Kant

Materie:Riassunto
Categoria:Filosofia

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Testo

KANT
Immanuel Kant è un filosofo tedesco nato nel 1724. all’università studiò matematica e filosofia e nel corso della sua vita fu un’insegnate universitario. Le sue opere fondamentali sono tre e sono definite “opere del periodo critico”: critica della ragion pura, critica della ragion pratica e critica del giudizio. La filosofia che egli esprime viene definita criticismo. Con il criticismo egli si propone di analizzare le principali esperienze umane, che per lui sono la conoscenza (trattata nella “critica della ragion pura”), la morale (studiata nella “critica della ragion pratica”) e l’arte (studiata nella “critica del giudizio”). Egli analizza queste esperienze umane con lo scopo di delinearne la validità ed i limiti. Ad esempio, prende in considerazione la conoscenza umana e si domanda se l’uomo sia in grado di costruire una scienza (e quindi una conoscenza vera). Se la risposta è affermativa, il criticismo cerca di individuare i limiti che rendono valida quell’esperienza; ciò avviene poiché egli è un’illuminista e crede dunque che l’uomo sia finito e limitato e di conseguenza non può applicare le sue conoscenze ad un campo senza limiti. Secondo Kant, il limite della conoscenza umana è l’esperienza sensibile, poiché noi siamo in grado di elaborare una conoscenza valida solo se ci basiamo sull’esperienza sensibile.
Il criticismo è dunque la filosofia di Kant, ma egli si rifà anche ad esperienze filosofiche precedenti; innanzitutto, egli si ricollega a Hume, al quale riconosce un merito fondamentale, ovvero quello di averlo “svegliato dal sonno dogmatico” (dogma = conoscenza errata imposta). In gioventù, Kant aveva avuto delle simpatie per la metafisica ma, studiando in seguito gli scritti di Hume, aveva capito che la metafisica era errata. Hume, infatti, affermava la validità solo di ciò che era percepibile sensibilmente. Kant, però, non condivide lo scetticismo humiano (secondo cui anche i sensi non fondano la validità della scienza), poiché per lui la metafisica non è valida, ma l’uomo può comunque costruire una scienza attraverso l’osservazione sensibile. Altre fonti dalle quali Kant riprende il criticismo sono la rivoluzione scientifica e l’illuminismo, da cui riprende l’idea di un limite della conoscenza umana, dato dall’esperienza sensibile.

LA CRITICA DELLA RAGION PURA
In quest’opera Kant analizza la conoscenza umana, applicando ad essa il criticismo. Decide di applicare il criticismo ai due ambiti in cui si era sviluppata la conoscenza umana: la metafisica e la scienza. Questi ambiti hanno caratteristiche molto diverse; infatti la scienza è per Kant una conoscenza certa, condivisa da tutti e caratterizzata da un contenuto univoco (ovvero è unica e non presenta la possibilità di spiegazioni differenti). Kant cercherà di spiegare come avviene la conoscenza scientifica, ovvero delineerà il meccanismo mentale che porta l’uomo a costruire la scienza. Diversa è la situazione per la metafisica, che è un sapere ricco di contraddizioni, caratterizzato da soluzioni eterogenee. Questo carattere contraddittorio porta Kant ad affermare che, per quanto riguarda la metafisica, non vi è possibilità di conoscenza. Dopo averla esclusa dalla conoscenza certa, Kant cerca di spiegare perché l’uomo ami tanto la metafisica e cosa l’ha spinto a produrla.
Per quanto riguarda la scienza, Kant afferma che questa è un sapere certo ed egli ha il compito di descrivere il procedimento mentale che porta alla scienza. Egli afferma che questa è il risultato di due elementi: i giudizi sintetici a priori e l’esperienza sensibile.
I giudizi sintetici a priori sono già presenti nella mente dell’uomo, indipendentemente dall’esperienza, la quale costituisce invece il limite di validità della scienza. Di conseguenza, egli afferma che la scienza non può basarsi su uno solo di questi due elementi, ma su entrambi.
Giudizi sintetici a priori è un’espressione il cui significato è contenuto nel termine stesso: giudizi, significa che in queste strutture mentali abbiamo un soggetto e un predicato; sintetici, in senso kantiano significa che il predicato aggiunge un’informazione nuova rispetto al soggetto; l’espressione “a priori”, invece, riguarda il contenuto di questi giudici, che non riguarda l’esperienza sensibile, ed è quindi universale e necessario. Esempi di giudizi sintetici a priori sono: tutto ciò che accade ha una causa, tutto ciò che accade è nel tempo e tutto ciò che accade è nello spazio.
Kant distingue poi altri giudizi, che sono alla base della scienza: sono i giudizi analitici a priori e i giudizi sintetici a posteriori. Questi due tipi di giudizio non sono, per Kant, validi e non possono pertanto essere posti a fondamento della scienza.
I giudizi analitici a priori sono quelli utilizzati dai razionalisti. Un esempio di giudizio analitico a priori è tutti i corpi sono estesi. Questo è un giudizio perché abbiamo un soggetto e un predicato, è analitico perché il predicato non aggiunge informazioni al soggetto, in quanto il corpo è formato da materia e nella sua stessa definizione è esteso. Questo giudizio è poi a priori, poiché i dati contenuti in questo giudizio non sono ricavati dall’esperienza e sono pertanto universali e necessari.
I giudizi sintetici a posteriori sono quelli utilizzati dagli empiristi. Un esempio di giudizio sintetico a posteriori è: i corpi sono pesanti. È un giudizio a posteriori poiché le informazioni che il predicato aggiunge al soggetto derivano dall’esperienza sensibile, per cui perdono il carattere di universalità e necessità. Questi giudizi non possono essere il fondamento di una scienza proprio perché sono a posteriori. I giudizi Kantiani, gli unici che possono essere posti a fondamento di una scienza, sono un’unione di questi altri due giudizi, dai quali riprendono il carattere a priori e la sinteticità.
Dopodiché, Kart afferma che nei giudizi sintetici a priori egli è riuscito a superare lo scetticismo che Hume aveva affermato in campo scientifico. Egli affermava che l’uomo non ha certezza sulla natura, mentre Kant supera quest’affermazione, poiché i giudizi sintetici a priori testimoniano l’esistenza nella mente dell’uomo di conoscenze certe (ad esempio, tutti gli uomini pensano che tutto ciò che accade abbia una causa) e tutte queste conoscenza certe sono il fondamento della scienza. Tutte queste dovranno poi essere integrate con contenuti particolari mediante l’osservazione sensibile, poiché queste conoscenze da sole non possono costruire nulla.

