Marx: Vita e pensiero

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Testo

MARX
IL COMPITO DELLA CRITICA
Attraverso il confronto tra l’atomismo di Democrito e quello di Epicuro, cogliamo il centro del pensiero filosofico marxiano, ossia l’individualità dell’autocoscienza, che permette all’atomo di non procedere per forza in linea retta e all’uomo di affermare la propria autonomia della coscienza.
Tra il 1839 e il 1842 Marx stringe legami con i giovani hegeliani e legge le opere di vari filosofi. Nello stesso periodo la sinistra hegeliana si definisce come movimento e radicalizza le proprie posizioni: gli interessi non sono più di ordine filosofico-religioso, ma filosofico-politico. Le varie interpretazioni di Hegel vengono riunite negli Annali di Halle (1838), in cui figurano opere di Hess, Bauer, Feuerbach.
Tra il 1842 e il 1843 Marx è redattore della Gazzetta renana, di orientamento liberale. Vengono spesso riportati sulla Gazzetta i testi dei dibattiti della Dieta: ad esempio quello sulla libertà di stampa, difesa da Marx in quanto, come diceva Hegel, la legge deve realizzare una libertà positiva e dunque indipendente dall’arbitrio del singolo. Viene evidenziato il contrasto tra l’universalità del diritto e dello stato con la realtà, in cui prevale lo spirito particolaristico delle leggi. Marx è cioè convinto, da bravo hegeliano, della razionalità dello stato, mentre si trova a fare i conti con l’irrazionalità delle istituzioni che degradano l’idea dello Stato intendendolo come strumento del potere privato.
E’ l’esperienza di questa contraddizione che lo spinge ad elaborare nel 1843 la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico che riguarda la filosofia hegeliana in generale, la relatà dello stato moderno, la ricerca di un nuovo metodo di indagine sociale e politica.
Nell’opera, Marx sostiene che Hegel ha fallito nello spiegare la natura dello Stato, perché la intende come una deduzione delle realtà particolari (famiglia, stato, società civile) da un principio assoluto (l’Idea). Egli, invertendo soggetto
e predicato, trasforma l’Idea in soggetto. Attraverso questi soggetti particolari però non sarà possibile indagare la realtà, perché essa risulta astratta (l’Idea). Nella sua critica Marx evidenzia allora due concetti: l’impossibilità di comprendere la realtà, di costruire un ponte fra il mondo ideale delle astrazioni da cui parte a quello concreto delle particolarità a cui arriva; l’assunzione di una realtà senza un’indagine della base di partenza (sempre per la stessa ragione).
Hegel non sbaglia nel descrivere lo Stato così com’è, ma nello spacciare la sua descrizione come l’essenza dello Stato. La semplice descrizione dello Stato hegeliano è completa di tutto, dice Marx.
Al centro di tale realtà, egli pone la divisione tra individuo portatore di interessi privati e individuo in quanto membro di una comunità politica. In Hegel questa contraddizione è giustamente rappresentata dall’opposizione tra la società civile e tutto l’apparato statale. Ma in Hegel è possibile una mediazione fra le due parti attraverso degli organi che da un parte organizzano gli nteressi privati, dall’altra partecipano alla politica, mentre per Marx questa soluzione arriva solo a portare gli interessi privati nella politca, non a trasformarli in politica.
Il problema secondo Marx non si riduce però solo alla filosofia di Hegel, ma a tutto lo stato moderno (nel Medioevo le due sfere opposte erano coincidenti). La prima soluzione che propone è quella di fondare una democrazia eletta a suffragio universale: solo attraverso la partecipazione più generalizzata possibile al potere legislativo, infatti, la società civile si può trasformare in società politica.
Le contraddizioni possono essere risolte anche teoricamente, analizzando le contraddizioni reali e spiegandone la genesi, il significato. Questo lavoro filosofico parte dunque dal soggetto reale, l’uomo, e ne studia le oggettivazioni (ad esempio la società).
EMANCIPAZIONE POLITICA ED EMANCIPAZIONE UMANA
Nel 1843, a Parigi, anche Marx lavora agli Annali scrivendo due articoli: la Questione ebraica e l’Introduzione a Per la critica della filosofia hegeliana del diritto.
