Kant:la Critica della Ragion Pura

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Categoria:Filosofia

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Testo

LA CRITICA DELLA RAGION PURA (1781)
Con la Dissertatio (De mundi sensibilis atque intellegibilis forma et principiis) del 1770 Kant aveva già intuito che la conoscenza non è affidata solamente a dati esterni, ma che è anche dovuta alla presenza di alcuni schemi (spazio e tempo), innati nell’uomo.
Con la sua ‘Grande Critica’ Kant voleva inizialmente spiegare, invece, quali fossero tutti i passi portanti all’esperienza conoscitiva e terminare completamente il ragionamento che era nato dalla ‘grande luce’ del 1769, trattando tutte le condizioni della conoscenza umana. Tuttavia si rese conto che, portando avanti le riflessioni sulle condizioni della conoscenza scientifica, di pari passo si faceva forte il quesito se potesse esistere anche una metafisica.
Come sarebbe potuto arrivare a tale conclusione se ancora non erano state risolte le domande che riguardavano la scienza e la conoscenza in generale? Kant si chiese dunque quali fossero le condizioni della conoscenza sensibile, quale la sua impalcatura.
Secondo Kant tale impalcatura trova la sua esistenza in alcune proposizioni o giudizi qualificanti la scienza (essa deve essere tale perché sostenuta da alcuni tipi di proposizioni).
Il percorso seguito per trovare quelle giuste si svolge in un indagare tutte le possibili proposizioni, per trovare, infine, quelle proprie della scienza.
Sono questi i giudizi da lui analizzati:
==> GIUDIZI ANALITICI A PRIORI, propri del pensiero razionalistico. Sono giudizi in cui ciò che è espresso dal predicato è già implicito nel Soggetto (nell’esempio “ogni corpo è esteso” il concetto di ‘estensione’ è già implicito in quello di ‘corporeità’).
==> GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI, propri del pensiero empiristico. Sono giudizi in cui il concetto espresso dal predicato si aggiunge (cioè si sintetizza) al Soggetto in virtù dell’esperienza (nell’esempio “ogni corpo è pesante” il concetto di ‘pesantezza’ si può aggiungere al Soggetto solo se ricavato dall’esperienza; nella parola ‘corpo’, infatti, non è implicito il concetto di pesantezza).
Entrambi i giudizi analizzati qui non sono ritenuti da Kant soddisfacenti, poiché né l’uno né l’altro posseggono le caratteristiche dell’universalità e della necessità. Il compito di Kant è, quindi, quello di fare una sintesi tra caratteristiche positive sia del pensiero razionalistico che di quello empiristico.
==> Egli tratta i GIUDIZI SINTETICI A PRIORI nella sua Estetica, giudizi che aggiungono nuove caratteristiche al Soggetto prescindendo dall’esperienza. Tali aggiunte derivano dalla presenza nell’uomo di alcuni schemi innati, spazio e tempo, di cui sotto si parlerà largamente.
L’ESTETICA TRASCENDENTALE (dottrina della conoscenza sensibile)
La dottrina del senso e della sensibilità è chiamata estetica nel suo significato etimologico: da aìsthesis, che, in greco, significa ‘sensazione’.
Dunque l’estetica trascendentale è la dottrina che studia le strutture della sensibilità, il modo in cui l’uomo riceve le sensazioni per farne una conoscenza sensibile.
Occorre a questo punto premettere una serie di chiarificazioni terminologiche, su cui anche Kant stesso più volte ritorna:
• la sensazione è una pura modificazione che il soggetto riceve (passivamente) ad opera dell’oggetto.
• La sensibilità è la facoltà che ci permette di ricevere le sensazioni e ci permette di essere modificati dagli oggetti.
• L’intuizione è la conoscenza immediata degli oggetti ed è questa a provocare nell’uomo la sensazione.
