karl Marx e Religione

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

Voto:

1 (3)
Download:427
Data:21.06.2005
Numero di pagine:21
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
karl-marx-religione_1.zip (Dimensione: 17.74 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_karl-marx-e-religione.doc     65.5 Kb


Testo

Karl MARX

Personaggio importante collegato a Feuerbach, lo ritenne suo maestro. Nato nel 1818 in Germania, a Trenini e morto nel 1883 a Londra. Personaggio celeberrimo, di grande spessore, ha un'enorme importanza per l’ambito filosofico, per quello politico e anche per quello economico. Marx fu tra i fondatori della Prima Internazionale, fu amico di Engels, fu lo stesore dell’indirizzo augurale della prima internazionale. Poi ci fu anche la Seconda Internazionale, ispirata a lui, poiché era morto da 6 anni. Marx deve essere associato al comunismo contemporaneo, fu una personalità rilevante.
Analisi critica della religione - discorso che riguarda il giovane Marx.
“Il capitale”, “L’ideologia tedesca”: una parte dell’opera è importante perché contiene la concezione materialistica della storia. E’ un’analisi critica della ragione proprio perché si forma filosoficamente nell’ambito della sinistra hegeliana. Conosce Bauer, Nucher, studia Feuerbach e si entusiasma per le sue opere. La fase di formazione di Marx è hegeliana, Marx si ritenne un allievo di Hegel, uno degli elementi fondanti di Marx è stata la filosofia hegeliana. Marx ha civettato con la filosofia hegeliana: la prende e la modifica.
La religione: Marx è debitore a Feuerbach, ma comincia a distaccarsi, sviluppa delle critiche nei confronti di Feuerbach. Marx condivide pienamente il discorso che Feuerbach ha sviluppato sulla religione: la religione è alienazione, perdita, è l’uomo che crea Dio e non viceversa. L’uomo deve prendere per sé tutto ciò che ha ceduto a Dio: fino qui non c’è originalità, però ci sono delle differenze. Feuerbach riduce l’alienazione religiosa ad un fatto di coscienza: cioè la coscienza umana si proietta in Dio, quindi se questa è la condizione iniziale ne deriva allora che è sufficiente, o sembra esserlo, che qualcuno spieghi come nasce la religione perché l’uomo riprenda ciò che ha regalato a Dio.
Marx critica questo punto e la critica si allarga all’intera filosofia di Feuerbach. Discorso originale, tipico, specifico di Marx. Feuerbach, scrive Marx, ha spiegato l’alienazione religiosa però non ce ne ha spiegato le ragioni, è partito dall’esistenza dell’uomo, della coscienza umana. Marx si domanda se è corretto parlare di uomo, di coscienza umana. Non è forse vero che quando si continua a parlare di uomo e coscienza umana, si fa un discorso hegeliano, è proprio vero che la coscienza umana rimane come un qualcosa di inalterato o no? Marx comincia a pensare di no, perché quello che in questo modo non viene detto è che non esiste l’uomo in generale, esistono epoche storiche, uomini che sono vissuti in epoche storiche diverse e che hanno poco in comune. La coscienza (luogo dove Feuerbach aveva collocato l’alienazione religiosa) non è un qualcosa che non abbia una storia, è anch’essa un prodotto sociale: cioè la coscienza non è un qualche cosa che possa pretendere l’autonomia, la coscienza ha profonde relazioni con l’ambiente storico-sociale in cui vive, ne è condizionata. Feuerbach configura la propria filosofia come materialista però parla di coscienza o di uomini come un materialista non ne dovrebbe parlare, quindi è vero che l’alienazione si genera nella coscienza, ma ciò che Feuerbach non spiega è perché la coscienza (anch’essa prodotto sociale) genera religione. Che cos’è che la religione esprime e perché c’è il bisogno religioso?

Risposta collegata ad una condizione, che cos’è la coscienza? Come dire che cos’è l’uomo, come domandarsi se è possibile parlare dell’uomo astraendolo dalla sua storia come fa Feuerbach? No, l’uomo è il mondo dell’uomo, è la società, ci sono ci sono delle condizioni che lo limitano, l’uomo agisce. Parla di uomo: parla della sua storia e dello sfondo che assorbe e contribuisce a modificare. La coscienza è un fatto sociale, se tutto questo è vero, Marx pensa che la religione (prodotto della coscienza) sia anch’essa un prodotto sociale. La religione non è produzione umana e basta, ma è quella di uomo inserita in una trama di rapporti. Perché la religione, perché il bisogno religioso? Feuerbach dice: la religione è un prodotto della coscienza, ma se è prodotto sociale bisognerà guardare alla società. La religione promette un paradiso (ed anche un inferno), una salvezza, propone un altro mondo, un mondo di pace, di benessere, dove gli ultimi saranno primi, un mondo rovesciato rispetto a questo: come mai produce e promette un mondo capovolto? La religione esprime una promessa, è anche una forma indiretta di protesta verso il mondo reale.

