La repubblica di Platone

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Testo

LA REPUBBLICA
di
PLATONE
PPPPPPPP SOCRATE
POLEMARCO
CEFALO
GLAUCONE
ADIMANTO
AAAAAAAAAA TRASIMACO
Francesco Veneziano
Classe 3° sez: C
Anno Scolastico 1999/2000
INDICE
LIBRO PRIMO 3
LIBRO SECONDO 5
LIBRO TERZO 7
LIBRO QUARTO 9
LIBRO QUINTO 11
LIBRO SESTO 13
LIBRO SETTIMO 14
LIBRO OTTAVO 16
LIBRO NONO 18
LIBRO DECIMO 19
MITI, RACCONTI ED ANALOGIE NELLA “REPUBBLICA 20
L’anello di Gige: 20
I nati dalla terra: 20
Analogia della tintura: 21
Analogia della nave: 21
Analogia del sole: 21
Analogia della linea: 21
Mito della caverna: 22
Metafora dell’anima: 23
Mito di Glauco: 23
Mito di Er: 23
Libro primo
R
ispetto agli altri nove, il primo libro della “Repubblica” è differente per lo stile e per il modo in cui vengono affrontati gli argomenti; è fondato ritenere che costituisse un dialogo a parte, probabilmente intitolato “Trasimaco”, infatti in esso compaiono personaggi (Cefalo, Polemarco e Trasimaco) che non interverranno più nel corso dell’opera; inoltre la tecnica confutatoria di Socrate è quella tipica dei dialoghi della gioventù, diversa dallo stile degli altri capitoli.
I personaggi dell’opera sono il filosofo Socrate, il ricco Cefalo, esponente della classe “borghese” e crematista, suo figlio Polemarco, acceso democratico, Glaucone ed Adimanto, fratelli dello stesso Platone ed esponenti dell’aristocrazia, e Trasimaco, sofista iroso ed impulsivo, teorizzatore dell’ingiustizia come virtù; alla discussione, pur non prendendone parte, assistono diverse altre persone.
Socrate, dopo aver assistito con Glaucone alle feste Bendidie, viene raggiunto da alcuni amici e convinto a seguirli a casa di Cefalo, qui intrattiene con lo stesso una discussione sulla vecchiaia ed entrambi sono d’accordo nel ritenerla piacevole per i giusti che si sanno accontentare in quanto “liberazione da molti e pazzi padroni”, i desideri carnali; il ricco Cefalo sostiene poi che la ricchezza aiuta il buono a sostenere la vecchiaia con onestà e giustizia, ma è inutile all’ingiusto.
Socrate inizia la serie di definizioni da confutare, suo tipico metodo argomentativo, proponendo come definizione di giustizia, “dire la verità e restituire le cose ricevute”; Cefalo, conscio della superiorità di Socrate, abbandona con una scusa la discussione, lasciandola al proprio figlio Polemarco.
Socrate confuta col paradosso del pazzo la precedente definizione di giustizia, e Polemarco, parafrasando un poeta, la definisce “fare il bene degli amici ed il male dei nemici”.
Ma il bene dell’amico malato lo farà il medico, e il bene del marinaio il pilota; sono le persone competenti, e non i “giusti”, a fare il bene dell’oggetto della loro scienza; inoltre è difficile definire chi sia amico e chi no.
Trasimaco interrompe la discussione, criticando il metodo socratico e la mancanza di una definizione; per lui l’ingiustizia, cioè l’utile del più forte, è preferibile alla giustizia e il tiranno è l’uomo più felice di tutti.
Socrate confuta questa tesi dimostrando che, tendendo l’ingiusto a “soverchiare tutti, giusti ed ingiusti”, si ritroverà senza alleati, amici, e le stesse parti della sua anima saranno divise; un tale uomo è sicuramente infelice ed avrà vita breve a causa dell’odio che lo circonda e della profonda spaccatura della sua anima.
In questo libro emerge una dura critica ai sofisti, nella persona di Trasimaco, per la loro arroganza; Socrate, a differenza del sofista, che insegna volentieri ma a pagamento, è riluttante ad esporre le proprie idee, ed è quasi costretto a partecipare alla discussione.
Le argomentazioni usate da Socrate in questo libro sono insufficienti; Platone sottolinea così la debolezza del metodo socratico, e come sia necessario arrivare a conclusioni assolute; dal prossimo libro Socrate abbandonerà il suo metodo e darà lui definizioni anziché confutare quelle dell’interlocutore.
Libro secondo
E
sprimendo i suoi dubbi, Glaucone, non soddisfatto dalla confutazione di Socrate, riprende le tesi di Trasimaco per ottenere una definizione della giustizia.