• Il fenomeno (dal greco faìnomai, apparire) è l’oggetto intuito sensibilmente, dunque non l’oggetto così com’è in sé, ma così come ci appare filtrato dagli schemi propri dell’uomo (spazio e tempo).
• Materia e forma sono due caratteristiche che si possono distinguere nel fenomeno.
- La materia, potremmo semplificare, è il contenuto dell’oggetto; essa consiste nelle modificazioni (sensazioni) prodotte dall’oggetto nell’uomo durante la sua esperienza.
- La forma, invece, viene non dall’esperienza, ma dal Soggetto stesso, perché è il modo in cui il Soggetto fa funzionare la propria sensibilità: in definitiva si tratta degli schemi che l’uomo applica ai vari oggetti, da essi filtrati.
• L’intuizione pura, così come la forma, è la conoscenza sensibile che prescinde dalla materia e che coincide con i due schemi spazio e tempo.
• L’intuizione empirica è, invece, la conoscenza sensibile in cui sono concretamente presenti le sensazioni.
All’uomo è ignoto cosa gli oggetti siano in sé, perché è capace di percepirli solo attraverso il proprio modo. Solo un intelletto originario, cioè Dio, nell’atto della creazione, può essere in grado di cogliere gli oggetti così come sono in sé.
Kant afferma dunque che spazio e tempo non sono strutture degli oggetti, ma modi propri del Soggetto, contenuti nell’uomo a priori. Da qui, appunto, deriva la ‘Rivoluzione Copernicana’, poiché tutto ruota attorno al Soggetto e ai suoi schemi.
Spazio e tempo non sono realtà assolute, perché l’uomo solo possiede una sensibilità configurata in questo modo, l’uomo solo intuisce spazialmente e temporalmente.
Spazio e tempo sono inoltre i fondamenti di matematica e geometria, poiché esse si fondano sulla pura intuizione di spazio e di tempo.
• Geometria: tutti gli assiomi della geometria, non dimostrabili, ma intuibili, dipendono dall’intuizione a priori dello spazio (“due rette parallele non s’intersecano mai” è un concetto che non può provenire dall’esperienza, ma che viene aggiunto dall’uomo in virtù della sua capacità di intuire spazialmente).
• Matematica: è fondata sul tempo, poiché tutte le sue operazioni sono suggerite da successioni di tempo (7 + 5 = 12 : il risultato, 12, non è contenuto nel 7 + 5, ma viene raggiunto grazie alla capacità umana di temporalizzare).
È dunque possibile solo ora, una volta introdotti gli schemi di spazio e di tempo, introdurre e giustificare i cosiddetti giudizi sintetici a priori, capaci di rispondere all’esigenza di universalità e di necessità. Si tratta di una sintesi tra il pensiero empiristico e razionalistico, in cui nuove caratteristiche vengono aggiunte (sintetizzate) al soggetto, attraverso il predicato, indipendentemente dall’esperienza (a priori), poiché, come detto, suggerite e intuite attraverso gli schemi di spazio e di tempo.
L’ANALITICA TRASCENDENTALE
La logica e le sue ripartizioni
Così come gli schemi sensibili, spazio e tempo, servono a intuire l’oggetto, così gli schemi dell’intelletto, le categorie, servono a pensare l’oggetto.
Il secondo stadio della conoscenza vede, quindi, come sua fonte, l’intelletto.
Le due facoltà, quella di intuire e di pensare l’oggetto, non possono scambiare le proprie funzioni, perché l’intelletto non può intuire nulla, né i sensi possono pensare. La conoscenza può nascere necessariamente solo dalla loro unione.
La conoscenza (il pensare un oggetto) deriva, quindi, dall’intuizione, che è sensibile. Quindi solo dalla sensibilità l’intelletto può ricevere il contenuto di un pensiero e l’intelletto stesso, da solo, non può conoscere a priori alcun oggetto (è solo dall’unione di d’intelletto e sensibilità che possiamo conoscere un oggetto)
La logica, la scienza dell’intelletto in generale, è distinta in:
• Logica generale, che prescinde dai contenuti e che si limita a studiare le leggi e i principi in generale del pensiero. Viene qui ripresa la “formale” scoperta da Aristotele.
