che in certi casi un Essere non è: per esempio l'Essere in moto non è l'Essere in quiete, in quanto il Moto è diverso dalla Quiete. Il genere del Diverso ha permesso così di riabilitare il Non Essere, ma non si tratta del Non Essere assoluto, "in sè" (il puro Nulla, il Vuoto) bensì di un Non Essere relativo, un "Essere Diverso da Altro". Questo Non Essere relativo riguarda anche il mondo intelligibile delle idee: esse infatti sono anima, vita e mente (cioè Spirito*, diremmo noi), e non possono perciò essere prive di moto, essere cioè semplice Identità e semplice Quiete.
L'ESSERE NON E' NEL SENSO CHE E' "DIVERSO DA"
La dialettica per Platone concerne senza distinzione tanto il campo della Filosofia Prima (o Metafisica*, scienza dell'Essere) quanto quello della Logica (scienza del discorso). Naturalmente queste innovazioni si riflettono ben presto sulla dottrina dell'ordine del mondo sensibile (la Fisica, come la chiamano di solito i greci, o Cosmologia*, come sarà anche chiamata in seguito).
L'ORDINE DEL MONDO E' OPERA DI UNA DIVINITA' INTELLIGENTE
Platone è ora in grado di parlare in modo più coerente dell'ordine del mondo. Nel mito cosmogonico narrato da Timeo nel dialogo omonimo viene descritta la formazione dell'ordine cosmico per opera del Demiurgo, la divinità che dà forma alla materia eterna caotica sul modello della perfezione delle idee. Il nostro cosmo è dunque il "figlio" della materia o spazio (l'eterna "madre") e del mondo intelligibile (il "padre" perfetto): con esso nasce il tempo che può esistere solo se vi è un movimento regolare di qualcosa nello spazio. E'poi il differenziarsi della materia
IL MONDO HA UN CORPO ED UN'ANIMA.ESSO E'
MESCOLANZA DEI GENERI SOMMI INTELLEGIBILI
nello spazio che consente il movimento: senza la diversità delle varie parti della materia dislocate in diversi punti dello spazio il movimento non sarebbe possibile.
Il cosmo ha dunque un corpo, che si muove nello spazio, e un'Anima intelligente, che regola questo moto. Essa è il frutto della mescolanza dei generi sommi intelligibili, che sono in questo dialogo l'Indivisibile e il Divisibile, l'Identico e il Diverso. La Quiete si ricollega poi con il genere sommo dell'Identico, e il Movimento con il Diverso.
MATERIA E FORMA IN PLATONE ED ESIODO
Si notino le analogie con il mito esiodeo: in primo luogo il contrasto tra la divinità intelligente formatrice (il mondo intelligibile e il Demiurgo per Platone, gli dei olimpici e Zeus per Esiodo) e la materia eterna, ricettacolo della forma e priva di intelligenza (detta Madre Terra tanto da Platone che da Esiodo); poi l'esistenza del caos già prima dell'azione formatrice (Platone lo chiama Spazio e lo identifica con la Terra), mentre in seguito la teologia cristiana considererà l'intero mondo come originato dalla creazione; infine il fatto che il Tempo (Cronos) viceversa non esiste dall'eternità, ma è generato dall'intelligenza ed è già indizio di ordine e di forma. Platone dice che è "immagine mobile dell'eternità", e nel resto del dialogo si capisce che il tempo è determinato dal girare su se stessa della sfera del cosmo: *possiamo dire dunque che il tempo e immagine mobile dell'Eternità perchè non è un divenire infinito e caotico, ma il ripetersi definito e ordinato di un ciclo.
ORDINE LOGICO E GEOMETRICO DEL MONDO
Vediamo ora meglio il rapporto tra la dialettica dei generi dell'essere esposta nel Sofista e l'ordine cosmico del Timeo.
IL MONDO E' VIVO E INTELLIGENTE PERCHE' TALI SONO LE IDEE
La tensione tra identico e diverso è presente innanzitutto nell'"Anima del mondo", la quale pervade interamente il mondo stesso, rendendolo vivo e intelligente, a immagine dell'ordine delle idee (che sono, dice qui Platone, "vita, anima e mente"). Da essa il Demiurgo ha tratto le anime degli dei e le anime di tutti i viventi, le quali, avendo sede originariamente negli astri accanto alle divinità, si incarnano negli uomini, negli animali e nelle piante. Il filosofo sottolinea il legame tra ogni anima e una particolare divinità astrale: il corso astrale spiega così i diversi caratteri e i destini delle anime.
LA PROVVIDENZA DOMINA SULLA NECESSITA'
La Provvidenza ("Pronoia") agisce sul mondo assegnando a tutte le sue componenti finalità precise e coordinate (questo è il *finalismo cosmologico di Platone, contrapposto al *meccanicismo di Democrito). Secondo Platone, l'intelligenza divina, che dà ordine al mondo e lo volge al Bene, domina e piega ai suoi scopi la "necessità cieca".
LE PARTICELLE GEOMETRICHE AGGREGANDOSI
GENERANO I QUATTRO ELEMENTI
La materia stessa è sottoposta all'ordine ideale matematico-geometrico e suddivisa in particelle invisibili di forma geometrica regolare. Le particelle dell'aria e dell'acqua sono multipli della stessa figura geometrica solida (il tetraedro regolare) di cui è composto il fuoco, che viene così a essere il loro elemento-base. Possono perciò trasformarsi l'una nell'altra, e nel fuoco stesso, per aggregazione e disgregazione, e possono passare anche provvisoriamente allo stato solido (unendosi in cubi, sempre multipli del tetraedo). Viceversa l'elemento terra (fatto di cubi iriducibili) non è trasformabile negli altri.
Adattandosi le une alle altre, le particelle riempiono tutto lo spazio (che per Platone è finito), e quindi non esiste il vuoto. *Si noti il contrasto con la dottrina dello spazio infinito e vuoto di Democrito.
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