Nietzsche

Materie:Riassunto
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Testo

NIETZSCHE
Vita e scritti
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Ròcken, presso Lipsia, il 15 ottobre 1844, dar arl Ludwig, pastore protestante, e da Franziska Oehler («come pianta sono nato vicino al camposanto, come uomo nella casa del pastore»). Nel 1849 perde il padre, che muore per una malattia al cervello. Nel 1850 la madre si trasferisce a Naumburg, con Friedrich e la sorella Elisabeth. A dodici anni comincia a scrivere poesie e a comporre musica. Nel 1858 entra nella prestigiosa scuola di Pforta, nota per i suoi rigidi sistemi educativi. Nel 1864 viene immatricolato come studente di teologia a Bonn. Nel 1865 si trasferisce a Lipsia, dove segue le lezioni di Friedrich Ritschl, uno dei maggiori studiosi tedeschi di filologia classica. A Lipsia, nell'inverno 1865-1866, legge per la prima volta Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer e ne rimane conquistato («qui vedevo uno specchio nel quale potevo scorgere il mondo, la vita, il mio animo in una grandiosità terribile. Qui mi contemplava l'occhio disinteressato dell'arte, qui vedevo la malattia e la guarigione, la messa al bando e il rifugio, l'inferno e il paradiso...»).
Nel 1867 stringe amicizia con Erwin Rohde. Nel 1869, a soli 24 anni, ottiene la cattedra di lingua e letteratura greca presso l'università svizzera di Basilea, dove ha come collega lo storico TacobBurckhardtj di cui seguirà le lezioni sullo studio della storia. Entra in rapporto con il teologo Franz Overbeck, che gli sarà amico sino alla fine, e con Richard Wagner, che si era ritirato con Cosima Bulow nella villa di Tribschen, sul lago dei Quattro Cantoni, divenendo un fervente ammiratore del musicista («La vicinanza di Wagner è la mia consolazione»; «Ciò che io laggiù imparo e vedo, ascolto e intendo, è indescrivibile. Schopenhauer e Goethe, Eschilo e Pindaro vivono ancora»). Allo scoppio della guerra franco prussiana, si arruola come infermiere volontario. Ammalatesi di difterite, viene presto congedato.
Nel 1872 pubblica il suo primo libro, Lanascita della tragedia, che incontra l'ostilità dei filologi. Attaccato dall'influente Ulrich von Wilamowitz-Moellendorf, viene difeso da Wagner e da Rohde. Progetta Il libro del filosofo. Nel 1873 scrive La filosofia nell'epoca tragica dei Greci e Su verità e menzogna in senso extramorale, rimasti inediti. Tra il 1873 e il 1876 escono le quattro Considerazioni inattuali. Conosce Malwida von Meysenbug e stringe nuove amicizie, in particolare con Paul Ree e Heinrich Kòselitz (noto con lo pseudonimo di Peter Cast). Frattanto l'amicizia con Wagner si va affievolendo. Nietzsche è portato a vedere in lui l'estremo rappresentante del romanticismo e a scorgere, nell'ultima fase della sua opera, orientata nostalgicamente verso il cristianesimo, l'affermarsi di uno spirito di rassegnazione e di rinuncia. Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi, di cui esce la prima parte nel 1878, segna il suo distacco da Wagner e da Schopenhauer. Intanto la salute del filosofo si va indebolendo, ed egli viene colpito da emicranie, attacchi di vomito e disturbi alla vista. Nel 1876 interrompe l'insegnamento a Basilea e nel 1879 rinunzia definitivamente alla cattedra. Da allora in poi, la sua vita sarà quella di un malato inquieto e nervoso, in perpetuo vagabondaggio da una città all'altra, da una pensione all'altra. Sempre alla ricerca di climi favorevoli e di una salute che non verrà mai, Nietzsche vive, in solitudine, tra la Svizzera, l'Italia e la Francia meridionale, tutto preso dalla composizione delle sue opere e dalla speranza, sempre delusa, che esse gli suscitassero intorno una schiera di discepoli e di seguaci. Nel 1880 esce la seconda parte di Umano, troppo umano, che comprende le due appendici Opinioni e sentenze diverse (1879) e Il viandante e la sua ombra (1880). Nel 1881 esce Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, che reca, come didascalia, un passo dei Rigveda: «Vi sono tante aurore che ancora devono risplendere». Ad essa segue La gaia scienza (1882), in cui si affacciano alcune tesi tipiche della dottrina nietzscheana.
Nel 1882, in casa Meysenbug, Nietzsche conosce una giovane russa di 21 anni, Lou Salomé. In questa donna dotata di fascino e intelligenza (che in seguito sarà amica di Rilke e Freud), crede di aver trovato una discepola e una compagna di eccezione. Ma ella rifiuta di sposarlo, preferendogli Paul Rèe, con cui vivrà per qualche tempo in libera unione a Berlino (suscitando lo scandalo dei benpensanti dell'epoca, tra i quali la sorella di Nietzsche, che minaccerà di denunciare i due concubini alla polizia). Il filosofo si sente abbandonato e tradito (anche se Lou non sposerà Paul Rèe, bensì l'orientalista Friedrich Cari Andreas). Nell'ottobre del 1882 incontra per l'ultima volta Rèe e Salomé, con i quali mantiene l'impegno formale di studi in comune. I dissidi con la madre e con la sorella a causa della faccenda Lou (da esse detestata) si accentuano.
In dicembre, la crisi con i due amici di un tempo si aggrava e la depressione di Nietzsche aumenta («Quest'ultimo boccone di vita è stato per me finora il più duro da masticare ed è pur sempre possibile ch'io ne rimanga soffocato [...] Se non riesco a inventare l'espediente alchimistico di trasformare anche questo fango in oro, sono perduto». Nel 1883 rompe definitivamente con Rèe e Lou ed entra nuovamente in contrasto con la sorella, a causa del fidanzamento di quest'ultima con il wagneriano e antisemita Bernhard Fòrster (che sposerà nel 1885). Successivamente si riconcilia con lei. Il rapporto con la madre e la sorella resterà comunque conflittuale («confesso che la più profonda obiezione contro "l'eterno ritorno" [...] è sempre stata mia madre e mia sorella»).
Nel 1883 pubblica la prima e la seconda parte di Così parlò Zarathustra a cui segue la terza parte nel 1884. Non avendo trovato un editore per la quarta parte, la fa uscire a sue spese nel 1885. Nel 1886 pubblica Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire, che sulla quarta di copertina reca la notizia ufficiale della sua intenzione, risalente all’agosto del 1885, di far uscire un'opera intitolata La volontà di potenza. Opera che non verrà mai scritta. Fra il 1886 e il 1887 ripubblica gli scritti precedenti, con nuove introduzioni e integrazioni. Nel 1887, sempre a proprie spese, fa uscire Genealogia della morale. Uno scritto polemico, a cui seguono Il caso Wagner. Crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello, L'Anticristo. Maledizione del cristianesimo, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è. Nietzscbe contra Wagner Opuscoli e libelli che egli, in un periodo di grande euforia psichica e di massacrante lavoro intellettuale, compone nel 1888. Nello stesso anno, lo studioso danese Georg Brandes tiene lezione su Nietzsche all'università di Copenaghen.
Frattanto il filosofo si era stabilito a Tonno, città di cui si dichiara entusiasta e nella quale, in circostanze non del tutto chiare e documentate - compreso l'episodio del cavallo percosso, che Nietzsche, impietosito, avrebbe «abbracciato» - da i primi segni di squilibrio mentale. Ai primi del 1889 (la data probabile è il 3 gennaio) ha un crollo psichico, e scrive lettere esaltate (i cosiddetti «biglietti della pazzia») ad amici, a Cosima Wagner, a uomini di Stato e a membri di case regnanti (fra cui Umberto I). Il destinatario di una di queste lettere è Burckhardt, che, allarmato, avverte Overbeck (il quale sembra fosse già stato avvertito dalla famiglia Fino, che ospitava il filosofo in via Carlo Alberto). Recatesi a Torino, Overbeck trova l'amico in preda alla pazzia e lo porta con sé a Basilea, dove viene ricoverato in una clinica per malattie nervose.
Alla morte della madre (1897), che lo aveva portato con sé prima a Jena e poi a Naumburg, viene preso in custodia dalla sorella, che, dopo il suicidio del marito in seguito al fallimento di un'impresa coloniale in Paraguay, aveva fondato un Archivio a Weimar, con il proposito di gestire l'eredità letteraria del fratello e conservarne i manoscritti. Intanto la fama di Nietzsche continuava a crescere, proprio quando il filosofo, immerso nella notte della follia, non poteva più rendersene conto. Alla sua morte, avvenuta a Weimar il 25 agosto del 1900, i libri che egli aveva pubblicato a sue spese correvano ormai per l'Europa.
