La rivoluzione scientifica e astronomica: Galileo e Copernico

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Testo

FILOSOFIA

La rivoluzione scientifica
Un evento capitale della storia – Lo schema concettuale della scienza moderna
La civiltà del nostro tempo tende a riconoscere sempre di più la centralità storica di quell’evento radicalmente innovatore, detto “Rivoluzione scientifica”.
Dalla Rivoluzione scientifica e in generale dalla metodologia galileiana in particolare, emerge:
1) La concezione della natura come ordine oggettivo e casualmente strutturato di relazioni governate da leggi;
2) La concezione della scienza come sapere sperimentale-matematico ed intersoggettivamente valido, avente come scopo la conoscenza progressiva del mondo circostante ed il suo dominio a vantaggio dell’uomo.

Il nuovo modo di vedere la natura
a) La natura è un ordine oggettivo poiché essa costituisce un oggetto i cui caratteri non hanno niente a che fare con la dimensione spirituale. Solo spersonalizzando la natura è possibile studiare scientificamente la realtà effettiva del mondo circostante.
b) La natura è un ordine causale, poiché in essa nulla avviene a caso, ma tutto è il risultato di cause ben precise.
c) La natura è un insieme di relazioni e non un sistema di “essenze”, poiché lo sguardo del ricercatore è fisso sulle relazioni causali riconoscibili che legano i fatti.
d) I fatti sono governati da leggi, poiché essendo casualmente legati fra di loro obbediscono a delle regole uniformi, che rappresentano i modi necessari o i principi invarianti (“i codici”) attraverso cui la natura opera. La “Natura” finisce per essere l’insieme delle leggi che regolano i fenomeni e li rendono prevedibili.

Il nuovo modo di concepire la scienza
a) La scienza è un sapere sperimentale poiché si fonda sull’osservazione dei fatti e perché le sue ipotesi vengono giustificate su base empirica e non puramente razionale. L’esperimento è una procedura appositamente costruita per la verifica delle ipotesi.
b) La scienza è un sapere matematico che si fonda sul calcolo e la misura, poiché la fisica procede ad una matematizzazione dei propri dati, racchiudendoli in formule precise.
c) La scienza è un sapere intersoggettivo poiché i suoi procedimenti vogliono essere “pubblici”, e le sue scoperte pretendono di essere valide, ossia controllabili da ognuno.
d) Il fine della scienza è la conoscenza oggettiva del mondo e delle sue leggi. Ma quanto più riesce ad essere “Neutrale” e “disinteressata”, e quindi capace di scoprire relazioni autentiche tra i fenomeni, tanto più la scienza va incontro a quel fondamentale “interesse” umano che è il dominio dell’ambiente circostante.

Le forze che hanno combattuto la nuova scienza
Per affermarsi, la scienza moderna degli inizi ha dovuto combattere una storica battaglia soprattutto contro la tradizione culturale e i teologi.
Il nuovo sapere metteva in discussione molte teorie cosmologiche e fisiche, ritenute fino a quel momento cortissime. La scienza era portatrice di uno schema teorico anti-finalistico ed anti-essenzialistico che urtava contro i teoremi basilari della metafisica greca e di quella cristiana. La scienza svuotava di senso ogni dogma intellettuale legato all’autorità del passato.
Affermazioni di questo genere scatenò la reazione della cultura accademica, che trovava negli aristotelici la sua espressione di punta.
La religione si sentiva fortemente minacciata poiché si vedeva distruggere quella visione cosmologica in cui aveva inquadrato le proprie le proprie credenze di fede. Ad inquietare la Chiesa non erano solo i contenuti della nuova scienza, ma anche il suo stesso metodo, che fondandosi sul principio della libera ricerca poteva apparire eretica quanto le tesi del libero esame delle Scritture proposto dai protestanti. I teologi della chiesa intuivano che la scienza incarnava una mentalità spregiudicatamente razionalistica.
Tra le forze che si opponevano alla scienza figurano anche la magia e l’astrologia. I maghi si trovavano spiazzati dagli scienziati, che perseguendo l’ideale di un sapere pubblico ed intersoggettivamente verificabile, distruggevano il concetto stesso di un sapere occulto; gli astrologi si vedevano contestare tutto quell’insieme di credenze cosmologiche che costituiva la base teorica delle loro pratiche divinatorie.
La scienza appariva sempre più come simbolo di quella conoscenza veramente utile all’uomo che i maghi e gli astrologi avevano cercato invano.
La vecchia cultura, la Chiesa, i fautori delle scienze occulte si trovarono dunque alleati contro la scienza. La nuova scienza finirà per imporsi, dimostrando con i fatti la propria validità e la propria utilità sociale, e quindi il proprio diritto all’esistenza.