Nella Questione ebraica la soluzione ideata per risolvere l’opposizione tra società civile e stato
politico è già considerata insufficiente. A Bauer che proponeva come soluzione del conflitto tra ebrei e cristiani la completa laicizzazione dello Stato (per cui non avrebbero senso le differenze di credo), Marx risponde che nelle colonie del Nord America i due elementi convivono perfettamente: l’emancipazione politica, cioè, non porta necessariamente emancipazione umana (e viceversa). Lo Stato può essere libero senza che necessariamente lo siano i cittadini. E’ vero che nella democrazia ogni uomo è sovrano e dunque l’osservazione precedente non avrebbe senso, ma l’uomo che è veramente sovrano in questa democrazia è solo quello alienato, guastato dalla società civile del bellum omnium contra omnes.
Un uomo del genere conduce un’esistenza che non lo pone all’interno del genere umano.
L’emancipazione umana allora consiste in una ricomposizione della frattura fra l’esistenza individuale e la politica collettiva. Tale emancipazione (e così Marx critica l’idea precedente circa la democrazia) non può avvenire all’interno della sfera politica, anzi: proprio l’emancipazione della società feudale ha portato a questa divisione. Anche i “diritti dell’uomo e del cittadino”, pietra miliare dello stato liberale e della Rivoluzione francese, sono in realtà i diritti dell’uomo egoistico che trova nell’altro uomo il limite della propria libertà.
L’Introduzione (il secondo scritto) segna la comparsa del concetto di proletariato e di rivoluzione. Marx dichiara esaurito il periodo in cui la filosofia doveva criticare l’alienazione religiosa, perché ormai risulta chiaro che questa deriva dall’alienazione nello stato e nella società civile. La critica del Cielo si trasforma in critica della Terra. Se dunque è vero che “per l’uomo l’essere supremo è l’uomo stesso”, allora bisogna eliminare ogni rapporto in cui l’uomo è umiliato o depredato della propria dignità. La filosofia allora servirà al recupero dell’essenza dell’uomo. Ciò non significa che la critica deve sostituire le armi: “la potenza materiale deve essere sostituita da armi materiali, però anche la teoria diventa arma materiale non appena si impadronisce delle masse”.
In Germania, dove la popolazione ha condiviso i successi dei popoli senza partecipare alle rivoluzioni, l’arma filosofica è essenziale. Oltretutto durante la Rivoluzione francese la borghesia avanzata ha potuto presentare la propria emancipazione come emancipazione del popolo; ciò non sarà mai possibile in Germania dove la borghesia, così aggravata dal peso dello stato, viene a rappresentare la totale perdita dell’uomo e può ritrovarsi solo con il totale riscatto dell’uomo, cioè con l’emancipazione dell’intera società. Questa classe è il proletariato, cuore dell’emancipazione umana; la filosofia ne è il cervello.
LAVORO, ALIENAZIONE E RIAPPROPRIAZIONE
Constatata l’insufficienza dell’emancipazione politica e dunque l’inutilità della critica delle forme politiche, Marx si addentra (Manoscritti economico-filosofici – 1844) in un’analisi economico-sociale e in un confronto fra il pensiero socialista e quello comunista.
Egli parte dal linguaggio e dalle leggi dell’economia politica per mostrare le contraddizioni interne che la animano. Così l’aumento della ricchezza genera l’impoverimento dell’operaio, il capitale è accumulato in poche mani (monopolio) e l’interesse del capitalista si mostra in contrasto con quello della società.. L’economia politica considera il lavoratore come una “bestia da soma”. Il suo errore è considerare la proprietà privata come un dato naturale e sulla base della sua esistenza formulare le leggi.
Comincia così l’analisi del lavoro alienato. L’alienazione riguarda prima di tutto l’oggetto del lavoro, cioè il prodotto in cui il lavoro si oggettiva: poiché non appartiene al lavoratore, l’oggettivazione è in realtà alienazione dall’operaio. Da questo primo aspetto dell’alienazione Marx ricava altri tre “lati” del
fenomeno: l’alienazione dall’attività lavorativa (attraverso cui si perde l’uomo); l’alienazione dal genere umano ( (perché l’uomo perde nel lavoro la sua caratteristica di trasformare la natura secondo un progetto consapevole); l’alienazione dall’uomo (poiché la produzione e quindi la vita stessa dell’operaio è proprietà del capitalista).