Socrate divide i beni in tre classi: quelli desiderabili per sé, quelli desiderabili per sé e per i vantaggi che portano, e quelli desiderabili solo per i vantaggi che portano; Socrate mette la giustizia nella seconda categoria, ma la maggioranza ritiene più corretta la terza.
Glaucone aggiunge che è bene commettere ingiustizia e male subirne; si è giusti solo per paura delle punizioni e per avvalorare il discorso cita la storia dell’anello di Gige.
Mentre si procede ad esaminare l’uomo giusto e l’uomo ingiusto, Adimanto chiede di cercare la giustizia in sé.
Socrate, non riuscendo a trovarla nell’uomo giusto, propone di cercarla nello stato giusto.
Ponendo come unica limitazione che ogni uomo possa svolgere correttamente un solo mestiere, si crea uno stato aggregando in un piccolo territorio, appena sufficiente a mantenerli, nuclei successivi di popolazione per soddisfare ogni bisogno.
1° nucleo: Agricoltori, muratori, sarti, calzolai
2° nucleo: Carpentieri, fabbri, artigiani, pastori
3° nucleo: Commercianti, marinai
4° nucleo: Negozianti, mercenari
Socrate ritiene che ci si possa fermare qui per avere uno stato forte e sano, ma su richiesta di Glaucone aggiunge il lusso.
5° nucleo: Poeti, musici, fabbricanti di beni superflui.
6° nucleo: Servi
7° nucleo: Pastori e medici
8° nucleo: Guardiani e filosofi
Sull’educazione di quest’ultimo gruppo, inserito per governare e difendere la città, si concentrano le attenzioni di Socrate; la ginnastica e la musica devono esserne parte integrante.
Andranno inoltre eliminati tutti i componimenti poetici che forniscono una visione distorta degli eroi e delle divinità.
1° legge: La divinità è buona, ed è causa dei beni, non dei mali
2° legge: La divinità è perfezione, e quindi non si trasforma
3° legge: Gli dei non ingannano e non commettono falsità
4° legge: È vietato ai poeti rappresentare gli dei in modo distorto
Libro terzo
P
roseguendo la condanna dell’arte, Socrate critica quelle opere che rappresentano gli eroi intemperanti, avidi, disonesti o troppo inclini al riso.
Le opere letterarie vengono poi divise in tre gruppi, in base al tipo di forma usata nella narrazione:
• Imitativa, cioè in prima persona, per facilitare l’immedesimazione
• Narrativa, cioè con l'uso del discorso indiretto
• Mista
Le forme imitative e miste sono bandite dallo stato perché sviano l’anima retta dalla conoscenza, a meno che non trattino di atti ed eroi virtuosi.
Si esamina ora la musica; la melodia è composta da tre elementi
1) Parole: Ammesse solo quelle che trattano di azioni virtuose.
2) Armonie:
• Mixolidia e sintonolidia: Bandite perché lamentose
• Ionica e lidia: Bandite perché molli e conviviali
• Dorica: Accettata perché suscita fermezza
• Frigia: Accettata perché suscita comportamenti pacifici
3) Ritmi:
• Regolari ed eleganti: ammessi
• Irregolari e non eleganti: banditi
Il fine della musica è l’amore del bello.
La cura del corpo è il fine della ginnastica, altro “pilastro” dell’educazione dei guardiani; questa comprende esercizi di tipo bellico, semplici ma ripetuti e organizzati su modello spartano.
L’alimentazione adeguata è povera di pesce e di carni lessate, ma ricca di carni arrostite.
La cura del corpo è utile solo in giovane età, è inutile curare individui non più utili alla società.
Sia la ginnastica sia la musica influenzano l’anima, e solo chi ha un’anima ferma e pura può essere un guardiano.
I giudici devono essere puri ma avere la conoscenza della malvagità per riconoscerla, come i medici devono riconoscere le malattie; come i medici, così i governanti possono mentire per il bene del paziente\stato.
I governanti vanno scelti da giovani tra i guardiani, con dure prove affinché mantengano la conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male e non siano:
• Derubati: Governanti che mutano opinione o la dimenticano
• Ammaliati: Governanti che mutano opinione per piaceri o paure
• Violentati: Governanti che mutano opinione per dolore fisico o morale
Perché la popolazione sia più governabile è bene che i governanti facciano credere di essere tutti uguali e fratelli.
Mito dei “nati dalla terra” per spiegare le tre classi.
Le classi sono flessibili, si appartiene ad esse per meriti, non solo per nascita.
Per i guardiani vi è la comunione delle donne e dei beni, non esiste la proprietà privata affinché l’amore per la famiglia non superi quello per lo stato.
In questo libro Platone attacca duramente i “nuovi medici”, seguaci di Ippocrate; quello che Platone contesta loro è lo stesso “giuramento”, che afferma l’obbligo, da parte dei medici, di fare tutto il possibile per salvare il paziente, anche se esso è inutile per la società.
