Kant

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Testo

Immanuel Kant
Vita e opere:
Nacque a Konigsberg nel 1724. Fu educato dapprima nel Collegium Fridericianum nello spirito del pietismo. Uscito da lì Kant studiò la filosofia, la matematica e la teologia nell'università della sua città. Finiti gli studi fu precettore in alcune case patrizie, poi insegnò all'università vari discipline. Nel 1770 fu nominato professore di logica e metafisica all'università dove restò fino alla morte (1804).
Tra le opere più importanti: La Dissertazione, la Critica della ragion pura, la Critica della ragion pratica, la Critica del giudizio.
Il pensiero di Kant viene detto "Criticismo", in opposizione al dogmatismo e identifica l'esame della ragione sulle capacità e sui limiti di essa nell'attività conoscitiva (Ragion pura), nell'attività pratica (Ragion pratica) e nell'esaminare il sentimento (Critica del giudizio).
CRITICA DELLA RAGION PURA
Consiste in un'analisi critica dei fondamenti del sapere che al tempo di Kant si divideva in scienza e metafisica. Queste si presentano in modo diverso al filosofo. Infatti la prima appariva come un sapere fondato e in continuo progresso, mentre la seconda non aveva lo stesso cammino sicuro. Poiché Hume aveva nutrito dubbi ance sulla validità della scienza, Kant decise un riesame globale della struttura e della validità della scienza. Kant respinge lo scetticismo scientifico di Hume ma ne condivide invece lo scetticismo metafisico.
Kant si pone quattro domande: 1) Come è possibile la matematica pura? 2) Come è possibile la fisica pura? 3) Come è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? 4) Come è possibile la metafisica come scienza? Nel caso delle scienze basta chiedersi come siano possibili, nel caso della metafisica, bisogna chiedersi se siano possibili.
Giudizi sintetici a priori
Kant dice che per poter parlare di scienza si ha bisogno dei giudizi sintetici a priori, cioè di giudizi in cui il predicato aggiunge qualcosa al soggetto e che non derivano dall’esperienza Quindi la scienza pur derivando in parte dall'esperienza, presuppone anche alcuni principi immutabili che ne fungono da pilastri..
Da questo punto di vista, né i Razionalisti, né gli Empiristi sono riusciti a fare scienza poiché gli uni hanno formulato giudizi analitici a priori (giudizi dove il predicato è già inserito nel soggetto: es. "I corpi sono estesi", l'estensione è già una caratteristica dell'essere corpo), gli altri giudizi sintetici a posteriori (giudizi dove il predicato afferma qualcosa di nuovo rispetto al soggetto ma deve essere verificato dall'esperienza: es. "I corpi sono pesanti").
La scienza risulta quindi feconda in duplice senso: sia per quanto riguarda la materia, che le deriva dall'esperienza, sia per quanto riguarda la forma che le deriva da giudizi sintetici a priori. Quindi abbiamo:
scienza = esperienza + principi sintetici a priori.
I giudizi sintetici a priori stanno anche alla base della metafisica, come si vede nella proposizione: "Il mondo deve avere un primo cominciamento"
Rivoluzione Copernicana
Da dove provengono i giudizi sintetici a priori visto che non derivano dall'esperienza?
Per rispondere Kant elabora una nuova teoria della conoscenza intesa come sintesi di materia e di forma.
Per materia intende la molteplicità delle impressioni sensibili che provengono dall'esperienza, per forma intende l'insieme delle modalità fisse a priori attraverso cui la mente ordina la materia sensibile (spazio e tempo). Quindi la conoscenza viene vista come una sintesi tra un elemento a posteriori (materia) e un elemento a priori (forma).
Visto che in noi esistono determinate forme a priori universali e necessarie attraverso cui incapsuliamo i dati della realtà, ecco spiegato perché si possono formulare dei giudizi sintetici a priori.
Come Copernico nel campo astronomico capovolse la concezione tolemaica, così Kant si vanta di avere introdotto una rivoluzione nel modo tradizionale di intendere la filosofia: il soggetto conoscente non gravita più passivamente intorno all'oggetto per raccogliere la conoscenza di un mondo già costituito, ma con la sua attività a priori illumina l'oggetto ordinando i dati sensibili e diventando in tal modo legislatore della natura.