Le Edizioni Delle Opere
La prima edizione complessiva delle opere è quella pubblicata dall'Archivio Nietzsche di Weimar, di cui era custode la sorella. Nota come «edizione in ottavo grande», consta di 19 volumi, l'ultimo dei quali è del 1913 (ma il Register, cioè l'Indice, è del 1926). Essa comprende anche una serie imponente di appunti inediti, di notevole importanza teoretica e storiografica.
Una parte di questi appunti, raggnippati in modo tematico e aforistico da Peter Gast e da Elisabeth Fòrster - nell'intento di offrire ai lettori l'ultima e definitiva sintesi del pensiero nietzscheano - verrà data alle stampe con il titolo Der Wille zur Macht {La volontà di potenza). La prima edizione di WzM è del 1901 e comprende 483 aforismi. La seconda è del 1906 e comprende 1067 aforismi. La terza, quella definitiva e canonica, con lievi modifiche rispetto alla precedente, è del 1911. Sebbene sia il frutto di un arbitrio editoriale (poiché Nietzsche, come si è visto, pur avendo progettato di pubblicare un'opera con questo titolo, non ha mai realizzato il suo piano), La volontà di potenza ha un notevole valore storico, poiché è proprio su questa raccolta che si eserciterà gran parte dell'intelligenza europea della prima metà del Novecento, a partire da Heidegger, che deve ad essa il suo incontro con Nietzsche.
La seconda fondamentale edizione delle opere complete è la Musarion Ausgabe, in 23 volumi (1920-29), che risulta più attenta all'ordine cronologico e pubblica nello stesso volume le opere e gli scritti postumi relativi. L'edizione più nota del dopoguerra è quella di K. Schlechta (Miinchen, Hanser 1956, in tre volumi, con l'aggiunta di un quarto volume di Indici nel 1965) che rigorizza ulteriormente il criterio cronologico. Criterio a cui si ispira anche la monumentale edizione critica delle opere nietzscheane a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, che, lasciando definitivamente cadere l'idea di un ordine tematico, presenta i vari scritti nella loro oggettiva sequenza cronologica. Pubblicata da de Gruyter di Berlino, a partire dal 1967, tale edizione è uscita contemporaneamente in Italia, a partire dal 1964, presso l'Adelphi di Milano.
Nazificazione e denazificazione
II nome di Nietzsche è stato associato, per lungo tempo, alla cultura nazifascista, al punto che si è giunti a parlare del nazismo come di un «esperimento nietzscheano» (tesi avanzata di recente anche da Ernst Nolte, secondo cui «senza taluni aspetti del nietz-scheanesimo» il nazismo «non sarebbe divenuto ciò che fu, più di quanto il movimento operaio non sarebbe stato ciò che è stato senza il marxismo»). Questa lettura, che ha trovato la sua espressione emblematica nel libro di Alfred Baumler, Nietzsche, il filosofo e la politica (1931), è stata agevolata dalle operazioni della sorella Elisabeth, che ha contribuito a diffondere l'immagine di Nietzsche come teorico e propugnatore di una palingenesi reazionaria dell'umanità.
Tuttavia, come ha notato Maurizio Ferraris, la tradizione diffusa, tuttora trionfante nei libri di testo, di «una sorella maledetta intenta a aggiungere inni antisemiti o protonaziisti al discorso del fratello» che, in tal modo, verrebbe «consegnato inerme a una tradizione deformante» ha finito per assumere i tratti di una vera e propria «leggenda». Tant'è che, rifiutandosi di ridurre Elisabeth a una sorta di «falsaria sistematica», lo studioso citato ha finito per parlare di «sorella parafulmine» e del «tentativo di obiettivare in Elizabeth ciò che non si riesce a sopportare nel fratello.
Anche se bisogna ammettere, con franchezza, che nei testi editi e inediti di Nìètzsche si trovano spunti antidemocratici e anti-egualitari atti a favorire, se non proprio un'interpretazione da Terzo Reich - che finirà per essere ripudiata dagli stessi teorici del nazismo - per lo meno una lettura reazionaria» o «di destra».
Anzi, negli ultimi decenni, in certe zone della critica militante, alla figura di Nietzsche nazista» è subentrata la figura di un Nietzsche «progressista». Questo radicale mutamento di prospettiva ha comportato a sua volta talune esagerazioni, come quando si è voluto contrapporre, all'immagine di Nietzsche come precursore di Hitler, l'immagine di Nietzsche come compagno di strada di Marx. Esagerazioni che, in certi casi, si sono risolte in una manifesta manipolazione ideologica, antitetica, ma complementare, rispetto a quella nazista..
In questi ultimi anni, la situazione è cambiata o sta cambiando. Infatti, con il venir meno delle opposte «leggende» di un Nietzsche nazista o maìtre-à-penser utopico-progressista, ha cominciato ad affermarsi un punto di vista che, puffsottolineando gli elementi di novità e rottura della sua filosofia, non intende misconoscerne - per rispetto dei testi - le componenti reazionarie.
Caratteristiche del pensiero e della scrittura dì Nietzsch
Il pensiero di Nietzsche risulta caratterizzato da una radicale messa in discussione della civilta e della filosofia dell’Occidente, che si traduce in una distruzione programatica delle certezze del passato.
Quest'opera di demolizione polemica del passato non si risolve in un semplice rifiuto delle teorie e dei comportamenti tradizionali, in quanto mette capo allla delineazione di un nuovo tipo di umanità: «il superuomo» o «l'oltreuomo». Da ciò il carattere propositivo - e non puramente distruttivo - del filosofare nietzscheano.
A questa originalità di contenuti si accompagna la ricerca di nuove modalità espressive e di nuove forme di comunicazione filosofica. Nietzsche è un geniale poligrafo, in cui si alternano generi e stili diversi. Negli scritti giovanili è ancora legato alla forma accademica del saggio e del trattato. A partire da Umano, troppo umano, parallelamente, alla sfiducia nelle grandi costruzioni sistematiche del passato e all'influenza dei moralisti francesi, opta per la forma breve dell'aforisma, cioè per l'illuminazione istantanea, finalizzata a cogliere le cose al volo. Nietzscneparagona l'aforisma alle figure in rilievo, che, essendo incomplete, esigono dall'osservatore di integrare «col pensiero ciò che gli si staglia davanti». Ne segue che non basta leggere un aforisma per capirlo. Piuttosto, dopo averlo letto, deve cominciare la sua interpretazione. L'aforisma esige quindi «un'arte dell'interpretazione», ovvero una pratica che i moderni hanno disimparato e che Nietzsche chiama «ruminare».
Così parlò Zarathustra, che si ispira alla scrittura in versetti propria dei Vangeli, segue il modello della poesia in prosa e dell'annuncio profetico, ricco di simboli, allegorie e parabole. Negli ultimi scritti prevalgono l'esposizione autobiografica e l’invettiva polemica. Questi diversi stili hanno, come attributo comune, un tono personale e coinvolgente, che testimonia l’esistenzialità del filosofare nietzscheano: «In tutte le opere.
Il pensiero di Nietzsche è programmaticamente asistematico anche quando progetta opere che hanno l’apparenza della sistematicità o dell'organicità.
In virtù della sua fisionomia asistematica, il pensiero di Nietzsche è ben lontano dal formare una costruzione architettonica conclusa. Inoltre, il suo discorso multidimensionale presenta una pluralità di significati e di direzioni di marcia non totalizzabili univocamente. Per cui, in relazione a questo «pensiero nomade» (com'è stato definito) non esistono monopoli interpretativi, ma, in modo ancora più accentuato rispetto ad altri filosofi, solo tracce o ipotesi di lettura.
Fasi O Periodi Del Filosofare Nietzscheano
L'opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa in alcune fasi, che non vanno intese alla stregua di scansioni rigide, ma come tappe transitorie di un pensiero in divenire, che riunisce, in se stesso, rottura e continuità:
1) Gli scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano (1872-1876), che comprendono La nascita della tragedia (1872), le quattro Considerazioni inattuali (1873-76) e taluni inediti, fra cui La filosofìa nell’epoca tragica dei Greci (1873) e Su verità e menzogna in senso extramorale;
2) Gli scrini intermedi del periodo «illuministico» O «genealogico» (1878-1882), che comprendono Umano, troppo umano (1878-1880), Aurora (1881), La gaia scienza (1882), Gli idilli di Messina (1882) e una serie coeva di frammenti postumi;
3) Gli scritti del meriggio o di «Zarathustra» (1883-1885), che comprendono Così parlò Zarathustra e i relativi frammenti postumi.
