Immanuel Kant

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Testo

Immanuel Kant
Immanuel Kant fu considerato uno degli uomini più metodici della storia; secondo un aneddoto, infatti, gli abitanti del suo paese regolavano i loro orologi basandosi sull’uscita pomeridiana di Kant.
Era figlio di gente del popolo; la madre era pietista, e sebbene Kant abbia elaborato un pensiero molto personale, il pietismo (variante della religione protestante) in qualche modo è presente nella sua filosofia.
Laureatosi va a fare il precettore per circa otto anni, ma continua a studiare, finché diventa professore universitario, vivendo delle tasse che pagavano gli studenti che frequentavano le sue lezioni.
Kant rifiutò ogni proposta di trasferimento e trascorse tutta la vita a Königsberg, e morirà abbastanza anziano; fu quindi un uomo sedentario, metodico e dedicò tutta la sua vita all’insegnamento.
Scrisse tre grandi opere: “Critica della ragion pura” (1781-1787), “Critica della ragion pratica” (1788), “Critica del giudizio” (1790).
Cominciò ad essere noto soltanto dal 1781, cioè dopo la pubblicazione della sua prima grande opera, fino ad allora era ritenuto un dilettante.
C’era un dibattito che in quegli anni riscaldava l’ambiente filosofico tedesco e la rivista mensile berlinese di filosofia “Berlinische Monatsschrift” chiese a Kant di intervenire in quel dibattito che riguardava il problema dell’esistenza di Dio: se ne può dare dimostrazione o fondazione razionale?
C’erano già due posizioni in netto contrasto tra di loro: Friedrich Heinrich Jacobi, sosteneva che di Dio non si può dare alcun fondamento razionale, e che l’unica via di accesso a Dio è il salto mortale nella fede che è qualcosa di irrazionale; in altre parole per Jacobi chi crede in Dio lo fa soltanto per un atto di fede non riconducibile alla ragione.
Moses Mendelssohn diceva, invece, che alle verità metafisiche si può arrivare con precise argomentazioni, e come tipico argomento addiceva la prova ontologica.
Quella di Kant è una posizione tipicamente illuministica, e sono tre le tesi fondamentali che sostiene nella “Critica della ragion pura”:
1. 1. egli ritiene che è compito della ragione verificare quanto della nostra conoscenza ha fondamento razionale e quanto non ne ha;
2. 2. che si potevano trovare le condizioni per cui la nostra conoscenza scientifica, che ha per oggetto i fenomeni naturali, è fondata e certa;
3. 3. che quando trascendiamo la dimensione fenomenica ci sono tanti argomenti pro quanti ce ne sono contro.
E’ proprio da quest’ultimo punto che sono partiti sia Jacobi sia Mendelssohn affermando che se la nostra ragione può dirci qualcosa solo sul mondo fenomenico, tutto ciò che ne sta al di fuori può essere coinvolto in uno scetticismo generale.
Kant allora interviene con un saggio dal titolo “Che cosa significa orientarsi nel pensare”, nel quale ribadisce l’impossibilità di una conoscenza razionale di Dio; d’altro canto quella di chi dice che di Dio si possa avere una conoscenza solo per il tramite della fede, è una posizione che svaluta la ragione.
Non ci si può avventurare in questo ambito inesplorato che è la metafisica, né con i colpi di genio di cui va parlando Jacobi, né con le argomentazioni razionali di Mendelsshon, ma bisogna valutare fin dove la nostra ragione si può spingere e dove deve prendere atto che non può più continuare il suo cammino.
Per Kant nell’uomo c’è un’esigenza di assoluto, perché sente il bisogno di andare oltre la conoscenza del mondo fenomenico; chiunque di noi, dice Kant, non si sentirebbe soddisfatto di conoscere tutto del mondo fenomenico, ma si porrebbe anche domande di tipo metafisico. Le due risposte sbagliate a queste domande le danno Jacobi e Mendelssohn secondo Kant.
C’è quindi una molla nell’uomo che lo spinge a domandarsi se c’è Dio, se la nostra anima è immortale e così via. Alla domanda: “Dio esiste?” Kant risponderebbe: “Speriamo!” non ho argomentazioni che mi fondino l’esistenza di Dio, ma nemmeno una fede cieca può farlo; allora, se la ragione è la caratteristica dell’uomo, bisogna utilizzarla, e non come dice Jacobi che ci dobbiamo rinunciare a priori, ma nemmeno come Mendelssohn che voleva dimostrare l’esistenza di Dio con la ragione.
