Kierkegaard

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia
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Testo

KIERKEGAARD
Capostipite dell’esistenzialismo, ovvero di una filosofia che si concentra sulla problematica dell’esistenza k. Combatte la totalità hegeliana in nome del singolo, l’individuo concreto che non si risolve nell’infinito e nel necessario, ma vive nel finito e nel possibile, attraverso due stati d’animo che rivelano la problematicità dell’esistenza: l’angoscia e la disperazione. Da tale condizione l’uomo può liberarsi solo decidendo di superare l’inadeguatezza della vita estetica(dedita alla ricerca del godimento) e della vita etica( incentrata sul lavoro e sugli impegni familiari) e scegliendo la vita religiosa fondata sull’abbandono a Dio.
L’opera e la personalità di K. Sono segnate dal tentativo di ricondurre la comprensione dell’esistenza umana alla categoria della possibilità. K. Mette in luce il carattere negativo di ogni possibile egli stesso incarna la figura del “discepolo dell’angoscia” che sente gravare su di sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa esistenziale prospetta infatti i tratti salienti della sua vita sono rivestiti ai suoi occhi di una oscurità problematica tutto appare carico di alternative terribili. Il punto zero è l’indecisione permanente tra opposte alternative. La “scheggia nelle carni” è forse l’impossibilità di ridurre la propria vita ad un compito preciso di scegliere in maniera definitiva tra le diverse alternative, di riconoscersi e attuarsi in una possibilità uniche.
Una seconda caratteristica è lo sforzo di chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all’uomo. Il suo, quindi, è un atteggiamento contemplativo. Il terzo elemento portante è il tema della fede ed in particolare del cristianesimo unica religione in cui il filosofo intravede un’ancora di salvezza per sottrarre l’uomo all’angoscia e alla disperazione.
La sua filosofia appare, dunque, antitetica a quella di Hegel. Al filosofo rimprovera:
• La mentalità pagana, ovvero la tendenza a ritenere la specie (lo spirito) più importante dell’individuo.
• La concezione della filosofia come scienza oggettiva e non come riflessione soggettiva in cui il singolo è direttamente coinvolto.
• La scissione tra speculazione filosofica e vita vissuta, ovvero l’edificazione di un sistema che non trova posto nella condizione effettiva.
• La tendenza a conciliare e riunire in un unico processo dialettico ciò che nella vita concreta non risulta affatto mediabile.
• L’identificazione panteistica tra uomo e Dio la ragione che assolve in sé gli individui concreti e l’incapacità di cogliere l’infinita differenza qualitativa che separa finito e l’infinito.
K. presenta tre modi fondamentali di vivere: la vita estetica, etica (nel libro intitolato Out-Out) e religiosa. Le prime due forme non possono addizionarsi (et-et) e fondersi in una finale sintesi conciliatrice di tipo dialettico, ma sono alternative inconciliabili; infatti il passaggio dall’una all’altra porta un cambiamento di mentalità radicale.
L stadio estetico è la forma di vita in cui l’uomo rifiuta ogni vincolo o impegno continuativo e cerca l’attimo fuggente della propria realizzazione all’insegna della novità e dell’avventura. L’esteta, che trova il proprio simbolo nella figura di “Don Giovanni” si propone di vivere bandendo la monotonia e ricercando emozioni inedite. Tuttavia al di là della sua apparenza gioiosa e brillante la vita estetica è condannata alla disperazione, alla noia e al fallimento esistenziale. Vivendo attimo per attimo ed evitando il peso di scelte impegnative (scegliere), l’esteta finisce per rinunciare ad una propria identità ed avvertire il vuoto della propria esistenza.
