La filosofia di Nietzsche

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Testo

Nietzsche.

Denuncia delle menzogne millenarie.
La filosofia di N. è tutta una distruzione di miti e credenze codificate, poiché è convinto che gli uomini, x poter sopportare l'impatto con il caos della vita, abbiano costruito una serie di certezze, che viste attentamente si rivelano solo necessità di sopravvivenza, che il filosofo mette a nudo con degli itinerari del proibito. Facendosi profeta del suo destino N. si presenta come il primo uomo decente dopo millenni di falsità. L'opera di demolizione del passato si concretizza in una messa in discussione della civiltà occidentale nel suo complesso e del tipo antropologico da essa prodotto: l'individuo anti-vitale e sottomesso ad autorità costituite. Poiché il rifiuto dell'uomo del passato avviene alla luce di un'intuizione del possibile uomo del futuro, il pensiero di N. mette capo alla delineazione di un nuovo modello di umanità: l'oltre-uomo.

Nietzsche e Schopenauer.
La diagnosi di S. sulla natura della vita è il presupposto costante dell'opera di N. anche se ne condanna l'atteggiamento di rinuncia e di abbandono. La vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, non ha ordine nel suo sviluppo, né scopo, è dominata dal caso. Sono possibili due atteggiamenti di fronte a essa. Il primo è quello della rinuncia e della fuga (ascetismo), quello di S. , proprio della morale cristiana e della spiritualità comune. Il secondo è quello dell’accettazione della vita come essa è, quello di N. e mette capo all'esaltazione della vita e al superamento dell'uomo. In tutta l'opera di N. si difende e si chiarisce l'accettazione totale e entusiastica della vita. Dioniso è il simbolo divinizzato di questa accettazione e Zarathustra è il suo profeta.

Il dionisiaco e l’apollineo.
Il motivo centrale de "La nascita della tragedia" è la distinzione tra il dionisiaco e l'apollineo, concretizzata nel contrasto tra una serie di opposti: caos-forma, infinito-finito, oscurità-luce, istinto-ragione, ebbrezza-sogno. Queste coppie di opposti, presenti anche in natura (vita-forma, àpeiron-pèras o principio infinito-esseri finiti) sono le coordinate di fondo dello spirito greco e del suo mondo artistico. Mentre il dionisiaco, che scaturisce dalla forza vitale e dal senso caotico del divenire, si esprime nell'esaltazione creatrice della musica, l'apollineo, che scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al flusso imprevedibile degli eventi, si esprime nelle forme limpide e armoniche dell'arte plastica e dell'epopea. in antitesi all'immagine cristiana dell'Ellade come mondo di serenità (regno dell'apollineo), N. insiste sul carattere originariamente dionisiaco (o asiatico) della sensibilità greca, portata a scorgere ovunque il dramma della vita e della morte e i loro aspetti orribili. L'apollineo nacque solo sul piano di una visione dionisiaca dell'esistenza e dal tentativo di sublimare il caos nella forma, dallo sforzo di trasfigurare l'orribile e l'assurdo in un mondo definito e armonico, capace di rendere accettabile la vita. Nella Grecia presocratica impulso apollineo e impulso dionisiaco convissero separati e opposti. Nell'età della tragedia Attica (Sofocle), apollineo e dionisiaco si armonizzarono tra loro, dando origine a capolavori sublimi. La grande tragedia greca manifesta un perfetto accoppiamento tra il dionisiaco (musica) e l’apollineo (vicenda dell’eroe). La tragedia sarebbe nata dal coro tragico dei seguaci di Dioniso mascherati da capri. N. ne propone una nuova interpretazione che si lega alle nozioni di dionisiaco e apollineo. Per N. la genesi della tragedia greca risiede in un coro dionisiaco che si scarica sempre di nuovo in un mondo apollineo di immagini; il dramma tragico diviene tale quando Dioniso è rappresentato tramite una serie di immagini che trasformano la vita di sofferenza dell’eroe (essenza caotica dell’esistere) in un mondo di ideale bellezza. Nell’arte successiva questa sintesi fra dionisiaco e apollineo, o miracolo metafisico, viene messa in dubbio dal prevalere dell’apollineo sul dionisiaco. Questo processo di decadenza inizia con la tragedia di Euripide e continua con l’insegnamento ottimistico di Socrate, con cui si compie l’uccisione delle profondità istintuali e tragico-dionisiache della vita, a favore del pallido ideale della ragione e della sua visione serena del mondo.