La rivoluzione astronomica
Rilevanza e caratteristiche della rivoluzione astronomica
La Rivoluzione astronomica rappresenta uno degli avvenimenti culturali più importanti della storia dell’Occidente. Si crede che tale Rivoluzione sia dovuta a Copernico, ma è vero solo in parte, poiché questi ha semplicemente dato inizio a un processo di pensiero che ha coinvolto astronomia, filosofia e teologia.
L’intricato processo che forma la Rivoluzione astronomica non è soltanto un fatto astronomico e scientifico, ma anche un appassionante avvenimenti filosofico, poiché attraverso i suoi due araldi principali (Copernico e Bruno) ha finito per mutare la visione complessiva del mondo che per secoli era stata propria dell’Occidente, segnando in profondità la cultura moderna.

L’universo degli antichi e dei medioevali
La cosmologia greco-medioevale concepiva il mondo come sostanzialmente unico, chiuso, fatto di sfere concentriche, geocentrico e diviso in due parti qualitativamente distinte.
L’universo degli antichi era unico in quanto pensato come il solo universo esistente; chiuso perché immaginato come una sfera limitata dal cielo delle stelle fisse; era finito in quanto l’infinito appariva soltanto un’idea e non una realtà attuale.
Tale universo era fatto di sfere concentriche intese come qualcosa di solido e di reale, su cui erano incastonate le stelle e i pianeti.
Il mondo aristotelico-tolemaico era poi pensato come qualitativamente differenziato in due zone cosmiche ben distinte: una perfetta e l’altra imperfetta. La prima era quella dei cieli o del cosiddetto mondo sopralunare, formato di un elemento divino il cui movimento era di tipo circolare e uniforme, senza principio e senza fine, eternamente ritornante su di esso. La seconda zona era quella del cosiddetto mondo sublunare, formato dai quattro elementi, aventi ognuno un suo luogo naturale e dotati di un moto rettilineo, che avendo un inizio e una fine dava origine ai processi di generazione e corruzione.
La testimonianza dei sensi, l’autorità di Aristotele, i teoremi della metafisica e la parola divina della Bibbia avevano quindi finito per convergere in una comune attestazione della validità assoluta del sistema tolemaico.

Copernico
La ricerca di un nuovo sistema astronomico
Copernico era studioso di fisica celeste, un teorico e un matematico, riteneva la dottrina tolemaica errata per il fatto stesso di essere troppo complessa. Cercando nei libri degli antichi delle soluzioni alternative al geocentrismo, si imbattè nell’idea eliocentrica. Copernico si persuase della sua capacità di produrre una notevole semplificazione del calcolo matematico dei movimenti celesti.

Le caratteristiche dell’universo copernicano
Al centro dell’Universo sta, immobile, il sole; attorno al sole ruotano i pianeti; la Terra prende posto tra questi e gira su se stessa, originando così il moto apparente, attorno ad essa, del sole, dei pianeti e delle stelle; la luna ruota attorno alla Terra; infine, lontane dal sole e dai pianeti, stanno, fisse, le stelle.
Questa nuova visione prospettica del cosmo, pur essendo di per sé rivoluzionaria, non scalzava dalle fondamenta della vecchia immagine dell’universo, in quanto il cosmo di Copernico rimaneva ancora simile a quello degli antichi. Egli infatti concepiva ancora l’universo come sferico, unico e chiuso dal cielo delle stelle fisse. Inoltre accettava il principio della perfezione dei moti circolari uniformi e delle sfere cristalline, pensate ancora come entità reali e incorruttibili.