La religione secondo Marx

Abbiamo visto che per una parte segue Feuerbach e per un’altra se ne allontana. La religione esprime in forme indirette un disagio sociale, una sofferenza, ed è anche una forma di protesta contro una sofferenza. La valle di lacrime di cui parla la religione è il mondo. La liberazione da questa valle è la liberazione da dolori e disagi reali. La religione esprime a modo suo una protesta sociale e promette una liberazione da questa sofferenza. Una liberazione assoluta, eterna, promette il paradiso, ma questa liberazione promessa nell’aldilà è puramente fantasmatica, che non solo non libera davvero dal disagio terreno, ma al contrario rafforza la dipendenza perché se io affido tutte le mie speranze ad un mondo eterno, rinuncio a quello terreno. “La religione è l’oppio dei popoli” dice Marx, perché così come fa la droga, l’oppio, temporaneamente ti fa stare bene ma poi ti fa stare male, è una liberazione che si converte in una ulteriore forma di schiavitù, invita a sopportare passivamente questo mondo. Marx non crede che sia un inganno della chiesa, è un prodotto sociale, è un auto-inganno. Se la religione è tutto questo, la terapia sarà diversa da quella di Feuerbach: secondo Feuerbach è sufficiente una filosofia che racconta come stanno veramente le cose, secondo Marx è diverso, è vero che la religione è un prodotto della coscienza, ma la coscienza è un prodotto della società: per rimuovere il bisogno di religione, occorre intervenire a livello sociale, un lavoro esclusivamente filosofico non può essere sufficiente.

LA RELIGIONE E’ UN SINTOMO
La religione secondo Marx è oppio dei popoli: fornisce assicurazioni ma è anche una forma indiretta di protesta contro il mondo. E’ una protesta che non modifica questo mondo, ma anzi implica una rinuncia; così alla fine la religione lega e fa dipendere ulteriormente gli uomini.
Per questo dobbiamo cercare una “terapia” diversa da quella di Feuerbach, perché quest’ultimo credeva fosse sufficiente la spiegazione di un filosofo. Per Marx non è così perché se la religione è prodotta da un mondo reale che genera dolore, da una società ricca e povera, non può bastare un’analisi concettuale, allora occorre un’azione teorica e pratica per rimuovere le ragioni sociali che hanno creato la religione. Quindi, dato che la religione è un “mondo capovolto”, dice Marx, e che questo nasce da un mondo reale dove le cose non vanno bene dovremmo rovesciare, rivoluzionare il mondo reale che genera il mondo capovolto della religione.
In questo modo la terapia non sarà altro che un’azione politica e sociale diretta a modificare il mondo che genera il bisogno di religione. Così Marx teorizza un progetto che ha da essere messo in pratica.
Da questo discorso Marx ne ricava che non è sufficiente parlare, occorre capire qual è il meccanismo che genera ricchezza crescente e povertà. Occorre quindi guardare alla società civile, luogo dove la ricchezza e la povertà vengono prodotte in modo crescente.
Di conseguenza occorrono strumenti concettuali che non sono solo della filosofia.
C’è un lungo articolo di Marx (1843-1844) = “La questione ebraica”. Parla dello stato, della società civile e s’interroga sul concetto di democrazia. Quest’articolo rientra anche in un ambito concettuale che è la critica della filosofia del diritto di Hegel.
Lo stato democratico e liberale ma anche lo stato politicamente più aperto realizzano un’effettiva uguaglianza politica che consente a tutti i cittadini il diritto di voto. In uno stato del genere è possibile davvero parlare di uguaglianza?
E’ vero che lo stato realizza l’uguaglianza politica, ma proprio nel momento in cui lo stato dice che il voto vale per uno e che non gli interessano le differenze sociali, lascia che queste rimangano pienamente in vigore. Quindi per Marx l’uguaglianza politica è puramente formale.