Libro quarto
U
n’obiezione di Adimanto interrompe Socrate nella sua esposizione dei doveri dei guardiani: simili persone, osserva il fratello di Platone, condurrebbero senza dubbio una vita triste ed infelice; la risposta di Socrate è che non importa la felicità di una classe, bensì quella di tutto lo stato nella sua completezza.
Per far ciò bisogna che la popolazione sia unita e che non si formino la “città dei ricchi” e la “città dei poveri” che causano spaccature e dissidi nelle poleis greche.
Bisogna quindi evitare che vi siano troppi ricchi o troppi poveri, si vietano perciò le guerre di espansione, causa di rovina per molti e di arricchimento illecito per pochi; il territorio della città deve dunque bastare a soddisfare i bisogni, quindi si effettuerà un controllo delle nascite per mantenere costante la popolazione.
Il divieto di compiere guerre di espansione, unito al divieto per i guardiani di possedere proprietà e all’obbligo per gli stessi di compiere esercizi ginnico-bellici rendono lo stato poco appetibile per gli invasori esterni, che dovrebbero combattere truppe ben addestrate per non ricavare alcun bottino; di contro lo stato avrebbe molti alleati perché nelle guerre lascerebbe ad essi tutto il frutto delle razzie, non solo una parte.
Affinché lo stato si conservi senza crollare, è importantissima l’educazione dei guardiani; infatti, per un circolo virtuoso:
Poleis giusta
Cittadini giustii Educazione dei cittadini
EAnima giusta e buona
Se venisse trascurata l’educazione, l’anima dei cittadini non sarebbe giusta e la città crollerebbe.
Per ogni aspetto religioso bisogna affidarsi all’oracolo di Delfi.
Glaucone vorrebbe stabilire anche il taglio d’abito o dei capelli dei guardiani, ma Socrate afferma l’inutilità di simili dettagli.
Costruito lo stato ideale, si procede ad esaminare le virtù che lo caratterizzano, esse sono:
• La sapienza: tra tutte le scienze (del falegname, del fabbro…), questa rende capaci di reggere lo stato ed è propria dei governanti, che sono la classe più esigua
• Il coraggio: È “un salvaguardare la propria opinione sulle cose temibili e sulla loro natura, opinione che in noi ha instaurata la legge mediante l’educazione”; analogia della tintura per spiegare meglio il concetto; è propria dei guardiani
• La temperanza: Continenza di piaceri e appetiti; è propria di tutte le classi dello stato
• La giustizia: Ordine e armonia tra le parti; appartenenza alla propria classe e svolgimento di un solo mestiere per il quale si è naturalmente portati; è propria di tutto lo stato
Trovata la giustizia nello stato, si esamina quella dell’individuo; come nello stato essa è l’armonia tra le classi, artigiani, guardiani e governanti, così nell’individuo, è armonia tra le anime, appetibile, irascibile e razionale.
L’uomo è giusto quando l’anima irascibile e l’anima razionale, alleate, dominano l’anima appetibile; se le anime sono in disaccordo e la ragione non tiene le altre sotto controllo, l’individuo è ingiusto.
Libro quinto
B
eni e donne in comune: questa è l’idea che incuriosisce Adimanto, il quale chiede spiegazioni; Socrate risponde dicendo che questa è solo una, e la meno scandalosa, delle tre “ondate”, teorie rivoluzionarie del suo pensiero.
La prima ondata è l’identità di compiti e di educazione tra uomini e donne, da realizzare poiché le differenze tra i due sessi non sono tali da comportare e spiegare differenze di occupazione; le donne sono solo in media più deboli degli uomini, ma questo differenza non pregiudica il loro operato.
La seconda ondata è la comunanza delle donne e dei figli, che permette ai guerrieri di liberarsi degli affetti privati per dedicarsi esclusivamente allo stato.
I matrimoni devono essere combinati dai governanti, affinché la popolazione rimanga costante; la qualità della prole deve essere migliorata, garantendo ai migliori e ai guerrieri vittoriosi più possibilità di generare figli.
L’età adatta per avere figli è di 20\40 anni per le donne e di 30\55 per gli uomini; superata questa, l’eventuale prole deve essere necessariamente allevata dalla classe degli artigiani.
La nascita da genitori guardiani non assicura l’appartenenza alla stessa classe, i bambini vengono allevati insieme in orfanotrofi statali e lì vengono indirizzati alla classe di appartenenza; vengono favoriti i migliori mentre i peggiori sono allevati come artigiani.
I governanti, unici a conoscere i veri rapporti di parentela, impediranno ogni incesto.
I giovani devono partecipare sin da piccoli alle operazioni belliche su cavalli veloci, e vi saranno premi per i valorosi e punizioni per i disertori; i più valorosi devono ricevere grandi onori da vivi e devono essere venerati come divinità da morti.