In base a questo nuovo modo di vedere la conoscenza, Kant fa la distinzione tra fenomeno e noumeno. Il fenomeno è la realtà come ci appare attraverso le forme a priori, il noumeno è la realtà considerata indipendentemente da noi e dalle forme a priori mediante cui la conosciamo.
I tre gradi della conoscenza
Kant articola la conoscenza in tre facoltà principali: la sensibilità, l'intelletto e la ragione. La sensibilità è la facoltà con cui gli oggetti ci sono dati intuitivamente attraverso i sensi e tramite le forme a priori di spazio e di tempo, l'intelletto (Versand) è la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite le categorie, la ragione (Vernunft) è la facoltà attraverso cui cerchiamo di spiegare la realtà mediante le idee di anima, mondo e Dio. Su questa tripartizione si basa la divisione della Critica della ragion pura che si divide in: dottrina degli elementi (cerca di scoprire gli elementi formali della conoscenza) e la dottrina del metodo (determina l'uso possibile degli elementi formali della conoscenza). La dottrina degli elementi si divide poi in estetica trascendentale (studia la sensibilità e le sue forme a priori di spazio e di tempo) e in logica trascendentale che si sdoppia a sua volta in analitica trascendentale (studia l'intelletto e le categorie) e in dialettica trascendentale (studia la ragione e le sue tre idee di anima, mondo e Dio).
L'estetica trascendentale
Le sensazioni, per essere comprese da noi hanno bisogno di un ordine. Questo viene dato dall'idea di spazio e dall'idea di tempo. Queste due idee vengono definite da Kant trascendentali intendendo col termine ciò che non deriva dall'esperienza ma che serve per giustificare l'esperienza stessa.
L'idea di spazio e di tempo sono le condizioni necessarie di ogni esperienza, le forme a priori dell'intuizione. Lo spazio è forma del senso esterno ( lo spazio rende possibile la conoscenza degli oggetti secondo un ordine di coesistenza spaziale), il tempo è forma del senso interno e del senso esterno (esso rende possibile la conoscenza della successione temporale degli stati d'animo e della percezione dei fatti esterni). Kant dimostra che lo spazio e il tempo sono a priori dicendo, contro l'interpretazione empiristica, che questi non possono derivare dall'esperienza perché per fare un'esperienza la dobbiamo già presupporre. Contro l'interpretazione oggettivistica Kant sostiene che se lo spazio e il tempo fossero degli assoluti a se stanti dovrebbero continuare a esistere anche nell'ipotesi che in essi non vi fossero oggetti, ma è impossibile concepire qualcosa che, senza un oggetto reale, sarebbe tuttavia reale. Contro l'interpretazione concettualistica, Kant afferma che spazio e tempo non possono venir riguardati alla stregua di concetti poiché hanno una natura intuitiva e non discorsiva.
L'analitica trascendentale
I dati ricevuti dall'intuizione sensibile vengono adesso ordinati dall'intelletto che opera una sintesi dal molteplice all'unità attraverso le categorie.
Le categorie sono quindi le leggi, le funzioni con cui raccogliamo la realtà, la unifichiamo e la pensiamo. Ma pensare qualcosa significa dare un giudizio, quindi, per le categorie Kant si ispira alla tavola dei giudizi di Aristotele. Anche Aristotele aveva parlato di categorie intendendole però come modi dell'essere cioè come le leggi dell'ente, invece Kant, le riferisce al pensiero e non all'esperienza. Le sue sono quindi leggi della mente, modi di funzionare del pensiero.
Kant parla di dodici categorie: tre quantitative (riguardano l’aspetto numerico delle cose = UNIVERSALI, PARTICOLARI, SINGOLARI), tre qualitative (si riferisce agli attributi delle cose = AFFERMATIVI, NEGATIVI, INFINITI), tre di relazione e tre di modalità.
Le categorie di relazione si riferiscono a come noi sviluppiamo certi giudizi. Il giudizio di relazione può essere: categorico (non ammette repliche o dubbi), ipotetico (dipende da una condizione es. “Mi insulta, lo schiaffeggio”), disgiuntivo (quando si formulano delle ipotesi lasciando varie opportunità).