Quello che Marx sviluppa in questo articolo è molto radicale, e più tardi non lo rimangerà. La democrazia politica è democrazia o è fondamentalmente un inganno? Lo stato che concede il voto, nel momento in cui ti dice che puoi votare, chiunque tu sia, lascia in piedi tutte le differenze che ci sono nella società civile, offre un’uguaglianza illusoria, maschera un’autentica disuguaglianza. Per vedere se c’è uguaglianza o meno, devi andare nella società civile. Secondo questa linea di pensiero gli Stati Uniti non sono un paese democratico, lo sono formalmente ma non nella sostanza. Lo stato promette una specie di cielo politico in cui tutti siamo uguali, ma in realtà non è per niente così. La democrazia autentica è quella di tipo sociale. Lo stato italiano era lo stato di tutti o no? Formalmente si, ma nella realtà no. Per Marx lo stato non è il divino nel mondo, è il luogo metaforico che gestisce il potere e la violenza legittima, e un’organizzazione ben terrena che difende interessi di classe.
C’è un’opera che Marx scrive nel 1844 che si chiama “Manoscritti economico-filosofici”, ha avuto un destino particolare, è stata pubblicata nel 1932. in quest’opera Marx si occupa di economia politica con molta forza e chiarezza, perché la logica delle cose lo portava ad occuparsene. E’ vero che si forma in un ambiente hegeliano, ma poiché si convince che è alla società civile che bisogna guardare per eliminare il bisogno della religione e capire cos’è veramente uno stato, studia le opere degli economisti politici (Adam Smith e David Ricardo), studia con grande attenzione questi grandi economisti classici che hanno descritto il funzionamento della società capitalista. Nei manoscritti è presente una grande ammirazione intellettuale, ma al tempo stesso “hegelianamente” rivolge a loro ed alla scienza una critica: l’economia politica classica descrive il capitalismo ma parte da un dato di fatto, da un presupposto, da un qualche cosa che considera naturale, cioè la proprietà privata (di terre, aziende…), che è considerata una condizione naturale. Quel che Marx scrive è questo, la proprietà privata e distingue il sistema sociale economico capitalista che vi si fonda non è naturale. “Tutto è storia, movimento, sviluppo” gli aveva insegnato Hegel, e quindi il sistema sociale capitalistico è andato formandosi e quando le condizioni storiche verranno meno, finirà. Secondo Marx le mancherebbe la dimensione del cambiamento. Ma il tema più rilevante è quello dell’alienazione. La domanda è: qual è il luogo dove nasce l’alienazione contemporanea? Che va incontro ad un processo di alienazione? Marx condivide una teoria che era stata formulata anche da Hegel e Feuerbach, secondo cui l’attività caratteristica del genere umano è il lavoro, non solo manuale ma anche intellettuale. Il lavoro è attività specifica dell’uomo, si caratterizza fondamentalmente per il fatto che lavora. “Ogni giorno che Dio manda in terra gli uomini debbono lottare tantomeno per sopravvivere” dirà Marx. Il lavoro umanizza la natura. I prodotti del lavoro sono umani, l’uomo si realizza lavorando, il lavoro dovrebbe essere una sorta di prosecuzione. Ma nella fabbrica, che ne è dell’operaio? L’operaio nella fabbrica produce oggetti, che risultano dall’intelligenza, da qualità umane. Nella fabbrica ciò che l’operaio produce, che è il sé dell’operaio, è di proprietà del padrone, che è proprietario anche di quella parte dell’operaio usata per produrre l’oggetto. Condizioni di lavoro del genere, secondo Marx sono alienanti, l’operaio non si realizza ma si perde, diventa altro. L’operaio si aliena nel prodotto. Che è responsabile dell’alienazione dell’operaio? Quando lavora, quando sviluppa l’attività umana per eccellenza si sente bestia, e quando mangia si sente uomo. Questa situazione di perdita di sé va riferita al sistema della proprietà privata, che genera lavoro alienato e impedisce che ci sia la piena realizzazione delle capacità umane nel lavoro. La terapia non può essere teorica, ma per sopprimere la proprietà privata, che sopprime l’umanità, occorre una trasformazione radicale delle condizioni di lavoro. Anche il discorso sull’alienazione porta Marx ad una conclusione. Altra opera dello stesso periodo è “L’ideologia tedesca”, scritta insieme ad Engels. La parola ideologia ha un significato diverso dal solito. Oltre una parte che non ci interessa, c’è una parte importante perché contiene la concezione della storia che i due avevano: che cos’è, quali sono i suoi motori, come si fa a capire la storia del passato, ma è anche un’opera di tipo politico.