• Logica trascendentale, che non prescinde dai contenuti. Essa studia l’origine dei concetti e ‘si occupa specificatamente dei concetti che non provengono dagli oggetti, ma che provengono a priori dall’intelletto’. I contenuti, secondo Kant, sono divisi in concetti empirici e concetti puri.
- Concetti empirici: tali concetti contengono elementi sensibili e derivano direttamente dalle intuizioni empiriche, quelle, cioè, in cui sono concretamente presenti le sensazioni.
- Concetti puri: tali concetti non contengono alcun elemento sensibile e derivano dalle intuizioni pure di spazio e tempo.
Kant distingue ulteriormente la logica trascendentale in analitica e in dialettica. Il fine dell’analitica è quello di sciogliere la conoscenza intellettiva nei suoi elementi essenziali e procede a scomporre la stessa facoltà intellettiva per ricercare in essa i principi, concetti a priori, senza i quali nessun oggetto può essere assolutamente pensato.
Le categorie e la loro deduzione
Dalla sensibilità, che è intuitiva, derivano intuizioni. Dall’intelletto, che è discorsivo, derivano funzioni. La prima funzione propria dell’intelletto è quella di ordinare, di unificare e, quindi, di giudicare il molteplice sotto una rappresentazione comune.
Tale funzione unificatrice viene definita da Kant sintesi. E i modi, gli schemi propri dell’uomo, attraverso cui l’intelletto unifica, sono dei concetti puri detti categorie.
Mentre per Aristotele le categorie erano modi dell’essere, propri dell’oggetto, per Kant sono schemi della mente, propri del Soggetto.
Kant ritiene che, essendo il pensare un giudicare, allora dovranno esservi tanti concetti puri, dunque categorie, quante sono le forme del giudizio. Aristotele, dice Kant, aveva individuato tutte le categorie, ma non ne aveva trovato il senso, e le categorie secondo Kant sono quante ne aveva individuate Aristotele (dodici).
Tra le categorie predilette da Kant ricordiamo quelle di causa / effetto e quella di sostanza.
Vediamo quindi come un qualsiasi oggetto verrà conosciuto solo se filtrato dagli schemi sensibili di spazio e di tempo e dalle categorie, particolarmente di causa/effetto e di sostanza.
Viene qui ancora ribadito il concetto della non possibilità di conoscere l’oggetto così com’è in sé, e di essere concepito solo limitatamente agli schemi e alle caratteristiche proprie dell’uomo.
L’Io penso o Appercezione trascendentale
Essendo dodici le categorie, è evidente che esista un’unità originaria, suprema, cui tutto deve fare capo: si tratta della Coscienza, non individuale ma formale, chiamata da Kant, appunto, Io Penso (si tratta di un Io trascendentale). Se non esistesse tale Coscienza, l’uomo, col variare delle rappresentazioni, cambierebbe continuamente idea. L’Io penso rimane sempre identico; e così anche il pensiero dell’uomo può non variare ogni momento.
Tutte le rappresentazioni dell’intelletto devono per forza sottostare a un’universale autocoscienza insita nell’uomo, poiché altrimenti non potrebbero appartenergli.
L’Io penso è la facoltà di unificare a priori e di sottoporre all’unità il molteplice delle rappresentazioni date.
Kant giustifica infine la possibilità dei giudizi sintetici a priori, oltre che per gli schemi sensibili dello spazio e del tempo, oltre che per l’esistenza delle categorie, schemi dell’intelletto, anche e soprattutto grazie all’esistenza dell’Io penso, che è il principio dell’unità sintetica originaria, il fondamento del pensiero in sé, la condizione delle condizioni.
L’analitica dei principi: lo schematismo trascendentale.