Le categorie di modalità si riferiscono a come noi esprimiamo il metodo, la tipologia del giudizio. Si hanno tre diversi giudizi: problematico (quando la confusione non risolve la questione), assertore (quando si afferma una cosa senza darne spiegazioni), apodittico (quando si dimostra una cosa affermata)
Se esistono queste dodici categorie, bisogna pensare che ci sia un io (un centro) di cui le categorie siano funzioni e che le raggruppa. Se non ci fosse un unico soggetto (l'io penso) non avremmo la consapevolezza del pensiero fatto. Kant dà il nome di “io penso” a questa funzione poiché vuole parlare del pensiero nel momento in cui pensa.
L'io penso è dunque il principio supremo della conoscenza umana, esso rende possibile l'oggettività del sapere, organizza la realtà. Kant scopre la garanzia della conoscenza non negli oggetti o in Dio ma nella mente stessa dell'uomo e considera quindi quali sono i suoi limiti e il suo potere conformemente ai limiti e al potere dell'uomo. Le categorie funzionano solo in rapporto al materiale che organizzano. Senza di questo sono vuote.
Questo fa sì che le categorie risultino operanti solo in relazione al fenomeno, cioè alla realtà come si manifesta. Il conoscere per Kant non può estendersi al di là del fenomeno in quanto una conoscenza che non si riferisca all’esperienza non è conoscenza ma un pensiero vuoto.
Questo rimanda al concetto di cosa in sé, cioè del noumeno. Infatti Kant non vuole ridurre la realtà al fenomeno, egli afferma infatti che se c’è un per noi deve esserci per forza un “in sé. Kant distingue tra senso positivo e senso negativo del noumeno. Nel senso positivo il noumeno è l’oggetto di un’intuizione intellettiva, non sensibile, cioè di una conoscenza extrafenomenica. In senso negativo invece, il noumeno è il concetto di una cosa in sé che non può mai essere oggetto della nostra intuizione sensibile. In questo senso il noumeno è per noi un concetto limite che mette un limite alla nostra conoscenza.
La dialettica trascendentale
La dialettica trascendentale vuole essere lo studio critico del pensiero che si abbandona alla metafisica.
Si è detto che l’uomo può conoscere solo il fenomeno, infatti, il soggetto può conoscere solo rimanendo nell’ambito dell’esperienza. L’uomo è cosciente di questo, ma nonostante tutto si sente insoddisfatto e allora si abbandona alla metafisica.
Kant affronta il problema se la metafisica possa anch’essa costituirsi come scienza. Il termine dialettica assunto con il significato di logica della parvenza, lascia intuire la risposta negativa di Kant. Egli vuole analizzare e smascherare i ragionamenti fallaci della metafisica che comunque è un’esigenza naturale dell’uomo ma che in realtà non ha delle solide fondamenta.
L’intelletto preso in esame nella dialettica è la “Vernunft” (opposta alla Versand) cioè quello che vuole ragionare in termini di concetto puro, indipendentemente dall’esperienza. Quest’intelletto non usufruisce delle esperienze, cerca di comprendere il noumeno. La Vernunft opera come la Versand, cioè organizza il molteplice e lo unifica sotto una rappresentazione comune utilizzando non i dati dell’esperienza, ma i suoi concetti interni e formula tre tipi di sillogismo: categorico, ipotetico e disgiuntivo. Con questi unifica tutto il mondo interno con l’idea di anima; i fenomeni esterni col mondo e l’unione dei fenomeni esterni con quelli interni con l’idea di dio.
Kant dimostra quindi che queste tre idee non si costituiscono in scienza.
- Critica dell’idea di anima:
Kant critica l’idea di anima e quindi la psicologia razionale dicendo che questa è fondata su paralogismi cioè su falsi ragionamenti (il paralogismo è un sillogismo errato perché quaternario. Il termine medio può assumere due significati diversi e quindi in contrasto. Il I significato è quando intendiamo la sostanza spirituale come io penso e quindi come elemento unificatore delle sensazioni, il II quando intendiamo la sostanza spirituale che esiste di per sé).
- Critica del mondo:
Kant dice che la ragione cade in contraddizioni insolubili quando pretende di conoscere il mondo inteso come totalità dei fenomeni esterni. Infatti se si ragiona in questo senso si ci viene a trovare di fronte a delle antinomie cioè delle leggi che si contraddicono in cui è possibile trovare una tesi e un’antitesi che hanno entrambe la possibilità di esser vere.
Le antinomie sono 4 e sono una qualitativa, una quantitativa, di relazione, modale: 1) Il mondo può essere finito o infinito; 2) Il mondo è composto da parti semplici (gli atomi) o no. 3) E’ possibile trovare cause meccaniche o cause finali. 4) Il mondo è sempre esistito o è stato creato da un dio.