Nella prima parte viene delineata la concezione materialistica della storia (“materialismo storico”). La concezione della storia, qual è il motore della storia, come ha da essere interpretato il divenire storico. E’ questa un’opera chiaramente alternativa a quella hegeliana, che era di carattere idealistico e aveva fatto dello spirito il protagonista della storia. In questo senso l’opera di Marx è una replica, una risposta a Hegel. Marx aveva già criticato Feuerbach, perché mancherebbe di una concezione storica. Protagonista della storia, per Marx ed Engels, è l’uomo, che vive assieme ad altri uomini e fanno storia, partire dal tentativo di soluzione di un problema che ogni giorno si ripropone, produrre i mezzi necessari alla sopravvivenza, questa è storia. Materialismo storico, è un’espressione che ha un insieme di significati, vuol dire innanzitutto analisi degli aspetti e delle componenti materiali. La specie umana animale lavora fondamentalmente per produrre i mezzi necessari al proprio sostentamento fisico. Poiché accade questo, su questa base di produzione della ricchezza si possono individuare quelle che Marx chiama “forze produttive”; gli uomini producono materialmente la ricchezza; gli strumenti che vengono adoperati e i luoghi dove la ricchezza viene prodotta. Per quel che riguarda la società feudale sono forze produttive i contadini, le zappe, le vanghe e la terra, che viene lavorata. Nella società capitalista le forze produttive sono gli operai, i “proletari”, le fabbriche. Nella storia, nelle sue varie epoche si distinguono e si individuano le forze produttive, coloro che materialmente producono sussistenza e ricchezza e gli oggetti che sono stati usati. Accanto alle forze produttive è fondamentale il concetto di “rapporti di produzione”: sono fondamentalmente i rapporti di proprietà, e cioè gli uomini, gli esseri umani si dividono tra loro, nelle varie epoche storiche, da che mondo è mondo (non che fosse naturale) gli uomini sono divisi fra loro in classi, in gruppi, non è un concetto suo, una classe è un largo gruppo di uomini che condividono una medesima situazione all’interno del processo di produzione della ricchezza, alcuni di loro sono proprietari dei mezzi di produzione della ricchezza, altri non lo sono. “Il manifesto” comincia dicendo che storia finora esistita è la storia di lotta fra le classi. Una classe si sviluppa in relazione alla differente collocazione all’interno del processo di produzione della ricchezza. Su questa basa gli uomini si dividono in classi, non perché ci sono buoni e cattivi, ma sono divise perché una è di proprietari e l’altra no. I rapporti di produzione sono fondamentalmente rapporti di proprietà. Sono stati individuati due concetti “forze produttive” e “rapporti di proprietà”. Quello che si vuol dire qui è che le classi hanno un’esistenza obiettiva, le classi ci sono, sono un effetto della storia, cambiano. L’insieme dei mezzi e dei rapporti di produzione, che sono concetti ma indicano enti reali, viene definito “struttura”. La struttura di una società è ciò che sta alla base, la sostanza, ciò che regge, che definisce. Uno storico marxista diche che per capire una società del passato si deve guardare al modo di produzione della ricchezza, quali erano le forze produttive e al modo in cui gli uomini si dividevano in classi. Devo guardare la dimensione economica, l’economia. A questo punto nasce una domanda: un’epoca storica non produce solo mezzi di sussistenza, produce anche altro. Il problema è come si spiega la produzione intellettuale, di quello che viene chiamato “sovrastruttura”. In che rapporto sono struttura e sovrastruttura? Questo rapporto viene descritto non in una maniera particolarmente chiara, adoperando verbi differenti, alle volte viene usato “determinare”, altre volte “condizionare”: in tutti e due i casi un punto è chiaro, c’è un prima e c’è un dopo, c’è la struttura che sta alla base e condiziona o determina ciò che sta sopra.