Le intuizioni sono solo sensibili (fenomeni), mentre i concetti sono solo intellettuali (categorie).
Quindi intuizioni e concetti sono tra loro eterogenei e, perché un oggetto venga pensato, è necessario trovare un intermediario che sia, da un lato, sensibile e, dall’altro, intellettuale.
Tale intermediario si chiama immaginazione trascendentale, omogenea da un lato con la categoria e dall’altro col fenomeno. Il modo con cui l’intelletto usa questi schemi è detto, invece, schematismo trascendentale.
Il tempo è omogeneo rispetto ai fenomeni (tutti gli oggetti sensibili possono essere temporalizzati), ma anche alle categorie, perché, come queste, è a priori, puro e generale.
Dunque il tempo è l’unico ‘schema’ che potrà essere applicato alle categorie, in modo che queste stesse vengano temporalizzate.
Gli schemi trascendentali, prodotti dall’immaginazione trascendentale, sono le categorie temporalizzate e sono tanti quante sono le categorie.
Troviamo due esempi di schemi trascendentali nelle categorie della sostanza e di causa/effetto (che, come già detto, sono le categorie predilette da Kant):
• SOSTANZA: perché tale categoria venga temporalizzata, bisogna introdurre il concetto di durata, cioè della permanenza del tempo (quando un oggetto è oppure non è più).
• CAUSA/EFFETTO: perché tale categoria venga temporalizzata, bisogna introdurre il concetto di successione temporale, stabilire, cioè, un prima e un dopo.
La distinzione tra fenomeno e noumeno (“la cosa in sé”)
Kant nella sua analitica è giunto quindi a un’importante conclusione: quella, cioè, che la conoscenza scientifica, benché universale e necessaria, sia solo fenomenica, poiché tutto ciò che l’uomo può conoscere deriva unicamente dal mondo sensibile e dal modo in cui il Soggetto lo vede e lo interpreta.
Del resto, la conoscenza fenomenica è l’unica conoscenza sicura.
Eppure il fenomeno non è che un ristretto ambito, circondato da un campo ben più vasto e non conoscibile per l’uomo. Se, infatti, l’oggetto è fenomeno, ed è cioè ciò che appare all’uomo, è presupposto che l’oggetto sia anche ciò che è in sé.
Il noumeno sarà allora la cosa in sé.
Il noumeno può essere inteso in due modi diversi:
• Negativamente: è la cosa qual è in sé, dunque tutto ciò che non può essere conosciuto e non è accessibile all’intelletto umano.
• Positivamente: è l’oggetto di una ‘intuizione intellettiva’, l’intuizione, cioè, di un intelletto superiore a quello umano (infatti solo un dio può intuire sul piano intellettivo).
Certo, è possibile pensare al concetto di noumeno, ma non è possibile effettivamente conoscerlo: infatti si tratta di un concetto limite (in tedesco, Grentzbegriff), che serve proprio a circoscrivere le pretese della sensibilità.
LA DIALETTICA TRASCENDENTALE
Con dialettica Kant non intende ciò che affermava al riguardo Platone o tutta la sofistica (cioè che la dialettica è l’arte del persuadere, quella di tingere di verità delle illusioni), ma ad essa dà un nuovo significato.
Kant nella dialettica vuole trattare e criticare gli errori della metafisica (divisa in psicologia, cosmologia e teologia).
Già sappiamo che non è possibile, per la conoscenza umana, spingersi al di là dell’esperienza sensibile (il pensiero umano è infatti limitato). Eppure l’uomo, con la sua ragione, è attirato dalla metafisica in modo naturale e irrefrenabile e, quando con la ragione tenta di avvicinarcisi, egli cade inesorabilmente in una serie di errori (e in una serie di illusioni) necessari.
Gli errori:
• Tali errori sono necessari perché è innato e strutturale nell’uomo desiderare ciò che va oltre l’esperienza ed è innegabile che egli abbisogni di una dimensione infinita, poiché una finita non gli basta.