FORMA E CONTENUTO
Poi Kant inizia a porsi il problema dell’origine dei giudizi sintetici a priori. Si domanda da dove la nostra mente ricavi questi giudizi. Per rispondere, Kant distingue nella conoscenza umana due aspetti: la forma e il contenuto. La forma della conoscenza è rappresentata dalle categorie, che sono delle strutture a priori presenti nella nostra mente come il tempo e lo spazio, che plasmano, danno una forma, al contenuto che deriva dall’esperienza sensibile. Kant paragona le categorie a dei contenitori vuoti, che hanno una forma ben precisa e all’interno dei quali si riversa il contenuto dell’esperienza sensibile. Possono essere paragonate anche a lenti azzurre. Egli afferma che i giudizi sintetici a priori non sono altro che un’esplicitazione delle categorie o forme (ad esempio, se la categoria presa in considerazione è lo spazio, il giudizio sintetico a priori ti dice che tutto ciò che avviene, avviene nello spazio). Secondo Kant, anche le categorie sono a priori e la scienza nasce dall’unione di queste con l’esperienza sensibile.
A questo punto, Kant afferma di aver realizzato la rivoluzione copernicana in campo conoscitivo. L’espressione sta ad indicare un cambiamento radicale che Kant pensa di aver introdotto. A differenza dei filosofi precedenti, che attribuivano nella conoscenza un ruolo centrale al mondo esterno, Kant attribuisce invece una funzione essenziale all’uomo, il quale possiede nella sua mente le categorie. Tuttavia, egli non svaluta l’esperienza sensibile, che è ugualmente importante. I filosofi criticati in questo momento da Kant sono gli empiristi, i quali attribuivano troppa importanza all’esperienza sensibile. Inoltre, Kant supera i razionalisti, poiché definisce meglio il contenuto della mente umana ed unisce le categorie all’esperienza sensibile.

LE FASI DELLA CONOSCENZA
In seguito, Kant inizia ad analizzare le singole fasi della conoscenza: l’estetica trascendentale e la logica trascendentale, la quale si divise in due parti (l’analitica trascendentale e la dialettica trascendentale). Il termine “trascendentale” significa, per Kant, a priori, presente nella mente dell’uomo, universale e necessario. Con l’utilizzo di questo termine, Kant sottolinea il ruolo del soggetto nel processo conoscitivo.
L’estetica trascendentale studia la prima fase della conoscenza, ovvero la sensibilità. Il termine viene ripreso dal greco e significa “contenuto legato ai sensi”. L’analitica trascendentale, invece, studia la seconda fase della conoscenza, dove il materiale sensibile viene conosciuto attraverso l’intelletto. Nella dialettica trascendentale, infine, Kant si sofferma sullo studio della metafisica. L’analitica e la dialettica sono collegate alla logica poiché entrambe studiano la funzione dell’intelletto; in particolare, l’analitica studia l’intelletto che ordina nelle categorie il materiale sensibile, mentre la dialettica si occupa dell’intelletto che pretende di studiare le categorie senza l’utilizzo di materiale sensibile.