La struttura. Bisogna parlare di come effettivamente viene spiegato il divenire storico, perché e quando viene precisato e individuato il concetto di struttura.
La società medievale o anche la società borghese presentano una determinata struttura. Quindi ci sono delle forze produttive, ci sono dei rapporti di produzione, ci sono delle sovrastrutture, arte, religione, filosofia, c’è un “mondo di idee”. Quello che però non è stato ancora detto è come è possibile, come si passa, come si è passati, secondo l’ottica di Marx ed Engels dalla società feudale, per esempio, alla società borghese. Tale passaggio non avviene in seguito ad ideali ma a fattori economici.
ESEMPIO
Nella società feudale si formano, ad un certo punto, delle forze produttive quali mercanti, commercianti, artigiani che nascono all’interno della vecchia società dove dunque la terra è nelle mani dei feudatari. Queste nuove forze produttive non sono più stimolate, bensì ostacolate dai vecchi rapporti di produzione poiché non possono più svilupparsi all’interno dei rapporti feudatari.
Se nasce un periodo più o meno lungo di conflitti, di contrasti, che vede protagonisti da una parte le nuove forze produttive (mercanti-operai) e dall’altra la vecchia società (feudatari-imprenditori) ed essendo tale contrasto basato sull’economia, termina necessariamente con un atto rivoluzionario, definito da Marx un atto violento che produce la rovina generale della società oppure la sostituzione della classe dominante con una nuova forza produttiva. In questo modo vengono spiegati alcuni fatti storici quali le rivoluzioni industriali inglesi oppure la più famosa rivoluzione francese, tale concezione viene chiamata realismo storico, con un evidente riferimento alla dialettica hegeliana. Una società nasce infatti rivoluzionando, rovesciando dialetticamente la società precedente, la storia non viene spiegata come movente attraverso un processo lineare, bensì un elemento produce al suo interno l’elemento a lui contrario (discorso dialettico), sono quindi rapporti non di continuità ma di antitesi. La concezione rivoluzionaria non prescinde da un particolare sviluppo delle forze produttive, bensì dai conflitti che avvengono su una base economica. Da qui vengono ricavate delle previsioni che saranno poi smentite dalla storia; seguendo infatti questo ragionamento ne consegue che più una società è matura ed avanzata tanto più sono grandi le forze di produzione, a tale proposito i paesi predestinati a tale rivoluzione erano Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che però non furono attaccati da un movimento rivoluzionario.
“Non è la coscienza che determina la vita ma la vita che determina la coscienza”
‎---> Ciò che è prodotto dalla coscienza non ha un’autonomia ma è una sovrastruttura e quindi la società civile determina la coscienza. Per questo motivo le idee dominanti sono le idee della classe al potere; le sovrastrutture, non avendo un’autonomia, sono un prodotto derivato: non esistono idee che non facciano riferimento ad un ambiente, ad un ambito sociale…
L’illuminismo, per esempio, è spiegato come espressione d’interessi, bisogni, necessità di un gruppo borghese in ascesa. Il passaggio da una società all’altra non avviene in seguito ad un conflitto d’idee, ma ne è una conseguenza in quanto le idee sono condizionate da una base economica.
Il titolo dell’opera fa riferimento ai vecchi compagni della sinistra hegeliana criticati da Marx ed Engels perché non comprendono la realtà delle cose. Gli ideologi sono infatti coloro che anche consapevolmente non comprendono che le idee sono condizionate dalla struttura e da una base economica. L’ideologo mistifica, rovescia i reali rapporti e in base a tale convinzione anche Feuerbach non comprende che le idee sono condizionate.