• Inoltre essi possono, certo, essere individuati, ma non possono mai essere estirpati completamente, proprio perché l’uomo sente innato il bisogno della metafisica e, pur conoscendo l’errore, ci ricade.
La ragione e le Idee della ragione
L’estetica, come abbiamo visto, studiava la sensibilità; l’analitica si occupava dell’intelletto; la dialettica, come vedremo, si focalizza sulla ragione e le sue strutture.
La ragione qui analizzata non è la facoltà conoscitiva in generale, ma è quella parte dell’intelletto che si spinge al di là dell’esperienza sensibile.
Come già detto, tale propensione non è dettata dalla curiosità, ma proprio da un bisogno strutturale dell’uomo, che si spinge continuamente al di là del finito.
Eppure la facoltà della ragione è destinata a rimanere solo esigenza dell’assoluto, incapace di arrivare conoscitivamente all’assoluto stesso.
- L’intelletto, abbiamo visto, è limitato all’esperienza e al finito; la ragione, invece, cerca di andare oltre il finito, protendendosi all’infinito.
- L’intelletto ha la facoltà di pensare, che è, sostanzialmente, giudicare; la ragione, al contrario, ha la facoltà di sillogizzare.
- Kant dalla tavola dei concetti aveva dedotto la tavola dei concetti puri; dalla tavola dei sillogismi, invece, egli deduce la tavola delle Idee.
Il sillogismo opera non su intuizioni, ma su puri concetti e giudizi, deducendo da principi supremi le proprie conclusioni. Conclusioni che Kant intende chiamare Idee.
Tre sono le Idee (Idee che, del resto, sono le componenti della metafisica):
• Idea psicologica (anima).
• Idea cosmologica (il mondo).
• Idea teologica (Dio).
Ora dunque possiamo definire le strutture a priori proprie di tutte le dimensioni della conoscenza:
• Conoscenza sensibile: due sono gli schemi (spazio e tempo).
• Conoscenza intellettuale: le strutture sono dodici (categorie).
• Conoscenza della ragione: tre sono le strutture (Idee).
La psicologia razionale e i paralogismi della ragione.
Kant tratta la psicologia nella sua Dialettica perché non la ritiene una vera scienza: egli l’analizza per trovarvi l’errore.
La psicologia razionale mira a trovare un principio assoluto da cui derivano tutti i fenomeni psichici interni. Tuttavia, dice il filosofo, la ragione, nel costruire tale scienza, ha commesso degli errori trascendentali, rappresentati da alcuni paralogismi, cioè dei sillogismi difettosi (in cui il termine medio viene due volte inteso in modi diversi: i termini del sillogismo, anziché essere tre, diventano quindi quattro).
Nella psicologia razionale, secondo Kant, tale errore consiste nel fatto che l’Io penso viene prima preso in considerazione da un punto di vista formale (infatti esso è ‘la condizione delle condizioni) e in seguito da uno sostanziale (viene definito come ‘anima’, unità ontologica sostanziale).
All’Io penso non si può attribuire il concetto di sostanza, che è una delle categorie, perché la sostanza può essere applicata ai dati dell’intuizione, ma non allo stesso Soggetto delle categorie.
In conclusione: l’Io penso, Soggetto delle categorie, mezzo attraverso cui la ragione pensa e applica le categorie, non può essere esso stesso oggetto delle categorie.
L’uomo è, certo, cosciente di sé come essere pensante, ma non può conoscere il noumeno del proprio io. L’uomo si può conoscere come fenomeno, ma non può pretendere di venire a conoscenza del me metafisico, perché, inevitabilmente, superando il proprio limite, cade nell’errore (in questo caso, paralogismo).
La cosmologia razionale e le antinomie della ragione.
Anche la cosmologia, come la psicologia, è reputata da Kant una non-scienza, in quanto fondata su degli errori.