- Critica di dio:
Kant esamina tre dimostrazioni dell’esistenza di dio formulate dalla teologia razionale: 1) l’argomento ontologico, affermato da S. Anselmo e dal razionalismo (anche Cartesio), non ha validità in quanto dal concetto di dio non si può dedurre la sua esistenza perché si può avere il concetto di una cosa senza che questa debba necessariamente esistere. Infatti in questo modo si passa dal piano gnoseologico (concetto di dio) al piano ontologico (esistenza di dio). 2) L’argomento cosmologico affermato dalla scolastica (S. Tommaso) non ha fondamento scientifico, infatti, dall’esistenza del mondo non si può dedurre l’esistenza di un ente necessario poiché il principio causa-effetto è una categoria e quindi ha validità solo nei limiti dell’esperienza. 3) L’argomento teologico affermato dalla Scolastica e dalla corrente del Razionalismo deve essere rifiutato in quanto l’ordine e la regolarità dei fenomeni naturali che sembrano tendere verso un fine, potrebbero provare l’esistenza di un ordinatore della materia ma non di un dio creatore. Però per affermare l’esistenza di un Ente creatore o semplicemente ordinatore, partendo dall’ordine dell’universo, bisogna applicare la categoria di causa ad un contenuto che non si fonda sull’esperienza.
Dunque la Vernunft ha fallito, la metafisica non può essere considerata scienza. Dunque le tre idee non possiamo assumerle come verità scientifiche, però le possiamo assumere a livello regolativo, cioè è meglio pensarle per la vita. L’uomo infatti servendosi di esse può impostare le sue scelte in modo consapevole.
CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Kant si pone una domanda” : la ragione interferisce nel nostro comportamento? può dirci come dobbiamo agire? La risposta è affermativa, egli dice infatti che la ragione indirizza la nostra volontà ma non si pone di necessità, cioè non si oppone agli impulsi. Infatti, se fosse così non si porrebbe neanche la questione morale perché la ragione diventerebbe arbitro del nostro comportamento, la questione si pone invece per il fatto che noi siamo liberi, cioè in grado di poter scegliere di seguire o non i comandi della ragione. L’uomo può scegliere di seguire gli impulsi sensibili, gli istinti o i dettami della ragione.
Kant distingue tra una ragion pura pratica (che opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità) e una ragione empirica pratica (che opera sulla base dell’esperienza e della sensibilità). E poiché la moralità si identifica con la ragion pura pratica, il filosofo deve distinguere in quali casi la ragione è pura pratica , e quindi morale, e in quali è soltanto pratica e quindi non morale. Questo è lo scopo della critica della ragion pratica.
La ragion pura pratica non ha bisogno di essere criticata perché si comporta obbedendo ad una legge universale, invece, la ragion pratica può darsi delle massime dipendenti dall’esperienza e perciò non legittime dal punto di vista morale.
Il fatto che la ragion pura pratica non debba venir criticata non significa che sia priva di limiti, infatti, risulta segnata dalla finitudine dell’uomo e deve essere salvaguardata dal fanatismo
Kant distingue i principi che regolano la volontà, i comandi della ragione in massime e imperativi. Le massime sono dei comandi soggettivi; gli imperativi invece sono dei comandi che valgono per tutti. A loro volta gli imperativi si dividono in ipotetici e categorici.
Gli imperativi ipotetici sono quei comandi legati ad un obiettivo, a un fine che vogliamo raggiungere. (se…devi)
Gli imperativi categorici sono dei comandi assoluti della ragione, quelli che rappresentano un’azione come necessaria per se stessa, buona in sé, senza alcuna relazione con un altro fine. (devi puro e semplice). Solo l’imperativo categorico, che ordina un devi assoluto e quindi necessario e universale, ha in se stesso i contrassegni della moralità, della legge morale essendo la morale incondizionata dagli impulsi sensibili.
La formula base di questo imperativo è: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale”. (cioè se vuoi sapere se un’azione è morale chiediti se la tua massima possa dar luogo ad un ordine universale, ad una natura nella quale puoi vivere con i tuoi simili senza contraddizioni) Kant presenta altre due formule di questo imperativo. La seconda dice: “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di un altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo” (Si basa sul principio dell’umanità come fine a sé stessa e prescrive il riconoscimento della dignità umana nella propria e nell’altrui persona). La terza afferma di agire in modo tale che: “ La volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice”. (Riprende la prima ma sottolnea l’autonomia della volontà chiarendo come il comando morale non sia un imperativo esterno, ma il frutto spontaneo della volontà.