Kant quindi non condivide né il fideismo, né il razionalismo, l’esistenza di Dio per Kant è un postulato, non il risultato di un ragionamento razionale.
Se togliamo alla ragione il diritto a pronunciarsi su problemi così rilevanti come l’esistenza di Dio, l’alternativa è la superstizione, il fanatismo; soltanto la ragione infatti è comunicabile, l’intuizione non lo è.
Sono mille le ragioni per cui ci dobbiamo affidare alla ragione: intanto per non cadere nel fideismo, e poi se non affidiamo alla ragionala funzione di elaborare argomenti sui quali si possa discutere verrebbe meno la stessa libertà di pensiero.
Kant vuole far salva sia la ragione che la libertà di pensiero; è la ragione che stabilisce le leggi che ci dicono ciò che ha fondamento o meno, quindi non bisogna dare per scontato che ciò che altri hanno detto in passato sia necessariamente vero.
Per questo Kant afferma che è fondamentale “pensare da sé”, cioè cercare nella propria ragione il criterio di verificazione, e che questo è lo scopo dell’illuminismo: l’invito alla ragione.
O la ragione individua le leggi della ragione stessa o queste leggi verranno più o meno fanaticamente imposte da altri.
Non si può proibire di pensare, e si ha un vero pensare solo se lo possiamo fare parlando, confrontandoci con altri; è una fondazione teorica della libertà: senza libertà l’uomo non può esprimere la sua caratteristica fondamentale: quella di pensare.
Nessun dispotismo può proibire all’uomo di pensare, ma qualora proibisca di parlare, il pensiero non si realizzerebbe in pieno.
Riassumendo per Kant non vanno né il fideismo né l’ipervalutazione della ragione; la ragione l’abbiamo, ma entro certi limiti, e la sua è una cultura propriamente illuministica, che difende la libertà di esprimere il proprio pensiero.
Il vero problema che si pone Kant è: come è possibile la scienza? Che la scienza esista per Kant è un fatto indiscutibile, ma lui si chiede cos’è che rende scientifico un sapere?
Hume, inficiando il principio di causalità e mettendo in discussione l’assunto che tradizionalmente si dava per scontato, e cioè che siamo in grado di generalizzare, e che partendo dalla percezione potessimo avere della natura una conoscenza tale che ci consente di fare esatte previsioni.
Se avesse ragione Hume la scienza non esisterebbe, perché chi crede che la scienza esiste crede anche che questa sia un sapere necessario e relativo alla realtà nella sua totalità.
Quando si pensa alla scienza, l’idea che se ne ha è che essa è un sapere universale e necessario, ma Hume proprio questo aveva contestato.
Il problema di Kant è questo: Hume non dice follie, però se tutto ciò che dice Hume fosse vero la scienza non dovrebbe esistere, ma la scienza esiste ed è un dato di fatto; d’altro canto la grande attenzione che Hume rivolgeva all’esperienza come fonte di conoscenza, ciò è assolutamente da accettare.
Diciamo che una proposizione è scientifica quando nel suo predicato diciamo qualcosa di più di ciò che era implicito nel suo soggetto.
Quando parliamo di scienza pensiamo ad un insieme di proposizioni che hanno la caratteristica di essere universali e necessarie.
Il limite di Hume è che non avendo individuato altro al di là dell’esperienza, la sua conoscenza si riduce al fatto che noi abbiamo delle percezioni. Cos’è che fa di questi saperi delle scienze? Compito che Kant assegna a se stesso è di capire come funziona la scienza.
In fondo Kant è un epistemologo, un filosofo della scienza, vuole trovare la demarcazione tra ciò che è sapere scientifico e ciò che non lo è.
Kant è ben consapevole che nell’uomo è radicata l’esigenza di porsi domande riguardanti anche qualcosa che trascende il mondo fenomenico.
Questo quindi è il problema di Kant: la metafisica è scienza? Queste sono le domande alle quali Kant vuole cercare di rispondere; una risposta era già stata data dalla tradizione empiristica humeana, un’altra dalla tradizione razionalistica cartesiana, che sono i due filoni di pensiero che stanno alle spalle di Kant.