Ostacoli all’affermazione delle novità copernicane
Il teologo luterano Osiander premise premise al capolavoro di Copernico (“De revolutionibus orbium coelestium”) , senza il consenso dell’autore, una prefazione anonima dal titolo “Al lettore sulle ipotesi di quest’opera”. In essa Osiander sosteneva la natura puramente ipotetica e matematica della nuova dottrina astronomica, affermando che essa era un puro strumento di calcolo atto a salvare le apparenze o i fenomeni, senza alcuna pretesa di rispecchiare la realtà autentica del mondo.
Questa posizione attutiva di parecchio la nuova ipotesi e tradiva il vero pensiero di Copernico, persuaso che la sua teoria non fosse una semplice ipotesi matematica, ma la riproduzione fedele della struttura reale del cosmo, ossia non uno dei tanti modelli possibili dell’universo, ma il solo vero. La teoria copernicana stentò ad affermarsi perché la supposta semplicità di essa nei confronti di quella tolemaica non era sempre tale, anzi, essa risultava a volte persino matematicamente più complessa ed incapace di dar ragione di alcuni movimenti celesti. Essa si scontrava con ardue questioni di fisica irrimediabilmente a sfavore della nuova teoria.

Galileo
Vita e opere
Galileo Galilei approfondì gli studi sulla matematica e cominciò a compiere osservazioni fisiche. Giunse a formulare alcuni teoremi di geometria e di meccanica, e fu portato a scoprire la bilancetta per determinare il peso specifico dei corpi. Scoprì la legge di caduta dei gravi.
Con la costruzione del cannocchiale si aprì la serie delle grandi scoperte astronomiche, di cui diede l’entusiastico annuncio nel “Ragguaglio astronomico”.
Le sue scoperte astronomiche e le sue idee copernicane lo misero progressivamente in urto con gli aristotelici e con le gerarchi ecclesiastiche. Ma Galileo continuò i suoi studi, e pubblicò il Saggiatore, dedicato ai problemi relativi alle comete, e nello stesso tempo ad importanti considerazioni di tipo metodologico. Continuò a lavorare al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano, incoraggiato anche dall’ascesa al pontificati del cardinale Barberini, che gli aveva sempre mostrato benevolenza. Il Dialogo fu stampato nel 1632.
Ma in seguito Galilei dovette abiurare. Negli ultimi anni della sua vita scrisse il suo capolavoro scientifico: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (teoria della resistenza dei materiali e la dinamica)

L’autonomia della scienza e il rifiuto del principio di autorità
Il primo risultato storicamente decisivo dell’opera di Galileo è la difesa dell’autonomia della scienza, cioè la salvaguardia dell’indipendenza del nuovo sapere da ogni ingerenza esterna.
Galileo intuisce che la battaglia per la libertà della scienza era una necessità storica di primaria importanza. La sua lotta riguardò sostanzialmente due fronti: l’autorità religiosa (Chiesa) e l’autorità culturale (aristotelici).