4) Gli scritti del tramonto o degli ultimi anni (1886-1889), che comprendono Al di là del bene e del male (1886), Genealogia detta morale (1887), Il caso Wdgner, Crepuscolo degli idoli, L’Anticristo, Ecce homo, Nietzsche cantra Wagner (tutti del 1888).
Il Periodo Giovanile
Tragedia e filosofia
Nascita e decadenza della tragedia
La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Ovvero: grecita e pessimismo (1872) è un'opera composita, nella quale coesistono, di fatto, filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. L'ispirazione dominante dello scritto, come attestano gli influssi schopenhaueriani e le reazioni negative dei filologi puri, è comunque di tipo filosofico. D’altra parte, Nietzsche non si era mai identificato con la filologia accademica.
Il motivo centrale di La nascita della tragedia è la distinzione fra «apollineo» e «dionisiaco». Con questa coppia di opposti (che si concretìzza ìn altre sotto-coppie, come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sogno-ebbrezza, luce-oscurità, serenità-inquietudine) Nietzsche intende, innanzitutto, i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greca. L’apollineo, che scaturisce da un impulso alla forma e da un atteggiamento di fuga di fronte al divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica. Il dionisiaco, che scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime nell'esaltazione creatrice della musica (e della poesia lirica). In contrasto con la filologia dominante e con l'immagine (neoclassica) dell'Ellade come mondo della serenità e dell'equilibrio (ossia come regno dell'apollineo), Nietzsche insiste sul carattere originariamente dionisiaco (o «asiatico») della sensibilità greca, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte e gli aspetti terribili dell’essere. Tant’è vero che l'apollineo nasce solo sul terreno di una visione dionisiaca dell’esistenza e dal tentativo di sublimare il caos nella forma, ossia dallo sforzo di trasfigurare l'assurdo in un mondo definito e armonico, capace di rendere accettabile la vita. Gli stessi dèi olimpici sono nient’altro che un modo per «sopportare» la caducità dolorosa dell’essere uomini.
In un primo tempo, nella Grecia presocratica, impulso apollineo e impulso dionisiaco convivono separati ed opposti. In un secondo tempo, nell’età della tragedia attica (di Sofocle e di Eschilo), apollineo e dionisiaco si armonizzano fra di loro, dando origine a capolavori sublimi. Infatti, sebbene vivificata dallo spirito dionisiaco, la grande tragedia manifesta un perfetto «accoppiamento» fra apollineo e dionisiaco. Come attesta appunto la tragedia attica che è, nello stesso tempo, apollinea (nelle parti sceniche e nel dramma) e dionisiaca (nella musica e nella danza del coro) in quanto riunisce, in un’unica opera sia la rappresentazione del mondo, propria dell'apollineo, sia il furore orgiastico, proprio del dionisiaco.
Nell'arte successiva, la sintesi fra dionisiaco e apollineo, che per Nietzsche rappresenta un autentico «miracolo metafisico» della civiltà ellenica, viene messa in forse dal prevalere dell'apollineo, che trionfà sul dionisiaco fin quasi a soffocarlo. Questo processo di decadenza si concretizza nella tragedia di Euripide (che porta l'uomo quotidiano sulla scena, trasformando il mito tragico in un susseguirsi realistico_di avvenimenti razionalmente concatenati) e attinge la sua espressione paradigmatica nell'insegnamento razionalistico e ottimistico di Socrate.
La decadenza della tragedia funge quindi da spja rivelatrice della decadenza della civiltà occidentale nel suo complesso e trova il suo simboìo nell’opposizione irriducibile fra spirito dionisiaco e spirito socratico, ossia fra un uomo tragico, portato a dir di sì alla vita, e un uomo teoretico, portato a violentare la vita con «la sferza dei suoi sillogismi».
Spirito Tragico E Accettazione Della Vita. La «Metafisica Da Artista»
La celebrazione nietzscheana dello spirito tragico e dionisiaco coincide con una forma di celebrazione della vita che, a rigore, non può venir definita né «pessimista» né «ottimista», in quanto tende a porsi programmaticamente al di là del pessimismo e dell'ottimismo. Da ciò il problema dei rapporti fra Nietzsche e Schopenhauer.
Da Schopenhauer Nietzsche deriva la tesi del carattere doloroso e «raccapricciante» dell'essere. Di Schopenhauer respinge la tematica dell'ascesi. Infatti, alla noluntas schopenhaueriana egli contrappone, sin dall’inizio, un atteggiamento di entusiastica accettazione dell'essere: nella globalità dei suoi aspetti. La vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha ordine, né scopo, il caso la domina e i valori umani non trovano in essa garanzie precostituite Due atteggiamenti sono allora possibili di fronte ad essa. Il primo è quello della rinuncia e della fuga, che mette capo all’as'etismo. È l'atteggiamento che Schopenhauer derivò dalla sua diagnosi ed è l’atteggiamento proprio della morale cristiana e della spiritualità comune. II secondo è quello dell'acccttazione della vita così com’è ed è l'atteggiamento che mette a capo all’esaltazione della vita e al superamento dell’uomo. Nietzschg vuole essere un discepolo di Dioniso, poiché nell'antica figura greca egli vede il simbolo del suo «Sì» totale al mondo. Dioniso è il dio dell’ebbrezza e della gioia, il dio che canta, ride e danza. Egli è l’incarnazione di tutte le passioni che dicono «Sì» alla vita e al mondo:
«L'orgoglio
la gioia
la salute
l’amore dei sessi
il rispetto
i bei gesti, le belle maniere, gli oggetti belli
la volontà forte
la disciplina educativa dell’intellettualità elevata
la volontà di potenza
la riconoscenza verso la terra e la vita...»
Ma se il mondo è una sorta di gioco estetico e tragico, costituito dalla lotta fra gli opposti primordiali (vita-morte, gioia-dolore ecc.) ne segue che solo l’arte riesce a comprendere veramente il mondo (Nietzsche parla di «giustificazione estetica dell’esistenza»). Da ciò la natura metafìsica dell’arte e la sua funzione di organo della filosofia.
Questa esaltazione della tragedia, che si accompagna ad una ceoncezione della civiltà come processo di decadenza dovuto al progresivo imporsi dello spirito antitragico, di tipo socratico-platonico, sfocia nell’ideale dì una rinascita della cultura tragica, incentrata sul’arte, in particolare sulla musica, di cui Nietzsche scorge un’incarnazione emblematica in Wagner. «Artista wagneriano» e «filosofo schopenhaueriano» appaiono quindi, al Nietzsche di questo perìodo, come i due fari, o i due maestri ispiratori, di ogni possibile opera di rinnovamento.
Le Considerazioni Inattuali: storia e vitaa
Fra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro Considerazioni inattuali, in cui l'auspicata rinascita della cultura tragica, più che in un progetto alternativo di civiltà, si traduce in un'opera di critica della cultura contemporanea.
Nella prima Inattuale, David Stmuss, l'uomo di fede e lo scrittore (1873), Nietzsche attacca il vecchio Strauss, il cui libro, L'antica e la nuova fede (1872), gli appare inficiato da uno svergognato «ottimismo da filisteo», degno del peggior «Vangelo da birreria».
Nella seconda Inattuale, Sull'utilità e il danno della storia per la vita (1874), Nietzsche si schiera apertamente contro lo storicismo e lo storiografìsmo, sostenendo che «l’eccesso» di storia indebolisce le potenzialità creatrici dell'uomo, sino ad assumere i tratti di una vera e propria «malattia». Infatti, oltre che soffrire di una coscienza «epigohale», propensa a ritenere che non si dia (più) nulla di nuovo sotto il sole, l’individuo del XIX secolo appare restio ad impegnarsi per ciò che sa essere caduco e passeggero. Inoltre, la cultura storicistica, al pari di quella positivistica, favorisce «l'idolatria del fatto» e fa dell'uomo il risultato di un processo necessario, costretto a «incurvare la schiena e a chinare la testa» dinanzi alla potenza della storia e alla dialettica razionale che la costituisce. In tal modo, sentendosi in balia del passato, che soffoca, con i suoi fardelli, «la forza plastica della vita», l’uomo risulta incapace di creare qualcosa di nuovo nel presente e nella sua impotenza, finisce per accontentarsi di una sorta di consumismo della storia.