Marx era sarcastico, tendente al disprezzo. Rimprovera ai socialisti utopisti di essersi illusi rispetto alla possibilità che il sistema capitalista possa essere modificato, più in generale secondo Marx il capitalismo è quello li e non può essere riformato, o lo si accetta o lo si rifiuta. Il socialismo di Furie, degli utopisti, non nascerebbe da un’analisi dei meccanismi economici, di tipo scientifico. Secondo lui il socialismo nasce sul terreno di conflitto di forze produttive e di lotta fra classi, non è presentato come un noumeno, qualcosa che nasce dall’aspirazione degli uomini a superare la sofferenza. Marx elogiava il progresso scientifico ma non credeva che di per sé migliorasse, aveva un concetto conflittuale che era diverso da quello dei positivisti. Il suo è un socialismo scientifico, era convinto dell’inevitabilità del socialismo. Da un’analisi scientifica si possono estrapolare delle previsioni. Se non viene confermata se ne ricavano delle critiche alla teoria che la previsione aveva aiutato a fondare. Il capitalismo che Marx ha conosciuto fino al 1883 è un sistema economico finalizzato al profitto individuale, cioè ad un arricchimento, è fondato sulla proprietà privata e sulla ricerca del profitto. Produce merci, che cos’è una merce? E’ un bene, una cosa, un oggetto, è ricchezza prodotta per essere venduta, il capitalismo produce merci, è preoccupazione del capitalista produrre per vendere sul mercato. Già parlare di merce significa entrare in un determinato contesto storico, politico ed economico. La merce ha un doppio valore: un valore d’uso, la merce ha un valore, serve a qualcosa, a un bisogno del corpo e dello spirito. Fra l’altro sono prodotti del lavoro umano, noi ce ne dimentichiamo, dice Marx, sono in realtà frutto di lavoro umano, anche se a volte diventano sei feticci. Hanno anche un valore di scambio, è dato dal fatto che una merce A, per varie ragioni, viene scambiata con B rispetto al suo valore (3A=B). Il tramite che permette questo scambio è il danaro, che di per sé non ha valore, è solo un pezzo di carta che consente gli scambi. Il valore (non il prezzo) di scambio cambia a seconda della scarsità, ma è una condizione particolare, ma ad una merce dà valore la quantità di lavoro socialmente necessaria per produrla, come aveva detto l’economista inglese David Ricardo. Una merce è lavoro umano divenuto oggetto, e ciò gli dà valore. La quantità di lavoro necessaria per produrlo gli dà un certo valore. Su questa base viene poi attribuito un prezzo. Ci si pone poi una domanda: come si può descrivere nei termini più semplici la specificità del sistema economico capitalista rispetto ad altri che l’hanno preceduto? Un sistema economico di tipo feudale tende più che altro alla sopravvivenza, porta una merce M, la vende e guadagna del danaro D e con questo ci compra altra merce M. In questo caso il sistema è a somma zero, parto cedendo qualcosa e compro qualcosa di cui ho bisogno. Non mi arricchisco, mi limito a sopravvivere, magari bene, ma non ne traggo profitto. Il sistema capitalistico invece è D M D1, cioè un sistema in cui una certa quantità di danaro D, il capitale, viene investito, utilizzato per comprare una merce particolare M e quando questa viene utilizzata riprende non solo la medesima quantità di danaro, ma più valore di quello iniziale.

Come avviene questo fenomeno particolare? Come mai una quantità di danaro viene investita in una merce particolare, che viene utilizzata e produce un po’ più di denaro e dunque un più di valore. Se non fosse così non ci sarebbe più il profitto né capitalismo. Qual è questo tipo di merce così miracolosa? Il profitto, questo processo che lo esplica, si attiva nel momento della produzione. E’ chiaro che se uno produce merci e non le vende, non ha profitto. Ma è anche vero che il momento della vendita è il momento di attuazione del profitto, ma il valore è già contenuto in potenza nel valore stesso. La risposta che Marx fornisce, la merce particolare è costituita dalla forza lavoro, la capacità di lavorare dell’operaio. E’ una merce perché nelle società capitaliste l’operaio, maschio e femmina, metta in vendita la sua capacità di lavoro, il contratto che viene stipulato fra l’operaio e il padrone è libero, ma la forza lavoro è merce perché viene messa in vendita e comprata in un mercato (metaforicamente parlando). Se è una merce ha un valore, che è dato dalla quantità di lavoro necessaria per produrla, sotto quest’aspetto il discorso non è differente. Per produrre la proprie forza lavoro, l’operaio deve perlomeno sopravvivere. Il salario, quel che l’imprenditore corrisponde all’operaio per il suo lavoro, consente all’operaio di comprare quei beni che gli sono necessari per sopravvivere e per mantenere in vita la propria forza lavoro. Secondo Marx la forza lavoro è una merce particolare perché produce un di più di valore (plus valore) rispetto a quello che è pagata. Quindi il concetto di plus valore deriva dalla convinzione di Marx che il salario ripaghi solo parzialmente il lavoro operaio, col salario si consente alla merce forza lavoro di sopravvivere, ma questa produce più valore di quel che viene pagata. Il plus valore sta alla base del profitto, se non ci fosse non ci sarebbe possibilità di profitto. Il plus valore è generato da plus lavoro, c’è una parte di lavoro che non viene pagata. Quello che Marx chiama sfruttamento nasce qui, nella fabbrica di proprietà privata. Il plus valore non si converte tutto in profitto, come mai? Perché Marx fa una distinzione fra capitale costante e capitale variabile. Il capitale variabile è il capitale che viene impiegato per pagare i salari. Il capitale costante è quella quota di capitale che viene investita in modernizzazione, tecnica, nell’acquisto di macchinari sempre più evoluti. Il saggio (tasso) di plus valore è dato da un rapporto:

plus valore →saggio di plus valore
capitale variabile

plus valore → saggio di profitto
capitale variabile + capitale costante

Il profitto è sempre inferiore al plus valore perché non tutto il plus valore si converte in profitto.

