il Protagora di Platone

Materie:Tesina
Categoria:Filosofia

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Testo

IL “PROTAGORA”
di PLATONE

Platone
Appartenente a una delle più illustri famiglie ateniesi, ricevette un'educazione artistica e letteraria, orientandosi solo in età più matura verso la filosofia. Dapprima seguace del filosofo eracliteo Cratilo, intorno ai vent'anni divenne allievo di Socrate e abbandonò ogni attività letteraria, distruggendo i componimenti poetici e drammatici scritti negli anni precedenti. A quell'epoca risale anche la sostituzione del nome originale, Aristocle, con quello di Platone, attribuitogli scherzosamente per la sua massiccia corporatura (dal greco platon: estensione). Dopo la morte di Socrate (309 a.C.), si trasferì per qualche tempo a Megara, presso Euclide, e iniziò la stesura dei Dialoghi il cui tema dominante è costituito dalla vita e dalla morte del maestro, in rapporto al quale egli impostò la propria filosofia come educazione dell'uomo (paideia). Lasciata Megara, dopo un breve soggiorno ad Atene, intraprese una serie di viaggi che lo portarono in Egitto, nella Magna Grecia e in Sicilia, dove venne a contatto con le comunità pitagoriche.
Ritornato ad Atene, nel 387 a.C. fondò un centro di studi filosofici che prese il nome di Accademia, avendo sede nel ginnasio intitolato ad Academo. Strutturata sul modello delle comunità filosofico-religiose pitagoriche, l'Accademia fu diretta personalmente da Platone durante il ventennio più fecondo della sua vita. Dopo questo periodo egli compì altri due viaggi a Siracusa credendo di poter applicare allo Stato siracusano l'illuminata costituzione ideata dall'Accademia ed esposta nella Repubblica. Intrighi di corte, resistenze e sospetti, finirono però col rendere inattuabile il disegno. Ritornato ad Atene, riprese l'attività all'Accademia e non si mosse più sino alla morte, avvenuta in tarda età. Numerose furono le opere attribuitegli. Di molte però si discute l'autenticità e non facile è inoltre stabilire la loro cronologia, attribuita sulla base dello stile di quei Dialoghi la cui autenticità e cronologia sono sicure. I Dialoghi considerati autentici vengono generalmente suddivisi in quattro gruppi:
1) Scritti giovanili o socratici: Apologia di Socrate; Ippia minore; Jone; Lachete; Liside; Carmide; Eutifrone.
2) Dialoghi di transizione: Eutidemo, Cratilo, Menesseno; primo libro della Repubblica; Protagora; Gorgia; Menone.
3) Dialoghi della maturità: Fedone; Convito; Fedro; Repubblica.
4) Scritti della vecchiaia: Parmenide; Teeteto; Sofista; Politico; Filebo; Timeo; Crizia; Leggi.
All' epoca dell'impratore Tiberio, si accettavano come autentiche trentasei opere che il filosolo Transillo distribuì analogicaniente in nove "tetralogie":
1) Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone;
2) Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico;
3) Parmenide, Filebo, Convito, Fedro;
4) Alcibiade primo e secondo, Ipparco, Amanti;
5) Teagete, Carmide, Lachete, Liside;
6) Eutidemo, Protagora, Gorgia, Memone;
7) Ippia minore, Ione, Menesseno;
8) Clitofonte, Repubblica, Timeo, Crizia;
9) Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere.
Pertanto, già a quell'epoca, erano considerate spurie opere che correvano sotto il nome di Platone e la cui attribuzione viene anche attualmente negata: Erissia, Alcione, Sisifo, Assioco, Domodoco, del giusto, delle virtù, Definizioni, Il pensiero filosofico.