Secondo Nietzsche ìl fattore «oblio» risulta indispensabile alla vita. Innanzitutto, perchè senza una certa dose di incoscienza non c'è felicità (Nietzsche cita, leopardianamente, il caso degli animali). In secondo luogo, perché per poter agire efficacemente nel presente, occorre saper dimenticare il passato. Tuttavia, il fatto che non ci sia felicità e azione senza una componente di oblio, non significa che la storia, la quale si fonda sulla memoria, sia sempre dannosa per la vita. In realtà, sentenzia Nietzsche, il quale ammette non solo il «danno», ma anche «l’utilità», della storia per la vita, «ciò che non è storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civiltà». A patto, aggiunge jl filosofo, che la storia sia al servizio della vita e non viceversa, ossia che la storia non si erga di fronte all’uomo alla stregua di una scienza pura incurante dei suoi bisogni vitali.
Secondo Nietzsche, la storia appartiene al vivente sotto tre rapporti: «essa gli occorre in quanto è attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha bisogno di liberazione». A questi tre rapporti corrispondono tre specie di storia e di storiografia, che hanno, ognuna, sia un aspetto positivo (o fisiologico) sia un aspetto negativo (o patologico): la storia monumentale, la storia antiquaria e la storia critica.
La storia monumentale è propria di chi guarda al passato per cercarvi modelli e maestri che non scorge nel presente e quindi compete a chi è attivo e nutre aspirazioni, ovvero a coloro che dall'osservazione dei monumenti trascorsi deducono che «la grandezza [...] fu [...] una volta possibile, e perciò anche sara possibile un’altra volta. Le potenzialità negative di questa specie di storia sono molteplici. Ad esempio, essa tende a mitizzare o ad abbellire il passato, cancellandone alcune zone. Oppure stimola il coraggioso alla temerarietà e l'entusiasta al fanatismo.
La storia antiquaria è propria di chi guarda al passato con fedeltà ed amore (al punto da riconoscersi frutto ed erede di una tradizione che lo giustifica) e compete a chi preserva e venera. L’aspetto negativo di questa specie di storia, sempre pronta a degenerare in «cieca furia collezionistica», consiste nella sua tendenza a mummificare» la vita, ossia nella sua propensione a paralizzare l'agire e ad ostacolare ogni risoluzione per il nuovo.
La storia critica è propria di chi guarda al passato come ad un peso da cui liberarsi
per poter vivere e perciò compete a chi soffre e sente la necessità di rompere con il
passato, allo scopo di rifarsi daccapo. Essa trascina il passato davanti a un tribunale, lo
interroga scrupolosamente e infine lo condanna. Chi giudica, in questo caso, non è la
giustizia, ma la vita stessa, la quale è sempre ingiusta, poiché la sua sentenza non scaturisce da una pura sorgente di coscienza, ma dalle passioni che la costituiscono. L’aspetto potenzialmente negativo di questo tipo di storia risiede nella sua presunzione di poter recidere il passato «con il coltello», dimenticando che noi siamo il risultato di precedenti generazioni è che non è possibile liberarsi totalmente dal loro condizionamento.
Ognuno di questi tre generi di storia, osserva Nietzsche, è nel suo diritto se rimane sul suo terreno. In caso contrario, genera solo «erbacce», ossia atteggiamenti unilaterali e malsani. Atteggiamenti che vanno corretti con l'intervento degli altri due.
La terza e la quarta Inattuale rappresentano l'ultimo omaggio di Nietzsche ai maestri della sua giovinezza. In Schopenhauer come educatore (1874) egli esalta il filosofo di Danzica per il suo anticonformismo intellettuale e per il suo amore della verità, contrapponendolo alla filosofia istituzionalizzata delle Università. In Richard Wagner a Bayreuth (1876), il grande musicista continua a fungere, non senza qualche dubbio incipiente, da «redentore» della cultura e da incarnazione del sentimento tragico.
Ciò che caratterizza questi due ultimi scritti è la celebrazione del Genio come prototipo inattuale di un'umanità superiore (e quindi come primo abbozzo della concezione nietzscheana del superuomo).
il Periodo «Illuministico»
Il metodo «genealogico» e la «filosofia del mattino»
Umano, troppo umano (1878-1880) segna l'inizio di un nuovo periodo del filosofare nietzscheano, che si suole definire «illuministico».
Tale periodo – che coincide con l’avvento della scrittura aforistica - risulta caratterizzato dall’esplicito ripudio dei maestri di un tempo. Nietzsche contesta le formule metafìsiche di Schopenhauer e le tendenze artistiche di Wagner, riducendole a semplici riflessi della decadenza moderna. Wagner, in particolare, finisce per essere prospettato come un «tipico decadente» e come una «malattia» che «ammala tutto ciò che tocca».
L'arte, in particolare viene considerata come il residuo di una cultura di stampo mitico.
I concetti (o le «figure» interconnesse) in cui si incarna la filosofia illuminista e genealogica di Nietzsche sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero - ulteriore abbozzo del superuomo - si identifica con il «viandante», ossia con colui che, grazie alla scienza (una «gaia» scienza dai tratti liberanti) riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una «filosofìa del mattino» basata sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite. Fra le tenebre e gli «errori» dell'umanità Nietzsche colloca soprattutto la morale e la metafìsica. Sebbene egli si soffermi sin d'ora a contestare taluni capisaldi del pensiero etico, come l’idea (illusoria) di libero arbitrio o la credenza (illusoria) in azioni «disinteressate», l’analisi della morale sarà sviluppata soprattutto negli ultimi scritti. La critica della metafisica trova invece la sua espressione più caratteristica nella teoria della «morte di Dio», annunciata in La gaia scienza.
La «Morte Di Dio» E La Fine Delle Illusioni Metafisiche
Realtà E Menzogna
Per comprendere in modo adeguato che cosa significhi la «morte di Dio» occorre tenere presente che per Nietzsche Dio è sostanzialmente:
1) il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso dell'essere al di là dell’essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo;
2) la personificazione delle certezze ultime dell’umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i millenni per dare un «senso» e un ordine «rassicurante» alla vita.
Il primo punto è connesso alla convinzione nietzscheana secondo cui Dio e l’oltremondo abbiano storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo. «In Dio - scriverà Nietzsche in L’Anticristo – è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere! Dio, la formula di ogni calunnia dell’“aldiqua”, di ogni menzogna dell’“aldilà”». Formula a cui Nietzsche contrappone la sua accettazione dionisiaca» dell’esistenza.
Il secondo punto discende dalla maniera nietzscheana di concepire la metafisica. Secondo questo filosofo, l’immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, ai fini di sopportare la durezza dell'esistenza: «C'è un solo mondo - scriverà in seguito - ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso.
In altri termini, di fronte a una realtà che risulta verificabilmente contraddittoria, disarrnonica, crudele e non-provvidenziale, gli uomini, per poter sopravvivere, hanno dovuto convincere se stessi e i loro figli che il mondo è qualcosa di «logico», di benefico e di provvidenziale: «“La vita deve ispirare fiducia”: il c.ornpito, così posto, è immenso. Per assolverlo, l’uomo dev’essere già per natura un mentitore...».
Ma ormai, dinanzi allo sguardo disincantato del filosofo, le metafisiche e le religioni si sono defìnitivamente palesate per quello che sono: decorazioni della realtà e bugie di sopravvivenza. Da ciò il messaggio inquietante del filosofo. Essendo la più antica delle bugie vitali («la nostra più lunga menzogna»), Dio si configura come la quintessenza di tutte le credenze escogitate attraverso i tempi per poter fronteggiare il volto caotico e meduseo dell’esistenza.
La coscienza di vivere in un mondo «sdivinizzato», in Nietzsche, è così radicata da spingerlo^ ritenere superflua ogno ulteriore contro-dimostrazione della non esistenza di Dio. Analogamente a Schopenhauer, per il quale l'ateismo era «qualcosa di dato, di palpabile, d’indiscutibile» (La gaia scienza), per Nietzsche è la realtà stessa, cioè l’essenza malefica e caotica del mondo, a confutare l’idea di Dio, l’origine della quale, come si è visto, è la paura archetipica di fronte all’essere: «Un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, - oggi si mostra come ha potuto avere origine la fede nell’esistenza di un Dio, e per quale tramite questa fede ha avuto il suo peso e la sua importanza: in tal modo una controdimostrazione della non esistenza di Dio diventa superflua».
Di conseguenza, più che gli antecedenti dimostrativi del carattere a-finalistico, a-razionale e quindi a-teo dell'universo, a Nietzsche premono ormai:
1) l'ANNUNCIO dell’evento in corso della morte di Dio;
2) la riflessione sulle CONSEGUENZE prodotte da questo fatto DECISIVO della storia umana.