L’accettazione totale della vita.
N. vuole essere un discepolo di Dioniso, simbolo del si totale al mondo. Dioniso è l’esaltazione entusiastica del mondo com’è, senza diminuzione, senza eccezione e senza scelta: esaltazione infinita dell’infinita vita. Lo spirito dionisiaco è la volontà orgiastica della vita nella totalità della sua potenza. Dioniso è il dio dell’ebbrezza e della gioia, il dio che canta, ride e danza, che bandisce ogni rinuncia. L’accettazione integrale della vita trasforma il dolore in gioia, la lotta in armonia, la crudeltà in giustizia, la distruzione in creazione. Essa rinnova la tavola dei valori morali. Tutti i valori fondati sulla rinuncia e sulla diminuzione, le virtù che tendono a mortificare l’energia vitale, sono x N. un abbassamento dell’uomo al di sotto di se. Invece sono virtù tutte le passioni che dicono si alla vita e al mondo: la gioia, la salute, l’amore sessuale, la guerra, la volontà di potenza; tutto ciò che vuole gratificare la vita. N. pone il dilemma tra la morale tradizionale e quella che difende; ma esso è incluso nel dilemma tra l’accettazione della vita e la rinuncia alla vita, tra il si e il no di fronte al mondo. Solo l’atto dell’accettazione, la libera scelta di ciò che è la vita nella sua potenza primitiva, determina la trasfigurazione dei valori e indirizza l’uomo verso l’esaltazione di se piuttosto che verso l’abbandono e la rinuncia. N. essendo discepolo di S. è consapevole del momento tragico e crudele dell’essere. Egli critica il pessimismo come segno di decadenza e l’ottimismo come segno di superficialità, e mira a proporre un accoglimento della vita nell’insieme dei contrari che la caratterizzano.
La critica della morale.
Il tema dell’accettazione della vita – filo conduttore di tutto il pensiero di N. – lo porta a polemizzare contro la morale e il cristianesimo, tipiche forme di coscienza e azione attraverso cui l’uomo è giunto a porsi contro la vita. Per N. la morale è sempre stata considerata come un fatto evidente che si auto-impone all’uomo. Ma in ogni scienza della morale è sempre mancato il problema della morale. Il primo passo da compiere nei confronti della morale è metterla in discussione. N. intraprende un analisi genealogica della morale x scoprirne la genesi psicologica effettiva. Per N. i pretesi valori trascendentali della morale sono solo una proiezione di tendenze umane che il filosofo, in virtù della psicologia, deve svelare nei loro meccanismi segreti. La voce della coscienza da cui procederebbe la morale è la presenza in noi delle autorità sociali da cui siamo stati educati; la coscienza è la voce di alcuni uomini nell’uomo. La moralità è l’istinto del gregge nel singolo, il suo assoggettamento a direttive fissate dagli esponenti delle élites dominanti. Dal punto di vista storico-psicologico i valori etici sono il risultato di prospettive di utilità x il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano, proiettati solo falsamente nell’essenza delle cose. In un primo momento (mondo classico) la morale, essendo espressione di un aristocrazia cavalleresca, è improntata ai valori vitali della forza e della fierezza (morale dei signori), in un secondo momento (cristianesimo) la morale è improntata ai valori anti-vitali del disinteresse e del sacrificio di sé (morale degli schiavi). La morale dei signori originariamente comprende anche l’etica dei sacerdoti. Mentre il signore si rispecchia nelle virtù del corpo, il sacerdote si rispecchia in quelle dello spirito. Poiché la natura è irresistibile il sacerdote prova risentimento, invidia e desiderio di rivalsa nei confronti dei signori. Non potendo dominare la casta rivale, la casta sacerdotale cerca di farsi valere elaborando una tavola di valori antitetica a quella dei signori. Al corpo viene anteposto lo spirito, all’orgoglio l’umiltà, alla sessualità la castità. Questo rovesciamento dei valori storicamente è rappresentato dagli ebrei, secondo N., casta sacerdotale x eccellenza. Sono stati gli ebrei ad aver osato con l’odio dell’impotenza il rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore (buono=nobile=potente=bello=felice=caro agli dei), solo i miserabili, gli umili e i poveri sono buoni e devoti. Questo tipo di morale, partecipata dalle masse, diventa una vera potenza e mette capo al cristianesimo. Così la Giudea, umiliata dai romani, conquista Roma tramite il cristianesimo, una religione frutto del risentimento dell’uomo debole. Nel cristianesimo storico dell’Occidente N. scorge il simbolo della vita che si mette contro la vita. Proprio xchè ha inibito gli impulsi primari dell’esistenza e corrotto le sorgenti naturali della gioia con la nozione di peccato, il cristianesimo storico ha prodotto un tipo di uomo malato e represso, in preda a continui sensi di colpa che avvelenano la sua vita. L’uomo cristiano è psichicamente un auto-tormentato, che nel suo risentimento nasconde un aggressività rabbiosa contro la vita e uno spirito di vendetta contro il prossimo. Questo spiega xchè dalla religione dell’amore sia potuta scaturire una casta sacerdotale oppressiva e crudele. Da ciò la proposta di N. di una trasmutazione o inversione di valori. Quando N. si proclama il primo immoralista intende contrapporre ai valori anti-vitali della morale tradizionale una nuova tavola di valori a misura d’uomo e del suo carattere mondano. Per N. l’esistenza dell’uomo è interamente terrestre: l’uomo è nato x vivere sulla terra e non c’è altro mondo x lui. L’anima è insussistente, l’uomo è sostanzialmente corpo. La terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio e diventa la sua dimora gioiosa; il corpo cessa di essere prigione dell’anima e diviene il concreto modo di essere dell’uomo nel mondo.