L’ESTETICA TRASCENDENTALE
Secondo Kant, l’estetica trascendentale studia la prima fase della conoscenza, che è la sensibilità. Kant dice che inizialmente la nostra mente è del tutto passiva, poiché si limita a ricevere materiale sensibile dall’esterno. Subito dopo, però, la nostra mente inizia a diventare attiva, ordinando il materiale sensibile nelle forme pure a priori di spazio e tempo, operazione di cui noi non abbiamo coscienza. Kant inizia poi a studiare le forme pure di spazio e tempo e dice che lo spazio è la forma del senso esterno ed è ciò che ci fa collegare le cose una accanto all’altra. Invece, il tempo è la forma del senso interno; Kant non è il primo ad indicare il tempo come interno all’uomo (Agostino), il quale capisce in che momento della giornata si trova e colloca gli avvenimenti uno dopo l’altro. Secondo Kant, il tempo è piú importante dello spazio, poiché tutte le cose sono nel tempo, ma non tutte nello spazio (ad esempio i sentimenti).
Dopo aver spiegato spazio e tempo, Kant decide di difenderne il carattere a priori criticando le altre concezioni di tempo e spazio. Critica la concezione empiristica e quella di spazio-tempo elaborata da Newton. Critica gli empiristi, poiché secondo loro spazio e tempo sono reali, e l’uomo li conosce attraverso l’esperienza sensibile. Per quanto riguarda Newton, egli considerava lo spazio e il tempo come dei contenitori vuoti reali, dove l’uomo collocava poi le cose attraverso la percezione sensibile. Kant afferma che questi contenitori non possono essere percepiti in quanto non esistono, così conferma il carattere a priori di spazio e tempo. Poi Kant dimostra l’esistenza di due scienze sintetiche a priori, ritenute valide: la matematica e la geometria, le quali fondano la propria validità sul carattere a priori. Sono sintetiche, poiché tutte le loro affermazioni danno risultati nuovi rispetto ai dati iniziali (come in un’addizione). Sono poi a priori poiché non fanno assolutamente uso dell’esperienza sensibile. In particolare, la matematica analizza la forma pura di tempo in base ala successione numerica, mentre la geometria analizza la forma pura di spazio.

L’ANALITICA TRASCENDENTALE
Poi Kant si sofferma sulla seconda fase della conoscenza umana, l’analitica trascendentale, fase in cui l’intelletto prende il materiale sensibile ordinato nello spazio e nel tempo e lo conosce attraverso le categorie. Specifica che le categorie hanno una funzione conoscitiva solo se unite al materiale sensibile, altrimenti risultano vuote. Il termine “categoria” era già stato usato da Aristotele, ma questa aveva due valori: ontologico e gnoseologico. Invece le categorie kantiane hanno solo un valore gnoseologico, sono quindi solo strutture della mente e non hanno un riscontro nella realtà.
Per determinare le categorie, basta riferissi alla tavola dei giudizi; infatti, quanti sono i modi di giudicare, tante saranno le categorie. Secondo Kant, noi usiamo queste categorie quando vogliamo dare un giudizio che non è soggettivo. Le categorie sono quella di quantità, qualità, relazione e modalità. Noi utilizziamo le categorie di quantità quando vogliamo esprimere giudizi sul numero delle cose. Utilizziamo quelle di qualità quando vogliamo affermare che qualcosa esiste, non esiste o ha una realtà diversa di ciò che pensavamo prima. Se vogliamo stabilire rapporti di causalità, di azione reciproca o di sussistenza tra le cose dobbiamo applicare le categorie di relazione. Tra queste, per quanto riguarda la categoria di sostanza e accidente, noi applichiamo la sostanza a tutte le cose che consideriamo oggetti, mentre l’accidente indica una caratteristiche secondaria che non risulta essenziale per definire il soggetto o sostanza (come il colore dei capelli). Applichiamo poi la categoria di causalità quando, prendendo in considerazione due fenomeni, ne consideriamo uno la causa e uno l’effetto, anche se nella realtà i fenomeni non sono legato da un rapporto causa-effetto, ma è la nostra mente che li dispone in questa categoria. Poi utilizziamo la categoria di comunanza quando mettiamo in relazione fenomeni o soggetti secondo un’azione reciproca e simultanea. Le categorie di modalità sono quella di possibilità e impossibilità, esistenza e inesistenza, necessità e contingenza. Utilizziamo la categoria di necessità e contingenza quando ci riferiamo ad un fenomeno che per forza deve accadere con determinate modalità (ad esempio,se esiste l’uomo nell’aria deve esserci per forza l’ossigeno) o ad un fenomeno che può accadere o no, ma la cosa non è importante (in un cane, ad esempio, il pelo è necessario, ma il colore del pelo è contingente).