Morte di Dio e avvento del superuomo
La descrizione nietzscheana dello smarrimento esistenziale prodotto dalla morte di Dio è così «partecipata» che sembrerebbe opera di un credente. In realtà, dal contesto del discorso di Nietzsche appare chiaro che la morte di Dio costituisce sì un «trauma», ma solo in relazione ad un uomo-non-ancora-superuomo, e che, proprio in virtù di essa, può divenire tale. La morte di Dio coincide infatti con l’atto di nascita del superuomo. Il superuomo (o quel suo predecessore che è lo «spirito libero») ha dietro di sé, come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio e la vertigine da essa provocata, ma ha davanti a sé, a titolo di conquista, il «mare aperto» delle possibilità connesse a una libera progettazione della propria esistenza al di là di ogni struttura metafìsica data. «Noi filosofi e "spiriti liberi" - scrive Nietzsche in La gaia scienza - alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d’attesa, - finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così “aperto”». Ne segue che «La morte di Dio, l'avvenimento più terribile per il vaticinatore, è per Zarathustra, il più felice e pieno di speranza».
Secondo taluni studiosi, il discorso nietzscheano intorno alla morte di Dio, più che l’espressione di un convincimento di tipo teorico, sarebbe il risultato di una constatazione di tipo storico. In realtà, il fatto che la tesi della morte di Dio non sia argomentata secondo le modalità della metafisica tradizionale non implica la sua riducibilità a semplice enunciato di «critica della cultura», poiché la tesi in esame si configura, al tempo stesso, come il frutto di una persuasione filosofica e di una consapevolezza epocale. «Nietzsche intende la sua tesi del declino dell’idea di Dio non solo come una sentenza su dati di fatto storici, ma anche come una visuale di genere filosofico-storico». Tanto più che, prima di essere un evento, l’ateismo è, in Nietzsche, una sorta di istinto filosofico: «L’ateismo non è il risultato, e tanto meno un avvenimento - come tale non lo conosco: io lo intendo per istinto. Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo tracotante, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare.
In ogni caso, per Nietzsche l’uomo può diventare superuomo soltanto dopo essere passato sul cadavere di tutte le divinità: «Morti son tutti gli dèi: ora vogliamo che il superuomo viva» esclaza Zarathustra. Del resto, delle due l’una: o il mondo_è caos dionisiaco e Dio non esiste e il superuomo ha senso ; o Dio esiste e il mondo non è più caos dionisiaco e il superuomo cessa di avere senso. Il che è quanto dire che l’universo netzscheano è tale solo sul presupposto, di derivazione schopenhaueriana, di un mondo «sdivinizzato», cioè inequivocabilmente a-teo.
L'ateismo di Nietzsche vuol essere così radicale, che egli non contesta soltanto Dio, ma anche ogni suo ipotetico surrogato, ben conscio che gli uomini, abbattute le antiche divinità, tendono ineviyabilmente a crearne altre. Tant'è che nelle pagine finali di Così parlò Zarathustra, Nietzsche racconta di uomini che si mettono ad adorare un asino, con grande ira del filosofo-profeta, il quale constata come il passaggio dall'uomo al superuomo sia lento e difficile. L’«asino» è il simbolo di ogni sostituto idolatrico di Dio ed allude alle varie forme dell’ateismo «positivo» del’Ottocento, nelle quali il vecchio Dio per opera di una serie di «pallidi ateisti, anticristi», si trova «rimpiazzato» da altrettanti supplenti (lo Stato, l’Umanità, la scienza, il socialismo ecc.), che vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti strutture metafisiche.
«Come Il “Mondo Vero” Finì Per Diventare Favola» E «L’Autosoppressione della morale»
Coincidendo con il venir meno delle certezze metafisiche, la morte di Dio coincide con il tramonto definitivo del platonismo, che per Nietzsche è la metafisica per eccellenza dell’Occidente. Lo stesso cristianesimo è nient’altro che «platonismo per il popolo». Infatti, è stato Platone a «calunniare fìlosofìcamente questo mondo e ad inventare l’idea di un mondo che si contrappone a quello apparente in cui viviamo.
Il periodo di «Zarathustra»
La filosofia dei meriggio
Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883-1885) apre la terza decisiva fase del filosofare nietzscheano. Una fase che comincia là ove si era conclusa la filosofìa del mattino, ossia con la consapevolezza, propria della filosofìa del meriggio, che con l’eliminazione del «mondo vero» è tolto di mezzo anche il mondo «apparente» cioè ogni scissione dualistica della realtà.
Dopo la «morte di Dio» si aprono due possibilità: l’ultimo uomo e il superuomo: «L’opposto del superuomo è l’ultimo uomo: li ho creati insieme». Zarathustra non ha dubbi: insegna il superuomo mostrando l’abiezione dell’ultimo uomo. Zarathustra non è il superuomo, ma soltanto il suo profeta: «io sono un messaggero del fulmine e [...] il fulmine si chiama superuomo».
Così parlò Zarathustra si accompagna ad un’autentica rivoluzione stilistica. Non è un saggio, né una raccolta di aforismi, bensì una sorta di poema in prosa che mette capo ad una singolare forma di poesia pensante e di pensiero poetante. Il tono profetico che lo caratterizza e il profluvio di immagini e di parabole in cui si articola lo rendono, talora, a difficile lettura e interpretazione. Ciò non toglie che la sua trama di fondo, a cominciare dal racconto che ne costituisce la cornice, sia complessivamente chiara.
Dal punto di vista concettuale, i temi di base dello Zarathustra sono sostanzialmente tre:
1) il superuomo (annunciato nella prima parte);
2) la volontà di potenza (annunciata nella seconda parte);
3) l'eterno ritorno (annunciato nella terza parte).
Il Superuomo
II superuomo (Übermensch) è senz’altro il motivo più noto e «volgarizzato» del pensiero di Nietzsche, ma anche uno dei più complessi e controversi. In linea generale, possiamo dire che il superuomo è un concetto filosofico di cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto di un tipo di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che coincidono con i temi di fondo del suo pensiero. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza; di dir di Sì alla vita; di «reggere» la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute; di far propria la pprospettiva dell’eterno ritorno; di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo; di porsi come volontà di potenza; di procedere oltre il Nichilismo; di affermarsi come attività interpretante e prospettica ecc. In quanto tale, il superuomo non può che stagliarsi sull'orizzonte del futuro.
Infatti, sebbene Nietzsche si sforzi di trovare nel passato i precursori individuali o
collettivi del superuomo (l'aristocrazia antica, la bella individualità di matrice umanistica, Napoleone ecc.), l’Übermensch di cui egli parla è irriducibile a tali modelli. L’Übermensch è piuttosto il tipo nuovo, cioè un essere radicalmente altro da quello che ci sta di fronte. Tant'è vero che, volendo evidenziare la differenza tra il superuomo e l'uomo, si può tradurre con oltreuomo (Vattimo) l'espressione Übermensch, dove il prefisso über, più che indicare un tipo di uomo «potenziato», sta ad indicare un uomo-oltre-l’uomo, cioè un uomo che si colloca al di là di ogni tipo antropologico dato. In sintesi, il superuomo nietzscheano, che non va confuso con un esteta di tipo dannunziano o con un'entità biologica di tipo darwiniano, non è l’uomo al superlativo, ma un uomo diverso da quello che conosciamo. Un uomo oltre l'uomo capace di creare nuovi valori e di rapportarsi in modo inedito alla realtà.
Nietzsche presenta il superuomo come «il senso della terra» e come il fautore di un’antidealistica fedeltà al mondo: «Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio». L’uomo è terra ed è nato per vivere sulla terra. L’anima, che dovrebbe essere il soggetto di un’ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente: l’uomo è sostanzialmente corpo.
Questa rivendicazione della natura terrestre del superuomo fa tutt’uno con l’accettazione totale della vita che è propria dello spirito dionisiaco. In virtù di tale accettazione, la terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio pet divenire la sua dimora gioiosa e il corpo cessa di essete la prigione o la tomba dell’anima per divenire il concreto modo di essere dell’uomo nel mondo.
Nel primo discorso, intitolato «Delle tre metamorfosi», Nietzsche descrive la genesi e il senso del superuomo alla stregua dì una libertà che libera se stessa, per approdare ad una innocente e creativa affermazione della vita: «Tre metamorfosi io vi nomino dello spiri: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciulo». Il cammello rappresenta l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale, all'insegna del «tu devi». Il leone rappresenta l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all’insegna dell’«io voglio» e nell’ambito di una libertà ancora negativa: libertà «da» e non libertà «di». Il fanciullo rappresenta l'oltreuomo, cioè quella creatura non risentita di stampo dionisiaco che, nella sua innocenza ludica, sa dir di sì alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male, a guisa di «spirito libero».