La guerra è da intendere tale solo nei confronti dei barbari; le guerre tra Elleni sono solo discordie: in questo caso è vietato depredare il raccolto e spogliare i cadaveri; i vincitori devono ricordare che il nemico non è la popolazione vinta, bensì i capi di essa.
La terza e più importante ondata è: “che i filosofi governino o che i governanti facciano pura e autentica filosofia”.
Ciò è necessario poiché solo i filosofi possiedono la giusta conoscenza per guidare la stato; la definizione di filosofo è: colui che ama la verità nella sua interezza; i tipi di conoscenza sono:
• Ignoranza: mancanza di conoscenza
• Scienza: Conoscenza di ciò che è
• Opinione: Conoscenza di ciò che al tempo stesso è e non è (divenire)
I filosofi della physis, così come i sofisti, non rientrano nella definizione di filosofi, poiché i primi indagano il divenire e i secondi, negando col relativismo le realtà assolute (eidos), rifiutano la conoscenza di ciò che è.
Essi non sono veri amanti del sapere, filosofi, bensì semplici curiosi, amanti dell’opinione e quindi “filodossi”.
È molto discussa l’interpretazione del brano nel quale si parla dell’educazione della prole peggiore e minorata, alcuni ritengono che Platone intendesse per loro la segregazione a vita o addirittura l’infanticidio a fini eugenetici.
È importante osservare la definizione del filosofo e come tutti i maggiori filosofi del tempo rientrassero per Platone nella categoria dei filodossi
Libro sesto
B
uon filosofo, e non filodosso è, secondo Socrate, chi possiede le seguenti doti, necessarie per lo studio della dialettica e per la conduzione dello stato
• Saggezza
• Coraggio
• Temperanza
• Distacco dai beni materiali
• Prontezza ad apprendere
• Buona memoria
• Grazia
• Magnanimità
• Amor di patria
• Perspicacia
• Acutezza
• Fermezza
• Bellezza
Adimanto obbietta che ben difficilmente un filosofo possiede tutte queste qualità, anzi ritiene i filosofi del tempo inutili, ridicoli o malvagi.
Socrate spiega che questo è vero ed è dovuto all’azione corruttrice del popolo ignorante, dei sofisti inutili e perversi, e dei demagoghi sull’anima, ancora giovane e non educata alla temperanza, del filosofo, come è successo ad Alcibiade; il ragionamento è avvalorato dall’analogia con la nave.
Solo una piccola minoranza è filosofa, essa negli stati non perfetti non si può realizzare poiché l’istruzione comincia da giovanissimi e viene poi abbandonata un volta arrivati alla dialettica, parte più difficile.
La realizzazione del filosofo, ossia l’assimilazione al divino, è attuabile solo nello stato ideale prendendo come modelli gli eidos; un tale stato non si potrà mai realizzare spontaneamente, e la maggior difficoltà per la sua realizzazione è l’impossibilità di esporre immediatamente il bene-in-sè
Socrate spiega il bene ricorrendo all’analogia del sole e la giusta conoscenza con quella della linea.
Libro settimo
L
’inizio di questo libro, il mito della caverna, può essere considerato come l’estrema sintesi del pensiero platonico, disponendo di varie chiavi di lettura e significati.
Dopo l’enunciazione e la spiegazione del mito, la discussione ritorna ora sui filosofi; vorranno questi abbandonare lo studio della filosofia per governare?
La risposta di Socrate è no, ma dovranno esservi costretti per il bene dello stato.
L’educazione del filosofo:
1) Sino ai 18 anni di età: educazione ginnico-musicale
2) dai 18 ai 20 anni: corso extra di ginnastica
3) Selezione dei migliori ventenni; chi la supera studia dai 20 ai 30 anni:
• Matematica: doppiamente necessaria, sia per l’aspetto militare, sia per l’aspetto filosofico; infatti, è fondamentale per il generale che deve ordinare l’esercito ed è necessaria al filosofo per stimolare l’intellezione poiché gli opposi (grande-piccolo) stimolano la mente, i concetti la intorpidiscono
• Geometria piana: Necessaria al generale per disporre le truppe, al filosofo perché lo costringe a contemplare l’essere e le idee; non deve essere studiata praticamente, ricorrendo ad imperfetti modelli sensibili, ma solo teoricamente, meditando sul soprasensibile
• Stereometria (geometria solida): Affatto studiata al tempo di Platone, deve invece essere approfondita per ragioni ed in modi analoghi alla geometria piana
• Astronomia: Da studiare solo teoricamente, perché la conoscenza si ottiene elevando lo spirito e non lo sguardo
• Armonia: Da studiare solo teoricamente poiché è inutile anteporre le orecchie all’anima razionale
4) Selezione dei migliori trentenni; per chi la supera, dai 30 ai 35 anni: cauto avvio alla dialettica poiché se esercitata troppo quando l’anima non è stata ancora forgiata, porta a ragionamenti eristici
5) Dai 35 ai 50 anni: studio della dialettica e contemplazione del bene
6) Dai 50 anni in poi: governo dello stato e filosofia nel tempo libero.