La proprietà privata dunque non è un punto di partenza, ma è il risultato del lavoro alienato. Si scorge una contraddizione nella società capitalistica: la proprietà privata è stata spiegata attraverso l’alienazione dal lavoro. Non si tratta di un’opposizione tra lavoro e capitale, perché il capitale è lavoro, ma di proprietà e non-proprietà.
L’emancipazione sarà dunque anche la riappropriazione di quanto è stato perso nel lavoro e l’emancipazione operaia coinciderà con quella dell’umanità intera, tutta coinvolta nel rapporto operaio-produzione.
In seguito a queste riflessioni, Marx si dissocia da quel comunismo che non elimina la proprietà privata ma la generalizza, non elimina la prestazione dell’operaio, ma la estende a tutti, mira alla riappropriazione fisica dell’uomo, non alla sua totalità. Questo comunismo nega ovunque la personalità dell’uomo e dunque rappresenta l’espressione della proprietà privata, che altro non è se non la negazione dell'’omo.
Il vero comunismo prevede un recupero del rapporto fra uomo e natura, e fra uomo e uomo, eliminando ogni alienazione. Il vero comunismo è esaltazione dell’uomo in quanto debitore a se stesso della propria esistenza.
I termini utilizzati da Marx in questa analisi sono di origine hegeliana, mentre il concetto di uomo come essenza deriva da Feuerbach. Diremo allora che l’analisi dell’economia politica di Marx ha le sue basi in Hegel e Feuerbach.
Il merito di Feuerbach, dice Marx, è quello di aver mostrato che la vacchia filosofia della religione era una forma di alienazione.
D’altra parte Hegel ha individuato nella dialettica della negazione una forma di affermazione (la famosa “negazione della negazione” di Hegel). Da ciò è derivato che l’uomo è oggettivazione (e dunque alienazione) e negazione di tale alienazione, e che il lavoro è il momento fondamentale di questo processo di trasformazione dell’uomo. Ma l’errore di Hegel sta nel ridurre l’alienazione e la sua negazione solo al livello teorico, per cui le soluzioni che adotta riguardano solo il piano del pensare.
CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA E SOCIALISMO
Per analizzare i fenomeni criticamente Marx utilizza la storia e ne esprime l’utilità nella concezione materialistica della storia (o materialismo storico), formulata nell’Ideologia tedesca e nel Manifesto del partito comunista (1848).
Nell’Ideologia, Marx ed Engels criticano la sinistra hegeliana, Feuerbach (per la prima volta) e il socialismo tedesco. Ma la critica è rivolta specialemtne ad Hegel, affrontato sul terreno che gli è più peculiare: la concezione della storia.
La critica a Feuerbach è molto importante per capire il materialismo storico. Egli parte dall’uomo come oggetto sensibile, ma poi lo considera come un ente astratto, non come un’attività sensibile, cioè come un ente che trasforma il mondo ed è a sua volta prodotto storico delle azioni delle generazioni precedenti. Feuerbach ha così separato il materialismo e la storia. Marx ed Engels parlano invece di individui determinati che operano in condizioni determinate e hanno rapporti constatabili empiricamente con la natura e gli altri uomini.
Data questa premessa, sarà normale constatare che gli uomini, per vivere, devono soddisfare i loro bisogni primari materiali, cioè produrre i mezzi di sussistenza. Sulla base di questo primo aspetto fondamentale se ne individuano altri tre:
- la creazione e la soddisfazione di nuovi bisogni (rapporto naturale e sociale);
- la riproduzione (rapporto con la natura) e dunque la famiglia (rapporto sociale);
- la cooperazione fra più individui, perché i rapporti sociali e naturali implicano relazioni con gli altri individui.
Solo ora si può parlare di coscienza, che sorge dal rapporto con gli altri uomini. La coscienza è dunque un prodotto sociale che si sviluppa in
relazione alle forze produttive (quelle dette poco fa).