DEDUZIONE TRASCENDENTALE
Dopo aver spiegato le categorie, Kant si pone il problema della validità della loro applicazione al mondo sensibile. Si domanda se sia lecita e giustificata l’applicazione di queste categorie al mondo sensibile e se non sia una forzatura imposta alla natura il fatto di calare le categorie sul mondo sensibile. Questo problema viene chiamato deduzione trascendentale. Per risolverlo, Kant afferma che noi dobbiamo giustificare l’uso delle categorie nella conoscenza perché il soggetto della conoscenza non può essere che l’uomo; dove c’è l’uomo che conosce ci sono per forza le categorie, quindi il loro uso risulta giustificato. Inoltre Kant sottolinea che le categorie sono identiche per tutti gli uomini e, in particolare, in tutti gli uomini è presente un’identica funzione mentale, che Kant denomina “Io penso”. Questa è il centro di tutta la nostra attività conoscitiva e in particolare applica le categorie al materiale sensibile. Essendo questa funzione mentale identica in tutti gli uomini, è garantito il carattere universale e necessario della conoscenza (Kant, però, non nega un possibile errore).

GLI SCHEMI TRASCENDENTALI
Poi si sofferma sull’applicazione delle categorie al mondo sensibile e dice che l’Io penso non applica direttamente le categorie al mondo sensibile. Per esempio, quando l’Io penso deve applicare la sostanza, l’applicazione avviene attraverso schemi trascendentali che si formano unendo ogni categoria con la forma pura a priori di tempo. Unendo la categoria do sostanza a quella di tempo si ottiene lo schema trascendentale della persistenza nel tempo. Infatti, quando consideriamo un fenomeno, applichiamo questo schema, che poi viene unito al mondo sensibile.
Un altro schema trascendentale nasce dall’unione della categoria di causa con la forma pura a priori del tempo ed è lo schema trascendentale della successione nel tempo. Invece, l’azione reciproca unita al tempo ci da’ lo schema trascendentale della simultaneità nel tempo.

LA DIALETTICA TRASCENDENTALE
Il termine dialettica viene ripreso dalla filosofia greca antica e viene attribuito a questa il significato negativo dei sofisti.
Già prima di arrivare alla dialettica trascendentale, Kant si era avvicinato al tema della metafisica (nell’analitica trascendentale) introducendo il concetto di Noumeno, termine che viene dal greco “nusi” e che significa pensare. Descrivendo la conoscenza scientifica, dove il limite è rappresentato dall’osservazione sensibile, Kant si era reso conto che oltre l’osservazione sensibile esistono concetti a cui l’uomo pensa (come l’anima, Dio e il mondo) che non risultano conoscibili. Questi concetti vengono appunto chiamati noumeni, pensabili ma non conoscibili.
Dopodiché, Kant si domanda se sia possibile la metafisica come scienza (applica quindi alla metafisica la prima domanda del criticismo). La risposta è negativa, secondo Kant. Alla base della metafisica vie è per Kant, infatti, un errore fondamentale della mente umana. Essa nasce quando l’intelletto pretende di utilizzare le categorie da sole, senza riferirle ai dati sensibili. Quando si commette questo errore, l’intelletto si trasforma in ragione e produce le idee metafisiche. Per la prima volta, i due termini sono utilizzati in modo distinto: l’intelletto è la facoltà che produce conoscenze scientifiche, la ragione quelle metafisiche.
Kant, poi, cerca di capire le motivazioni che spingono l’uomo a capire la metafisica. Dice che in realtà l’uomo si sente attratto dalla metafisica perché quotidianamente è costretto a vivere all’interno del limite, del condizionato (si nota nella durata della vita naturale dell’uomo, condizionata dalla nascita e dalla morte) e sente dentro di sé un impulso fortissimo verso l’illimitato, causa della creazione della metafisica.
Secondo Kant, la ragione produce tre idee metafisiche principali: l’idea di Dio, dell’anima e del mondo. Dio è l’idea metafisica per eccellenza, essendo l’origine di tutto. In particolare, secondo Kant questa è un’idea metafisica che nasce quando la ragione utilizza la categoria di causa-effetto indipendentemente dalla percezione sensibile. L’anima rappresenta quella parte dell’uomo considerata eterna, soprasensibile, ed è creata dalla ragione quando questa usa la categoria di sostanza applicandola all’Io penso, percepito come funzione mentale non visibile, privato però delle sue caratteristiche sensibili.
L’idea di mondo è intesa come totalità di tutti i fenomeni esistenti e nasce dall’uso della categoria di totalità che non viene unita all’osservazione sensibile. Secondo Kant, l’Uomo non può avere esperienza di tutti i fenomeni del mondo.
Kant afferma che le idee metafisiche vengono utilizzate per creare un falso sapere. Ciò si nota nel fatto che molti filosofi si sono occupati del mondo cercando di individuarne le caratteristiche generali. Si sono ad esempio chiesti se il mondo sia eterno o se abbia avuto un’origine, se è finito o infinito, se al suo interno c’è necessità o libertà. Il fatto che siano arrivati ad elaborare caratteristiche così contraddittorie ci conferma che quella del mondo è un’idea metafisica. Queste caratteristiche opposte sono definite antinomie.
Soffermandosi poi sull’idea metafisica di Dio, Kant elabora una critica alle prove dell’esistenza di Dio della tradizione filosofica. Queste prove vengo no riunite in tre gruppi: la prova a priori, le prove cosmologiche e le prove fisico-teologiche. La prova a priori (elaborata per la prima volta da Anselmo d’Aosta) afferma l’esistenza di Dio partendo dallo stesso concetto di Dio. Kant dice che l’errore di questa prova consiste nel passaggio ingiustificato dal piano logico al piano reale. Nella nostra mente noi possiamo dimostrare tutto quello che vogliamo, ma per affermare ciò veramente nella realtà abbiamo bisogno dell’osservazione sensibile, che nel caso di Dio non c’é. A questo proposito, Kant elabora l’esempio dei 100 talleri.
Le prove cosmologiche sono quelle a posteriori elaborate dal Tommaso d’Aquino. Esse vengono sintetizzate da Kant in una formulazione che afferma che se tutti gli enti di natura sono contingenti (non hanno in se stessi la giustificazione della propria esistenza) questi devono derivare da una causa prima e necessaria che da’ senso a tutte le altre cose, riconosciuta in Dio.
Secondo Kant, questa prova ripete l’errore della prova ontologica poiché comporta un passaggio ingiustificato dal piano logico a quello reale. Questa prova, inoltre, ha un altro errore, in quanto applica la categoria di causa ad un ente che non è percepibile sensibilmente (mentre l’uso delle categorie e lecito solo se in unione all’osservazione sensibile).
Le prove fisico-teologiche avevano questa struttura: partivano dalla considerazione di un aspetto positivo della natura (ordine, bellezza) per farlo derivare da Dio. Le caratteristiche positive venivano colte in natura nei gradi intermedi, mentre a Dio erano attribuite al grado assoluto. Kant critica queste prove dicendo che, per spiegare i tratti positivi della natura, possiamo ricorrere a causa naturali. Poi queste prove sono errate, secondo Kant, poiché utilizzano i concetti di bellezza e ordine assoluto ma questi stessi non sono comprensibili all’uomo, il quale vive sempre in una condizione di medietà.
Al termine di queste critiche, Kant appare non ateo, bensì agnostico; infatti, non nega l’esistenza di Dio, ma afferma che per l’uomo non è possibile né negarla né affermarla con un percorso scientifico. Nella dialettica trascendentale ribadisce poi che le idee metafisiche non possono essere oggetto di conoscenza scientifica, ma attribuisce loto (soprattutto a quella di mondo) un uso regolativi della scienza. Significa che lo scienziato, pur non potendole conoscere, le userà come punto di riferimento per continuare a sviluppare gli studi scientifici.

CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Nella critica della ragion pratica Kant studia la morale, una delle tre fondamentali esperienze umane. Fa riferimento alla facoltà che ci guida nella vita morale, ovvero la ragion pratica. Kant è convinto che esista in tutti gli uomini una legge morale a priori, che non deriva dalla sensibilità ed è universale e necessaria (ovvero non cambia). Il fatto che la ragione non derivi dall’esperienza, non significa però che la vita morale dell’uomo risulti staccata dal mondo sensibile; infatti, questa viene applicata nel mondo, il luogo in cui vive l’uomo, e la vita morale dell’uomo è una lotta continua tra la ragione e gli istinti. Infatti l’uomo non è puro istinto, altrimenti sarebbe un animale, ma non è neanche pura ragione, altrimenti sarebbe un santo e nella santità la legge morale perderebbe senso, in quanto non ci sarebbe piú lo scontro tra ragione e istinto.
A fondamento della morale, dobbiamo secondo Kant porre la libertà, poiché non può esistere la morale senza che all’origine ci sia una libera scelta. Se l’uomo sceglie qualcosa liberamente, è lecito considerare morale la scelta. Dice poi che la legge morale, e la vita che ne deriva, è incondizionata, ovvero non può essere influenzata o modificata da nessuna condizione esterna (altrimenti non sarebbe universale e quindi uguale per tutti gli uomini).
Per descrivere il contenuto della legge morale, Kant analizza i vari principi e criteri a cui l’uomo s’ispira nella vita morale. In genere, gli uomini nella vita morale seguono o delle massime, o degli imperativi. Le massime sono regole soggettive che l’uomo può mettere a fondamento delle proprie scelte. Per esempio, un uomo può mettere a fondamento della propria vita il perfezionamento del suo corpo e porre come massima l’alzarsi presto la mattina per fare ginnastica.
Gli imperativi, invece, possono essere di due tipi: imperativi ipotetici e imperativo categorico. Gli imperativi si distinguono dalle massime perché sono introdotti dal verbo “dovere” e perché si esprimo, quindi, come un ordine. Gli ipotetici hanno la forma del “se… tu devi”. Ad esempio un imperativo ipotetico è “se vuoi raggiungere buoni risultati scolastici devi studiare”. L’imperativo ipotetico ha una struttura oggettiva e necessaria (perché non c’è un’altra via per attere quel determinato scopo), ma non è universale, perché vale solo per quegli uomini che vogliono raggiungere quel tale risultato. Quindi, gli imperativi ipotetico non possono essere fondamento della legge morale kantiana, perché un imperativo introdotto dal “se” non può essere uguale per tutti.
L’imperativo categorico, invece, si presenta con la forma semplice del dovere e dice all’uomo “tu devi”. È quindi un imperativo che non ammette ipotesi per farsi valere. Non è soggettivo ed ha quindi i caratteri per diventare fondamento della legge morale kantiana.
Kant da’ tre formulazioni dell’imperativo categorico che rappresentano la legge morale.
La prima formulazione ordina all’uomo di agire in modo tale da avere il plauso di tutti gli uomini. Ciò significa che quando noi seguiamo regole d’azione morale, queste dovrebbero entrare in una legislazione universale.
La seconda formulazione afferma che una regola di comportamento è morale se in questa l’umanità viene considerata come un fine e non come un mezzo per ottenere altri scopi. Una regola non può essere morale se non afferma il rispetto della dignità degli uomini. L’uomo non può mai essere sacrificato in un’azione morale. Ad esempio, non è un’azione morale ingannare delle persone per attere altri scopi, come un maggiore potere personale.
La terza formulazione dice che quando la nostra volontà (ovvero la facoltà che regola la nostra vita morale, quella che alla fine decide cosa fare) decide un’azione morale deve comportarsi come una legislatrice universale. Questa formulazione si differenzia dalla prima, perché mette al centro dell’azione morale la volontà, identificata come motore della vita.
Le indicazioni che ci da’ la legge morale, per Kant sono generali (ad esempio: l’azione morale deve essere universale e rispettare la dignità umana). Per questo dobbiamo dire che la legge morale kantiana è formale, ovvero che l’imperativo categorico fornisce solo la forma dell’azione morale, ma per agire siamo noi che dobbiamo fare azioni ben precise. Affermazioni come “servire la patria”, che possono sembrare morali, non lo sono per forza se estrapolate dal contesto (Germania hitleriana). Kant delinea la morale come formale, perché dandole dei contenuti particolari perderebbe il suo carattere di universalità. Attuare una legge morale di questo tipi è difficile e definirla come formale richiama ad una grande centralità dell’individuo.
Poi Kant afferma che la legge morale (e l’azione morale) non può legarsi a fini particolari e deve quindi avere un carattere antiutilitaristico. Ad esempio, se una persona fa beneficenza per mettersi in buona vista, quella che può sembrare un’azione morale non lo é. L’uomo morale, per Kant, compie un’azione morale solo perché sa che quello è il suo dovere. La morale Kantiana è quindi caratterizzata dal rigorismo, perché ammette solo il dovere, escludendo tutto il resto (escludendo quindi fini utilitaristici, ma anche felicità).
Altro carattere della morale è il fatto che questa è legata all’intenzione. Secondo Kant, il carattere morale di un’azione è da ricercare prima di tutto nell’intenzione. Se l’intenzione è morale, buona, allora lo sarà anche l’azione, indipendentemente dal suo verificarsi o meno (ad esempio, se per fattori esterni non si può mettere in pratica).
In base alle caratteristiche della legge morale, l’uomo che la segue si riferisce ad una dimensione soprasensibile, noumenica, perché egli è totalmente libero, mentre il mondo sensibile e la natura, studiati scientificamente, appaiono dominati dalla necessità. L’uomo che segue la legge morale, quindi si sottrae alla regola della necessità, regola fondamentale della natura. Il corpo è sottoposto al meccanicismo, ma dal punto di vista morale, l’uomo si stacca dall’ambito necessario. Per cui, la morale pone l’uomo al di sopra del mondo sensibile, anche se questa si può esplicare solo nel mondo sensibile.
A questo punto, Kant ritiene di aver realizzato una rivoluzione copernicana in campo morale, che riguarda la centralità dell’uomo nella vita morale, poiché l’uomo ritrova la legge morale in se stesso. Kant reputa false morale quelle che definisce eteronome (= legge che viene da qualcosa di esterno), ovvero quelle morali le cui prescrizioni provengono dall’esterno (ad esempio la morale religiosa, le cui prescrizioni vengono da Dio e dai dieci comandamenti). Anche altre morali sono false, secondo Kant, come quelle imposte dalla classe dirigente di una società o quelle trasmesse attraverso l’educazione. Anche la morale del piacere, secondo Kant, è falsa, poiché rende l’uomo schiavo del corpo. La sua morale, invece, si fonda sulla piena autonomia.