Cartesio elabora la ricostruzione del sapere sul mondo basando tutto sul cogito come garanzia della scienza: solo ciò che si presenta alla mente in maniera chiara ed evidente ha la “patente” di scientificità, dimostrato che Dio c’è e che non ci può ingannare. Per Cartesio la scienza non è prodotta dall’esperienza, ma si ricava dalle idee chiare ed evidenti.
La scienza di Cartesio era quindi di tipo analitico-deduttivo, era il sistema della geometria, e se Cartesio puntava tutto sulla ragione, Hume puntava tutto sull’esperienza.
Cos’è che non va per Kant? Non va il fatto che Cartesio non dava alcuna importanza all’esperienza, così come Hume non ne dava alla ragione. Per Kant nel sapere scientifico hanno importanza sia la ragione, sia l’esperienza.

2. La Critica della ragion pura
Su che cosa si fonda il rapporto tra le nostre idee e la realtà al di fuori di noi? Non si può concepire il nostro contenuto mentale come semplice effetto dell’azione esercitata dall’oggetto sulla sensibilità; la nostra mente non è passiva.
C’è un concetto di Kant dal quale non si potrà più tornare indietro, e tutte le filosofie contemporanee utilizzeranno questo concetto: la nostra mente è attiva, noi non siamo supini registratori di avvenimenti al di fuori di noi, ma noi elaboriamo con la nostra mente.
La nostra mente si rapporta nei confronti della realtà apportandovi un suo patrimonio; in fondo poche sono nella storia della filosofia le varianti e le soluzioni al problema.
Mentre la vecchia concezione della conoscenza è definibile con la formula che la mia mente conosce la realtà nella misura in cui si adegua alla realtà.
Non è vero che siamo passivi nei confronti della realtà esterna, dice Kant, ma la realtà la assimiliamo attraverso i nostri a priori (cioè il nostro corredo mentale di idee che si incontrano con la realtà e producono la conoscenza). La conoscenza è quindi una sintesi di elementi a priori che metto io e di dati che provengono dalla realtà.
Nell’Estetica Kant studia la conoscenza sensibile, cioè il mio vedere qualcosa, e nell’Analitica studia invece la conoscenza intellettiva, dove non mi limito a vedere qualcosa, ma esprimo un pensiero su di essa.
Ci sarebbe una corrispondenza tra cose e rappresentazioni di esse se fossi io a produrle, ma la nostra mente non è né completamente recettiva, né puramente creativa.
Gli elementi a priori sono il bagaglio naturale che la mente possiede a prescindere dalla mia esperienza.
Tutto nasce dal dualismo cartesiano, che separava la res extensa dalla res cogitans; visto che la res cogitans è irriconducibile alla res extensa, come fa ciò che è spirituale ad influenzare ciò che è materiale.
La filosofia successiva aveva tentato di risolvere la questione; Leibniz per esempio dice: io ho dei pensieri a cui corrisponde la realtà, perché Dio ha creato un armonia per cui ad ogni mio atto mentale corrisponde qualcosa nella realtà. Ma l’esistenza di questa armonia non è condivisa da tutti. Kant non condivide nessuna di queste soluzioni.
Spazio e tempo sono per Kant i due a priori, le due intuizioni pure tramite le quali collochiamo in uno spazio e in un tempo i dati che ci arrivano dall’esterno; sono strutture della nostra conoscenza sensibile.
Newton diceva che lo spazio è una realtà assoluta, cioè che esiste a prescindere dal fattoi che vi sia o non vi sia qualcosa in questo spazio.
Leibniz diceva che lo spazio è la relazione intercorrente tra due oggetti; in questo caso lo spazio esiste come rapporto tra cose, quindi mancando le cose mancherebbe pure lo spazio.
Per Kant, invece, lo spazio è soltanto un’intuizione pura di quel soggetto percipiente che noi siamo; lo spazio non è fuori di noi, siamo noi che assegniamo una dimensione spaziale agli oggetti.
Nel nostro sentire gli oggetti li spazializziamo, ma quando li pensiamo e formuliamo dei giudizi su di essi, facciamo intervenire altri a priori che chiameremo categorie.
La differenza tra un’idea e un’intuizione pura è che l’idea ha sempre un contenuto, mentre un’intuizione pura come lo spazio o il tempo non ne ha.
Nella conoscenza intellettiva dunque facciamo intervenire le categorie; per esempio dopo aver visto una penna, per dire che è una penna faccio intervenire la categoria di unità. Sono dodici in tutto le categorie che la nostra mente usa.