La critica al positivismo e allo storicismo
Contro l’ideale positivistico di un sapere oggettivo N. mostra come anche la scienza sgorghi da presupposti extra-scientifici e come lo scienziato sia una sorta di asceta affascinato da un mondo di matematica perfezione diverso da quello caotico concreto, un mondo che ha tutti i caratteri rassicuranti e fittizi della morale, della metafisica e della religione. Contro il positivismo N. afferma che l’essere non è un insieme di dati che ci vincolano necessariamente, ma un complesso di interpretazioni in cui ne va di noi stessi. N. attacca anche la cultura storicistica che favorisce l’idolatria del fatto e fa dell’uomo di un processo necessario, riducendolo a imitatore del passato, costretto a chinare il capo dinanzi alla potenza della storia. L’uomo sentendosi in balia del passato prova un senso di impotenza verso il presente e il futuro. Questa critica colpisce lo storicismo e la saturazione di storia, in quanto N. ammette anche l’utilità della storia, sostenendo che la vita ne ha bisogno e che essa appartiene al vivente sotto tre rapporti: xchè esso è attivo e aspira; xchè conserva e venera; xchè soffre e ha bisogno di liberazione. Ai tre rapporti corrispondono tre specie di storia: dal punto di vista monumentale, dal punto di vista archeologico, dal punto di vista critico. L’idea fondamento della storia monumentale è che ciò che vi è di più elevato nel passato possa ancora rivivere. In virtù di ciò l’uomo attivo trova nel passato gli esempi, i consolatori di cui ha bisogno e che il presente gli rifiuta. Attraverso di essa l’uomo conclude che la grandezza che è stata è stata possibile e sarà ancora possibile nel futuro. La storia archeologica nasce quando l’uomo si attarda a considerare il passato con fedeltà e amore, riconoscendosi come l’erede di una tradizione che lo giustifica. Ma x poter vivere l’uomo ha bisogno di rompere col passato, di annientarlo. A ciò serve la storia critica: trascina il passato davanti al tribunale, istituisce un giudizio contro di esso e lo condanna. Chi condanna non è la giustizia, ma la vita. N. non nega la storia, ma la vuole subordinata alla vita e funzionale alle sue esigenze. Egli predilige la storia critica che pone l’esigenza di liberarsi dai legami dell’uomo col passato in nome del presente e del futuro.