IL SOMMO BENE
Allora, senza correggere nulla di quello che ha scritto sulla morale, Kant inizia a prendere in considerazione quello che definisce “sommo bene” e che è l’unione di virtù e felicità. Il sommo bene è l’aspirazione di tutti gli uomini, o per lo meno degli uomini che hanno deciso di seguire la morale. Il raggiungimento del sommo bene è difficilissimo da realizzare nel mondo, perché chi è virtuoso in genere non riesce ad essere felice. La virtù, infatti, chiama l’uomo al sacrificio di sé, che significa rinuncia alla felicità. Quindi Kant si domanda come si possa dare all’uomo la possibilità di aspirare al sommo bene. L’unico modo è quello di postulare l’esistenza di un aldilà in cui risulti possibile raggiungere la virtù e la felicità. Kant afferma che dobbiamo postulare l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, ma questi postulati non sono una contraddizione con quanto affermato nella critica della ragion pura). L’immortalità dell’anima, infatti, permette all’uomo di credere alla possibilità di perfezionare la propria virtù nell’aldilà, raggiungendo il massimo grado, ovvero la santità. Infatti, l’uomo sa che al massimo grado di virtù corrisponderà il massimo grado di felicità (o almeno lo pensa e ci spera).
In ogni caso, postulare un mondo metafisico non è in contrasto con quanto affermato nella “Critica della ragion pura” per due motivi: innanzitutto ci troviamo in ambito morale e poi viene utilizzato il termine “postulare”, non dimostrare.
Per quanto riguarda il postulato dell’esistenza di Dio, questo viene introdotto come garante della corrispondenza tra virtù raggiunta e felicità prevista. Dio garantisce all’uomo che se raggiunge la virtù, allora raggiungerà anche la felicità (in quanto Dio è anche suprema giustizia).
Un terzo postulato viene aggiunto successivamente, ma non è collegato all’aldilà. È quello della libertá, che è il fondamento della vita morale. Se si fa riferimento alla natura che è in noi (ovvero il corpo), ci sentiamo necessitati. L’esperienza sensibile legata al nostro corpo ci fa sentire necessitati, quindi la libertà può essere posta per l’uomo solo come postulato.
Questo è peró diverso da tutti gli altri postulati, perché noi la percepiamo dentro noi stessi, mentre di Dio e dell’anima non sappiamo nulla.
Il mondo delineato attraverso la scienza è necessitato, se invece facciamo riferimento alla ragione, questa è libera.
Con la stessa teoria dei postulati, Kant ha aggiunto una dottrina alla fine della sua morale: i postulati (anima e Dio) non sono quindi il fondamento della morale kantiana, ma sono solo un’aggiunta finale che può esserci sono senza modificare il contenuto della morale. Un uomo può porsi come obietti la virtù e non la felicita, e non aspirare al sommo bene, ma è comunque un uomo morale.