Il capitalista si sforza di produrre plus valore, non può fare diversamente perché è finalizzato alla ricerca del profitto. Marx fa una distinzione fra plus valore assoluto e plus valore relativo. Che gli inizi della rivoluzione industriale siano stati caratterizzati da uno sfruttamento bestiale si sa, sono cos che si sanno, questo è un fatto, come mai lo sfruttamento? Perché è uno sforzo, dalla parte del capitalista, di ottenere plus valore, anche se in maniera brutale. Storicamente è stata la prima maniera di ottenere plus valore. Ma non poteva continuare all’infinito, e con sofferenza gli operai hanno cominciato ad organizzarsi in sindacati. Con l’organizzazione sindacale si sono ottenute conquiste, e così è stato abolito lo sfruttamento, almeno nei paesi europei. La nuova strada non è aumentare le ore di lavoro, ma diminuire le ore di lavoro necessarie all’operaio per ripagarsi il salario. Esempio: in una giornata lavorativa di 8 ore, un
8h-10€ operaio viene pagato solo per le prime 4.
guadagno │ non guadagno Se si riesce a diminuire, a parità di ore di
4h │ 4h lavoro e di salario, il numero di ore
necessarie all’operaio per ripagarsi il
8h-10€ salario. Questo, che è il plus valore
guadagno │ non guadagno relativo, si ottiene diminuendo le ore di
3h │ 5h lavoro necessarie all’operaio per ripagarsi il salario. Si raggiunge aumentando la produttività. La produzione indica una quantità. La produttività è data da un rapporto, la capacità produttiva. Per aumentare la produzione si deve investire in modo crescente in macchinari sempre più sofisticati. Il capitalista, secondo Marx, non può non investire per cercare di aumentare la produttività. Spinto dalla sua stessa logica il capitalismo genera continuamente innovazione tecnologica. Il capitalismo genera crisi, dice Marx, le crisi a cui va incontro sono cicliche, perché avvengono continuamente, perché si ripropongono, sono crisi di sovrapproduzione, è differente da quelle del passato, che erano generate dall’incapacità del sistema produttivo a sostenere la popolazione, c’era una carenza di produzione, ora c’è un eccesso di produzione perché il capitalismo è anarchico, ogni capitalista si butta in quei campi dove ritiene ci possa essere un profitto maggiore e li si verifica una sovrapproduzione, il mercato non ce la fa ad assorbire tutto il prodotto. Le imprese licenziano, le crisi fanno parte della natura del capitalismo, ci sono e non possono non esserci, anzi, andranno infittendosi. E’ una legge tendenziale, ci sono delle scelte, dei comportamenti che possono rallentare la caduta del saggio di profitto. Tutti questi fenomeni, le crisi, alle quali alcuni capitalisti riescono a sopravvivere, altri no, il saggio di profitto, cosa genereranno? La previsione che Marx ha formulato e che la storia ha smentito: genererà una progressiva differenziazione e divaricazione della società liberale borghese in due parti: da una parte ci sarà un numero crescente di uomini poveri, sempre più poveri, ai proletari si aggiungeranno i capitalisti falliti, e dall’altra c’è un numero decrescente di persone sempre più ricche.

La previsione che faceva Marx, che la società si sarebbe divisa in due, sempre più poveri e sempre meno ricchi, perché la dinamica stessa del capitalismo lo avrebbe provocato. Marx non prevede la formazione di ceti medi, questo avrebbe portato ad uno scoppio rivoluzionario quando la contraddizione fosse diventata lacerante. Secondo Marx avrebbe dovuto avvenire su scala mondiale per i paesi capitalisti più avanzati. Ne “Il Manifesto” Marx elogia la borghesia, elogia ciò che ha fatto, che secondo Marx è l’unificazione del mondo perché è spinta dalle esigenze del suo modo di essere. Non è un caso che nell’800 si siano formate due associazioni di lavoratori, di solidarietà fra sfruttati. Con lo scoppio della rivoluzione sarebbe seguito un periodo di passaggio di dittatura del proletariato. Con una rivoluzione non si ha automaticamente il socialismo, la classe dominante viene rovesciata da una rivoluzione guidata dalla classe operaia. La durata di questa dittatura non è pre-quantificata. Il proletariato avrebbe dovuto gestire il potere in forma dittatoriale per evitare il ritorno al potere della classe dominante, il proletariato assume il potere mantenendolo secondo modalità forti, prendendo anche misure radicali, difendendo l’avvenuta rivoluzione. Secondo Marx “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, è tale per cui scorre sangue, il passaggio è brusco, si rovesciano interessi radicati. Il periodo non è definitivo, è destinato a finire.

