La tecnica

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Testo

LA TECNICA
Ci sono alcuni importanti concetti chiave da conoscere quando si parla di robotica, e in particolare della filosofia della tecnica; per esempio il significato dei termini:
- tecnica
- tecnologia
- macchina
Molto spesso (soprattutto nei discorsi orali e nei colloqui) i primi due termini vengono scambiati. Vi è tuttavia una sostanziale differenza fra tecnica e tecnologia. A questo proposito il dizionario dà una chiara risposta:
- Tecnica:
• Complesso di norme che regolano l’esercizio pratico e strumentale di un’arte, di una scienza o di un’attività professionale.
• Ogni attività che, sulla base di conoscenze scientifiche, progetta strumenti, apparecchi, macchine, motori, utensili destinati al soddisfacimento delle esigenze pratiche della vita.
- Tecnologia:
• La metodologia tecnica relativa a una particolare arte o industria.
• Lo studio delle scienze applicate, con particolare riferimento ai diversi procedimenti per la trasformazione della materia prima in prodotti di impiego e di consumo.
Partiamo dal presupposto che ci siano alcune parole che ricorrono molto spesso nei più svariati discorsi che facciamo. Basta stare attenti a ciò che diciamo: nei contesti il più diversi possibili ci sono alcune parole come Dio, Mondo, Natura,… che rappresentano ognuna delle tematiche di fondo e che ricorrono continuamente. Molto spesso ci basiamo anche su queste parole dal significato così vasto per dare fondamento ad un nostro ragionamento, senza essere completamente a conoscenza della vasta gamma di significati che essi hanno.
Anche se queste parole hanno molteplici significati, non è però detto che esse abbiano avuto sempre lo stesso uso (e quindi significato) da quando vengono usate fino ad oggi. I tre concetti chiave che vorremmo analizzare nella prima parte di questo seminario fanno parte di queste “parole”.
Nel corso del XX secolo diverse correnti hanno sottolineato la presenza della tecnica nella vita di tutti i giorni; si è perfino arrivati a dire che viviamo nell’età della tecnica.
Che cosa vuol dire vivere nell’età della tecnica?
Un’epoca che viene definita come età della tecnica deve sicuramente essere caratterizzata da una straordinaria quantità di scoperte fatte nell’ambito tecnico e se studiamo con un po’ d’attenzione la storia degli ultimi 100-150 anni ci accorgiamo che di scoperte se ne sono fatte realmente tante. Inoltre i settori che al giorno d’oggi sono abbracciati dalla tecnica o in cui si fanno o si sono fatte nuove scoperte tecniche sono realmente tanti.
Ma vi è un altro fattore che caratterizza inequivocabilmente l’età della tecnica, ovvero il modo in cui noi concepiamo l’esistenza. Il modo in cui noi concepiamo l’esistenza è tecnico e questa è una concezione del mondo. Se cerchiamo una risposta la chiediamo prima di tutto alla tecnica. Di fronte ad un’epidemia, un paio di secoli fa si andava in Chiesa a pregare, mentre oggi si va in cerca di una diagnosi e di alcuni farmaci, entrambi fornitici alla tecnica. Solo nel momento in cui la tecnica fallisce noi ci rivolgiamo a Dio, o magari andiamo in pellegrinaggio, o magari ci rivolgiamo a stregoni o…, ma solo nel momento in cui la tecnica fallisce.
Avendo questa visione del mondo potrebbero sorgere alcune importanti domande:
- Che cosa significa “fare della tecnica il modo privilegiato di essere al mondo”?
- Su che strada ci si mette, quando le risposte sono cercate nella tecnica?
- Da quando avviene questa cosa?
- Che cosa si intende dire esattamente quando si parla di tecnica?
La prima analisi accurata della tecnica viene fatta da Aristotele, di cui leggiamo parti di tre testi differenti: Fisica, Etica Nicomachea (libro VI) e la Metafisica.