Spazio e tempo sono strutture della nostra mente che non ricaviamo dall’esperienza, ma applichiamo all’esperienza.
La nostra mente ha delle forme tramite le quali organizza, sintetizza ed elabora; Kant vuole trovare quegli a priori, quelle forme che fanno sì che un sapere sia scientifico.
LA FONDAZIONE DELLA CONOSCENZA OGGETTIVA
Un giudizio consiste nel predicare qualcosa di qualcos’altro. Il nostro parlare è un esprimere giudizi.
Quando attribuisco un predicato ad un soggetto realizzo un’attribuzione, e pretendo che questa corrisponda alla realtà.
Ci sono due modi secondo Kant per connettere un soggetto ad un predicato: in maniera analitica ed in maniera sintetica.
Il giudizio analitico è un giudizio nel quale il predicato non mi dice nulla di più di ciò che non mi diceva implicitamente il soggetto; è una sorta di tautologia. Per esempio dire che un corpo è esteso è un giudizio analitico, poiché nel concetto di corpo è implicito il concetto di estensione. Di conseguenza un giudizio analitico non è un giudizio scientifico perché non incrementa il mio sapere.
Il giudizio analitico è a priori perché non ho bisogno di fare alcuna esperienza per formularlo; basta pensare per esprimere un giudizio analitico.
Inoltre un giudizio analitico è universale e necessario, è sempre vero quindi, solo che non è incrementativi del sapere e quindi non è scientifico; in altre parole è il risultato dell’applicazione del principio di identità.
Il giudizio sintetico esprime nel predicato qualcosa che non era implicito nel soggetto, ma non è un giudizio universale né necessario; è l’esatto opposto del giudizio analitico, quindi è incrementativi del sapere.
Se io penso un corpo devo necessariamente pensarlo come esteso, ma non necessariamente come pesante; solo dopo aver fatto esperienza di qualcosa io posso esprimere un giudizio sintetico, cioè a posteriori, poiché presuppone un’esperienza, che essendo soggettiva non fa universalità e necessità.
Il carattere analitico della conoscenza nel razionalismo
Secondo la tradizione razionalistica, la nostra conoscenza è una conoscenza di tipo analitico, perché non faccio altro che esplicitare analiticamente ciò che io ho nella mia mente.
La scienza la dobbiamo concepire come un sapere universale e necessario, ma anche incrementativo del sapere.
Se noi non avessimo gli a priori con i quali diamo ordine ai dati che i sensi ci attestano, non saremmo nemmeno in grado di elaborare un sapere.
Il carattere sintetico della conoscenza nell’empirismo
Secondo la concezione di Hume, perché io possa dedurre un certo effetto da una certa causa, non lo posso fare senza aver fatto esperienza; il nesso causa-effetto è quindi un nesso sintetico e non analitico. Il principio di uniformità quindi non ha alcuna giustificazione teorica, è un pregiudizio.
Tipici del razionalismo sono dunque i giudizi analitici, mentre tipici dell’empirismo sono i giudizi sintetici, ma né gli uni né gli altri sono per Kant in grado di fare scienza.

Nella Critica della ragion pura, dopo un’introduzione che tratta di come è possibile la scienza, Kant fa una preliminare distinzione terminologica, e arriva alla conclusione che sono scientifici i giudizi sintetici a priori, poiché i giudizi scientifici devono essere universali ed incrementativi del sapere.
A questo punto la Critica della ragion pura si divide in tre parti:
1. 1. l’Estetica trascendentale: il termine estetica (da che vuol dire sentire, cogliere, percepire, intuire) in Kant non è sinonimo di filosofia del bello, dell’arte, ma viene usato nell’accezione originale dell’etimo greco, quindi studierà gli a priori del nostro percepire sensibile che sono il tempo e lo spazio. Questi a priori costituiscono il filtro tramite il quale mi approccio alla realtà; io non lo so come si vede la realtà, ma so che dotato di questo a priori io la vedo.
2. 2. l’Analitica trascendentale: dove Kant si pone la domanda: quali sono gli a priori della conoscenza intellettiva? Quando cioè non mi limito più ad osservare gli oggetti, ma li penso e formulo giudizi?
