Manifesto del Partito Comunista

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Testo

MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA

Comunismo:
Il Comunismo è una teoria politico-economica che viene elaborata e diffusa da Karl Marx.
Il manifesto del Partito Comunista di Marx e Engels, pubblicato nel 1848, è il testo più significativo che fonda la concezione comunista e ne indica la prassi rivoluzionaria.
I punti fondamentali di questa teoria sono:
a) “La storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotte di classi”
N.B. Le classi si definiscono in relazione alla proprietà o meno di mezzi di produzione
b) -funzione storica della borghesia che ha realizzato la rivoluzione dei mezzi di produzione e dell’insieme dei rapporti sociali.
-le moderne forze produttive non possono essere dominate e generano delle crisi terribili che mettono in forse l’esistenza del capitalismo
-radicalizzazione e semplificazione della lotta, in lotta tra borghesia e proletariato
-il proletariato diventa soggetto rivoluzionario quando perviene alla coscienza di classe e si costituisce in partito comunista
-la lotta di classe conduce necessariamente attraverso la dittatura del proletariato alla soppressione di tutte le classi e ad una società senza classi
c) internazionalismo della lotta di classe sintetizzato nello slogan:
“PROLETARI DI TUTTI I PAESI, UNITEVI!”

Nel Manifesto del Partito Comunista, al di là della funzione di stratega che converte in ribellione concreta il disagio sempre più incombente di tutta una classe operaia, appare il ruolo di un Marx che ha l’ardita impresa, sull’onda dell’entusiasmo rivoluzionario contemporaneo, di porsi come profeta di un futuro imminente, non mancando, in qualità di scienziato della storia e della società quale vuol essere considerato, di addurre sicure dimostrazioni del crollo prossimo ineluttabile del capitalismo e della crisi mortale della società borghese, come definitivo trionfo di quel processo di emancipazione economica, sociale e politica dei lavoratori proletari.

1) “La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.”

In ogni epoca abbiamo, l’un contro l’altro armato, ristretti gruppi di dominatori e vasti gruppi di sfruttati: l’antichità vide compiuto ogni tipo di lavoro manuale dalle masse degli schiavi,

mentre arti, scienze e amministrazione degli affari pubblici erano esclusivamente riservate ai ceti più abbienti: l’età feudale che seguì fu caratterizzata da un bipolarismo anchilosato che suddivideva la società in chi possedeva la terra (l’aristocrazia) e in chi la lavorava (servi della gleba).
Questa contrapposizione, secondo Marx, porta necessariamente a solo due tipi di risoluzione: il rovesciamento dei valori e cambiamento delle classi sociali o la distruzione di entrambe le fazioni in lotta.

2) “La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una parte notevole della popolazione all’idiotismo della vita rurale. Come ha reso la campagna dipendente dalla città, la borghesia ha reso i paesi barbari e semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini da quelli borghesi, l’Oriente e l’Occidente.”

Secondo Marx, la borghesia ebbe il grande merito di riuscire ad avvicinare, nel passato, le varie “classi” e popolazioni creando forze produttive più che qualsiasi altra generazione nel passato. Tuttavia, assoggettò la campagna alla città privandola, in questo modo, della propria indipendenza, distruggendo l’identità delle popolazioni, costringendo tutte le nazioni ad adottare il medesimo sistema di produzione e trasformando tutto in grandissimi centri urbani.
Come Marx stesso afferma: “essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.”

3) “…nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una grande parte dei prodotti ottenuto, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia un’epidemia sociale che in tutte le epoche anteriori sarebbe apparsa un assurdo: l’epidemia della sovrapproduzione.”

“…perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.”

L’economia capitalista è succube di un temibilissimo vizio organico, appunto la sovrapproduzione, che le è connaturato, secondo Marx, in quanto si produce per smania di fare denaro e non esclusivamente per soddisfare i reali bisogni degli uomini.

