L'etica per gli Stoici

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Testo

GLI STOICI

Alla fine del IV secolo a.C. nasceva ad Atene un’altra Scuola, quella della Stoà.
Anche per gli Stoici, così come per gli Epicurei, lo scopo del vivere è il raggiungimento della felicità e la felicità si persegue vivendo “secondo natura”.
Tutti gli esseri viventi sono dotati di un principio di conservazione (detto oikéiosis), che istintivamente li porta ad evitare ciò che nuoce loro e a ricercare ciò che giova, che accresce il loro essere: in una parola il bene di un essere è ciò che gli è di giovamento, il male è il suo danno. Nelle piante e nei vegetali in genere questa tendenza è inconsapevole, negli ani ali essa è consegnata ad un preciso istinto, mentre nell’uomo questo impulso è sorretto dalla ragione. Dunque, per l’uomo vivere “conformemente a natura” significa vivere realizzando pienamente questa appropriazione o conciliazione del proprio essere e di ciò che lo conserva ed attua e, poiché l’uomo non è semplicemente essere vivente , ma è essere razionale, il vivere secondo natura sarà un vivere “conciliandosi” col proprio essere razionale, conservandolo e attuandolo pienamente. E, poiché primo e originario è l’istinto della conservazione e la tendenza all’incremento dell’essere, allora “bene” è ciò che conserva e incrementa il nostro essere, “male” è, invece, ciò che lo danneggia e lo diminuisce. Il primo perciò è il giovevole o l’utile; il male è il nocivo.
Poiché la natura dell’uomo è razionale e la sua essenza è la ragione il bene morale è ciò che incrementa il logos, il male ciò che lo danneggia. Il vero bene per l’uomo è la virtù, il vero male è il vizio. Tutte le cose che invece giovano o nuocciono al nostro corpo sono considerate “indifferenti”. Tra questi sono collocate sia le cose fisicamente e biologicamente positive, come la vita e la salute, sia quelle negative come la morte e la malattia.
Questa soluzione però era troppo drastica e poco praticabile. Per questo motivo gli Stoici giunsero ad ammettere che anche per la componente fisica doveva esserci una specifica oikéiosis che permetteva di distinguere le cose che nuocciono al corpo da quelle che gli giovano, attribuendo alle prime il carattere di “indifferenti che vanno respinti” e alle seconde di “indifferenti preferibili”. Ma, mentre i beni e i mali hanno un valore assoluto, i preferibili sono preferibili solo rispetto ai respinti e viceversa: la salute è preferibile alla malattia, ma non per questo è di per sé un bene in senso assoluto.
Gli Stoici elaborarono anche una tavola delle azioni, distinguendo le “azioni rette” e le “azioni convenienti” o “doveri”. La differenza fra i due tipi dipende non dalla natura dell’azione, ma soprattutto dall’intenzione di chi la compie: se chi la compie è in sintonia con il logos, e di conseguenza è un saggio, le sue azioni saranno sempre azioni rette; se, invece, agisce senza questa consapevolezza, le sue azioni, anche se formalmente conformi a natura, sono doveri. Da ciò seguono due conseguenze significative: da un lato, che chi non è saggio, qualunque cosa faccia, non compirà mai un’azione retta; dall’altro, che chi è saggio, qualunque cosa voglia o faccia, compirà sempre azioni rette, proprio perché la sua volontà vuole ciò che vuole il logos.
Infine celebre è la concezione stoica dell’ “apatia” secondo cui le passioni, da cui dipende l’infelicità dell’uomo, sono errori della ragione o comunque conseguenze di essi.
E’ chiaro che non ha senso il “moderare” le passioni perché esse devono essere distrutte e sradicate totalmente. Il saggio, curando il suo logos, non lascerà neppure nascere nel suo cuore le passioni, o le annienterà nel loro stesso nascere. Ed è questa l’apatia cioè l’assenza di ogni passione che è sempre turbamento dell’anima. L’ideale è l’impassibilità.

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