Al giorno d’oggi il concetto di tecnica potrebbe essere sostituito con le parole inglesi “know how” oppure “how to”, ovvero il modo in cui si fa una qualsiasi cosa. Tuttavia definire la tecnica in questo modo sarebbe riduttivo. Così si sottolineerebbe solo un aspetto del concetto di “tecnica”.
Tornando alla Fisica di Aristotele, la parola greca physis significa natura, e quindi la fisica sarebbe lo studio della natura e il fisico è colui che studia la natura. Quindi, il primo problema che si pone può essere riassunto con una semplice domanda: ”Che cos’è la natura?”
Aristotele, nel suo testo, fornisce una chiara definizione del concetto di natura, anche se per i giorni nostri potrebbe risultare incompleta: come vedremo, Aristotele infatti non considera gli astri natura. Per Aristotele, tutte le cose che sono da natura hanno il principio del movimento e del riposo in se stesse, le une secondo lo spazio, se altre secondo la crescita e diminuzione, altre ancora secondo l’alterazione. La natura è quindi principio e causa dell’essere in movimento e dello stare in riposo di ciò cui essa appartiene originariamente, per sé stessa e non in modo accidentale. Non vorrei trascrivere qui tutto il testo, anche perché abbiamo tutti le fotocopie… Se invece volessimo analizzare la parte di opera che abbiamo ricevuto, salterebbe subito all’occhio il fatto che Aristotele fa una chiara distinzione tra le cose che sono “da natura” e quelle che sono “da altre cause”. Sono da natura tutte quelle cose che hanno all’interno di se stesse il principio del proprio divenire, ovvero il principio del movimento e della quiete. Ci si chiede allora: “Che cos’è il movimento?” Secondo Aristotele il movimento è una proprietà fondamentale delle sostanze. La fisica studia appunto le sostanze tra l’altro (e al tempo di Aristotele quasi esclusivamente) sotto l’aspetto del movimento, o meglio ancora del mutamento. Nel testo originale si può notare il termine “kunesis”, che viene tradotto in italiano semplicemente come movimento, ma che in realtà ha una gamma di significati più vasta: esso sta ad indicare ogni forma di mutamento. Il movimento non è altro che un tipo di mutamento, e precisamente il mutamento del luogo. Aristotele distingue quattro tipi di mutamento: il mutamento sostanziale, ossia il nascere e perire a cui sono soggette le sostanze (con l’esclusione dei corpi celesti); il mutamento qualitativo, ovvero l’assumere un dato colore o riscaldarsi; il mutamento quantitativo, ossia aumentare e diminuire e infine il mutamento di luogo, ossia il vero e proprio movimento locale. Tuttavia è implicito il fatto che vi devono essere delle condizioni favorevoli al mutamento, altrimenti è impossibile che un qualsiasi mutamento avvenga.
Come possiamo notare, Aristotele riserva nel suo testo un posto particolare per i cosiddetti “corpi semplici” che compongono la Terra, ovvero terra, acqua, fuoco e aria. Questi quattro “elementi” erano alla base di tutti i corpi ed erano sufficienti per comprendere la pluralità della materia ed il suo reale divenire. I cieli, invece, ruotano incessantemente per loro natura secondo un complesso moto circolare e devono, pertanto, essere costituiti da un quinto elemento diverso dagli altri, denominato aither (etere). Essendo un elemento superiore, l'aither è incapace di qualunque altro mutamento che non sia un mutamento di luogo con moto circolare. Ciò spiega il fatto che egli non considerasse i corpi celesti “natura”. Vedremo in seguito quale implicazione ha il fatto che il sole sia “perfetto” nella concezione Aristotelica della natura.
Tornando all’analisi del testo, se si prosegue la lettura, si può notare una serie di esempi in base ai quali Aristotele fornisce la sua definizione di natura: mentre le cose da natura hanno il principio del proprio divenire in sé stesse, un mantello o un letto – in quanto essi sono frutto della tecnica – non posseggono alcuna tendenza naturale al cambiamento, ma hanno semplicemente la caratteristica di essere fatti di un dato materiale o di un misto di materiali. L’oggetto tecnico, benché richieda materie prime, non è frutto solo ed esclusivamente della natura. Ci vuole un qualcosa che, dalla materia prima, faccia il letto. La natura fa tante cose, ma non fa un letto.