La polemica contro la Chiesa e i teologi
Ogni forma di sapere doveva essere in armonia con la Sacra Scrittura. Applicato alla nuova scienza, tale decreto poteva generare il problema se il credente dovesse accettare solo il messaggio religioso e morale della Bibbia oppure ogni affermazione scritturale. Il negare certi dati di fatto delle Scritture, pur non intaccando i fondamenti della fede, invalidava anche la Bibbia, che essendo scritta sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, non poteva che essere vera in tutte le sue affermazioni.
Galileo pensa invece che una posizione del genere avrebbe ostacolato il libero sviluppo del sapere e danneggiato la religione stessa, che avrebbe inevitabilmente finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti. Di conseguenza, nelle cosiddette lettere copernicane Galileo affronta il problema dei rapporti fra scienza e fede, pervenendo al seguente schema di soluzione.
La natura (oggetto della scienza) e la Bibbia (base della religione) derivano entrambi da Dio, esse non possono oggettivamente contraddirsi fra loro. Eventuali contrasti fra verità scientifica e verità religiosa sono quindi soltanto apparenti e vanno risolti rivedendo l’interpretazione della Bibbia.
Le Scritture hanno dovuto usare un linguaggio comprensibile alla gente, mentre la natura e le sue leggi seguono un corso inesorabile ed immutabile , senza doversi piegare alle esigenze umane.
La Bibbia non contiene principi che riguardano le leggi di natura, ma verità che si riferiscono al destino ultimo dell’uomo.
Se la Bibbia è arbitra nel campo etico-religioso, la scienza è arbitra nel campo delle verità naturali. Non è la scienza che deve adattarsi alla Bibbia, ma l’interpretazione della Bibbia che deve adattarsi alla scienza. L’errore dei teologi consiste dunque nella pretesa che la scrittura faccia testo anche riguardo alle conoscenze naturali; quando la Bibbia appare in contrasto con la scienza , essa va adeguatamente reinterpretata.
Alla fine la posizione galileiana ha finito per imporsi alla cultura laica e alla Chiesa stessa, che con il tempo è pervenuta a riconoscere l’autonomia operativa della scienza nel campo delle conoscenze naturali, dimostrandosi eventualmente disposta a reinterpretare la lettera dei testi biblici in conformità della scienza.

La polemica contro gli aristotelici
La scienza deve essere indipendente nei confronti dell’autorità culturale di Aristotele e dei sapienti del passato. Il suo disprezzo colpisce i loro infedeli discepoli, che anziché osservare direttamente la natura si limitano a consultare i testi delle biblioteche.
Gli aristotelici continuano ad offrire il triste spettacolo di un dogmatismo antiscientifico che ostacola l’avanzamento del sapere ed inebetisce gli intelletti.

Gli studi fisici di Galileo
Per comprendere in modo adeguato il metodo di Galileo risulta utile conoscere prima le scoperte scientifiche, fisiche ed astronomiche, nelle quali esso si è incarnato ed in relazione alle quali diviene concretamente intelligibile.
Il problema del moto occupò la mente di Galileo per tutta la vita, in cui pervenne a risultati così notevoli da poter essere considerato il fondatore della dinamica scientifica moderna.

Il principio d’inerzia
Per la fisica aristotelica la quiete era lo stato naturale dei corpi sublunari essendo il moto qualcosa di temporaneo, che viene meno non appena cessa l’applicazione della forza che lo produce. I moti sono di due tipi: naturali e violenti. Naturale è il moto con cui un corpo si dirige verso il suo “luogo naturale”, violento è il moto che lo conduce fuori del suo luogo naturale.
Invece, con l’intuizione teorica del principio di inerzia Galileo superava il doppio pregiudizio per cui la quiete è qualcosa di “naturale” e il moto si mantiene solo finchè permane la forza che lo ha provocato.
Il principio di inerzia si rivelava utile anche in sede astronomica, in quanto spiegava perché il movimento dei pianeti e della terra potesse continuare indefinitivamente.

Le leggi sulla caduta dei gravi ed il secondo principio della dinamica
La fisica aristotelica pensava che la velocità di caduta dei corpi fosse direttamente proporzionale al peso dei corpi che cadono e che essa venisse accelerata dalla spinta che l’aria comunica al moto. Galileo giunse invece a risultati diversi e per certi aspetti opposti. Se due corpi dello stesso peso cadono insieme, e durante la caduta si uniscono, essi costituiranno un corpo unico, che avrò peso doppio rispetto ad ogni singolo corpo, ma che si muoverà con la medesima velocità, in quanto nessuno dei due varia la propria velocità per il fatto di essere unito o staccato dall’altro.
Tutti i corpi cadono con la stessa velocità. Se l’esperienza immediata sembra confutare tale legge ciò è dovuto alla resistenza del mezzo, ossia dell’aria. Nel vuoto la legge si realizza invece nella sua purezza.
Galileo perviene alla basilare scoperta del cosiddetto secondo principio della dinamica, ossia al principio che le forze applicate ai corpi non causano loro delle velocità, bensì delle accelerazioni, che risultano proporzionali alle forze che le hanno prodotte. Si può determinare il concetto di accelerazione come variazione di velocità e il concetto di massa di un corpo, come rapporto di proporzionalità tra le forze ad esso applicate e le accelerazioni prodotte da tali forze.