3. 3. la Dialettica trascendentale: dove il problema è: quali sono le idee che la mia ragione produce, e queste idee hanno un fondamento scientifico o no? Si tratta quindi del problema della scientificità o meno delle idee metafisiche.

La posizione di Kant rispetto all’empirismo e al razionalismo
La scienza non può fondarsi solo sull’esperienza, ma deve avere un carattere universale e necessario, e le nostre esperienze non sono mai universali e necessarie, quindi la scienze per questo motivo non può fondarsi solo sull’esperienza che è soggettiva e relativa.
Kant è debitore nei confronti sia della tradizione razionalistica, sia della tradizione empiristica.
Egli afferma che la scienza non può avere come fondamento la sola esperienza o il solo ragionamento.
La possibilità che si diano giudizi sintetici a priori
Né il giudizio analitico, né il giudizio sintetico quindi soddisfano i requisiti della conoscenza scientifica.
Un giudizio puramente analitico a priori, infatti, non produce un incremento del sapere pur essendo universale e necessario; un giudizio sintetico a posteriori, invece, pur essendo estensivo del sapere non è né universale né necessario.
La scienza pretende che le leggi abbiano validità universale; allora qual è quel giudizio che è scientifico? Secondo Kant è il giudizio sintetico a priori, quindi un giudizio in cui il predicato incrementa quello che esprime il soggetto, e può farlo solo perché fa tesoro dell’esperienza, ma nello stesso tempo propone una conoscenze universale e necessaria, caratteristiche che danno gli a priori.
I giudizi della matematica e della fisica
I giudizi della matematica sono sintetici a priori, perché hanno quella necessità che l’esperienza non potrebbe dare loro.
Un giudizio analitico esprime diversamente ciò che era implicito nel soggetto, e nel concetto di 12 non è implicito il concetto di 7+5, quindi è un giudizio sintetico.
I giudizi della matematica sono dunque scientifici perché sono universali e necessari e perché sono sintetici, ci0è il concetto del predicato non è implicito nel concetto del soggetto.
Nella fisica i giudizi sono a priori perché universali e necessari, ma il principio di conservazione della materia è universale, necessario e sintetico, quindi Kant non ha mai dubitato che esistano la fisica e la matematica come saperi scientifici, bisogna vedere cos’è che le rende tali.
In altre parole, come è possibile attribuire un predicato ad un soggetto, e farlo in maniera universale e necessaria.
Come faccio a dire qualcosa di nuovo di un soggetto e a farlo in maniera universale e necessaria.
La crisi della metafisica come origine di dogmatismo e di scetticismo
La metafisica è da sempre un teatro di lotte senza fine; appena l’uomo pretende di andare oltre il singolo fenomeno si perviene a conclusioni discordanti.
Il dogmatismo della metafisica ha prodotto indifferentismo verso i problemi metafisici e poi scetticismo verso la metafisica che ha finito per riversarsi su tutto il sapere.
La necessità di un’indagine critica sulla metafisica
Come esiste la scienza così esiste pure la metafisica, che è l’esigenza dell’uomo di trovare risposte a domande su Dio, sull’immortalità dell’anima ecc…
Kant sviluppa la sua tesi in merito alla fine della Critica della ragion pura; secondo tale tesi, la nostra ragione, quando vuole operare senza il supporto dell’esperienza sensibile, produce idee come l’idea di Dio, di anima ecc… e avvengono quei corti circuiti che sono gli errori propri della metafisica.
L’esperienza è ciò su cui i nostri a priori si applicano; è come se i contenuti delle nostre esperienze siano acqua e gli a priori siano il motorino di quest’acqua; quindi gli a priori non possono funzionare senza l’esperienza e per la nostra conoscenza occorrono entrambi. Allora l’esperienza senza gli a priori rimane insensata.
I metafisici sono quelli che vogliono ragionare senza dare contenuto ai loro ragionamenti, quindi la metafisica non ha contenuti sensibili.
La scienza si ha solo quando gli a priori hanno una base a cui applicarsi, e questa base la dà l’esperienza.
Se la filosofia è qualcosa, è criticità, non dare mai nulla per scontato; solo la ragione può individuare cosa ha fondamento razionale e cosa non ne ha, e in questo consiste l’illuminismo di Kant. Con Kant la filosofia diventa critica della ragione stessa, cioè il tribunale a cui la ragione si deve mostrare per vedere i suoi limiti è la ragione stessa.