Uno stato siffatto non potrà mai crearsi spontaneamente; solo un tiranno convertito alla filosofia potrà avere abbastanza potere da cacciare dalla città tutti i cittadini con più di 10 anni ed allevare i più giovani seguendo l’ordinamento dello stato ideale; per il circolo virtuoso già esposto, le future generazioni manterranno tale ordinamento.
Quest’ultima affermazione permette di chiarire un aspetto importante della vita di Platone: il suo interessamento per Siracusa e la sua amicizia con Dione, parente dei tiranni di quella città e lui stesso tiranno per un breve periodo.
Platone sperava, tramite quest’appoggio politico, di “convertire” alla sua dottrina i signori di Siracusa e mettere in pratica la sua teoria, altrimenti condannata a non rimanere nient’altro che un’utopia.
Libro ottavo
I
nfine, formulata la legislazione dello stato ideale, Socrate procede ad esaminare in quale rapporto esso sia con gli stati esistenti al suo tempo; lo stato ideale è il culmine della perfezione a cui può arrivare uno stato terreno, ma tuttavia non è eterno; tutti gli altri sono generati dal suo progressivo decadimento.
Questo decadimento si origina dopo un periodo di 12.960.000 giorni, cioè 36.000 anni (da 360 giorni); questo numero si ottiene da relazioni matematiche (2x3x10)4=(3x4x5)4=(36x100)2=(48x100)x(27x100)=12.960.000
Le varie forme di decadimento sono:
1) Stato ideale
2) Timocrazia
3) Oligarchia
4) Democrazia
5) Tirannide
Quando l’educazione ginnico-musicale viene trascurata ha inizio il decadimento: i governanti non sono più degni del loro compito e causano guerre ed inimicizie; i guardiani prendono possesso di case e terreni, pur essendo ancora vietato il possesso di oro, e riducono in schiavitù il popolo.
Questa è la TIMOCRAZIA, fondata sull’onore e caratterizzata dall’avidità e caparbietà dei governanti; un esempio di timocrazia è la città di Sparta.
Col tempo l’interesse si sposta dagli onori alle ricchezze, i governanti posseggono anche oro e ricchezze; la classe dirigente è sempre più ignorante e si governa con la forza, non in base ai meriti, ma in base alle ricchezze.
Questa è l’OLIGARCHIA, caratterizzata dall’avarizia dei governanti e dalla divisione in “città dei ricchi” e “città dei poveri”.
Diventa sempre più difficile fare guerre poiché il popolo si ribella, agitato dai “fuchi”, briganti e delinquenti.
Quando il popolo finalmente insorge si ha la DEMOCRAZIA, la migliore tra le costituzioni non perfette, poiché è piacevole, anarchica, varia.
Gli ex-oligarchi vengono cacciati e uccisi, le cariche pubbliche rette da tutti a sorte, si vive nella totale libertà.
La fame di libertà diviene sempre più insaziabile e i cittadini accusano i governanti di non concederne abbastanza; i ricchi sono tiranneggiati dai “fuchi” a accusati di voler ricostituire l’oligarchia; il popolo sceglie un protettore tra i “fuchi” per difendersi dagli oligarchi, il TIRANNO.
Questi in un primo tempo sorride, saluta, scioglie debiti, distribuisce ricchezze al popolo; successivamente fomenta guerre affinché il popolo abbia sempre bisogno di una guida ed elimina gli oppositori e gli ex-amici; è protetto da guardie del corpo pagate (schiavi da lui affrancati) e mantiene l’esercito con i beni sacri e le tasse del popolo.
Affiancato a questo esame delle forme di governo, vi è l’esame degli animi umani corrispondenti; Platone ripercorre la storia dello stato dal punto di vista psicologico, sottolineando ancora una volta l’importanza dell’educazione.
Il filosofo-governante dello stato ideale ancora puro non educa il figlio in modo adeguato; questi, avido di ricchezze e di onori, una volta divenuto governante autorizza il possesso di terreni; nell’uomo timocratico l’anima irascibile non è più controllata da quella razionale ma si “allea” con quella appetibile.
L’avidità dell’uomo timocratico lo porta ad infrangere le leggi possedendo oro; viene per ciò denunciato e condannato, il figlio trascura quindi le cariche, che non hanno salvato il padre, e si dedica all’accumulazione di denaro, ora resa legale; l’uomo oligarchico è dominato dall’avarizia, si trova in una situazione di “temperanza intemperante” poiché i desideri e le passioni sono repressi non dalla ragione ma da un desiderio più forte.