Qualche studioso, assimilando Nietzsche a Marx, ha scorto, nel superuomo, l'incarnazione di un'umanità liberata e, in Nietzsche, una sorta di profeta progressista. In realtà, il superomismo del filosofo di Röcken presenta espliciti connotati antidemocratici e reazionari. In altri termini, che Nietzsche sia un «filosofo della liberazione» è un fatto. Ma la liberazione da tutte le autorità umane e divine che egli auspica - e in cui risiede il senso stesso del supeuomo – non è qualcosa che riguarda tutta l’umanità ma i soltanto una parte di essa, ovvero un’élite di individui superiori. Un’élite che non si limita a ergersi al di sopra delle masse, ma che, nella sua qualità di «razza dominatrice», ha addirittura «bisogno della schiavitù» delle masse «come della sua base e condizione».
Contrariamente alle nostre attese «democratiche» di uomini del XXI secolo (e diversamente da quanto emerge da certe letture «di sinistra»), la filosofia antidemocratica ed antiegualitaria di Nietzsche non giunge a vagheggiare «un’umanità di superuomini» o di «spiriti liberi», ma si limita a scorgere, nell’Übermensch, «il tipo riuscito al massimo grado», ovvero l’eccezione superiore che si contrappone al «grege» degli inferiori. In conclusione, stando ai testi, il superuomo non rimanda ad un possibile modo di essere di tutti, ma ad un possibile modo di essere di pochi.
Ciò non significa che il superomismo nietzscheano metta capo ad un progetto politico definito. Infatti, più che farsi «politico», Nietzsche denuncia, nel corso della sua opera, tutti gli idoli politici del suo tempo: dallo statalismo alla democrazia parlamentare, dal nazionalismo militarista al socialismo (di cui contesta gli ideali egualitari). Tutto ciò, se da un lato spiega perché i vari tentativi di «catturare» Nietzsche in senso politico si siano risolti in manifeste «forzature» del suo pensiero, dall'altro mostra chiaramente come il messaggio ultimo del suo pensiero non vada cercato sul piano politico, ma su quello filosofico, ossia nelle varie tematiche generali su cui ci siamo soffermati: l'accettazione totale della vita, la critica delle illusioni metafisiche, la morte di Dio ecc.
L'eterno ritorno
Nietzsche presenta la teoria dell'eterno ritorno del’Uguale, ovvero della ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo, come il pensiero più profondo e decisivo della sua filosofia.
Sin da questo passo, il pensiero dell’eterno ritorno tende, sia pure in forme implicite, a palesare il suo carattere selettivo, fungente da spartiacque fra l'uomo e il superuomo. Infatti, la prima reazione di fronte alla prospettiva dell'eterno ripetersi del tutto - il terrore e il senso di «peso» – è propria dell'uomo, mentre la gioia entusiastica per «l’eterna sanzione» dell’essere si manifesta come tipica del superuomo e della sua accettazione totale della vita.
La formulazione più eloquente e suggestiva della teoria dell'eterno ritorno la troviamo in Così parlò Zarathustra, nel discorso su «La visione e l'enigma», in cui Nietzsche parla della «visione del più solitario tra gli uomini» (=il vero filosofo). Zarathustra narra di una salita su di un impervio sentiero di montagna (= simbolo del faticoso innalzarsi del pensiero), durante la quale egli, con il nano che lo segue, si trova di fronte ad una porta carraia, su cui è scritta la parola «attimo» (= il presente) e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che «nessuno ha mai percorso sino alla fine», in quanto si perdono nell’eternità: il primo porta all'indietro (= il passato) e l'altro porta in avanti (= il futuro). Zarathustra chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi in eterno oppure no. Alla risposta un pò affrettata del nano, che allude alla circolarità del tempo («Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo»), Zarathustra, dopo aver invitato il suo compagno a «non prendere le cose troppo alla leggera», espone un abbozzo di teoria dell'eterno ritorno: «non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta?», «non dobbiamo ritornare in eterno?».
A questo punto abbiamo una trasformazione di scena, una sorta di visione nella visione, entro la quale, sullo sfondo di un desolato paesaggio lunare e di orridi macigni, Zarathustra vede:
un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e - lì si era abbarbicato mordendo. La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava - invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo!...". Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da sé sputò la testa del serpente -: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva. Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!
Parecchi significati specifici di questo racconto rimangono enigmatici o polisensi - e Zarathustra stesso li annuncia come tali. Tuttavia, la scena centrale del pastore che morde la testa al serpente, trasformandosi in creatura luminosa e «ridente», allude in modo abbastanza chiaro, al di là della complessità sopraccitata del testo, al fatto che l'uomo (= il pastore) può trasformarsi in creatura superiore e ridente (= il superuomo), solo a patto di vincere la ripugnanza soffocante del pensiero dell'eterno ritorno (= il serpente, emblema del circolo), mediante una decisione coraggiosa nei suoi confronti (= il morso alla testa del serpente). Dopo più di duemila anni, Nietzsche tprma dinque a recuperare una concezione pre-cristiana del mondo, presente nella Grecia presocratica e nelle più antiche civiltà indiane, la quale presuppone, alla lettera, una visione ciclica del tempo, in opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno.
Questa dottrina, che a tutta prima sembrerebbe la semplice ripresa di un antico «mito», costituisce in realtà il punto più difficile e e criticamente controverso del’intera filosofia nietzsceana.
Che cos'è veramente la teoria dell'eterno ritorno?:
1) forse una certezza cosmologica, come sembra far credere Nietzsche stesso, che in taluni luoghi della sua opera sembra persino inseguire l'obiettivo di una spiegazione «scientifica» di essa (sostenendo che siccome la quantità di energia dell'universo è finita, mentre il tempo in cui essa si esprime è infinito, le manifestazioni e le combinazioni di essa dovranno per forza ripetersi)?;
2) forse un’ipotesi sull’essere che funge da schema etico o da nuovo imperativo categorico, il quale prescrive di amare la vita e di agire come se tutto dovesse ritornare?;
3) oppure l'enunciazione metaforica di un modo di essere dell’essere che l’uomo può incarnare solo nella misura in cui è felice?
E che cosa significa decidere l'eterno ritorno?
1) forse prendere atto di una struttura cosmica già data, come sostengono le letture tradizionali?;
2) forse istituirlo tramite una scelta, come affermano taluni critici odierni?
Ognuna di queste interpretazioni rivela delle difficoltà notevoli e conferma come la questione dell'eterno ritorno, al di là degli sforzi degli studiosi, rappresenti il problema oggettivamente più complesso della storiografìa nietzscheana.
Le difficoltà relative al concetto di eterno ritorno e ai suoi rapporti con la «decisione» umana non escludono comunque che la funzione di questa teoria, all'interno dell'economia complessiva del pensiero di Nietzsche, risulti sufficientemente chiara. Infatti, porsi nella prospettiva dell’eterno ritorno, per Nietzsche, significa escludere talune cose e difenderne altre. Da ciò la doppia porata, polemica da un lato e propositiva dall’altro, di questa dottrina. Innanzitutto, collocarsi nell'ottica dell'eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo come catena di momenti in cui ognuno ha senso solo in funzione degli altri, quasi che ogni attimo fosse un figlio che divora il padre (= il rnomgnlojchejo precede), essendo destinato a sua volta ad essere divorato dal proprio figlio (= il momento che lo segue). Evidentemente, una dottrina della temporalità di questo tipo ha come presupposto la mancanza di felicità esistenziale, poiché nessun momento
vissuto, per essa, ha davvero in se medesimo una pienezza autosufficiente di significato.
Viceversa, credere nell’eterno ritorno significa:
1) che il senso dell'essere non stia fuori dell’essere, in un oltre irraggiungibile e frustrante, ma nell’essere stesso, ossia in ciò che Nietzsche chiama il divenire «innocente» e «dionisiaco» delle cose;
2) disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso, realizzando in tal modo «la felicità del circolo».
Ovviamente, il tipo di uomo capace di «decidere» l’eterno ritorno, e quindi di vivere come se tutto dovesse ritornare, non può essere l'uomo che conosciamo, cioè l'individuo risentito dell'Occidente, il quale soffre la scissione fra senso ed esistenza e concepisce il tempo come una tensione angosciosa verso un compimento sempre al di là da venire, ma solo un oltre-uomo in grado di vivere la vita come un gioco creativo e avente in se medesimo il proprio senso appagante. Per questo motivo, l'eterno ritorno incarna al massimo grado l'accettazione superomistica dell’essere, ponendosi, per dirla con Nietzsche, come «la suprema formula dell’affermazione che possa mai essere raggiunta».