IL CRITICISMO E IL CONCETTO DI TRASCENDENTALE
Il termine critica implica il concetto di separare, distinguere, giudicare; il criticismo kantiano consiste nel fatto che Kant vuole fare della filosofia il mezzo per studiare i limiti e le capacità della ragione umana. La ragione è il soggetto e l’oggetto dell’analisi.
Trascendentale è lo studio delle condizioni a priori della conoscenza e ciò che noi non ricaviamo dall’esperienza, ma che applichiamo ad essa.
E’ quindi una conoscenza che non si occupa di oggetti, ma di come funziona la mia mente per conoscere. Sono trascendentali gli a priori che applichiamo all’esperienza.
L’elemento formale della conoscenza
Kant condivide con il razionalismo l’esigenza di una fondazione a priori della conoscenza. Se tutta la mia conoscenza fosse lo svolgimento di idee innate però, formuleremmo soltanto giudizi analitici.
Kant dice che non è vero, perché altrimenti non si vedrebbe come la conoscenza possa essere sintetica.
Trascendentale si oppone ad empirico, ed è opposto anche a trascendente, perché indica una modalità di conoscere; trascendentali sono i nostri a priori, in quanto non derivano dall’esperienza.
L’idea di Dio è un’idea trascendente, perché va oltre la nostra esperienza , invece trascendentali sono gli a priori perché non li ricaviamo dall’esperienza.
L’indagine sulle condizioni di possibilità dell’esperienza
L’indagine ruota su come noi conosciamo le cose, producendo giudizi analitici, sintetici e sintetici a priori.
A questo punto possiamo affermare tre cose:
1. 1. che la filosofia kantiana è criticismo perché fa oggetto dio critica la ragione stessa;
2. 2. che studia come funziona la ragione;
3. 3. che quella di Kant è una rivoluzione “copernicana” nel campo della gnoseologia;
Infatti nella gnoseologia tradizionale tutto girava intorno all’oggetto e il soggetto non faceva altro che rispecchiare l’oggetto per conoscerlo.
Kant al contrario non pone più al centro del rapporto conoscitivo l’oggetto, ma il soggetto, perché io non rispecchio la realtà come essa è, ma la filtro attraverso i miei a priori, ma questi a priori sono uguali per tutti gli uomini.
E’ il soggetto al centro della conoscenza, e la realtà il soggetto la modifica in funzione dei suoi filtri conoscitivi.
Kant toglie la realtà dal centro del rapporto conoscitivo e vi pone il soggetto; noi possiamo conoscere perché già abbiamo gli a priori.
LO SPAZIO E IL TEMPO
Lo spazio per Kant è un’intuizione pura ed è indispensabile per la conoscenza, poiché non si può cogliere alcunché se non lo si colloca in una dimensione spaziale.
Se lo spazio è l’intuizione pura del senso esterno, il tempo è l’intuizione pura del senso interno.
Spazio e tempo non hanno una loro realtà assoluta, ma sono la “dote innata” di cui la nostra conoscenza sensibile dispone per potersi rapportare con la realtà.
Lo spazio e il tempo come forme a priori dell’intuizione
Se non ci sono dati di intuizione non si può spazializzare o temporalizzare; la materia la forniscono i dati, la forma la fornisce la mente umana.
La condizione perché io possa cogliere alcunché di sensibile è che abbia gli a priori dello spazio e del tempo; io posso fare esperienza perché ho già l’intuizione di spazio che è la forma di tutti i fenomeni di senso esterno.
Non me la formo la nozione di spazio a via di cogliere la distanza tra due oggetti, ma viceversa posso cogliere questa distanza perché ho già la nozione di spazio.
Tra spazio e tempo è il tempo a giocare un ruolo più forte, perché è a questo che finisco per ricondurre il cogliere qualcosa fuori di me; il nostro sentire il mondo fuori di noi è il nostro sentire il mondo dentro di noi.
Il soggetto si rapporta nei confronti della realtà orinandola in base a questi due a priori di cui dispone.
Forma e materia danno luogo alla conoscenza sensibile, per darsi la quale occorrono spazio e tempo che sono le forme dei dati sensibili.
Le “operazioni conoscitive” fondate sull’intuizione
Gli a priori fanno della scienza un sapere scientifico; in geometria, per esempio, le proposizioni sono sintetiche, ma nello stesso tempo a priori perché le formuliamo in grazia dell’intuizione pura che è lo spazio.