L’uomo oligarchico alleva il figlio alla parsimonia, ma questi fa cattive amicizie (poveri e “fuchi”) e non riesce a reprimere il suo desiderio di libertà; la sua anima è frammentata come lo è lo stato democratico, e in essa non vi è più un solo appetito, ma tutti hanno lo stesso peso.
Libro nono
C
ontinuando l’esame degli uomini corrispondenti alle varie forme di governo: è la volta del tiranno, in esso si è risvegliata quella “specie di appetiti tremenda, selvaggia e contraria alla legge” che si trova, più o meno assopita, in ogni uomo.
Il tiranno è il figlio dell’uomo democratico che, pur educato secondo i principi della democrazia, vuole “libertà sfrenate” e, dilapidato tutto il patrimonio frequentando cattive compagnie, soverchia con la violenza i genitori per ottenere altro denaro. L’uomo tirannico nutre senza freno ogni sorta di appetiti sotto la guida di eros e di bramosia; commette ogni sorta di misfatti contro la famiglia, gli altri e lo stato.
Il tiranno è l’uomo più infelice del mondo poiché, come lo stato tirannico è schiavo, povero, pieno di paure e dolori, così anche nell’animo dal tiranno, la ragione è schiava degli appetiti; e la paura di perdere il potere e di essere ucciso dal popolo che ha schiavizzato lo costringono a vivere continuamente nel terrore.
Inoltre gli uomini possono essere divisi in tre categorie:
• Amanti del sapere
• Amanti degli onori
• Amanti del guadagno
Ma dei tre il primo prova maggior piacere, in quanto la sapienza porta onori ed è preferibile al guadagno, perché questo piacere si può gustare sin da piccoli.
Il filosofo è 36=729 volte più felice del tiranno, poiché ognuna delle tre anime è tre volte più infelice per ogni grado di allontanamento dallo stato ideale e, nel caso del tiranno, bisogna elevare il tutto al cubo perché questi dista tre gradi dal filosofo.
Con una similitudine Platone spiega la composizione tripartitica dell’anima e come raggiungere la felicità.
Il filosofo è chi realizza nella propria anima la città ideale.
Libro decimo
A
paragone con gli altri libri, a parte forse il primo, questo libro sembra differente per lo stile, inoltre contiene argomentazioni ritenute le peggiori tra tutti gli scritti di Platone, e in alcune parti, addirittura smentisce precedenti affermazioni.
In realtà questo libro non fa parte della “Repubblica” vera e propria, ma è stato pubblicato da Platone come “appendice”, nella quale approfondire meglio gli argomenti trattati superficialmente.
Si rinnova qui l’attacco all’arte, ancor più aspro di quelli precedenti, poiché ora viene bandita tutta l’arte, compresa quella raffigurante atti ed uomini giusti e meritevoli; inoltre, si utilizza come esempio il letto, anche se in altri dialoghi si era affermata l’esistenza degli eidos corrispondenti solo ad oggetti esistenti in natura, negando quella degli eidos dei manufatti.
L’oggetto dell’arte è l’apparenza, tre volte lontana dagli eidos; l’imitazione è, quindi, da bandire perché non dà conoscenza, infatti la scienza è propria di chi sa usare un oggetto; l’artigiano che lo produce ha invece la fede, perché si fida dei giudizi e delle informazioni che gli fornisce chi lo usa; l’imitatore non possiede né fede né scienza, bensì dòxa, semplice opinione.
Particolarmente dannosa per l’anima è la rappresentazione poetica, sia le tragedie, sia le commedie; infatti vedere rappresentate le passioni, libera quelle dello spettatore, solitamente dominate della ragione, una volta liberate, risulta difficile per l’anima razionale controllarle nuovamente.
Si procede ora con la dimostrazione dell’immortalità dell’anima; ogni oggetto viene distrutto solo e soltanto dal male che gli è proprio, ad esempio il ferro dalla ruggine, non certo dai tarli; il male dell’anima è l’ingiustizia, ma questa non la distrugge, infatti quella del tiranno, pur divisa e in contrasto con sé, non muore; se l’anima non è distrutta dal proprio male, certamente non lo è dai mali del corpo, quindi gli sopravvive anche dopo la morte.
Tuttavia l’immortalità dell’anima non si accorda bene con la rappresentazione tripartita che ne era stata fatta, quindi Socrate non nega che l’autentica natura dell’anima possa essere diversa da quella descritta precedentemente; per esaminarla nella sua vera natura, bisognerebbe contemplarla pura, e non contaminata col corpo e gli appetiti, concetto evidenziato dal mito di Glauco.
