Le categorie kantiane

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LE CATEGORIE KANTIANE

Per risalire al significato Kantiano di categoria, bisogna innanzitutto interpretare ciò che Kant intendeva per concetto.
Nella “ Analitica dei concetti “, il filosofo tedesco sostiene che le intuizioni sono delle affezioni ( ovvero qualcosa di passivo), mentre i concetti sono delle funzioni, ossia delle operazioni attive nell’ordinare e unificare diverse rappresentazioni sotto una “rappresentazione comune”. I concetti a loro volta, possono essere empirici, ovvero costruiti con materiali ricavati dall’esperienza, o puri ( identificati con le categorie), cioè contenuti a priori nell’intelletto.
Le categorie sono 12, anche se curiosamente Kant ricava questo numero da dodici tipi di giudizio tipici della logica formale aristotelica, dimenticando che il suo criticismo voleva studiare le capacità sintetiche e costruttive del pensiero, e che invece i 12 tipi di giudizi della logica tradizionale vengono ricavati dal linguaggio. Malgrado ciò, Kant ritiene di avere individuato, con lo studio delle categorie, le modalità di funzionamento dell’intelletto umano che, operando sui contenuti dell’intuizione sensibile, stabilisce relazioni e rapporti costanti ( definizione di categorie ).
Le 12 categorie si dividono in quattro gruppi: quantità, qualità, relazione, modalità. Ogni gruppo contiene 3 categorie. Le categorie di quantità sono: molteplicità, unità, totalità; quelle di qualità sono: realtà, negazione, limitazione; quelle di relazione sono: sostanzialità, causalità, azione reciproca; quelle di modalità sono: possibilità, impossibilità, esistenza – non esistenza, necessità. Questa rigida classificazione kantiana è artificiosa, ma ciò che conta è l’intuizione centrale che anima tutto il discorso: le categorie intellettuali sono il ritmo costante del pensiero che ordina e costruisce il mondo fenomenico e ci forniscono un sapere fisico naturale di tipo scientifico ( superamento di Hume ). Quelle relazioni che Hume considerava effetto dell’abitudine, che pertanto rimanevano labili e soggettive, e che quindi mettevano in crisi la possibilità di un sapere scientifico, in Kant sono relazioni costruite necessariamente a priori dall’intelletto, fissando così una stabile trama di fenomeni ricostruiti e riproducibili. In questo modo, Kant ritiene di aver salvato la scienza, dando a questa una consistenza di universalità e necessità, anche se è consapevole che il sistema di relazioni che è tipico della scienza non è una realtà a sé, autonoma rispetto al pensiero, come voleva il razionalismo dogmatico, ma invece è una tessitura operata dal pensiero stesso. In conseguenza, il mondo della natura che noi conosciamo e sperimentiamo non è una realtà assoluta indipendente da noi, ma è una realtà che ci appare così come è perché il nostro pensiero la dispone in questi termini, secondo le esigenze – forme organizzative che sono proprie dell’intelletto: la realtà e quindi apparizione , cioè fenomeno, e la scienza è quindi scienza dei fenomeni.

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