Gli imperativi devono avere tre requisiti: formalità, libertà e autonomia.
- Formalità:
Il contenuto dell’imperativo non rende universale la legge morale, ma ciò che la rende universale è la forma, cioè l’intenzione, il modo con cui si fa un’azione. Es.: Fare l’elemosina ad un mendicante. Perché me lo sento veramente di fare o perché dio mi premia. Il contenuto dell’imperativo è sempre lo stesso, ma la forma cambia.
- Libertà:
Se l’uomo deve compiere un’azione, la sua volontà deve essere indipendente, non può essere soggetta a qualche cosa. Quindi la volontà è libera, non è costretta né ad obbedire né a disobbedire alla legge morale, è indipendente sia dalla ragione che dagli impulsi. La volontà di conseguenza non ha né meriti né colpe, è un’esigenza dell’imperativo e se la volontà non fosse libera non si porrebbe neanche la questione morale. La libertà è l’indipendenza della volontà.
- Autonomia:
Se definiamo la libertà come indipendenza della volontà dai contenuti della legge morale abbiamo il senso negativo di essa. Se aggiungiamo che la volontà è in grado di determinarsi da sé abbiamo anche il senso positivo della volontà. La volontà è quindi capace di darsi una legge, questo aspetto positivo è chiamato da Kant “autonomia”
Da queste caratteristiche si comprende che Kant distingue tra moralità e legalità. La legalità (che ti impone determinati atti) non si cura dell’adesione spirituale che si ha nel fare quelle azioni. Invece per la moralità la cosa importante è l’intenzione con la quale si compie un’azione. Kant polemizza aspramente contro tutte le morali eteronome, cioè contro tutti quei sistemi che pongono il fondamento del dovere in forze esterne all’uomo o alla sua ragione. (La religione è quindi eteronoma).
I Postulati:
Adesso Kant prende in considerazione l’assoluto morale o Sommo Bene. Questo è l’unione tra la virtù (rispetto della legge morale) e la felicità (senso di appagamento per aver rispettato la legge morale. E’ intesa come valore interno in quanto se fosse esterno ci verremmo a trovare di fronte a un imperativo ipotetico). Il Sommo Bene ci permette di postulare l’esistenza dell’anima del mondo e di dio. Infatti per potersi realizzare, il Sommo Bene ha bisogno di un garante di questa realizzazione (dio). Tra l’altro l’esperienza ci dimostra che chi rispetta la morale in questa vita non raggiunge la felicità, quindi, ci deve essere un’altra vita dove possiamo essere felici (immortalità dell’anima).
Nell’uomo sono presenti sia la natura fisica che quella morale, quindi, risulta esserci il contrasto tra la natura che ci tiene legati alle sue leggi fisiche e il nostro spirito che invece ci rende liberi. Questo contrasto è stato inteso come contrasto tra la dimensione fenomenica e quella noumenica. A questo punto possiamo vedere che l’uomo entra nel mondo del noumeno però, non come conoscitore, ma come lui stesso elemento di questo mondo (l’uomo è un ente noumenico). Questo gli permette di comprendere i postulati e quindi di credere nell’esistenza dell’anima e di dio, non gli permette però di dimostrarli. Per la possibilità di ammettere queste due idee Kant sottolinea il primato della ragion pratica sulla ragion pura in quanto dove la ragion pura ha fallito (metafisica) la ragion pratica con la sua morale è riuscita ad affermare (ma non a dimostrare) l’esistenza di un mondo al di là della nostra conoscenza.
CRITICA DEL GIUDIZIO
Questa terza critica viene scritta da Kant per risolvere un problema per il quale è stato criticato sia dai suoi contemporanei, che dai filosofi successivi (romantici). Così Kant fa una sintesi tra la dimensione fenomenica e noumenica nell’uomo. Egli scrive che il sentimento fa sì che l’uomo è libero moralmente e si senta libero nella natura. Ma la questione non viene risolta e addirittura viene complicata in quanto i suoi successori dovettero riuscire a trovare una sintesi tra le tre critiche. Così la filosofia successiva non accettando questa sintesi fatta nella critica del giudizio la supera privilegiando la ragion pratica.