In nome di Socrate, Platone operò una vera e propria riforma della filosofia greca, dandole nuove basi e dimostrando come ogni problema si riducesse alla ricerca e alla pratica della virtù, perseguibile attraverso il sapere e, anzi, identificabile con esso. Egli inoltre fu l'artefice dell'arricchimento della filosofia socratica che minacciava di isterilire nelle scuole cinica e cirenaica. Il pensiero platonico si muove lungo una direttrice che, attraverso i Dialoghi, tende a ridurre gradualmente l'elemento originario socratico e ad accrescere l'aspetto dialettico. Compito precipuo del filosofare è, secondo Platone, quello di conoscere ciò che è.
Innanzi tutto si tratta di conoscere le idee, cioè le uniche vere realtà. Esse costituiscono modelli inalterabili e sono poste nel mondo intellegibile, al di fuori del mondo materiale o visibile: di esse, i singoli oggetti sensibili non sono che copie. Alcune di esse acquistano il valore di norme che ispirano la condotta umana e sono oggetto di particolare considerazione ed esaltazione. Si tratta delle idee del bello, del giusto, del pio, del santo e, altissima fra tutte, dell'idea del bene. Da questa interpretazione della realtà, Platone allargò la propria sfera d'indagine e, nelle opere della tarda maturità, cercò di elaborare una formula del reale più soddisfacente, soprattutto sul rapporto tra l'Essere e gli oggetti che ne partecipano. Le opere del periodo giovanile sono caratterizzate dalla fedeltà a Socrate, raffigurato nei Dialoghi nell'atto di esercitare la maieutica e l'aporetica e impegnato nella ricerca della definizione di virtù particolari. Così, nel Lachete egli cerca di definire la virtù del coraggio; nel Carmide quella della saggezza; nel Liside quella dell'amicizia; nell'Eutifrone quella del santo. Nella discussione con i sofisti, particolarmente nel Gorgia e nel Protagora, viene difesa la tesi secondo cui le virtù particolari devono essere ridotte a una virtù unica. Nel Gorgia viene esposta e criticata la dottrina sofistica che identifica la giustizia con l'utile del più forte. Nel Menone si insiste sul valore interiore dell'apprendimento della virtù.
Questa esigenza di rinnovamento interiore, propugnata da Socrate, andò gradualmente trasformandosi in Platone nello sforzo di vedere la virtù. Il problema delle virtù particolari da ricondursi a un'unica virtù diventa così il problema dell'unità armonica delle idee molteplici nella visione unica (sinossi) dell'idea prima del bene, causa dell'essere e del conoscere.
Parallelamente a questo processo di unificazione delle idee, Platone svolge il tema del dualismo tra la realtà delle idee e l'irrealtà del mondo del divenire. La funzione mediatrice fondamentale è affidata all'eros che fa sentire al divenire la sua mancanza di realtà (Simposio e Fedro) in modo che la perfezione ideale attira a sé l'imperfezione del divenire, facendo sorgere in esso il bisogno e l'amore di ciò che ha, così da costringerlo a riconoscere il suo non-essere di fronte all'idea amata. Anche l'arte compie, in virtù della bellezza, una funzione mediatrice tra divenire e idea. Essa è, nella sostanza, educazione che, partendo dalla sensibilità, conduce alla graduale scoperta di un ritmo ideale del sensibile e di una sua ideale forma. Ai problemi della funzione mediatrice dell'eros, si unisce quello dell'anima e dei suoi rapporti con il divenire.