Il resto del libro è occupato dal mito di Er, che illustra il destino dell’anima dopo la morte.
L’opera si conclude con l’affermazione di Socrate che solo il giusto è felice, in questo e nell’altro mondo.
Miti, racconti ed analogie nella “Repubblica
Libro secondo
L’anello di Gige:
Gige era un pastore che lavorava alle dipendenze del re della Lidia.
A seguito di un terremoto nel terreno dove stavano pascolando le sue pecore si provocò una voragine; Gige scese al suo interno e vi trovò un cavallo bronzeo, cavo, di immani proporzioni, al suo interno vi era il cadavere di un gigante con un anello d’oro al dito.
Gige prese l’anello e, tornato su, si accorse che, ruotandolo in modo che la gemma incastonata si trovasse rivolta verso il palmo della mano, l’anello rendeva invisibile chi lo portasse.
Conosciuto questo potere brigò per essere uno dei messi da mandare al re, sedusse la regina e, col suo aiuto, uccise il sovrano e prese il potere.
Con questo mito Glaucone vuole dimostrare che nessuno è giusto, e sono le leggi che ci dissuadono dal commettere ingiustizie.
Libro terzo
I nati dalla terra:
La divinità che creò gli uomini, li forgiò con oro, argento e bronzo: quelli aurei, pochissimi, con funzione di governo; quelli argentei, pochi, per difendere lo stato; quelli bronzei, moltissimi, per essere agricoltori ed artigiani.
Questi uomini nacquero dalla terra, e per questo sono detti i “nati dalla terra”; da essi deriva tutta la popolazione del mondo e nello stato ideale deve essere rispettata questa divisione originaria in tre classi
Socrate non mostra di credere a questo mito ed esita a lungo prima di raccontarlo.
In realtà questa è una di quelle menzogne a fin di bene che i governanti devono raccontare agli artigiani per far credere loro di essere tutti fratelli e convincerli a essere governati di buon grado.
Libro quarto
Analogia della tintura:
L’animo umano è simile a una stoffa che deve ricevere una tintura; affinché la tintura risulti efficace bisogna prima selezionare le stoffe più adatte, cioè i guardiani, poi le stoffe devono ricevere un particolare trattamento, l’educazione ginnico-musicale, infine vengono tinte.
Le stoffe che non hanno subito il trattamento, pur ricevendo il colore, ovvero “l’opinione sulle cose temibili e la loro natura”, stingono se sottoposte all’azione dei solventi: il dolore, la paura, la brama.
Libro sesto
Analogia della nave:
Lo stato è come una nave in preda ad una tempesta, il cui timoniere sia un vecchio, forte e vigoroso ma duro d’orecchie, debole di vista, e con scarse conoscenze della costa; i marinai lottano tra loro per decidere chi debba essere il pilota, ma ignorano tutto quello che il buon pilota dovrebbe sapere, mentre a chi è competente, è impedito di svolgere il proprio compito.
Il vecchio timoniere sono i governanti delle poleis, il pilota competente sono i filosofi, che non possono realizzarsi come tali perché impediti dalla massa ignorante
Analogia del sole:
Il bene è come il sole, da esso proviene la luce, cioè la verità e questa permette agli occhi, la nostra anima, la vista, cioè la conoscenza; gli oggetti da noi visti sono l’oggetto della conoscenza e, se male illuminati, ci appaiono confusi, dòxa, se invece sono ben illuminati, ne abbiamo l’epistéme, la scienza.
Analogia della linea:
AC:CB=AE:EC=CD:CB
A E C D B
AC = Mondo sensibile\ Opinione\ Dòxa
CB = Mondo intellegibile\ Scienza\ Epistéme
AE = Ombre e riflessi\ Immaginazione\ Eikasìa
EC = Animali, piante e oggetti artificiali\ Credenza\ Pìstis
CD = Enti geometrici\ Pensiero dianoetico\ Diànoia
DB = Idee\ Intellezione\ Nòesis
Libro settimo
Mito della caverna:
All’interno di una caverna stanno, incatenati sin da bambini, alcuni uomini, incapaci di vederne l’entrata; alle loro spalle arde un fuoco e, tra il fuoco e l’entrata della caverna, passa una strada con un muretto che funge da schermo; per la strada passano diversi uomini, portando sulle spalle vari oggetti che proiettano le loro ombre sul fondo della caverna.
Per i prigionieri le ombre che vedono sono la realtà; se uno di essi fosse liberato e costretto a voltarsi e ad uscire dalla caverna, sarebbe abbagliato dalla luce del sole e proverebbe dolore, tuttavia a poco a poco si abituerebbe, potrebbe vedere i riflessi delle acque, poi gli oggetti reali, gli astri ed infine il sole.
Tornando nella caverna dovrebbe riabituare gli occhi all’oscurità, e sarebbe deriso dai compagni; se volesse convincerli a seguirlo lassù, lo ucciderebbero.