La dittatura del proletariato è presentata da Marx come un periodo di carattere transitorio, anche se non era possibile prevederne la durata. Non si parla di dittatura SUL ma DAL proletariato, stiamo parlando del periodo immediatamente successivo alla rivoluzione ma di un periodo in cui è sempre presente la classe sconfitta, che cerca di rovesciare nuovamente il regime. Comporta anche l’uso di misure radicali, compresa la forza, per sistemare la situazione progressivamente. Dopo la sconfitta della Francia da parte della Prussica per un breve periodo di tempo, a Parigi, si fece la “comune di Parigi”, un governo retto da forze comuniste (1871). Marx si informa con molta attenzione perché la reputa un possibile fatto per riempire la dittatura del proletariato. Durò solo 3 mesi, ma fecero un esercito non professionale ma lo pensarono come una sorta di popolo in armi. Si cercò di attuare una forma di democrazia assembleare, diretta, di fare in modo che le decisioni fossero prese direttamente dal popolo, che nominavano dei delegati, qualcuno che dirigesse, che potavano essere sempre modificati. Si presero altre misure, come il diritto all’istruzione (scuole elementari obbligatorie e gratuite). La dittatura del proletariato non è il socialismo, è una fase di passaggio dove ci sono ancora le classi. La fine di questo periodo comporta la fine della società senza classi. “Ogni classe che ha fatto una rivoluzione” scrive Marx “ha provocato la nascita di una società anch’essa divisa in classi”. La rivoluzione proletaria avrebbe dovuto portare ad una società non più divisa in classi, il proletariato dopo la rivoluzione che realizza, sopprime se stesso come classe, in una società socialista non è più possibile parlare di classi, intese come differenti funzioni, non è che sparisce anche la diversità fra gli operai. Perché socialismo? Proprietà pubblica dei mezzi di produzione, alla fine questo significa socialismo, si produce in comune. Una prima fase, che si può chiamare socialismo, è caratterizzata dall’avvenuta rivoluzione, dalla fine della proprietà privata e dal fatto che si produce ciascuno secondo le proprie capacità ed ognuno prende dal prodotto sociale a seconda e in proporzione a quello che egli ha effettivamente prodotto. In questo senso il socialismo è una fase completamente differente da quella precedente, è una società che ha rovesciato dialetticamente quella borghese. Però questa fase della società socialista è ancora una prima fase. Prima di parlare della seconda, facciamoci una domanda: nella società socialista ci sarà ancora uno stato? No, non ce ne sarà bisogno, lo stato tutela la classe dominante, ma in una società priva di classi non c’è più nessuno da tutelare e non c’è più bisogno di uno stato. Alla fine c’è una somiglianza tra il marxismo e l’anarchia, una società di uomini e donne liberi, uguali, senza bisogno di un potere. Ma questa fase di socialismo non è ancora definitiva, il comunismo è la seconda fase: si continua a produrre ciascuno secondo le proprie capacità, ognuno prende dal prodotto sociale e collettivo secondo i suoi bisogni, le sue necessità. Non è detto che chi ha più capacità, chi produce di più, prenda di più, perché i suoi bisogni possono essere inferiori. Quello che cambia è che mentre nella fase precedente c’era una proporzione, qua si ragiona non più in termini individualisti, ma di comunità. Se mi sento effettivamente membro di una comunità, metto le mie capacità al servizio della comunità, ciò che è mio è della comunità. Nel comunismo non c’è più il senso della proprietà. E’ una società dove tutti fanno quello che possono fare, ognuno potrà esprimere interamente la propria umanità. Poiché si possa parlare di comunismo avendo un senso, la rivoluzione ha da essere su scala mondiale.

Si può sostenere che questi sistemi filosofici (concezioni della realtà unitarie e organizzate intorno ad un elemento comune) sono di tipo razionalistico perché si sono sforzate di conoscere la molla della struttura, della realtà. Hegel ha parlato di spirito, Marx di classi, hanno sviluppato un discorso che si svolge in un ambito razionalistico perché usa l’intelletto. Altri due filosofi, Kierkegaard e Schopenauer presentano una scena di pensiero differente, si occupano d’altro, parlano dell’individuo, all’individuo. In modo particolare Kierkegaard non ha elaborato una filosofia sistematica.

Esempio