La morte di Dio.
Realtà e menzogna.
La critica della morale tradizionale e del cristianesimo trova il suo apice nel tema della morte di Dio. Per N. Dio è: 1) simbolo di ogni prospettiva oltre-mondana e anti-vitale, che pone il senso dell’essere fuori o al di là dell’essere, in uno spazio trascendente contrapponendo questo mondo ad un altro mondo, ritenuto l’unico vero e perfetto; 2) la personificazione di tutte le certezze ultime dell’umanità, di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate x dare un senso e un ordine rassicurante alla vita. Il primo punto è connesso alla convinzione di N. secondo cui Dio e l’oltre-mondo abbiano storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una rivolta contro questo mondo. Il secondo punto deriva dalla maniera di N. di concepire la realtà. Per N. , che prende le mosse dall’idea di S. di un mondo sdivinizzato, la concezione di un cosmo ordinato e retto da un dio provvidente, è una costruzione della nostra mente, x poter sopportare la durezza dell’esistenza. Di fronte a una realtà caotica e crudele, gli uomini x poter sopravvivere hanno dovuto convincersi che il mondo è qualcosa di razionale e armonico. Da ciò il proliferare delle religioni e delle metafisiche. Dinanzi allo sguardo del filosofo disincantato le metafisiche e la religione si sono rivelate come prospettive consolatorie e bugie di sopravvivenza. Dio appare a N. come la più antica delle bugie vitali. Come tale essa è l’espressione di una paura di fronte alla verità dell’essere. Per N. la coscienza di vivere in un mondo sdivinizzato è così radicata da portarlo a ritenere superflua ogni contro-dimostrazione della non esistenza di Dio condotta con i metodi della filosofia tradizionale. Per N. come x S. è la realtà stessa, l’essenza caotica e non-provvidenziale del mondo, a confutare l’idea di Dio, l’origine della quale è il terrore di fronte all’essere. A N. premono: 1) l’annuncio dell’evento in corso, non ancora pienamente consapevolizzato, della morte di Dio; 2) la riflessione sulle conseguenze esistenziali prodotte da questo fatto decisivo della storia dell’uomo