Romanticismo
Alla fine del ‘700 ci troviamo di fronte ad una nuova situazione rispetto all’Illuminismo. I precursori di questa nuova realtà sono i letterati dello Sturm und Drang. Si assiste all‘affermazione della dimensione sentimentale e passionale fino ad allora sottoposta al dominio della ragione. L‘uomo così scopre i suoi sentimenti, i suoi valori, le sue passioni e si rende conto che ciò lo contraddistingue dagli altri uomini.
Tutti i sentimenti naturalmente vengono fuori in maniera tumultuosa poiché fino ad allora erano stati depressi.
Dall’ambito letterario il movimento si sposta negli altri campi, trovando la sua massima fioritura in tutta l’Europa all’inizio dell’Ottocento.
E’ difficile spiegare il concetto di Romanticismo. Sono state date due interpretazioni di fondo. Per una prima lettura , codificata da Hegel, il Romanticismo sarebbe quell’indirizzo culturale caratterizzato dall’esaltazione del sentimento. Ma questa è apparsa troppo angusta per il fatto che privilegia l’aspetto letterario ed artistico del R., mettendone in ombra le componenti filosofiche.
Per una seconda interpretazione il R. tende a configurarsi come un’atmosfera storica, come una situazione mentale generale. Questo significato evidenzia il R. sul piano storico-culturale, vedendo in esso tutta una serie di atteggiamenti che sorgono in relazione a determinate situazioni socio-politiche.
E’ poi difficile se non impossibile esprimere in una sola definizione l’essenza e i caratteri fondamentali del R.. Esso è pieno di ambivalenze poiché in esso coesistono il primato dell’individuo e quello della società, l’esaltazione del passato e l’attesa messianica del futuro, l’evasione nel fantastico e il realismo. Ma quello che rappresenta il punto di forza di tutto il R. è la polemica contro l’illuminismo.
IL SENSO DELL’INFINITO
Al contrario di Kant che aveva costruito una filosofia del finito, i romantici cercano ovunque l’oltre-limite, ciò che si sottrae alle leggi dell’ordine e della misura. Le esperienze dei romantici sono caratterizzate da una sorta di “ebbrezza dell’infinito”, sono anime assetate di Assoluto, desiderose di andare al di là del tempo e dello spazio, del tempo, del dolore, della morte.
I romantici si differenziano però tra di loro per il modo di intendere questo Infinito. Il modello più seguito è quello panteistico. Si concepisce cioè il finito come la realizzazione vivente dell’infinito (realtà stessa dell’infinito). Il panteismo può essere naturalistico (identifica l’infinito con il ciclo eterno della Natura) o idealistico (identifica l’infinito con lo spirito, con l’umanità stessa).
Abbiamo poi il modello trascendentistico per cui l’infinito viene a distinguersi dal finito pur manifestandosi in esso. Il finito appare come la manifestazione dell’infinito. Questo modello ammette la trascendenza dell’Infinito rispetto al finito e considera l’infinito stesso come un dio che è al di là delle sue manifestazioni mondane.
LA VITA COME INQUIETUDINE E DESIDERIO
Un altro dei motivi ricorrenti è la concezione della vita come inquietudine, aspirazione, brama, sforzo incessante. I romantici ritengono che l’uomo sia in preda ad un “demone dell’infinito”, il quale fa sì che egli si trovi in uno stato di irrequietezza e di tensione perenne, che lo porta ad andare al di là dei limiti del finito.
Bisogna prendere in considerazione la parola Sehnsucht (desiderio, aspirazione struggente) la quale forse costituisce la più caratteristica parola del Romanticismo tedesco poiché racchiude in sé l’interpretazione dell’uomo come desiderio e mancanza, desiderio verso qualcosa che sfugge sempre.
La Sehnsucht si accompagna all’ironia e al titanismo. L’ironia consiste nella superiore coscienza del fatto che ogni realtà finita risulta inferiore all’infinito. Il titanismo esprime invece un atteggiamento di sfida e di ribellione, proprio di chi si propone di combattere pur sapendo che alla fine verrà sconfitto. Talvolta il titanismo conduce al suicidio. Il titanismo è detto anche prometeismo poiché i romantici lo personificano nel titano Prometeo simbolo della ribellione in quanto tale.

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