La natura degli oggetti conosciuti intuitivamente
Ciò che noi conosciamo come sintesi è fenomeno, è il mondo quale si manifesta a me che lo ordino, che lo informo attraverso le mie intuizioni pure.
Quindi noi sappiamo come sono le cose per noi, non come sono le cose in sé.
LE CATEGORIE E LA LORO DEDUZIONE
Nell’Analitica sono studiate le forme a priori della conoscenza non più sensibile ma della conoscenza intellettiva.
Altra cosa infatti è sentire (nel senso di cogliere, vedere o ascoltare) una cosa, e altra cosa è l’esprimere un giudizio su essa.
La vera differenza tra Hume e Kant sta nel fatto che per Kant non sono spazio e tempo le cose che impariamo dall’esperienza.
Kant parlerà di categorie dell’intelletto che sono trascendentali come lo spazio e il tempo, e sono gli a priori che intervengono quando pensiamo e formuliamo giudizi.
La suddivisione della logica trascendentale in analitica e dialettica
L’Analitica studia le forme a priori del pensiero la Dialettica, invece, studia i “corti circuiti” nei quali la nostra ragione va ad imbattersi quando pretende di andare oltre il mondo fenomenico, cioè quando vuole fare funzionare il pensiero senza dargli un contenuto.
Kant dice che siccome pensare è uguale a giudicare, allora se riusciamo a fare una tipologia dei giudizi possiamo anche individuare una tipologia del pensiero.
Dal giudizio percettivo al giudizio dell’esperienza
Il tempo ci dà la scientificità dell’aritmetica, e lo spazio della geometria; la teoria kantiana funziona fintanto che c’è la sola geometria euclidea, che opera sulla base di una determinata concezione dello spazio di cui noi abbiamo un’intuizione pura, con le altre geometrie non funziona più.
Kant non crede che ciò che pensiamo sia il risultato di un processo di esperienze, ma ritiene che si ha come sintesi di ciò che il nostro pensiero ha di formale e i dati sensibili.
Con la categoria dell’unità si unifica, si sintetizza quel caotico darsi di accidenti di un oggetto; per Kant non c’è l’unità da qualche parte, ma è la mia mente che utilizza questa categoria.
La realtà intorno a noi ci si presenterebbe in maniera informe, caotica, se non ci fossimo noi che con la nostra mente la ordiniamo con le categorie.
Per Aristotele le categorie erano modi di essere della realtà, con i quali si colgono varie caratteristiche di un oggetto, quindi le categorie erano leges entis e leges mentis, per Kant invece sono solo leges mentis, cioè sono il medium tramite il quale io colgo la realtà.
Se per Aristotele le categorie erano modi di essere della realtà e anche della mente, per Kant lo erano solo della mente, erano quindi le forme attraverso le quali l’intelletto umano ordina, sintetizza, elabora una realtà altrimenti informe e caotica.
Nella natura noi troviamo non semplicemente oggetti, ma fenomeni che si correlano e interagiscono; la natura non è una somma di singoli oggetti.
Se io vedo un albero, non mi limito a collocarlo nello spazio, ma ne colgo altre categorie, ed esprimo altri giudizi in base agli a priori della mia mente, quindi la nostra mente è attiva, Kant contesta la vecchia tesi stoica secondo la quale la nostra mente è passiva e recettiva, e non è uno specchio che si limita a riflettere le impressioni che arrivano alla mia mente.
La scienza, perché sia tale non deve limitarsi a descrivere i fenomeni, ma deve individuare le leggi che li spieghino.
I concetti puri dell’intelletto o “categorie”
Una volta che spazio e tempo hanno informato i dati materiali dando luogo alle mie percezioni, allora posso esprimere un giudizio.
Per quanto attiene alla quantità un giudizio può essere singolare, particolare e universale; per quanto attiene alla qualità può essere affermativo, negativo e categorico; per la relazione può essere categorico, ipotetico e disgiuntivo; infine per la modalità può essere problematico, assertorio e apodittico.
Risultano quindi dodici categorie, nelle quali rientra qualsiasi tipo di giudizio che noi riusciamo a formulare.
Sostanza e accidente, per Aristotele sono modi di essere, per Kant invece non è la realtà che è distinta in sostanza e accidenti, ma è la nostra mente che la ordina secondo tali categorie.

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