La cosmologia si occupa del mondo, e non solo di quello fenomenico, l’unica parte di esso conoscibile dall’uomo, ma anche della sua parte noumenica.
Nello spazializzare e temporalizzare il mondo, nel cercare di pensarlo, nel studiarne le origini, nascono diversi interrogativi.
A tali interrogativi, nati con la nascita della cosmologia, vengono attribuite delle risposte, dette antinomie (contraddizioni strutturali insolubili), in cui tesi e antitesi si elidono a vicenda. A tali domande si può dunque rispondere indifferentemente affermativamente o negativamente, senza che nulla venga confermato o smentito.
Non potendo dare vere risposte a queste domande, della cosmologia non può essere fatta una vera scienza. Antinomia significa infatti ‘conflitto di leggi’.
L’assoluto cosmologico può essere considerato sotto quattro aspetti (corrispondenti alle quattro categorie di quantità, qualità, relazione e modalità), da cui, appunto, nascono i quattro quesiti.
A tali quesiti corrispondono quattro risposte affermative e quattro negative, che si elidono a vicenda.
La prima coppia di antinomie è detta matematica, in quanto riguarda la totalità cosmologica dal punto di vista quantitativo e qualitativo.
La seconda coppia di antinomie è detta dinamica, perché implica un movimento logico che faccia risalire, di condizione in condizione, a un ultimo termine incondizionato.
Queste antinomie sono strutturali e insolubili, perché, nel momento in cui la ragione varca la soglia dell’esperienza, allora essa non può che oscillare da un opposto all’altro.
La teologia razionale e le prove tradizionali dell’esistenza di Dio.
La teologia si occupa dell’idea di Dio, o, meglio, dell’Ideale di un qualcosa che sia condizione di tutto. Dio è un ideale perché è modello e causa di tutte le cose, che da lui rimangono infinitamente lontane.
Tale Ideale che la ragione si crea lascia comunque il dubbio che un essere così eccezionale esista davvero.
Diverse sono le vie che, nella storia, la metafisica ha cercato per dimostrare l’esistenza di Dio. Kant, infine, ne ha trovate tre, e in ciascuna di queste ha trovato l’errore.
Le tre vie:
• La prova ontologica (a priori): essa parte dal concetto di Dio come assoluta perfezione e ne deduce l’esistenza (si tratta della formula appoggiata prima di tutto da S. Anselmo e poi da Cartesio). L’errore: si passa dalla dimensione del concetto a quello della realtà, dimenticando che l’esistenza di qualsiasi oggetto ci viene data dall’esperienza e che gli oggetti del pensiero puro non possono essere né spazializzati né temporalizzati.
• La prova cosmologica (a posteriori): essa inquadra Dio come la causa di tutto. Deve esistere un Essere assolutamente necessario, un essere che abbia creato innanzitutto il mondo, che è l’oggetto di ogni esperienza possibile. L’errore: il principio di causa- effetto può essere usato solo relativamente all’ambito dell’esperienza, perché le categorie non possono essere applicate a un oggetto metafisico. Inoltre, anche se dimostrassimo che ogni effetto, anche sul piano metafisico, è preceduto da una causa, bisognerebbe ancora dimostrare che esista un dio.
• La prova fisico- teologica (a posteriori): essa parte dalla bellezza, dall’ordine e dalla finalità del mondo per risalire a Dio, essere ultimo, supremo e perfetto (si tratta della formula appoggiata da S. Tommaso). L’errore: pur essendo la prova per cui Kant nutre maggior simpatia, egli afferma che questa potrebbe tutt’al più dimostrare l’esistenza di un architetto del mondo, ma non certo un creatore, cui tutto sia sottoposto. Del resto, qualora dovessimo dimostrare la tesi di un essere ultimo, sarebbe ancora necessario accertare l’esistenza di dio.
In conclusione: dio non può essere dimostrato scientificamente, perché, ad un certo punto, ci si trova per forza di fronte al salto tra dimensione finita e infinita.
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