Il grande annuncio.
Nella Gaia scienza N. drammatizza il messaggio della morte di Dio con il racconto dell’uomo folle. Come il platonico mito della caverna, questo passo contiene una ricca simbologia filosofica. L’uomo folle = il filosofo profeta; le risa ironiche degli uomini = l’ateismo ottimistico e superficiale degli intellettuali dell’800 insensibili agli effetti della morte di Dio; la difficoltà di bere il mare, di strusciare l’orizzonte e di sciogliere la terra dal sole = carattere arduo e sovraumano dell’ uccisione di Dio; il precipitare nello spazio vuoto, la mancanza di un alto e di un basso, il freddo e la notte = il senso di vertigine e di smarrimento che seguono alla morte di Dio e al venir meno di punti di riferimento assoluti; la necessità di divenire dei noi stessi x apparire degni della grandezza dell’azione più grande = x reggere la morte di Dio l’uomo deve farsi superuomo; il giungere troppo presto = la coscienza del filosofo veggente che la morte di Dio non si è ancora concretizzata in un fatto di massa; le chiese come sepolcri di Dio = crisi moderna delle religioni ormai residui del passato. N. parla del cristianesimo come di un antichità emergente da epoche remotissime. La maggioranza degli uomini ha necessità del cristianesimo e anche se un articolo di fede venisse mille volte confutato continuerebbe sempre a tenerlo x vero.
Morte di Dio e avvento del superuomo.
La descrizione di N. dello smarrimento esistenziale prodotto dal tramonto dell’idea di Dio sembra opera di un credente. La morte di Dio è un trauma solo in relazione a un uomo non ancora superuomo e che in virtù di essa può divenirlo. La morte di Dio infatti segna l’atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la vita e di prendere atto della caoticità del mondo, al di là delle illusioni metafisiche, è maturo x varcare l’abisso che divide l’uomo dall’oltre-uomo. Il superuomo ha dietro di sé, come condizione necessaria del suo essere, la morte di Dio e la vertigine da essa provocata, ma ha davanti a sé il mare aperto delle possibilità scaturenti dalla libera progettazione della propria vita, al di là delle strutture metafisiche date. Per alcuni studiosi la tesi della morte di Dio non coincide con la tesi della non-esistenza di Dio. L’ateismo sarebbe ancora una posizione metafisica, inaccettabile x N. Quindi si pensa che la morte di Dio in N. sia frutto di una persuasione filosofica e esito di una consapevolizzazione storico-epocale. Il superuomo emerge solo dopo esser passato sui cadaveri di tutte le divinità. O il mondo è caos dionisiaco e Dio non esiste e il superuomo ha senso, o Dio esiste e il mondo non è più caos dionisiaco e il superuomo cessa di avere senso. L’universo di N. è tale solo sul presupposto di un mondo sdivinizzato e quindi ateo. L’ateismo di N. è così radicale che egli non contesta solo Dio, ma ogni suo surrogato, consapevole che gli uomini, abbattute le antiche divinità tendono a crearne altre. Il passaggio dall’uomo al superuomo è lento e difficile. I sostituti idolatrici di Dio sono anche le varie forme dell’ateismo positivo dell’800, nelle quali il vecchio Dio si trova rimpiazzato da supplenti che vengono a riempire il vuoto lasciato dalle precedenti strutture metafisiche.
La dissoluzione occidentale del platonismo.
Coincidendo col venir meno delle certezze metafisiche, la morte di Dio coincide con il tramonto definitivo del platonismo, secondo N. la metafisica x eccellenza dell’Occidente. Il cristianesimo è platonismo x il popolo. Infatti è stato Platone a calunniare filosoficamente questo mondo e a inventare l’idea di un oltre-mondo, un mondo vero che si contrappone a quello apparente in cui viviamo. In realtà tale mondo vero ha finito x rivelarsi come una favola. Ciò è avvenuto storicamente in sei tappe:
1) con Platone e la filosofia greca, si ritiene che il mondo vero sia attingibile dai saggi;
2) con il cristianesimo, il mondo vero momentaneamente inattingibile viene promesso ai saggi;
3) il mondo vero ritenuto indimostrabile viene ridotto a un obbligo o a un postulato morale - Kant - ;
4) col positivismo, primo risveglio della ragione anti-metafisica, il mondo vero viene prospettato come in conoscibile -Spencer- ;
5) il mondo vero si rivela un idea inutile, confutata;
6) il tempo di Zarathustra, con l’eliminazione del mondo vero dell’aldilà si ha anche l’eliminazione del mondo apparente dell’aldiquà, la sconfitta di ogni prospettiva metafisico-dualistica che faccia del nostro mondo la copia negativa di un altro mondo.

