Le filosofie del VI e V secolo a.C.

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LE FILOSOFIE DEL VI-V SECOLO

LA NATURA E IL SUO PRINCIPIO

Il termine “natura” e il suo equivalente greco (physis) indicano la totalità delle cose e degli esseri esistenti. Natura è anche la legge che governa il divenire di ciascuna cosa. Entrambi questi significati del concetto di natura sono presenti nel pensiero dei primi filosofi, che per questo Aristotele definì “naturalisti”. Comune ai loro sforzi è l’obiettivo di individuare il principio (arché) della natura, ciò da cui ogni cosa è costituita e proviene e ciò che governa la totalità del reale.

TALETE: L’ARCHÉ È L’ACQUA

Primo esponente della scuola ionica, la prima a interrogarsi sulla natura e i suoi principi, è considerato Talete (626-548 a.C.), vissuto a Mileto. Ricorrendo a osservazioni che ognuno di noi può fare quotidianamente, Talete sostenne che il principio di ogni verità è l’acqua e che da essa proviene ogni cosa. Per Talete il mondo poggia sull’acqua, mentre ogni realtà che si produce poggia su un principio umido. Le conclusioni di Talete potrebbero essere state ispirate anche dalla civiltà fluviale egizia, nella quale l’acqua del Nilo rivestiva una funzione fondamentale. Di Talete ci sono stati tramandati anche degli aneddoti, che sottolineano il carattere sbadato e del tutto concentrato nella speculazione del filosofo e l’efficacia pratica del suo sapere. Ma Talete rappresenta anche un modello di saggezza, come risulta dalle numerose massime che ci sono giunte.

ANASSIMANDRO E ANASSIMENE

Discepolo di Talete, Anassimandro (611/610-547 a.C.) ne riprese la dottrina, sostituendo all’acqua, nel ruolo di principio della natura, l’àpeiron, vale a dire l’indefinito, l’illimitato, sostanza primordiale da cui nascono e in cui si dissolvono tutte le cose. Dall’àpeiron emergono i contrari che, per Anassimandro, si sopraffanno reciprocamente in un ciclo in cui ciascuno di essi paga con la sparizione lo scotto per essere venuto al mondo. Più realistica è la dottrina dei principi abbracciata da Anassimene, che individua nell’aria il sostrato comune a ogni cosa, in grado di trasformarsi per rarefazione (caldo) e compressione (freddo).

PITAGORA: IL PRINCIPIO È IL NUMERO

Oltre che un movimento filosofico, il pitagorismo fu un indirizzo religioso, organizzato in scuole all’interno delle quali gli allievi praticavano una vita in comune e l’osservanza di precetti rituali. Questa circostanza ha contribuito a confondere i confini tra la dottrina di Pitagora e quella che si sviluppò gradualmente nella scuola. La stessa figura di Pitagora assunse caratteri quasi divini.
La dottrina fondamentalmente attribuita a Pitagora consiste nell’affermazione che il numero è il principio di ogni realtà. Per comprendere tale dottrina occorre tenere presente che quella dei pitagorici è più propriamente una aritmo-geometria, nella quale il numero è sempre pensato anche nei termini del suo corrispettivo geometrico: due punti definiscono una linea, tre la prima figura piana, quattro il primo solido e così via. La concezione pitagorica del numero si basa sull’antitesi fondamentale di limite e illimitato, pari e dispari, dalla quale si costituiscono gli altri numeri. I numeri per i pitagorici simboleggiano anche qualità astratte delle cose, come la giustizia.

L’ANIMA E L’ARMONIA DEL COSMO

Dal punto di vista religioso la dottrina fondamentale del pitagorismo consiste nella credenza in un’anima separata dal corpo e immortale, che attraversa nel corso del tempo differenti incarnazioni (metempsicosi o trasmigrazione delle anime). Le prescrizioni rituali previste dalla scuola avevano proprio il compito di aiutare l’anima a liberarsi dal suo legame con il corpo.
Dal punto di vista cosmologico i pitagorici valorizzano il concetto di armonia come ordine e misura di ogni aspetto della realtà, collegando così la propria dottrina del numero al concetto stesso di cosmo (in greco, “ordine”) che forse Pitagora fu il primo a introdurre per designare la natura.