La distruzione della cosmologia aristotelico-tolemaica
Con Galileo ci fu la demolizione del sistema tolemaico. L’esistenza di un’unica scienza del moto e la negazione della diversità di natura fra moti rettilinei e moti circolari porta al rifiuto della diversità di struttura fra cielo e terra, fondata appunto sulla diversità dei rispettivi movimenti.
Galileo aveva intuito la verità del copernicanesimo sin dall’inizio dei suoi studi; grazie all’uso del telescopio egli pervenne a delle scoperte che rappresentano al tempo stesso la verifica empirica del copernicanesimo ed il colpo decisivo alla vechia cosmologia, tutta fondata sul dualismo fra cielo e terra.

Le scoperte astronomiche ed il “funerale della scienza aristotelica”
Tradizionalmente si credeva che la luna fosse rivestita da una superficie liscia e levigata; invece le osservazioni telescopiche di Galileo mostrano come molte delle macchie scure di essa siano ombre proiettate dalle montagne lunari sotto effetto della luce del sole, e come la superficie della luna sia quindi rugosa e ricoperta, allo stesso modo della terra, di prominenze, valli ed anfratti.
Aristotele credeva chesoltanto la terra fosse centro di moti astrali e che un corpo in movimento nello spazio non potesse costituire un nucleo di movimenti per altri corpi. Invece Galileo scopre i quattro satelliti di Giove, che compivano attorno ad esso movimenti analoghi a quelli che la luna compie attorno alla terra. Ma se Giove ruota insieme ai propri satelliti intorno al sole, nulla vieta di pensare che anche la terra possa ruotare intorno al sole.
La cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, essendo perfetti, fossero incorruttibili e non soggetti al divenire.
Con Galileo riceve un colpo di grazia su base sperimentale. Grazie all’uso del telescopio, egli scoprì macchie oscure sulla superficie solare, che si formavano e scomparivano, attestando l’esistenza di un processo di trasformazione in atto e dimostrando clamorosamente come anche i corpi celesti fossero soggetti a fenomeni di alterazione e mutamento.
Nell’antichità e nel medioevo si era sempre creduto che soltanto la terra fosse un corpo opaco, illuminato dal sole e privo di luce propria. Invece la scoperta galileiana delle fasi di Venere fece pensare che tale astro ricevesse la luce dal sole girandovi attorno, ed offriva lo spunto per ritenere che tale spiegazione fosse valida anche per gli altri pianeti.
Grazie al telescopio Galileo potè scoprire che oltre le stelle fisse esistevano innumerevoli altre stelle.

Il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” e la difesa del copernicanesimo
Galileo pubblicò il “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui, dietro il pretesto di voler presentare imparzialmente i due maggiori modelli cosmologici della storia, espone in realtà argomenti decisivi a favore del copernicanesimo.
Per presentare la teoria geocentrica Galileo sceglie Simplicio, di mentalità conservatrice e tradizionalista; per difendere la teoria copernicana sceglie Salviati, che incarna l’intelligenza chiara, rigorosa ed anticonformista del nuovo scienziato; nella parte di neutrale moderatore viene posto Sagredo, che rappresenta un tipo di personalità non oppressa dai pregiudizi, e quindi tendenzialmente portata a simpatizzare con le dottrine recenti.
Il Dialogo è diviso in quattro giornate; nella prima delle quali si pone sotto accusa la distinzione aristotelica fra il mondo celeste e quello terrestre, con argomenti tratti soprattutto dalle osservazioni astronomiche divulgate nel Sidereus nuncius e dai suoi studi di meccanica dei movimenti.
La seconda giornata è dedicata alla confutazione degli argomenti tipici contro il moto della terra. Galileo, per bocca si Salviati, risponde che l’aria partecipa allo stesso movimento della terra, e quindi in rapporto ad essa è ferma; l’aria partecipa del moto della terra.
Secondo il principio della relatività galileiana risulta impossibile decidere, sulla base delle esperienze meccaniche compiute all’interno di un sistema “chiuso” se esso sia in quiete o in moto rettilineo uniforme.
In quel sistema quasi inerziale che è la terra, l’aria circostante si muove insieme con la terra stessa e i gravi cadono comportandosi, approssimativamente, come se essa fosse immobile.
Nella terza giornata del Dialogo viene dimostrato il moto di rotazione della terra ed esalta la concezione copernicana, capace di fornire spiegazioni di fenomeni altrimenti inspiegabili e di chiarire con rigore e matematica problemi inutilmente complicati sofisticati dal sistema tolemaico.
Nella quarta giornata Galileo espone la sua dottrina delle maree.