Segue poi la definizione di natura riportata sopra ed infine una precisazione su una parte dell’enunciato. Aristotele motiva il “non in modo accidentale” con la seguente affermazione: “E dico non in modo accidentale in quanto potrebbe capitare che costui, essendo medico, sia causa della salute a se stesso, ma non è in quanto oggetto di guarigione che egli possiede l’arte del medico, ma è capitato accidentalmente a colui che è medico di essere oggetto di guarigione – ed è proprio per questo, che questi due aspetti – di essere cioè medico e paziente – sono separati l’uno dall’altro.” Con questa dichiarazione Aristotele afferma che, all’interno della data persona che egli prende in analisi, ovvero il medico – paziente, vi sono due aspetti completamente separati: il fatto di essere medico è separato dal fatto di essere malato. Il medico cura solo in quanto medico; che poi la figura del medico e quella del paziente coincidano in un’unica persona è un puro caso.
Aristotele si serve di questo esempio per dimostrare che si può ragionare analogamente per tutte le altre cose prodotte artificialmente. “Nessuna di esse, infatti, ha il principio della propria produzione. Ma per le une, questo principio è in altro esterno, come ad esempio quando si tratta di una casa o di quanto è oggetto di produzione manuale, mentre, per le altre, questo principio è immanente alle cose stesse, ma non appartiene ad esse per sé stesse, come ad esempio nel caso di quelle cose che potrebbero causare, in modo accidentale, un mutamento in sé stesse.”
Il secondo testo che abbiamo analizzato è un estratto dall’Etica Nicomachea (libro VI). L’Etica Nicomachea è costituita da dieci libri e intende occuparsi del tema della felicità. Può senza dubbio essere considerata una delle due opere cardine – l’altra è la Bibbia – su cui si è fondata l’etica occidentale. Uno dei temi principali di cui si occupa l’Etica Nicomachea è l’analisi della scelta; secondo Arditotele, infatti, una qualsiasi decisione è data dalla combinazione tra “desiderio” e “calcolo”. Una scelta è buona quando il desiderio che ci spinge a farla è buono, ma il desiderio è buono perché il ragionamento lo porta ad essere buono.
Nella parte letta da noi, Aristotele fa inizialmente un’analisi accurata degli “stati” dell’anima: egli sostiene, infatti, che l’anima si trova nel vero quando afferma o quando nega quando è in virtù dell’arte, della scienza, della saggezza, della sapienza e dell’intelletto; ci si potrebbe invece sbagliare quando l’anima si trova in virtù del giudizio o dell’opinione.
In seguito Aristotele dà una chiara definizione di scienza:
“Tutti noi riteniamo che ciò di cui abbiamo scienza non possa essere diversamente da come è, mentre le cose che possono essere diversamente, quando si danno lontane dalla nostra vista, ci lasciano incerti se sono o non sono. Perciò l’oggetto della scienza è per necessità. Quindi è eterno, infatti le cose che sono necessarie in assoluto sono tutte eterne, e ciò che è eterno non si genera e non si corrompe. Inoltre è opinione che ogni scienza sia oggetto di insegnamento, e ciò che viene insegnato è anche appreso. Ma ogni insegnamento deriva da conoscenze precedenti, come abbiamo detto negli Analitici, in parte per induzione, in parte per deduzione. Da parte sua l’induzione riguarda il principio e l’universale, mentre la deduzione parte da premesse universali. Così vi sono dei principi da cui la deduzione deriva e di cui non si dà deduzione: quindi se ne darà induzione. Allora, la scienza è uno stato abituale che produce dimostrazioni, con tutte le altre caratteristiche che abbiamo distinto negli Analitici. Infatti uno conosce scientificamente quando ha certezza, e quando i principi sono a lui noti in un certo particolare modo; infatti se non sono noti più della conclusione che ne deriva, si avrà scienza solo per accidente.”