il Protagora
Socrate viene svegliato di soprassalto,prima ancora dell’alba,dal giovane Ippocrate,che saputo dell’arrivo di Protagora ad Atene,vuole recarsi subito da quest’ultimo e vuole che sia Socrate stesso a presentarlo al sofista. A questo punto si apre un dialogo tra Socrate e Ippocrate: in primo piano viene presentato il problema della natura del sofista:chi il sofista?
In che senso il loro sapere è vendibile?
Perché questo sapere merita di essere acquistato?
Socrate dice che il sofista,in realtà, è come un mercante che vende cibi, non del corpo ma dell’anima. E i commercianti di cibo lodano indiscriminatamente la loro merce,per poterla vendere,sia che sia buona sia che sia cattiva;e anzi, non sanno nemmeno loro se effettivamente sia buona o cattiva;ne lo sa colui che l’acquista,a meno che costui,per caso non sia medico. Lo stesso si può dire dei sofisti:lodano indiscriminatamente la loro merce per poterla vendere:ma sanno veramente se è buona o cattiva? E lo sa colui che l’acquista? Costui lo potrebbe sapere,solo se fosse un medico dell’anima,cioè un conoscitore dell’anima! Ma c’è di peggio: i cibi che si acquistano dai mercanti si possono portare a casa in recipienti e, eventualmente, fare esaminare da esperti prima di mangiarli;invece, la merce dei sofisti,cioè i cibi dello spirito, non si possono portare via inaltri recipienti ma,acquistandoli, si accolgono immediatamente nell’anima e, se cattivi, la danneggiano irrimediabilmente. Dunque, conclude Socrate, in queste cose occorre usare estrema cautela:esaminare la questione e sentire il parere dei più anziani, perché il pericolo cui si può incorrere è il più grande.
Fattosi ormai giorno,Socrate e Ippocrate si avviano alla casa di Callica,dove trovarono Protagora con un gran coderzo di uditori. Qui si apre l’incontro e il primo scontro tra Socrate e Protagora. Socrate per saggiare la consistenza del sofista gli domanda se la virtù politica è insegnabile,visto che lui si presenta come maestro di virtù politica. L’esperienza dimostrerebbe che non è insegnabile.
Socrate osserva che tutti hanno la parola ad Atene, quando si deve deliberare sul modo di condurre gli affari di stato, mentre nelle altre arti (la medicina, per esempio) c'è una divisione del lavoro che porta ad affidare le deliberazioni tecniche alle persone competenti. Evidentemente, per gli Ateniesi, la politica non è insegnabile: se tutti hanno titolo a parlare di politica, tutti la conoscono già e dunque non occorre insegnarla. Protagora, tuttavia, dice di insegnare l'arte politica, che è l'arte di amministrare con senno tanto la propria casa, quanto le faccende pubbliche.
Protagora articola la sua risposta in due momenti:dapprima narra il grande mito di Prometeo e,poi, dà una chiarificazione teorica sui concetti del mito. Quando l’uomo venne creato nel seno della terra, a causa di una dimenticanza di Epimeteo,restò nudo e spoglio di tutto, al punto che Prometeo,per dargli la possibilità di salvarsi e di sopravvivere,si sentì costretto a rubare l’arte di Atena e il fuoco di Efesto e darglieli in dono. Così l’uomo divenne homo faber. Però Prometeo non potè dare all’uomo anche l’arte politica,che era custudita presso Zeus,perché gli mancarono il tempo e la forza stessa. Ma fu lo stesso Zeus che la donò agli uomini. Egli vide che non possedendo quest’arte gli uomini non riuscivano a restare uniti,perché,non appena si trovavano si facevano ingiustizie e offese. Zeus fece quindi distribuire da Ermes il rispetto e la giustizia a tutti gli uomini, e pose come legge,che chi non rispettasse la giustizia dovesse essere messo a morte, come un male della città.
Il mito vuole,in sostanza,esprimere questo concetto:la virtù politica è qualcosa di connaturato nell’uomo, fa parte della sua natura. Quindi è prerogativa di tutti, senza eccezione:ecco perché gli Ateniesi,quando debbono discutere e decidere questioni politiche,sentono il parere di tutti i cittadini senza nessuna distinzione. Il mito non mostra,però,come la virtù sia insegnabile;anzi sembrerebbe presupporre che essa sia un dono divino comune a tutti gli uomini e,che quindi non parerebbe richiedere un educazione speciale in materia. Il mito spiega solamente perché gli Ateniesi accettino,in materia di politica,il parere di tutti i cittadini.
Inoltre Protagora dice che dell’ingiustizia si fa colpa a chi di esso si macchia. L’ingiusto lo si rimprovera,lo si corregge e lo si punisce. E che senso avrebbe tutto questo,se la giustizia,cioè la virtù politica, non fosse cosa acquistabile con l’applicazione,tirocinio ed esercizio? Infine,Protagora fa notare che non solo non è vero che non si cerca di educare alla virtù,ma che è vero esattamente il contrario:tutti cominciano ad educare i figli alla virtù fin dalla culla e continuano,poi,ininterrottamente. Il fatto che i figli dei grandi politici non siano affatto grandi non significa che non hanno affatto virtù politica ma solo che essi ce l’hanno in grado minore rispetto ai padri.
Protagora,come in parte abbiamo già rilevato,se desse al suo mito un senso ben preciso e coerente,dovrebbe concludere che la virtù è un dono divino,giacchè Zeus fa distribuire a tutti gli uomini indistintamente il rispetto e la giustizia. E, che in questa prospettiva non potrebbe darsi la possibilità di un uomo ingiusto:perché suonerebbe assurda la legge stessa di Zeus,secondo cui chi non ha giustizia deve essere messo a morte,appunto perché lui ha dato ordine tassativo a Ermes di donarla e tutti quanti gli uomini senza alcuna eccezione! Ovviamente Protagora non nota la contraddizione,anzi,cade in una incoerenza ancora più pesante,perché terminato il mito,iniziando il discorso logico dice:

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