Questo mito può essere interpretato con differenti chiavi di lettura:
• Ontologica:
Le ombre sul fondo della caverna sono la dòxa, l’opinione, gli oggetti che proiettano le ombre il mondo sensibile, i riflessi sono gli enti matematici; la cose reali le idee, il sole è l’idea del bene.
• Gnoseologica:
Caverna=Opinione
Mondo esterno=Scienza
Ombre=Immaginazione
Oggetti portati=Credenza
Riflessi=Scienze matematico-geometriche
Realtà=Intellezione e dialettica
• Politica:
Il filosofo, una volta uscito dalla caverna, cioè dopo aver contemplato le idee, deve ritornarvi per mettere in pratica lo stato ideale, anche a costo della vita, come è successo a Socrate.
Libro nono
Metafora dell’anima:
L’anima è come un mostro mitologico, formato dall’unione di un uomo, un leone, ed un mostro policefalo; giustizia si ha quando l’uomo, anima razionale, alleato col leone, anima irascibile, tiene a freno il mostro policefalo, anima appetibile.
Viceversa si ha l’ingiustizia, quando l’uomo è succube del mostro policefalo.
Libro decimo
Mito di Glauco:
Glauco era un pescatore della Beozia che, dopo aver fatto un bagno in una fonte magica, si inabissò in mare diventando una creatura marina capace di profetizzare il futuro.
Noi non dobbiamo contemplare l’anima mista ad altri mali, poiché sarebbe irriconoscibile, come Glauco dopo la trasformazione.
Mito di Er:
Er, figlio di Armenio, era un valoroso guerriero dell’Asia minore; morto in battaglia, il cadavere venne recuperato dopo dieci giorni ancora incorrotto, al dodicesimo giorno, poco prima del rogo funebre, il cadavere si risvegliò, e prese a narrare cosa aveva visto.
Uscita dal corpo l’anima era arrivata nel mondo delle idee, in un luogo dove vi erano quattro voragini, due in cielo e due in terra; in mezzo sedevano dei giudici che, giudicata ogni anima, indirizzavano i giusti per la voragine destra del cielo e gli ingiusti per quella sinistra della terra; dalle altre voragini affluivano altre anime, sporche e lacere da sottoterra, linde e pulite dal cielo.
Le anime si scambiavano notizie sui fatti del mondo mentre Er veniva informato che, dopo la morte, si trascorreva un periodo pari a dieci volte la propria vita (1000 anni, perché la durata dalla vita perfetta è di 100 anni) a scontare il decuplo delle pene commesse, o a gioire per il decuplo del bene fatto.
Per gli empi, gli irrispettosi nei confronti dei genitori e gli assassini, vi è una pena aggiuntiva: venivano scuoiati e trascinati su piante di aspalato; inoltre se si avvicinavano all’uscita, erano terrorizzati da un grande muggito.
Le anime che dovevano reincarnarsi venivano condotte in un altro luogo, da dove si scorgeva l’asse dell’universo; vi era sospeso per aria, il fuso di Anake, dea della Necessità Naturale, tutto di diamante; attorno ad esso giravano otto fusaioli (semisfere con l’apertura rivolta verso l’alto) concentrici, ognuno corrispondente ad un pianeta e colorato (gli astrologi babilonesi avevano attribuito un colore ad ogni pianeta); da ogni fusaiolo una sirena emetteva un’unica nota; le otto note, unite a quelle delle tre Moire, Lachesi, Cloto ed Atropo, formavano un’armonia che poteva essere udita dai filosofi.
Le anime, arrivate da Lachesi, dovevano scegliere il paradigma della vita desiderata, tra i tanti che giacevano per terra, più delle anime presenti.
I paradigmi erano di vite umane ed animali, e ciascuno sceglieva secondo le inclinazioni della vita precedente; l’ordine delle anime era scelto a sorte.
La filosofia permette di scegliere con cura una vita giusta e felice; il primo, un’anima proveniente dal cielo, sceglie la vita di un tiranno, poiché la virtù se fondata su temperanza e coraggio ma non sulla saggezza, non aiuta nella scelta: l’anima di Orfeo sceglie la vita di un cigno, Aiace una da leone, Agamennone una da aquila, Atalanta una da atleta, Ulisse compie la scelta migliore e prende la vita di un uomo qualunque.
Successivamente le anime confermavano la loro scelta e la trama del destino era filata.
Le anime erano quindi condotte in una pianura calda e assolata, sulle rive del fiume Atlete: gli stolti, assetati, bevevano molto e dimenticavano tutta la loro vita passata, i filosofi, guidati dalla ragione, non bevevano, in tal modo mantenevano il ricordo, solo un po’ sopito, del mondo delle idee.
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