La scoperta del cannocchiale e la difesa del suo valore scientifico
Il fatto che Galileo non avrebbe potuto rivoluzionare l’astronomia senza il cannocchiale è già di per sé una manifestazione dell’importanza assunta dagli strumenti d’osservazione.
Tali strumenti si rivelarono subito decisivi non solo per l’osservazione, ma anche per la possibilità di riprodurre il fenomeno studiato nelle condizioni volute. Ciò che ai nostri occhi può apparire ovvio (lo strumento come aiuto per la scienza) non lo era affatto nell’epoca di Galileo, a causa di pregiudizi secolari.
Nel Saggiatore Galileo scrive che aveva proceduto a costruire un cannocchiale per proprio conto, e lo usò scientificamente. Egli lo puntò verso il cielo, trasformandolo così in telescopio, ossia in uno strumento primario dell’osservazione astronomica, e facendo le sensazionali scoperte divulgate dal Sidereus nuncius. Ma è proprio il diritto ad usare il cannocchiale come mezzo scientifico che gli sarà duramente contestato e che costituirà una delle ragioni di fondo della reciproca incomprensione fra lo scienziato da un lato e i teologi e gli aristotelici dall’altra.

Il metodo della scienza
L’individuazione del metodo della fisica è il procedimento che ha spalancato le porte ai maggiori progressi scientifici dell’umanità.
Il Galileo non vi è una teoria organica del metodo, poiché egli applica il metodo, più che teorizzarlo fisicamente. Comunque nelle sue opere si trovano disseminate talune preziose osservazioni metodologiche ed alcuni tentativi di scandire o sintetizzare il procedimento della scienza. Ad esempio nel Saggiatore, nel Dialogo e nei Discorsi, Galileo tende ad articolare il lavoro della scienza in due parti: il movimento risolutivo o analitico e quello compositivo o sintetico. Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici, quantitativi e misurabili, formulando un’ipotesi matematica sulla legge da cui dipende. Il secondo momento risiede nella verifica e nell’esperimento, attraverso cui si tenta di comporre o riprodurre artificialmente il fenomeno, in modo tale che se l’ipotesi supera la prova, risultando quindi verificata, essa venga accettata e formulata in termini di legge , mentre, se non supera la prova, risultando smentita o falsificata, venga sostituita da un’altra ipotesi.
Questo schema appare un po’ generico ed incapace di far comprendere le vie concrete e i modi originali seguiti da Galileo nelle sue scoperte. Data l’importanza dell’argomento, risulta indispensabile scavare più a fondo.

Le sensate esperienze e le necessarie dimostrazioni
Galileo ha voluto evidenziare il momento osservativi-induttivo della scienza, preponderante in talune scoperte. Infatti, in certi casi, la scienza galileiana induce una legge generale. È questo il momento più comunemente noto del metodo scientifico, denominato appunto sperimentale.
Con l’espressione necessarie dimostrazioni Galileo ha voluto evidenziare il momento raziocinativi o ipotetico-deduttivo della scienza. Le necessarie dimostrazioni sono i ragionamenti logici, condotti su base matematica, attraverso sui il ricercatore, partendo da una intuizione di base e procedendo per una supposizione, formula in teoria le sue ipotesi, riservandosi di verificarle nella pratica. In altre parole, intuendo e ragionando lo scienziato perviene talora a delle ipotesi mediante cui deduce il comportamento probabile dei fatti, che in seguito si propone di verificare.