Quindi, Aristotele sostiene che si ha scienza delle cose di cui si sa che non possono essere diversamente da come sono. Nel momento in cui si ha un vago dubbio, non si potrà dire di avere scienza di una data cosa. Il filosofo arriva dunque alla conclusione che la scienza sia necessaria, e, dato che tutto ciò che è necessario è eterno, che la scienza sia anche eterna.
Facciamo un altro esempio. Per Aristotele il sole si muove (è fatto di etere, quindi si muove circolarmente), quindi c’è un mutamento. Tuttavia i principi che regolano questo mutamento sono inalterabili, dato che era impensabile mutare il corso del sole. Si crea così in questo caso il ponte
Solo molto tempo più tardi Galileo Galilei (1564-1642) si accorse che il sole non è fatto di etere, né che è perfetto, visto che ci sono le macchie solari. Tuttavia anche Galileo non era molto ben visto, soprattutto dalla Chiesa, che condannava l’eliocentrismo. Dopo la pubblicazione del libro „Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo“, Galileo fu invitato a presentarsi a Roma, fu condannato e fu costretto all’abiura delle sue tesi.
Per capire a fondo Aristotele dobbiamo tornare indietro nel suo tempo. Per il filosofo, alcune cose sono eterne e su queste o contro queste l’uomo non poteva fare nulla. Oggi, invece, l’uomo ha una “strana” sensazione di assoluta sicurezza, una sensazione di onnipotenza, che gli è conferita solo e soltanto dalla tecnica.
Nella modernità, agli albori della tecnica “moderna”, la tecnica poteva ancora dare un senso di sicurezza. Oggi, però, non è più detto che sia così. Basta pensare alla guerra e a quanto essa sia diventata più terribile con l’applicazione della tecnica in campo militare.
Ma torniamo ad Aristotele. Secondo lui, all’immutabile non si può dare “tecnica”. Tuttavia, nell’ambito della tecnica c’è un sapere finalizzato al fare (l’arte). Se però le cose sono immutabili, si resta alla teoria; non si può avere una ricaduta pratica. Ciò può accadere in numerosissimi campi, come per esempio nello studio degli astri, oppure nello studio dei numeri e delle loro proprietà. Al giorno d’oggi si potrebbe dire che, visto che l’uomo non può intervenire su alcune cose, ciò potrebbe causare al suo interno un sentimento di impotenza. Ma per Aristotele ciò non era vero. Egli riteneva, infatti, che il sapere non era destinato al fare. Il sapere non destinato al fare segna la più piena realizzazione dell’uomo. L’uomo è dunque pienamente uomo quando può sapere per il puro gusto di sapere, e quindi di contemplare. La dimensione del fare è quindi funzionale a quella del contemplare. Si ha dunque un primato esistenziale del contemplare: se qualcuno potesse passare tutta la vita a contemplare si avvicinerebbe alla dimensione del Dio.