Lo stadio etico, è il momento in cui l’uomo scegliendo di scegliere, assumendo su di sé la responsabilità della propria libertà, si impegna in un compito al quale rimane fedele. La vita etica si fonda sulla continuità e sulla scelta ripetuta che l’individuo fa di sé stesso e del proprio compito. Nella vita etica (che è simboleggiata dallo stato patrimoniale) L’ individuo si sottopone ad una forma o ad un modello universale di comportamento, che implica al posto del desiderio dell’eccezionalità la scelta della normalità. Pur collocandosi su un piano più alto alla vita estetica anche la vita etica è tuttavia destinata al fallimento: l’uomo etico non può far meno di riconoscere la propria solitudine peccaminosa e di pentirsi; inoltre nell’ambito della generalità della vita etica nella ritualità dei suoi comportamenti, l’individuo non riesce a trovare veramente se stesso. Esiste infatti in ognuno un’ansia di infinito che non si lascia racchiudere dentro certi limiti da ciò scaturisce il bisogno di un’esperienza grazie alla quale l’individuo vincendo l’angoscia e la disperazione, possa davvero realizzarsi come singolo, tale è la vita religiosa.
La vita religiosa è rappresentata dal personaggio biblico di Abramo. Vissuto fino a 70 anni nel rispetto della legge morale, Abramo riceve da Dio l’ordine di uccidere il figlio di Isacco, infrangendo così la legge secondo la quale è vissuto. Il significato di ciò sta ne fatto che il sacrificio di Isacco non è suggerito dall’esigenza morale ma da un comando divino che contrasta con la legge morale e gli affetti naturali. Infatti l’affermazione del principio religioso sospende l’azione del principio morale, tra i due principi non c’è possibilità di conciliazione. Optando per il principio religioso, l’uomo sceglie di seguire i comandi divini anche a costo di infrangere le norme morali e giungere così ad una rottura con gli altri uomini. Del resto, la fede è un rapporto privato tra l’uomo e Dio, un rapporto assoluto con l’Assoluto, essa è il dominio della solitudine. Da ciò deriva il carattere incerto e rischioso della vita religiosa. Per sapere con sicurezza di essere l’eletto c’è solo un segno indiretto: la forza angosciosa con cui chi è veramente eletto da Dio si pone proprio questa domanda. L’angoscia dell’incertezza è la sola assicurazione possibile. La fede è appunto certezza angosciosa.
Dopo aver delineato gli stadi fondamentali della vita, come alternative reciprocamente escludentisi e dominate da contrasti interni K. giunge al punto centrale da cui quelle si originano: l’esistenza come possibilità. Nelle due opere fondamentali, il “concetto dell’angoscia” e “la malattia mortale” , il filosofo analizza la situazione di radicale incertezza, instabilità e dubbio in cui l’uomo si trova costituzionalmente a causa ovvero della natura problematica dell’essere. L’angoscia è la condizione esistenziale generata dalla vertigine della libertà e dalle infinite possibilità negative che incombono sulla vita. Perciò l’angoscia è diversa dalla paura, che si prova davanti ad una situazione determinata o un pericolo preciso. L’angoscia viene provata solo da chi ha spirito: più profonda è l’angoscia più grande è l’uomo.
Mentre l’angoscia si riferisce al rapporto dell’uomo con il mondo, la disperazione si riferisce al rapporto dell’uomo con se stesso. Se l’IO non vuole essere se stesso urta contro un’impossibilità di fondo in quanto elude un’ aspetto che gli è costitutivo. Ma anche se vuole essere se stesso, non può giungere all’equilibrio, dal momento che è finito e non autosufficiente. Nell’uno e nell’altro caso ci si imbatte nella disperazione che è una sorta di “malattia mortale” non perché conduca alla morte dell’IO, ma perché è il vivere la morte dell’IO, che, nel tentativo di evadere da se o di rendersi autosufficiente, si scontra con l’impossibilità. L’unica terapia efficace è la fede, ossia quella condizione in cui l’uomo pur orientandosi verso se stesso e volendo essere se stesso, non si illude di essere autosufficiente, ma riconosce la propria dipendenza da colui che lo ha posto e che solo può garantire la sua realizzazione.

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Esempio



  


  1. matrix

    tesina completa su angoscia esistenziale