Induzione (particolare->generale) e deduzione (generale->particolare)
Nella storiografia del passato Galileo è stato presentato come un sostanziale induttivista, ovvero come un ricercatore che dall’osservazione instancabile dei fatti naturali perviene a scoprire le leggi che regolano i fenomeni; oppure come un convinto deduttivista, più fiducioso nelle capacità della ragione che in quelle dell’osservazione.
In realtà Galileo è tutte e due le cose insieme. In Galileo vi è talora, sia nella prassi concreta della scoperta scientifica sia nella sua consapevolizzazione metodologica, un’innegabile prevalenza del momento sperimentale.
L’alternata talora enfatizzata prevalenza dell’induzione sperimentale sulla deduzione teorica o viceversa non esclude tuttavia la loro reciproca ed indissolubile implicanza di fatti.
Le sensate esperienze presuppongono sempre un riferimento alle necessarie dimostrazioni; esse sono cariche di teoria, in quanto illuminate da un’ipotesi che le sceglie e le seleziona, fungendo da freccia indicatrice e setaccio discriminatore. Galileo scoprì ignoti fenomeni astronomici basandosi sul senso della vista, ma la decisione stessa di studiare i cieli e di puntare il cannocchiale su determinati fenomeni e di interpretarli in un certo modo deriva dalla preliminare accettazione dell’ipotesi copernicana.
Anche le certe dimostrazioni presuppongono sempre un loro implicito od esplicito richiamo alle sensate esperienze. L’esperienza fornisce la base e lo spunto per le ipotesi poiché le stesse intuizioni geniali non nascono nel vuoto, ma a contatto con l’osservazione e lo studio dei fenomeni. Intuizione ed ipotesi acquistano validità solo per mezzo della conferma sperimentale. Anche se quest’ultima sembra talora degradata a semplice verifica semi-superflua di una deduzione che ha già in sé le ragioni della propria verità, la sua importanza è fuori di dubbio, poiché per Galileo un’asserzione teorica risulta scientifica solo se verificata sperimentalmente.
Non sempre è possibile una verifica diretta; tuttavia risulta pur sempre possibile una verifica indiretta delle conseguenze che vengono dedotte dall’accettazione di tanti principi.
Per esempio il principio di inerzia spiega con esattezza i movimenti che si constatano in natura, e tramite opportuni accorgimenti risulta possibile, in laboratorio, avvicinarsi definitivamente alla sua verifica.
La matematica per Galileo costituisce la logica della fisica. La matematica si pone come uno strumento di scoperta scientifica, poiché essa permette di avanzare nuove ipotesi sui fenomeni; questo giustifica l’enorme importanza che le matematiche rivestono per la fisica. In fisica la matematica ha valore scientifico solo se trova riscontro nella realtà.

Esperienza e verifica
In Galileo i concetti di esperienza e di verifica assumono un significato inconfondibile ed originale rispetto al passato. Infatti l’esperienza di cui egli parla non è l’esperienza immediata, ma il frutto di una elaborazione teorico-matematica dei dati, che si conclude con la verifica . Di conseguenza l’esperienza ordinaria è qualcosa di ancora ben lontano dalla scienza di Galileo.
Con Galileo comincia ad affermarsi quel divorzio fra mondo della fisica e mondo comune, che è una caratteristica della scienza moderna.
L’esperienza non ha valore scientifico se non viene legittimata dall’esperimento, al punto che si può dire che l’esperienza scientificamente intesa è l’esperimento. La verifica di cui parla Galilei è la verifica come procedura complessa, intenzionalmente volta a produrre delle condizioni adeguate affinché un certo evento possa prodursi. Lo scienziato deve cercare di riprodurlo in modo semplificato, astraendo il più possibile dalle circostanze disturbanti come ad esempio l’attrito.
Spesso lo scienziato è costretto a trovare condizioni su misura, che a volte non sono mai presenti nella realtà immediata, ma solo in un laboratorio scientifico, e talora neanche in un laboratorio reale, ma solo in uno ideale.
Gli esperimenti mentali consistono nel fatto che Galileo è costretto a ricorrere ad una sorta di fisica ideale, non solo per formulare le ipotesi, ma anche per verificarle. Egli suppone infatti l’assenza di forze.
Gli esperimenti ideali di Galileo, che fanno parte integrante del suo metodo, non escludono affatto il ricorso all’esperienza , in base al principio che una teoria può divenire veramente scientifica solo quando trovi una diretta o indiretta verifica sperimentale.