Inizialmente la coscienza naturale vede la natura come una potenza estranea e onnipotente, e la coscienza sociale è limitata alla dimensione del gruppo. Attraverso inuovi bosogni la cosicenza si perfeziona e, con la divisione del lavoro manuale da quello mentale, riesce ad autonomizzarsi: crea allora le forme culturali (teologia, filosofia, …) e può immaginare che tali forme siano separate dagli aspetti materiali.
Attraverso la divisione del lavoro, l’attività materiale e quella spirituale sono distribuite ad individui diversi, e i prodotti vengono ripartiti in modo inuguale e si crea la proprietà; emerge la contraddizione fra gli interessi particolari e l’interesse collettivo (Stato). Lo Stato è dunque una comunità illusoria perché in perenne conflitto.
Dunque: la concezione idealistica della storia viene sostituita da quella materialistica, secondo cui la coscienza non è un presupposto alla vita dell’uomo, ma una sua attività fondamentale che deriva dal processo storico. “Non è la coscienza che determina la vita, ma è la vita che determina la “, dice Marx.
Chi nega che la coscienza non è legata alla meterialità produce un’ideologia. Ideologia è ogni forma di rappresentazione teorica inconsapevole della propria condizionatezza storico-culturale. L’ideologo separa le idee dalle loro radici storiche universalizzandole al di sopra della storia. Questo atteggiamento corrisponde all’esigenza della classe dominante di ogni epoca di presentarsi come classe universale.
Le forme ideologiche, ossia le forme artistiche, giuridiche, filosofiche,… dipendono dalla struttura. Marx indica con il termine struttura l’insieme dei rapporti di produzione esistenti nella società. Sulla base della struttura si eleva la sovrastruttura giuridica e politica. Sulla struttura agisce il colflitto fra forze produttive e rapporti di produzione, condizione fondamentale del divenire storico.
Il materialismo storico, in finale, non accetta le immagini dell’agire dell’uomo, ma ne mostra l’origine e le motivazioni reali. E’ una nuova impostazione del rapporto fra teoria e prassi: la comprensione della realtà non nasce più dalla teoria, ma dalla prassi; è una teoria rivoluzionaria perché studia i fenomeni dal loro interno cercando di trasformarli.
Nel Manifesto troviamo un esempio della realizzazione della filosofia nel mondo.
Al centro della storia troviamo la lotta di classe tra borghesia e proletariato.
Per quanto riguarda la borghesia, Marx la considera la classe più rivoluzionaria: ha fatto sì che i modi di produzione si rinnovino continuamente e con essi i rapporti sociali; ha reso le nazioni dipendenti l’una dall’altra rivoluzionando i mercati; ha concentrato il potere politico.
La borghesia era presente anche nella società feudale, dove ha mostrato la propria presenza quando le catene feudali si sono fatte troppo strette. Ora, le forze produttive create dalla borghesia sono troppo forti rispetto ai rapporti di produzione e ciò che violente crisi. L’antagonista della borghesia è il proletariato, che dipende dallo sfruttamento e dal lavoro generato dalla borghesia. Ma contemporaneamente con la centralizzaizone del potere la borghesia crea una classe sempre più unificata che lotta su scala planetaria; è sempre la borgehsia a fornire al proletariato i mezzi teorici per portare avanti la rivoluzione.
Alla fine solo il proletariato è la vera classe rivoluzionaria, perché solo dal conflitto che esso provoca con la borghesia si genera la rivoluzione.
All’interno del Manifesto Marx delinea il programma comunista, centrato sull’abolizione della proprietà privata (intesa come modo per sottomettere gli altri al lavoro, non come proprietà in sé). Il programma prevede che il proletariato ocnquisti il potere, accentri il potere statale nelle sue mani e abolisca le differenze fra le classi (dittatura del proletariato). Con la dittatura proletaria, il potere politico non esite più, in quanto la sua esistenza si basa sull’oppressione di una classe sull’altra.
Ma il fallimento dei moti del 1848 spinge Marx ad una riflessione: i moti sono falliti perché il proletariato non era ancora pronto e si è alleato con la borghesia per difendere il suo interesse accanto a quello dei borghesi, mentre deve lottare contro di essi.
LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA E IL SUO METODO
Dal 1850 Marx concentra la sua ricerca sull’economia politica e sulle strutture del sistema capitalistico. Nelle opere di questo periodo indica i modi della sua ricerca, che vuole soprattutto distanziarsi dal metodo borghese che considera categorie astratte (scambio, profitto,…) dei fenomeni concreti.