Il problema del nichilismo.
Il tema del nichilismo è connesso al tema della morte di Dio e della fine della metafisica. Per nichilismo N. intende: 1) ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo, incarnato soprattutto nel platonismo e nel cristianesimo; 2) la situazione dell’uomo moderno che, non credendo più in uno scopo metafisico delle cose e nei valori supremi, avverte di fronte all’essere lo sgomento del vuoto e del nulla. N. si presenta come il primo perfetto nichilista d’Europa, che però ha già vissuto fino in fondo il nichilismo in se stesso; pur avendo attraversato il nichilismo si sente sopra e dopo di esso. L’uomo, ad un certo punto della sua storia sostiene che non c’è un fine e che tutto è niente, poiché, in virtù delle metafisiche e delle religioni, dapprima si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti (mondo vero) e in seguito, ha scoperto che essi non esistono e che l’essere non è né uno, né vero, né buono, piombando nell’angoscia nichilistica. Più l’uomo si è illuso, più rimane deluso, come dimostra il caso dell’individuo post-cristiano, che avendo smesso di credere nell’aldilà, soffre un terribile senso di vuoto, che non percepirebbe così acutamente se non fosse passato attraverso il cristianesimo. L’equivoco del nichilismo moderno sta soprattutto nel fatto che identifica la mancanza di fini e strutture metafisiche razionali con la mancanza di senso. L’equivoco del nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo i significati forti che i metafisici gli attribuivano, non ha nessun senso. In realtà i significati pur non esistendo come strutture metafisiche date, esistono come prodotti della volontà di potenza, che affrontando il caos dell’essere impone ad esso i propri fini. N. pur essendo nichilista radicale (poiché nega la presenza di valori intrinseci alle cose) lo è in modo tale da superare il nichilismo stesso. Poiché patologica è la conclusione che non c’è nessun senso, il nichilismo appare a N. come uno stadio intermedio, un no alla vita che prepara il si attraverso l’esercizio della volontà di potenza. N. distingue fra un nichilismo attivo, forza violenta di distruzione delle vecchie fedi, e un nichilismo passivo, segno di debolezza dello spirito. Se da un lato il nichilismo attivo può ancora essere un segno di forza non sufficiente x porsi ora nuovamente un fine, dall’altro lato può fungere (come in N.) da premessa x il superamento del nichilismo e x l’affermazione della volontà di potenza, libera istruzione di significati. Nella prospettiva di N. vivere senza certezze metafisiche assolute non significa distruggere ogni senso o norma, ma responsabilizzare l’uomo in quanto fonte di valori e di significati. Superare il nichilismo significa accettare il rischio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle vecchie fedi. La terapia di N. contro la malattia mortale del nichilismo si concretizza filosoficamente nei tre concetti chiave dell’eterno ritorno, del superuomo e della volontà di potenza.