Quindi, seguendo questo ragionamento, l’uomo si realizza pienamente quando può studiare, per esempio, matematica per il puro gusto di fare matematica, oppure quando può studiare astronomia per il puro gusto di studiare gli astri. Ecco che allora, in questo e solo in questo caso, la matematica e l’astronomia possono essere entrambe definite scienze, visto che costituiscono la conoscenza dell’universale. Esse possono però costituire la conoscenza dell’universale solo perché non hanno alcuna ricaduta pratica. Nel caso dell’applicazione pratica, visto che ci si deve occupare di un caso ben preciso, si deve agire in una situazione specifica (e non nella dimensione dell’universale); inoltre l’esigenza pratica aggiunge un rischio, una peripezia, un rischio di fallimento che non è dato nel caso della scienza, perché parlando di scienza non si intende un sapere finalizzato al fare. Vorrei a questo proposito citare un altro testo di Aristotele:
“…Orbene, ai fini dell’attività pratica, l’esperienza non sembra differire in nulla dall’arte; anzi, gli empirici riescono anche meglio di coloro che posseggono la teoria senza la pratica. E la ragione sta in questo: l’esperienza è conoscenza dei particolari, mentre l’arte è conoscenza degli universali; ora, tutte le azioni e le produzioni riguardano il particolare: infatti il medico non guarisce l’uomo se non per accidente, ma guarisce Callia o Socrate o qualche altro individuo che porta un nome come questi, al quale, appunto accade di essere uomo. Dunque, se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.”(Metafisica, libro I)
In questo testo Aristotele spiega che un medico non può curare una persona applicando la “scienza - medicina”, visto che il medico non sta curando l’uomo, ma una data persona (che porta un dato nome come Callia o Socrate). Ecco che nel campo medico (inteso come sapere finalizzato al curare un paziente) non si può parlare di scienza, visto che il medico si deve occupare di un dato individuo. Se il medico conoscesse esclusivamente la “scienza - medicina”, nella maggior parte dei casi sbaglierebbe cura, perché questa cura deve essere diretta a Callia o a Socrate o a una qualsiasi persona che porta un nome come questi, ma non all’uomo in generale.
Arrivati a questo punto potrebbero sorgere altre due domande:
- Quale posto si è assegnato alla tecnica?
- Quali elementi abbraccia la tecnica?
Consultiamo a questo proposito il terzo testo, tratto dalla Metafisica. In Metafisica, Aristotele affermò l'esistenza di un essere divino, definito "motore immobile", che è causa dell'unità e del fine che si prefigge la natura. Questa entità è perfetta ed è perciò l'aspirazione di tutte le cose del mondo, poiché tutti gli enti desiderano essere partecipi della perfezione. Esistono anche altri motori, ossia le intelligenze motrici dei pianeti e delle stelle; tuttavia, il motore immobile, che nella tradizione filosofica medievale è stato identificato con Dio, nella descrizione di Aristotele non è suscettibile di interpretazioni religiose, come hanno osservato molti filosofi e teologi contemporanei. Il motore immobile, ad esempio, non è interessato a ciò che accade nel mondo, né ha creato il mondo. Aristotele limitò, comunque, la sua "teologia", a ciò che la scienza, a suo parere, richiede e può dimostrare.
“Ora, il sano viene prodotto seguendo questo ragionamento: poiché la salute consiste di questa determinata cosa, se si vuol ottenere guarigione, è necessario che si realizzi questa data cosa, per esempio un certo equilibrio (delle funzioni del corpo), e ulteriormente, se si vuole realizzare questo equilibrio, occorre un certo calore; e, in questo modo, il medico continua a ragionare, procedendo fino a che non pervenga, da ultimo, a ciò che è in suo potere di produrre. Il movimento, poi, che, a questo punto, viene effettuato dal medico, cioè il movimento che tende a risanare, si chiama produzione. Ne consegue che, in certo qual modo, la salute si genera dalla salute e la casa si genera dalla casa; s’intende: quella materiale da quella immateriale. Infatti, l’arte medica e l’arte del costruire sono, rispettivamente, la forma della salute e della casa. E per sostanza immateriale intendo l’essenza.
Nelle generazioni e nei movimenti ci sono due momenti: il primo è dato dal pensiero, il secondo dalla produzione; il pensiero è quello che parte dal principio e dalla forma, mentre la produzione è quella che parte dall’ultimo termine a cui perviene il pensiero. E lo stesso è il processo di generazione di ciascuno degli altri termini che sono intermedi. Facciamo un esempio. Per guarire, uno deve riacquistare l’equilibrio delle funzioni del corpo. Che cos’è, allora, questo equilibrio? È questa determinata cosa. E questa determinata cosa si realizzerà se verrà prodotto del calore. E che cosa vuol dire produrre calore? Vuol dire quest’altra determinata cosa. Ma quest’ultima cosa è potenzialmente presente, e, come tale, dipende immediatamente dal medico.