L'Ultimo Nietzsche
Nelle opere edite dell'ultimo periodo campeggiano i temi interconnessi della critica della morale e del cristianesimo. Esaurita, nello Zarathustra, la parte costruttiva del suo pensiero, Nietzsche, più «inattuale» che mai, entra in una serrata polemica con il proprio tempo e, fra toni esaltati e violenti, propri di un iconoclastico filosofare «con il martello», si propone di distruggere definitivamente le credenze dominanti, per far posto: all'avvento di un nuovo pensiero, finalizzato alla creazione del superuomo. Nei frammenti inediti, parallelamente al ventilato progetto di Der Wille zur Macht, campeggiano i temi della volontà di potenza, del nichilismo e del prospettivismo.
Il Crepuscolo Degli Idoli Etico-Religiosi E La «Trasvalutazione Dei Valori»
II tema dell'accettazione della vita - che costituisce il filo conduttore di tutto il pensiero di Nietzsche - porta il filosofo a polemizzare aspramente contro la morale e il cristianesimo, considerati come le tipiche forme di coscienza e di azione attraverso cui l'uomo è giunto a porsi contro la vita stessa.
Secondo Nietzsche la morale, attraverso i tempi, è sempre stata considerata come un fatto evidente che si auto-impone all’individuo. Tant’è vero che, in ogni scienza dela morale esistita sino ad oggi, si puntualizza in Al di là del bene e del male, è sempre mancato, per quanto possa riuscire strano, il problema stesso della morale: è mancato il sospetto che ci potesse essere, su questo punto, qualcosa di problematico. Di conseguenza, il primo passo da compiere nei confronti della morale, come afferma la prefazione alla Genealogia della morale, è di mettere in discussione la morale stessa: «abbiamo bisogna di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori». Proprio in vista di ciò, Nietzsche intraprende un’analisi genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi psicologica effettiva. Nell’ambito di questo «viaggio» alle sorgenti dei comportamenti etici, il filosofo è guidato da una convinzione che in Ecce homo esprime con una frase famosa:
«dove voi vedete cose ideali,
io vedo cose umane, ahi troppo umane».
Egli ritiene infatti che i pretesi valori trascendenti della morale e la morale stessa, intesa come specifico modo di essere, siano nient’altro che una proiezione di determinate tendenze umana che il filosofo, in virtù della psicologia, «signora delle scienze», ha il compito di svelare nei loro meccanismi segreti. Innanzitutto la cosiddetta «voce della coscienza» da cui procederebbe la morale, secondo Nietzsche, è nient’altro che la presenza, in noi, delle autorità sociali da cui siamo stati educati. Anziché rappresentare entità ontologiche autonome, i valori etici, considerati dal punto di vista storico-psicologico, sono quindi «il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano; e solo falsamente sono proiettati nell'essenza delle cose».
Tuttavia, mentre in un primo momento, soprattutto nel mondo classico, la morale essendo espressione di un’aristocrazia cavalleresca, risulta improntata ai valori vitali della forza, della salute, della fierezza, della gioia (= la morale dei signori), in un secondo momentoche giunge al suo apice con il cristianesimo, la morale appare improntata ai valori anti-vitali del disinteresse, dell’abnegazione, del sacrificio di sé ecc. (= la morale degli schiavi) Ma come si spiega la vittoria della morale degli schiavi, ossia l’avvento di una maniera anti-vitale di rapportarsi alla vita? Com’è possibile che, ad un certo punto, l’umanità accodentale abbia imboccato la strada della malattia e della decadenza? Ciò è avvenuto, risponde Nitzsche, perchè la morale dei signori originariamente comprende in sé non solo l’etica dei guerrieri, ma anche quella dei sacerdoti. Ora, se il guerriero si rispecchhia nelle virtù del «corpo», il sacerdote tende a perseguire le virtù dello «spirito». Ma poiché la natura è irresistibile, il sacerdote non può fare a meno di provare un certo risentimento verso i guerrieri, ovvero una segreta invidia ed un latente desiderio di rivalsa nei loro confronti. Non potendo dorninare la casta dei guerrieri sul loro stesso terreno, la casta sacerdotale cerca quindi di affermare se medesima elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei cavalieri.
In tal modo, al «corpo» viene anteposto lo «spirito», all’«orgoglio» l’«umiltà», alla «sessualità», la «castità» e così via. Questo «rovesciamento di valori» è rappresentato soprattutto dagli ebrei, nei quali Nietzsche vede un «popolo sacerdotale» per eccellenza. Infatti, a suo parere, «sono stati gli ebrei ad aver osato, con una terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono = nobile = potente = felice = caro agli dei), ovverossia i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni; i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti...» (La genealogia dela morale). Questo tipo di morale, allorché viene partecipata dalle masse, si trasforma in una vera e propria potenza e mette capo al cristianesimo. In tal modo la Giudea, umiliata dai romani, capovolge i valori del mondo antico e conquista Roma stessa tramite il cristianesimo, ossia mediante una religione che è il frutto di un risentimento dell'uomo debole verso la vita. Nel crstianesimo storico dell’Occidente, Nietzsche scorge il simbolo della vita che si mette contro la vita, ovvero «la più sotterranea congiura che sia mai esistita contro salute, bellezza..contro la vita sessa».
Ma proprio perché ha inibito gli impulsi primari dell’esistenza e ha corrotto le sorgenti naturali della gioia e del piacere mediante la nozione di «peccato», il cristianesimo stòrico, cioè concreto e non puramente dottrinale, ha prodotto un tipo d’uomo malato e represso, in^ preda a continui «senzi di colpa», che avvelenano la sua esistenza. Infatti, poiché «tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno si rivolgono all’interno», l'uomo cristiano, al di là della maschera di serenità, è psichicamente un auto-tormentato, che, nel suo risentimento, nasconde in sé un’aggressività rabbiosa contro la vita ed uno spirito di vendetta contro il prossimo. Questo spiega perché dalla religione dell'amore sia potuta scaturire una casta sacerdotale, spesso oppressiva e crudele, che lungo i secoli non ha esitato a bagnarsi del sangue altrui. Si noti come Nietzsche, più che contro la figura del Galileo, verso cui non nasconde simpatia (considerandolo come un heiliger Anarchist, cioè come un «santo anarchico», sia pure un pò «idiota») sia polemico contro i suoi pretesi seguaci: «Già la parola cristianesimo è un equivoco; in fondo è esistito un solo cristiano e questi morì sulla croce», «la Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù ha predicato e contro cui egli ha insegnato ai suoi discepoli a combattere». (Critica San Paolo).
A tutte le negazioni della morale e del cristianesimo, Nietzsche contrappone le più risolute ed entusiastiche affermazioni. Da ciò la sua proposta di una radicale trasvalutazione dei valori.
In rapporto a questa trasvalutazione, Nietzsche si sente investito di una missione epocale, finalizzata a porre le basi di un nuovo tipo di cviltà. Da ciò la figura del filosofo come legislatore e costruttore di storia. Gli operai della filosofia come Kant e Hegel, non sono i veri filosofi. I veri filosofi sono dominatori e legislatori. Essi dicono «cosi deve essere!» e stabiliscono la meta dell'uomo, utilizzando i lavori preparatori di tutti gli «operai scientifici della filosofia» e di tutti i dominatori del passato: «II loro conoscere è creare, il loro creare è una legislazione» (Al di là del bene e del male).
La Volontà Di Potenza
Vita e potenza
Nietzsche identifica la volontà di potenza con «l’intima essenza dell’essere». Più in particolare, la volontà di potenza si identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi. La molla fondamentale della vita non sono gli impulsi autoconservativi o la ricerca del piacere, ma la spinta dell’autoaffermazione.
Questo costitutivo espandersi della vita, di cui troviamo tracce in ogni forma di esistenza e di attività -
«Volontà di potenza come “legge di natura”
Volontà di potenza come vita
Volontà di potenza come morale
Volontà di potenza come politica
Volontà di potenza come scienza»
trova la sua espressione più alta nel superuomo, che non è über solo perché è oltre l’uorno del passato, ma anche perché la sua essenza consiste nel continuo oltrepassamento di sé. Ma dire che la vita è autopotenziamento significa dire che la vita è autocreazione, cioè libera produzione di sé medesima al di là di ogni piano prestabilto.