ERACLITO: LA RICERCA SULL’UOMO E IL LOGOS

Il pensiero di Eraclito (540 ca-480 ca a.C.) si presenta come uno sviluppo e un approfondimento di quello dei milesi: con lui tuttavia l’attenzione di sposta dalla natura all’uomo e alla sua interiorità. È questa scelta che ispira l’atteggiamento polemico di Eraclito nei confronti dei filosofi venuti prima di lui, che egli accusa di avere raccolto molte nozioni, lasciandosi tuttavia sfuggire l’essenza del sapere. Di qui la scelta di Eraclito di utilizzare, per la propria opera, un linguaggio ellittico e suggestivo, basato su brevi aforismi.
Concetto centrale del pensiero di Eraclito è quello di logos, che assume tre significati: legge generale che regge il cosmo, ragione umana, discorso o parola. Queste tre accezioni del termine sono strettamente legate, in quanto per Eraclito esiste una legge comune che collega la realtà e la ragione, e, a loro volta, ragione e linguaggio. Il logos è pertanto la garanzia della perfetta razionalità del reale.

I CONTRARI E LA LORO ARMONIA

La realtà risulta totalmente permeata da principi contrari in una continua lotta tra loro. Ogni cosa esiste solo come punto di equilibrio, momentaneo e destinato a mutare, in un conflitto tra due principi (o determinazioni) contrari. In questo senso Eraclito può affermare che polemos, la guerra, è la vera legge della realtà e governa ogni cosa. La relazione fra i contrari, governata dalla guerra, produce pertanto un’armonia dinamica e vivente, che è appunto la razionalità del reale che viene espressa dal logos.

IL DIVENIRE

Pur caratterizzato da un’armonia di fondo, il mondo si presenta per Eraclito come un processo di continua trasformazione delle cose; basandosi su questo aspetto della sua dottrina, fin dall’antichità molti hanno identificato il tema del divenire come motivo centrale del suo pensiero. Oggi si preferisce sottolineare come elemento centrale del suo pensiero la tesi dell’unità degli opposti, dalla quale si genera l’armonia del cosmo.
LA SCUOLA DI ELEA

IL PROBLEMA DELLA VERITA’

Parmenide (nato nel 515-510 a.C. circa e vissuto 75 anni) si pone il problema della verità e del metodo per raggiungerla. Egli sostiene la coincidenza di realtà, pensiero e linguaggio, e contrappone nettamente la funzione del pensiero a quella dei sensi, attribuendo un assoluto primato al pensiero. Scrive un poema filosofico Sulla natura il cui Proemio presenta i contenuti dell’opera come il frutto di una rivelazione divina. Segue una riflessione sulle varie vie della ricerca filosofica, che introduce la dottrina dell’essere. La parte finale è dedicata alla descrizione del mondo dal punto di vista dell’opinione, viziata da una fondamentale inadeguatezza.

L’ESISTENZA DELL’ESSERE

Due sono le possibili vie della ricerca: una afferma che l’essere è e necessariamente deve essere, l’altra afferma l’esistenza del non essere. La prima via è l’unica corretta e garante di verità: ogni pensiero è infatti pensiero dell’essere, mentre del non essere non possiamo avere un’idea, né affermare alcunché.

RAGIONE E APPARENZA

La distinzione tra essere e non essere si sovrappone in parte alla distinzione tra pensiero e conoscenza sensibile. Mentre gli oggetti conosciuti dalla ragione lungo la via dell’essere sono stabili, l’esperienza sensibile e l’opinione sembrano testimoniarci una continua mescolanza di essere e non essere: nel mutamento delle cose, ciò che è cessa di essere, mentre nuove cose si producono dal non essere. L’opinione rappresenta dunque una terza via, ma fallace e imperfetta, che va subordinata a quella del pensiero.

I CARATTERI DELL’ESSERE

Dalla necessità che l’essere sia, Parmenide desume le sue caratteristiche, che sono quelle di una realtà perfetta e immutabile. L’essere è ingenerato e imperituro, nel senso che non ha mai iniziato a essere (in tal caso verrebbe dal non essere), né si trasformerà in non essere; è privo di passato e di futuro, ma vive sempre in un eterno presente; è unico, perché, se esistesse qualcosa che si distingue da lui,

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