Il compito di un’indagine critica dell’economia politica è quello di cogliere l’essenza dei fenomeni.
Nell’economia politica, afferma Marx, si trova la base per la conoscenza della società, che non deve assolutamente essere analizzata smebrandola in piccole parti, ma nella sua totalità. (ciclo economico: produzione, distribuzione, scambio, consumo).
A prima vista sembrerebbe giusto analizzare società a partire dal suo lato concreto, ma questo creerebbe una situazione caotica perché i lati concreti della società sono molteplici. Quindi bisognerebbe partire dal concreto della società per arrivare all’astratto. La via giusta è invece quella contraria, che parte da concewtti astratti per arrivare al concreto: il opcncreto è infatti sintesi di molte unità del pensiero. Ciò non vuol dire, come afferma Hegel, che la realtà sia un prodotto del pensiero, perché in realtà il penseiro si appropria del concreto che già esiste.
Non è possibile, poi, considerare astratte certe categorie perché sono frutto di un lavoro concreto, relativo a certi eventi storici. Teoria e storia sono per Marx strettamente correlate. Il alvoro ad esempio appare concretamente vero solo in relazione a certi momenti storici, ossia all’età moderna, anche se si tratta di un concetto antichissimo.

ANALISI DELLA SOCIETA’ CAPITALISTICA
La merce è la forma elementare della raccolta di merci del capitalismo.
Il carattere essenziale della merce è la sua duplicità: ogni merce è contemporaneamente mezzo per sodidsfare un bisogno e oggetto di scambio, ha un’esistenza naturale e una sociale, un valore d’uso in relazione alle sue qualità e un valore di scambio in relazione alla sua quantità.
L’equivalente di tutte le merci è il denaro.
Come si determina il valore di scambio? Dal lavoro umano in essa oggettivizzato. Di nuovo la divisione: come valore d’uso i llavoro è concreto (forma naturale), come valore di scambio il lavoro è astratto (forma sociale), lavoro cioè solo in quanto fonte di valore (tipico del capitalismo).
Come il valore di scambio ha valore quantitativamente, così il lavoro astratto ha valore come tempo di lavoro socialmente necessario.
Prendendo in esame l’intero processo produttivo, si nota la stessa duplicità: il processo produttivo è un processo di lavorazione per la produzione di merce d’uso (produzione naturale) ed è anche processo di valorizzazione per accrescere il cpaitale. Questi due modi di produzionesi presentano ocme uniti, in modo che il processo di accrescimento del capitale possa essere mascherato come un porcesso naturale.
Al contrario, e questa è un’affermazione fondamentale, Marx afferma che il lavoro on è una cosa, ma un rapporto sociale fra persone. Il capitale invece crea un nesso sociale fra gli nidividui (e non naturale) attraverso il mercato.
Poiché tutto il valore porviene dal lavoro, il capitale non è che lavoro morto. La funzione del alvoro vivo è quella di aumentare il valore del capitale. E’ il lavoro morto che comanda il lavoro vivo, l’operaio che viene usato dai mezzi di produzione. Si tratta di un dominio della cosa sull’uomo: è il feticismo delle merci.
Valorizzazione significa che vengono prodotte delle merci con un valore di scmabio supreiore a quello dei mezzi di produzione. La formula è D-M-D’ : il denaro ottenuto D’ dalla merce M è maggiore del capitale iniziale D.
La circolazione semplice della merce è invece definita dalla fromula M-D-M: io ho una merce che vendo per ottenere altra merce quantitativamente identica.
Nella prima formula gli estremi sono entrambi rappresentati dal denaro che è perciò qualitativamente identico, ma diverso quantitativamente: è il plusvalore (eccedenza sul valore originario.
Il plusvalore non si ottiene vendendo la merce ad un prezzo maggiore di quello iniziale, ma in questo modo il plusvalore ottenuto se ne andrebbe con l’acquisto di altra merce ugualmente cara.
Ma lo scambio iniziale D-M è uno scambio di equivalenti. Come è possibile che dia plusvalore?