L’eterno ritorno.
N. presenta la teoria dell’Eterno Ritorno dell’Uguale, della ripetizione eterna di tutte le vicende del mondo, come il pensiero più profondo e decisivo della sua filosofia. Il pensiero dell’eterno ritorno funge da spartiacque tra l’uomo e il superuomo. La reazione di terrore di fronte alla prospettiva dell’eterno ripetersi del tutto è propria dell’uomo, mentre la gioia entusiastica x l’eterna sanzione dell’essere è tipica del superuomo e della sua accettazione totale della vita. In Così parlò Zarathustra N. parla della visione del più solitario tra gli uomini (il filosofo autentico). Z. narra di una salita su di un impervio sentiero di montagna (faticoso innalzarsi del pensiero), durante la quale con un nano si trova di fronte a una porta su cui è scritta la parola attimo (presente), e dinanzi alla quale si uniscono due sentieri che nessuno ha mai percorso sino alla fine, poiché si perdono nell’eternità: il primo porta all’indietro (passato), il secondo in avanti (futuro). Z. chiede al nano se le due vie sono destinate a contraddirsi in eterno. Alla risposta affrettata del nano che allude alla circolarità del tempo, Z. espone un abbozzo di teoria dell’eterno ritorno. A questo punto Z. ha una visione nella visione. La scena centrale del pastore che morde la testa al serpente trasformandosi in creatura luminosa e ridente allude al fatto che l’uomo (pastore) può trasformarsi in superuomo (creatura ridente), solo a patto di vincere la ripugnanza del pensiero dell’eterno ritorno (serpente, emblema del circolo), mediante una decisione coraggiosa nei suoi confronti (morso alla testa del serpente). N. torna a recuperare una concezione precristiana del mondo, che suppone una visione ciclica del tempo, in opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno. La teoria dell’eterno ritorno è: 1) forse una certezza cosmologica (siccome la quantità di energia dell’universo è finita e il tempo in cui essa si esprime è infinito, le manifestazioni di essa dovranno x forza ripetersi; 2) forse un ipotesi sull’essere che funge da schema etico, che prescrive di amare la vita e di agire come se tutto dovesse ritornare; 3) forse l’enunciazione metaforica di un modo di essere dell’essere che l’uomo può incarnare solo nella misura in cui è felice. Decidere l’eterno ritorno significa forse prendere atto di una struttura cosmica già data oppure istituirlo tramite una scelta. Porsi nella prospettiva dell’eterno ritorno, x N., significa escludere talune cose e difenderne altre. Da ciò la doppia portata, polemica e propositiva, di questa dottrina. Collocarsi nell’ottica dell’eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo come catena di momenti, in cui ognuno ha senso solo in funzione agli altri. Una dottrina della temporalità di questo tipo ha come presupposto la mancanza di felicità esistenziale, poiché nessun momento vissuto ha un significato pieno e autosufficiente. Credere nell’eterno ritorno significa: 1) ritenere che il senso dell’essere stia nell’essere, in ciò che N. chiama il divenire dionisiaco delle cose; 2) disporsi a vivere la vita e ogni attimo di essa come coincidenza di essere e di senso, realizzando la felicità del circolo. Il tipo di uomo capace di decidere l’eterno ritorno e di vivere come se tutto dovesse ritornare non è l’individuo risentito dell’Occidente, ma solo un oltre-uomo in grado di vivere la vita come un gioco creativo e avente in sé il proprio senso appagante. L’eterno ritorno incarna al massimo grado l’accettazione superomistica dell’essere.

Il superuomo e la volontà di potenza.
Il superuomo è un concetto filosofico di cui si serve N. x esprimere il progetto di un nuovo essere qualificato da una serie di caratteristiche. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la vita; di rifiutare la morale tradizionale e di operare una tra svalutazione di valori; di reggere la morte di Dio, guardando in faccia il reale al di là delle illusioni metafisiche; di superare il nichilismo; di collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno e di porsi come volontà di potenza. Come tale il superuomo non può che stagliarsi sull’orizzonte del futuro. Non è chiaro se il soggetto destinato a incarnare la nozione teorica dell’oltre-uomo sia un umanità liberata o un élite superiore. N. è un filosofo della liberazione, ma non è chiaro se la liberazione da tutte le autorità umane e divine sia qualcosa che riguarda tutta l’umanità o solo una parte di essa. Nell’opera complessiva di N. si trovano agganci possibili sia x l’una che x l’altra interpretazione. Il messaggio di N., politicamente parlando, è segnato da un ambiguità di fondo. Quest’ambiguità è evidente già dal fatto che N. più che farsi politico denuncia tutti gli idoli politici del suo tempo. Quindi il messaggio più profondo del suo pensiero non va cercato sul piano politico, ma su quello filosofico. La volontà di potenza si identifica principalmente con il modo di essere proprio del superuomo, visto come libertà creatrice che ergendosi al di sopra del caos della vita impone a essa i propri significati e le proprie interpretazioni. In quanto forza interpretativa che si manifesta in una pluralità di soggetti di significato, la volontà di potenza coincide anche col continuo superamento che la vita fa di sé stessa, nello sforzo di reinventare incessantemente se stessa e il suo rapporto col mondo. Anche qui vi è un ambiguità in quanto non è chiaro se il soggetto della volontà di potenza sia un umanità vivente in modo libero o un élite che la esercita anche nei confronti del prossimo.

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