LA CRITICA DEL GIUDIZIO
Scrivendo la prima e la seconda critica, Kant aveva delineato due mondi: con la Critica della Ragion Pura il mondo della natura, dominato dal meccanicismo (quindi dalla necessità) e studiato dalla scienza, con la Critica della Ragion Pratica un mondo noumenica, dominato dalla libertà e all’interno del quale trovavano posto anche Dio e l’anima, come postulati. Tra questi due mondi l’uomo risultava diviso a appariva sia come libero, sia come necessitato; vi era quindi una frattura tra l’interiorità dell’uomo (ovvero il luogo libero della morale) e il mondo esterno (rappresentato dalla natura). Con la Critica del Giudizio, Kant cerca di riavvicinare queste due dimensioni, analizzando il sentimento. In particolare, delinea il sentimento come la facoltà dell’uomo che proietta sul mondo esterno le esigenze interiori. Secondo Kant, le esigenze fondamentali dell’uomo sono due: il desiderio di bellezza e quello di finalità. Quando questi desideri vengono proiettati sulla natura, nascono i Giudizi Riflettenti, che sono di due tipi: giudizio estetico (che si forma quando l’uomo riflette sulla natura il desiderio di bellezza) e i giudizi teleologici (ovvero finalistici). I giudizi riflettenti non hanno nessun collegamento con la conoscenza scientifica della natura, ovvero non hanno un valore conoscitivo, in quanto vengono formulati anche da un uomo che non possiede conoscenze scientifiche.