E’ possibile perché il capitalista sfrutta la forza-lavoro. La forza-lavoro, esendo una merce, ha un valore d’uso e di scambio: dal punto di vista del valore di scambio, viene pagata esattamente il suo valore, ma dal pèunto di vista del valore d’uso essa viene utilizzata più a lungo del tempo necessario per coprire il valore di scambio, ecco che si crea pluslavoro, pari al plusvalore: è lo sfruttamento capitalistico.
Il plusvalore genera naturalmente profitto, che però viene calcolato in base alle spese per i macchinari (capitale costante) e per la forza-lavoro (capitale variabile – variabile perchè si valorizza durante il processo produttivo). Il rapporto tra queste due parti si chiama composizione organica e il risultato è la quantità di sfruttamento della forza-lavoro.
Dunque: per aumentare il profitto basta aumentare la giornata lavorativa (plusvalore assoluto), oppure si può diminuire il tempo lavorativo aumentando la produzione (plusvalore relativo).
Le fasi che caratterizzano questo aumento della produttività sono:
- cooperazione: più lavoratori operano insieme allo stesso processo di produzione);
- divisione del lavoro;
- manifattura: riunisce funzioni lavorative sotto un unico capitalista;
- grande industria: l’operaio svolge funzioni lavorative al servizio della macchina.
Attraverso la macchina il lavoratore non si trova più all’inizio del porcesso di trasformaione della natura, ma opera solo come mediatore. Il lavoro allora non esprime più un sapere, perché questo si trova all’ìintenro della macchina.
GENESI E DESTINO DEL CAPITALE
Molte situazioni storiche hanno visto il lavoratore costretto a “regalare” al padrone una quota del
tempo di lavoro, ma è solo nel capitalismo che questo carattere si delinea come assolutamente necessario.
Le condizioni della nascita del capitalismo si hanno solo nella società moderna, con la separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione e quindi la presenza di forza-lavoro in vendita.
La società capitalistica è la società della scisisione: del lavoro dal capitale, del lavoratore dai mezzi di produzione, dell’uomo dall’altro uomo.
Anche le origini del capitalismo derivano da una dissoluzione deimodi di produzione antichi e in particolare di quello feudale, in cui il rapporto con la terra era fondamentale.
La dissoluzione è cominciata quando si è presentata la forza-lavroo in vendita e si è creata l’accumulazione originaria. Non è il risparmio che ha dato origine a questa accumulazione (come dicono i borghesi), ma lo sfruttamento: lo sviluppo del capitale ha aumentato la cricolazione monetaria, creato nuovi bisogni, innalzato i prezzi favorendo il distacco dei lavoratori dalla terra e trasformandoli in forza-lavoro in vendita.
In tutto questo processo il capitale si valorizza incessantemente, la società si sflada perché non è adeguata al livello delle forze-produttive, si crea maggiore forza-lavoro e il capitale domina.
Ma c’è una contraddizione: per aumentare la produttività è necessario investire maggiormente in mezzi tecnologici adeguati. Si tratta di un aumento del capitale costante, che però non produce plusvalore (quello è il capitale variabile): il profitto diminuisce (legge della caduta tendenziale del saggio medio di profitto). Naturalmente aumentando lo sfruttamento o diminuendo i salari la perdita è colmata.
Altra contraddizione sono le crisi che regolarmente si presentano all’economia capitalistica, quando si arriva ad una produzione superiore a quella che può essere consumata: si crea disoccupazione e molte piccole imprese falliscono.
Marx mostra così che la società capitalistica è tutta volta alla produzione di plusvalore e non al benessere della società.
Qunado si arriverà ad un’eccessiva universalizzazione delle forze produttive in confronto al potere del singolo capitalista sula produzione si avrà la dissoluzione del capitalismo.
Marx a questo punto non parla delle carateristiche della futura società che sarà per forza comunista. Essa si formerà in seguito alla rivoluzione che porterà la dittatura del proletariato e alla distribuzione dei beni secondo il lavoro prestato da ognuno, Non si tratta di una vera e propria società comunista, perché nasce dalle basi della società capitalistica. Queste basi potranno essere smantellate solo quando non esiterà più la divisione del lavoro e tutte le froze produttive si asccresceranno contemporaneamente: allora sarà davvero “ognuno secondo le sue capacità”.

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