Dunque, quando la guarigione avviene ad opera dell’arte, la causa efficiente e il principio da cui parte il processo è la forma che è presente nell’anima (del medico); quando, invece, la guarigione avviene spontaneamente, il principio da cui inizia il processo è quello stesso da cui comincia ad operare colui che agisce per arte. Nel caso della guarigione il principio consiste nella produzione di calore; e il medico produce questo con una frizione. Dunque, il calore che è nel corpo, o è esso stesso una parte costitutiva della salute, oppure ad esso segue – immediatamente o attraverso più termini – qualcosa della stessa natura che è parte costitutiva della salute. E questo termine ultimo è ciò che produce una parte della salute e, in questo senso, esso è parte della salute come ad esempio le pietre sono parte della casa, e così dicasi per le altre cose. Sicché, come noi diciamo, sarebbe impossibile che qualcosa si generasse se nulla preesistesse.”
Aristotele distingue nel suo testo tre elementi nella realizzazione di una qualsivoglia cosa:

Negli elementi naturali principio e fine coincidono. Negli elementi prodotti da tecnica, principio e fine non potranno mai coincidere, visto che c’è uno scarto intermedio da colmare, denominato produzione.
Aristotele divide la realizzazione di una qualsivoglia cosa in diverse fasi. La prima è costituita dal ragionamento. La progettazione tecnica consiste nel tornare indietro dal fine alla prima cosa che è in nostro potere fare, per poi ripercorrere la catena costruita ed arrivare così al fine. Aristotele spiega ciò con l’esempio del medico che, per curare il paziente, deve innanzi tutto ragionare ed arrivare alla cosa che è in suo potere fare (produrre calore) per poi ripercorrere il suo ragionamento a ritroso ed infine curare il paziente. La salute si genera dunque dalla salute, come la casa si genera dalla casa, e di volta in volta si intende che la salute materiale si genera da quella che il medico ha in testa alla fine del suo ragionamento e che la casa si genera dalla casa che l’architetto ha in mente. Nella tecnica si combinano il pensiero e il fare.
Si spiega così la salute come prodotto della tecnica (rivedi il ragionamento sulla Fisica).
Tuttavia l’arte è unita al caso, proprio perché il principio e il fine non sono la stessa cosa e quindi nello scarto intermedio il caso potrà sempre inserirsi.
Ci sono prodotti fatti bene e prodotti fatti male. La bontà del prodotto dipende dalle qualità del prodotto. Un prodotto potrebbe essere buono anche per caso.
Tuttavia, arrivati a questo punto, distinguiamo due casi opposti:

Si arriva dunque alla conclusione che l’arte potrebbe essere aperta a finalità opposte; per esempio nel caso della medicina. Con opportune conoscenze mediche si è in grado di guarire una persona, ma anche di ucciderla. L’arte non ha dunque una sovranità sui propri fini. L’arte non può dirci cosa è bene fare e cosa no. Secondo Aristotele l'arte dovrebbe orientarsi alla natura, dato che l’arte non è autosufficiente mentre la natura si (la natura è dunque superiore rispetto all’arte). Visto che la natura si orienta verso il bene, l'arte dovrebbe fare altrettanto. Ma non è detto che sia necessariamente così. La natura può “governarsi” da sola, l’arte invece no, visto che manca di un qualcosa, che noi chiamiamo “etica”.
Tuttavia, vi è un sapere che ha al suo interno il modo in cui deve essere usato? Sì, e noi lo chiamiamo comunemente “saggezza”.
Vi è dunque un disaccoppiamento tra arte e natura. L’arte pone l’uomo di fronte a dilemmi, perché l’arte è ambivalente.

Come già detto in precedenza, l’arte deve imitare la natura. Ciò implica che l’arte sia subordinata alla natura, anche perché gli antichi vedevano nella natura l’ente più alto.
Con l’introduzione del Cristianesimo questa visione delle cose cambia. Infatti con il Cristianesimo si introduce l’entità di un Dio che è l’ente più alto e al quale tutto è sottoposto. Anche il contingente “natura”, quindi, può essere modificato in un qualsiasi momento.

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