IL GIUDIZIO ESTETICO
Il giudizio estetico è, ad esempio: quel tramonto è bello. Kant fornisce esempi di bellezza riferiti prevalentemente alla natura ed afferma che per dare una prima definizione di bello dobbiamo affermare che bello non è solo ciò che piace, ma è ciò che piace nel giudizio di gusto. Non è quindi un semplice giudizio personale, ma deve essere caratterizzato da un innalzamento dello spirito. Per Kant, quindi, il giudizio estetico deve essere disinteressato e non legato a desideri materiali. Quelle che sono le aspirazioni personali dell’uomo devono essere escluse (ad esempio, affermare che un campo di grano è bello, perché si pensa che frutta del denaro, non è dare un giudizio estetico). Il giudizio estetico ha come altro carattere quello di essere estraneo dal concetto, ovvero dall’ambito conoscitivo (vi è quindi una separazione tra arte e scienza; ad esempio, se affermo che un fenomeno naturale è bello perché l’ho studiato e so come avviene, quello non è un giudizio estetico).
Secondo Kant, infatti, l’arte, che è la capacità di apprezzare la bellezza, non si impara sui libri, studiando. L’unico modo per avvicinarsi alla bellezza è imparare a contemplarla, attraverso quindi la contemplazione di esempi d’arte. Secondo Kant, se un uomo non viene educato alla bellezza, farà fatica a riconoscerla e ad elevarsi spiritualmente ammirandola.
Un ulteriore carattere del giudizio estetico è l’universalità, secondo cui un giudizio sulla bellezza della natura è estetico solo se ha la condivisione di tutti gli uomini. La bellezza del giudizio estetico, infatti, non si pone al livello del piacere sensibile, ma ad un livello superiore, il piacere estetico. Il piacere sensibile, infatti, è legato solamente alla sfera soggettiva, e quindi ad una considerazione puramente fisica di ciò che ci appare. Di conseguenza, il piacere sensibile non può dare origine al giudizio estetico, che si fonda invece sul piacere estetico, di tipo universale, perché distaccato dalla sfera soggettiva e spirituale, perché, nel momento in cui lo pronunciamo, il nostro animo si eleva oltre la bassa materialità.
Poi Kant, studiando il giudizio estetico, analizza anche il concetto di sublime: questo è una categoria, esperienza, che si sviluppa nell’uomo quando si rapporta con qualcosa di smisurato ed incommensurabile. Il sublime può essere di due tipi: matematico e dinamico. Il sublime matematico nasce quando l’uomo entra in contatto con qualcosa di smisuratamente grande (come le montagne o il sistema planetario); quando si rapporta a questi fenomeni in lui nascono due sentimenti contrastanti: da un lato, nell’uomo nasce un sentimento di limitazione e di nullità (l’uomo si stente un nulla rispetto a questi fenomeni), dall’altro lato si sviluppa un sentimento di grandezza, in quanto l’uomo si sente superiore agli altri essere perché è in grado di capire l’immensità di ciò che gli sta di fronte. In ogni caso, finisce per prevalere il secondo sentimento.
Il sublime dinamico si delinea quando l’uomo si trova di fronte a fenomeni naturali (come un uragano o un terremoto). Emergono qui nell’uomo due sentimenti contrastanti: uno di nullità, perché si rende conto che quelle forza potrebbero annullarlo; un altro di grandezza, perché si rende conto della grandezza della natura, mentre gli altri esseri no.
Il bello, invece, è una categoria che suscita nell’uomo un sentimento di equilibrio e tranquillità, mentre il sublime suscita sentimenti di inquietudine, anche se entrambe le esperienza portano alla formulazione di giudizi estetici che escludono la sfera conoscitiva, sono universali e distaccati dalla pura sensibilità.

L’ARTE
Per quanto riguarda l’arte, secondo Kant questa è l’imitazione della natura, ma non la imita riproducendola, ma perché trae da questa il senso del sublime e lo riproduce attraverso l’opera; l’opera d’arte è prodotta da quello che viene definito “genio artistico”. Queste è un individuo che si pone al di sopra dell’umanità comune e ha caratteristiche particolari, tra cui la profondità d’animo e la capacità di elevarsi al bello, che non si riscontrano negli altri uomini. È quindi un uomo eccezionale e, delineando questa figura, Kant si avvicina al concetto romantico dell’arte.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA IN CAMPO ESTETICO
Kant afferma di aver realizzato la rivoluzione copernicana anche in quest’ambito, la quale afferma la centralità dell’uomo in campo estetico, poiché è l’uomo che proietta il suo sentimento e il suo bisogno di bellezza sulla natura. La bellezza non è quindi una caratteristica oggettiva della natura, ma è la proiezione di un’aspirazione dell’uomo sulla natura. Quindi Kant afferma che la bellezza non è un favore che la natura fa all’uomo, ma viceversa è l’uomo che fa un favore alla natura, cercando in essa la bellezza, perché dove c’è l’uomo c’è l;attribuzione della bellezza alla natura.

IL GIUDIZIO TELEOLOGICO
Secondo Kant, il giudizio teleologico nasce quando l’uomo riflette sui fenomeni naturali la sua esigenza di fine. L’attribuzione di fini è una tendenza di tutti gli uomini, ma avvertendola l’uomo finisce per attribuire un fine a cose che non lo hanno (ad esempio, un albero non si propone di fare frutti).
Nascono così giudizi teleologici (ad esempio: lo scheletro ha lo scopo di sorreggere il corpo di un animale e la natura è stata creata da Dio per permettere la vita dell’uomo), anche se, in realtà, la natura non ha fini. Tutti gli uomini elaborano giudizi di questo tipo, ma non hanno nessun valore conoscitivo; se uno scienziato pretende di studiare la natura in quest’ottica, sbaglia.
In ogni caso, il giudizio teleologico ha una funzione, ovvero quella di far intuire all’uomo i limiti della scienza che con il meccanicismo (secondo cui ogni fenomeno ha una causa e un effetto) non può spiegare tutto, anzi, non può neanche giustificare la nascita di un filo d’erba.
La scienza, che è comunque l’unica conoscenza possibile, non può spiegare tutto e, allo stesso modo, il meccanicismo, che è l’unica conoscenza che l’uomo ha del mondo, non spiega tutto.

Esempio



  


  1. laura

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