4) “Con l’estendersi dell’uso delle macchine e con la divisione del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e con ciò anche ogni attrattiva per l’operaio. Egli diviene un semplice accessorio della macchina, al

quale si richiede soltanto un’operazione manuale semplicissima, estremamente monotona e facilissima ad imparare. Quindi le spese che causa l’operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione della sua specie.”

“Gli interessi e i modi di vivere dei proletari si vanno di giorno riavvicinando ad un tipo comune, perché la macchina cancella sempre più le differenze del lavoro e fa discendere quasi da per tutto il salario allo stesso livello.”

“Ma il lavoro salariato, il lavoro del proletario, crea proprietà a questo proletario? Affatto. Il lavoro del proletario crea il capitale, cioè quella proprietà che sfrutta il lavoro salariato, che può moltiplicarsi solo a condizione di generare nuovo lavoro salariato per sfruttarlo di nuovo.[…] Il capitale è un prodotto collettivo e può essere messo i moto solo mediante una attività comune di molti membri, anzi in ultima istanza solo mediante l’attività comune di tutti i membri della società.
Dunque, il capitale non è una potenza personale; è una potenza sociale.”

Col progresso della tecnologia, il lavoro dell’operaio è destinato a divenire sempre più “disumanizzato” e alienante, ragion per cui, per liberarlo, appare inevitabile affidare alla collettività gli strumenti della produzione, le fabbriche e la terra, e distribuire equamente i beni prodotti, in definitiva realizzare il comunismo.
Dovere dei lavoratori è quello di prendere coscienza delle proprie condizioni e della propria forza ( di avere dunque coscienza di classe), di collegarsi al di là di ogni distinzione nazionale, di ogni confine di Stato, di inserirsi nel processo della storia, di esasperare con la lotta di classe le contraddizioni insite nel sistema capitalistico di produzione, un sistema condannato inesorabilmente, secondo Marx, all’autodistruzione: “Proletari di tutti i paesi, unitevi!” è l’invito con cui si chiude il Manifesto.

5) “Il proletariato adoprerà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale per accentrare tutti gli strumenti di produzione dello stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante, e per moltiplicare al più presto possibile la massa delle forze produttive.”

“Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell’evoluzione, e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico perderà il suo carattere politico.. il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un’altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una

rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni d’esistenza dell’antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni di esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti.”

Secondo Marx, l’errore più grande compiuto dalla borghesia consisterebbe nel cercare di ottenere profitti sempre maggiori sfruttando e proponendo mezzi e forze di produzione sempre più efficienti, ma che, inevitabilmente, con il passare del tempo, si ergeranno di fronte a loro come qualcosa di estraneo e incontrollabile.
Per Marx, il proletariato rappresenta l’entità che dovrà porre fine a ogni tipo di sfruttamento da parte della borghesia. L’abolizione delle classi sociali è, per Marx, la conseguenza di un processo di statalizzazione della proprietà privata in cui ogni proprietà (non più privata, ma proprietà!) venisse gestita da uno Stato non controllato dalla borghesia, ma dal proletariato.
Sicuramente il filo logico di Marx è legato a quella concezione di Stato come strumento usato dalla classe dominante a danno delle altre, per cui eliminate mediante rivoluzioni le classi sociali, nella futura realtà comunista lo Stato perderà la sua ragione d’essere. Infatti la dittatura del proletariato è, per Marx, una forma politica assolutamente transitoria, di brevissima durata: è lo strumento politico per l’espropriazione del capitale della proprietà privata dei mezzi di produzione. Avvenuta questa espropriazione Marx presume che non vi sia più spazio per la politica e per lo Stato.
In ogni caso, in questa importantissima seppur breve forma di governo, lo Stato deve essere forte. La politica statalista consiste nell’affidare allo stato molte prerogative, essendo al di sopra delle fazioni d’interesse.
È lo stato che indica il soggetto e il fine della società, garantendo ovviamente l’uguaglianza giuridico – formale.

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