Metodo galileiano e scienza antica
Si dice che Aristotele egli scienziati greci sbagliavano perché non si attenevano abbastanza ai fatti. La scienza antica di tipo aristotelico non faceva uso della matematica e lo stesso platonismo si fondava più su di una matematica magico-metafisica, che su una matematica-scientifica basata sulla misurazione e sul calcolo dei dati.
Ma il limite più grave della scienza antica risiedeva nella mancanza del controllo sperimentale; non sottoponendo le proprie teorie ed induzioni al cimento di tipo galileiano, essa non poteva mai verificare le proprie affermazioni, rimanendo obbligata a muoversi perennemente sul piano dell’astratto e del non controllabile. La forza del metodo galileiano sta nell’aver saputo riunire in sé il momento osservativi ed induttivo della ricerca con quello teorico e deduttivo, e nell’aver saputo sintetizzare in modo mirabile ragione e sensi, osservazione e raziocinio, teoria ed esperimento, induzione e deduzione, matematica a fisica.

Metodo e filosofia
Con il suo metodo Galileo perviene a quella struttura concettuale che costituisce lo schema teorico della scienza moderna: la natura è un ordine oggettivo e casualmente strutturato di relazioni governate da leggi e la scienza è un sapere sperimentale-matematico intersoggettivamente valido.
Galileo afferma che le opere della natura non possono essere giudicate con un metro puramente umano. I nostri pareri o consigli non riguardano la natura e non hanno valore per essa le nostre ragioni probabili; non dobbiamo cercare perché la natura opera in un certo modo (=causa finale) ma solo come opera (=causa efficiente). Contro ogni fisica essenzialista Galileo ribatte che lo scienziato deve esclusivamente occuparsi delle “leggi” che regolano i fatti, ossia delle verificabili costanti di comportamento attraverso cui la natura agisce.
Con questo discorso Galileo non intende negare, in assoluto, l’esistenza di finalità e di essenze, ma semplicemente accantonarle, ritenendone metodologicamente non-scientifica la ricerca, non essendo dato alla mente di conoscerle.

Presupposti e giustificazioni filosofiche del metodo
La struttura concettuale di Galileo si presenta come una costruzione autonoma, che vale di per sé, ma si ispira ad alcune idee filosofiche rielaborate ed atteggiate.
a) la fiducia galileiana nella matematica viene incentivata e convalidata al tempo stesso dalla dottrina platonico-pitagorica della struttura matematica del cosmo, cioè dalla persuasione che la “fattura” reale del mondo sia di tipo geometrico.
b) Il privilegiamento degli aspetti quantitativi del reale e la riduzione dell’oggetto scientifico a struttura matematicamente trattabile viene corroborata dal ricorso dell’antica distinzione atomistico-democritea fra proprietà oggettive e soggettive dei corpi. Le prime caratterizzano i corpi in quanto tali, le seconde esistono solo in relazione ai nostri sensi.
c) La credenza nella validità del rapporto causale e delle leggi generali scoperte dalla scienza, basate sul principio che a cause simili corrispondano necessariamente effetti simili, che seguendo un corso sempre identico a se stesso risulta necessario ed immutabile come una verità geometrica.
d) La fiducia nella verità assoluta della scienza viene confortata mediante la teoria secondo cui la conoscenza umana, pur differendo da quella divina per il modo di apprendere e per l’estensione di nozioni possedute, risulta simile per il grado di certezza. Mentre Dio conosce intuitivamente, cioè in modo immediato, la verità, l’uomo la conquista progressivamente attraverso il ragionamento discorsivo. Inoltre Dio conosce tutte le infinite verità, mentre l’uomo solo alcune di esse.

Esempio



  


  1. gullace

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