La Volonta Di Potenza Come Arte
Ma se l’essenza della vita è il potenziamento della vita e se tale potenziamento si identifica con la creazione che la vita fa di se stessa, ne sege che l'arte, intesa nel senso ampio di forza creatrice, non è soltanto una forma della vita, ma la sua forma suprema. Tant’è vero che Nietzsche arriva a parlare del mondo come di «un'opera d'arte che genera se stessa». Inoltre poiché la volontà di potenza trova la sua espressione ultima nel superuomo, ne segue che l’artista si configura come «una prima visibile figura dell'oltreuomo».
Da questo punto di vista, la volontà di potenza trova il proprio culmine nell’accettazione-istituzione dell’eterno ritorno, ovvero nell’atto tramite cui il superuomo si libera dal peso del passato e «redime» il tempo. La volontà di potenza sembra urtare contro un ostacolo insuperabile: l’immodificabilita e l’irrevocabilità del passato, che le si impone e la rende prigioniera. Di questa situazione sono indice le dottrine dettate dallo «spirito di vendetta» (immagine di cui si serve Nietzsche per denotare quella rivolta impotente contro il passato che fa, della sofferenza, l’esito di una punizione o di un castigo). Dottrine secondo cui la vita è un castigo e le cose passano perché meritano di passare.
Zarathustra afferma invece il carattere creativo e redentore della volontà rispetto al tempo, grazie alla quale il macigno del così fu si scioglie nel così volli che fosse pronunciato dal superuomo.
Questa redenzione del tempo, che fa tutt’uno con l’accettazione della sua essenza eternamente ritornante (amor fati! formula di matrice stoica che in Nietzsche non ha un significato passivo, bensì attivo, in quanto il superuomo non subisce, ma istituisce l’eterno ritorno), coincide a sua volta con l’apoteosi del divenire, ossia con l’atto tramite cui il divenire, in quanto, eternizzato, riceve il sigillo dell’essere: «Imprimere al divenire il carattere dell’essere - è questa la suprema volontà di potenza».
Potenza e dominio
La volontà di ooteriza di cui narla Nietzsche non ha solo queste valenze teoriche – che sono certamente le più decisive sul piano filosofico. Essa ne contiene anche altre, ben più «crude». Sono le valenze connesse al concetto di volontà di potenza come sopraffazione e dominio. Valenze che si trovano non solo nei frammenti postumi, ma anche nelle opere edite (e quindi approvate) da Nietzsche. Anche a prescindere dall’immagine, di triste memoria, della «magnifica bestia bionda che vaga bramosa di preda e di vittoria», vi sono taluni passi che manifestano con chiarezza le posizioni di Nietzsche. Eccone alcuni:
«La lotta per uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia» (Ecce homo).
Di fronte a testi inequivocabili di questo tipo non si può fare a meno di riconoscere che nel concetto nietzscheano di volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari, che fanno parte della componente reazionaria del suo pensiero. Componente che spinge Nietzsche a individuare il soggetto della volontà di potenza non in un’umanità democratica vivente in modo libero e creativo, ma in una specie aristocratica di «spiriti dominatori e cesarei».
Il Problema Del Nichilismo E Del Suo Superamento
II problema del nichilismo costituisce uno dei motivi più rilevanti (e «attuali») della riflessione di Nietzsche.
In una prima accezione, Nietzsche intende per nichilismo «la volontà del nulla», ovvero ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo concreto. Atteggiamento che vede incarnato soprattutto nel platonismo e nel cristianesimo. In una secondi accezione Nietzsche adopera il termine nichilismo «per indicare il movimento storico, da lui riconosciuto per 1a prima volta, ma che domina già i secoli precedenti e che darà l'impronta al prossimo, e di cui egli compendia l’interpretazione più essenziale nella breve sentenza: "Dio è morto». In altri termini. Nietzsche intende per nichilismo la specifica situazione dell’uomo moderno e contemporaneo, che non credendo più nei «valori supremi» (Dio, la verità, il bene ecc.) e in un «senso» o in uno «scopo metafisico» delle cose, finisce per avvertire, dì fronte all’essere, lo sgomento del «vuoto» e del «nulla».
Ciò è da collegarsi, puntualizza Nietzsche, al fatto che l'uomo, in virtù delle metafisiche, dapprima si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti e in seguito, avendo scoperto che tali fini ed oltre-mondi non esistono e che l’essere non è né «uno» (cioè una totalità razionale ordinata), né «vero», (in quanto non esiste una verità assoluta scritta negli enti), né «buono» (poiché la realtà non si conforma alle nostre aspettative etiche), è piombato nell’angoscia nichilistica.
Anzi, quanto più l’uomo si è illuso, tanto più è rimasto deluso, come testimonia ad esempio il caso dell’individuo post-cristiano, che avendo smesso di credere nell’aldilà, nel Dio-provvidenza ecc., non può fare a meno di soffrire un terribile senso di vuoto che non percepirebbe così acutamente se non fosse passato attraverso il cristianesimo.
Questo mostra come Nietzsche, pur essendo anch’egli nichilista radicale (in quanto nega la presenza di fini o valori intrinseci alle cose stesse), lo sia m modo tale da superare il nichilismo stesso. Infatti, poiché «patologica l’immensa generalizzazione, la conclusione è che non c’è nessun senso», il nichilismo appare a Nietzsche soltanto uno stadio intermedio, ovvero un No alla vita che prepara il grande Si ad essa, attraverso l'esercizio della volontà di potenza. Del resto, Nietzsche, sia pure in modo disorganico, abbozza una variegata tipologia del nichilismo. Egli distingue ad esempio fra nichilisnio incompleto e nichilismo completo. Il nichilismo incompleto è quello in cui i vecchi valori vengono distrutti, ma i nuovi che a loro subentrano hanno la medesima fisionomia dei precedenti. Come forme di nichilismo incompleto Nietzsche nomina:
1) in ambito politico il nazionalismo, lo chauvinismo, il socialismo e l'anarchismo;
2) in ambito scientifico lo storicismo e il positivismo;
3) in ambito artistico il naturalismo e l’esteticismo francese.
Il nichilismo completo è il nichilismo vero e proprio. Tale nichilismo può essere segno di debolezza o di forza. Nel primo caso, cioè come sinonimo di «declino e regresso della potenza dello spirito» si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla o in una serie di narcotici posticci. Nel secondo caso, cioè come sinonimo della «cresciuta potenza dello spirito» si ha il nichilismo attivo, che si esercita come «forza violenta di distruzione». Nietzsche chiama estrema la forma di nichilismo attivo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in sé di tipo metafisico. In riferimento al fatto che in tal modo il nichilismo estremo crea spazio per nuove possibilità e viene fuori allo scoperto, Nietzsche parla anche di nichilismo estatico.
Il nichilismo attivo estremo o estatico raggiunge la sua completezza, cioè diviene classico, quando, fungendo da premessa per il superamento del nichilismo stesso e per l’esercizio della volontà di potenza, passa dal momento distruttivo (o reattivo) al momento costruttivo (o creativo), ovvero quando si rende conto che il senso, non essendo (ontologicamente) dato, deve essere (umanamente) inventato.
In conclusione, dal punto di vista di Nietzsche, progettare di vivere senza certezze metafisiche assolute (cioè senza i «valori supremi») non significa distruggere ogni senso o norma, ma responsabilizzare l’uomo a porsi come fonte di valori e di significati. Accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi: ecco il significato ultimo del superamento nietzscheano del nichilismo.
Il prospettivismo
Nell'ultimo Nietzsche assistiamo ad una radicalizzazione del «prospettivismo». Con questo termine, egli intende la teoria secondo cui non esistono cose o fatti, ma solo interpretazioni circostanziate di cose o di fatti.
Dire che non esiste «verità» (assoluta), che tutto è interpretazione, che l’essere esiste solo all’interno delle singole e storiche prospettive con cui si rapporta ad esso, equivale a dire che non esiste un criterio (assoluto) di verità e di falsità. Questo non significa che tutte le interpretazioni siano equivalenti e che di fronte allo scontro fra le diverse volontà di potenza, portatrici, ognuna, di una determinata prospettiva sul mondo, non vi siano criteri di scelta. Nietzsche individua tali criteri nella salute e nella forza, cioè, in definitiva, nella vita stessa, una vita, si intende, che coincide con l’accrescimento della vita, cioè con la volontà di potenza.
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Esempio



  


  1. mattia

    il significato della magnifica bestia bionda che vaga bramosa di preda e di vittoria di nietzsche

  2. maria

    Siontesi su Shelling sul pricipio divino e naturale delle cose

  3. maria

    Cerco appunti o sintesi dell'opera diNietzsche l'Aurora