Il concetto di Dio dopo Auschwitz

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Testo

Il CONCETTO DI DIO DOPO AUSCHWITZ
o E’ un frammento di teologia speculativa: chi accetta il fallimento del dominio del sapere filosofico, rinuncia allo scopo di conoscere razionalmente Dio, ma deve comunque riflettere e meditare poiché le cose in questione rivendicano pur sempre un senso e significato. (Kant: chi cerca di speculare razionalmente sul concetto di Dio, giunge inesorabilmente allo scacco ma è una questione alla quale la nostra intelligenza non può rinunciare; i positivisti relegano il concetto di Dio ad uno stadio di interpretazione del reale che l’umanità deve superare).
o Problema manicheista. Domanda di Giobbe sull’esistenza del male:è difficile comprendere l’enigma dell’elezione, dell’alleanza stipulata fra Israele ed il suo Dio:è presente un mostruoso capovolgimento della elezione in maledizione!! Difatti gli “eletti” sono coloro che più sono destinati a soffrire. Ma quale Dio poteva permetterlo? L’ebreo vede nell’al di qua il luogo della creazione e della giustizia e quindi Auschwitz rimette in questione il concetto stesso di Dio.
Auschwitz rappresenta l'incarnazione perfetta di quello che Giobbe subisce e il fallimento di quello che Giobbe ostenta fieramente e senza nessun momento di cedimento: la fede verso Dio nonostante tutto: «Se da Dio si accetta il bene, il male non si deve accettare?» (Giobbe 2,10). Dio «guarda» ad Auschwitz attraverso gli stessi occhi di chi, in quel luogo, ha incontrato la morte, impotente e addolorato, forse pentito dell'assoluta libertà concessa all'uomo. Jonas si sofferma sul concetto di un Dio sofferente che ha in sé l'onnipotenza ma anche il dolore che lo avvicina a quegli occhi che hanno visto la morte e sofferto in silenzio
o In principio per una scelta imperscrutabile il fondamento divino decise di rimettersi al caso, al rischio e alla molteplicità infinita del suo divenire. Il mondo è una realtà abbandonata a se stessa, non esiste una provvidenza extra mondana(combinazioni probabili prodotte dal caso cosmico). Non si tratta di una immanenza panteistica: Dio rinuncia alla propria integrità divina, è un atto di auto-alienazione divina.
o Concetto di vita
o Concetto di morte:proprio nel sentir-se, nell’agire e nel soffrire gli individui finiti la divinità stessa giunge all’esperienza di se, perché il paesaggio divino dispiega la sua policroma natura. Dio scopre se stesso nelle sorprese che gli procura l’avventura del mondo(evoluzione specie).
o Dio trema:il libero arbitrio. Dio segue l’agire dell’uomo (salvezza o perdizione) trattenendo il respiro, sperando e corteggiandolo.
Nelle mani dell'uomo è tutta la vita, Dio è il mondo, nel mondo, ma il mondo è nelle mani dell'uomo. La presenza dell'uomo come risultato della creazione, legittima l'onnipotenza di Dio anche se: «Dopo essersi affidato totalmente al divenire del mondo, Dio non ha più niente da dare; ora tocca all'uomo dare» dice Jonas. E ciò che l'uomo ha dato giustifica quasi il non intervento divino, Dio pur essendoci non interviene, mostrando quanto l'uomo possa fare del male, un male spietato e privo di motivazioni valide, un male che non ha nessun obiettivo se non quello di mettere alla prova l'umanità stessa: «Forse non per nulla teme Giobbe Iddio? [...] Ma e ... stendi un poco la tua mano e tocca tutto quel ch'è suo: vedrai... se non ti benedice in faccia!» (Giobbe 1,11). Le parole di Satana rivolte a Dio affinché metta alla prova la fede di Giobbe, trovano la giusta collocazione nella vicenda ebraica del nazismo. Il popolo di Abramo (l'umanità tutta) è stato messo alla prova da un male che viene dall'uomo stesso, da un'ideologia che sacrifica ogni sentimento di compassione e pietà. «In tutto questo non peccò Giobbe con le sue labbra...» (Giobbe 2,10) e nella tragedia di Auschwitz nessun figlio di Davide pecca verso Dio, nessun atto di ribellione muove l'animo dei condannati stupiti, avviliti del non intervento divino. Dov'è la Sua forza? perché ha abbandonato il Suo popolo? La risposta è tutta nelle Sue parole: «Io non maledirò più la terra a causa dell'uomo, poiché i pensieri del cuore umano sono malvagi fin dalla sua fanciullezza; non colpirò più ogni cosa vivente come ho fatto» (Genesi 8,21). Perché salvare l'uomo da sé stesso in ogni momento se la sua natura è costantemente votata alla perdita del bene? Jonas sottolinea un fatto importante; «il concetto di un Dio totalmente nascosto è conseguentemente inammissibile per la fede ebraica». Ma Dio non si nasconde anche durante le torture inflitte a Gesù? durante la sua crocifissione? persino quando Gesù, sofferente per il suo destino, è annientato dai dubbi nel Getsemani. E Gesù è Suo figlio.
o Dio è sofferente (in contrasto con la rappresentazione biblica della maestà divina)
o Immagine di Dio diveniente (in antitesi con la tradizione greca platonico-aristotelica della teologia filosofica)
o Il Dio diveniente distrugge l’idea di un eterno ritorno dell’identico.
o È un Dio che si prende cura della natura, non è lontano e chiuso in se stesso. Questo Dio ha fatto intervenire altri attori e in questo modo ha fatto dipendere da loro la sua preoccupazione. È in Dio in costante situazione di pericolo, che rischia in proprio.
o Rinuncia della dottrina tradizionale della illimitata potenza divina. Potenza è un concetto di relazione ed esige per ciò un rapporto multipolare. Una potenza che non incontri resistenza alcuna in ciò cui è in rapporto, è la stessa cosa della assoluta mancanza di potenza. Bontà assoluta, potenza assoluta e comprensibilità sono fra loro in rapporto tale che ogni relazione tra due di loro esclude il terzo. Opzione scelta da Jonas: Dio è comprensibile; Dio è infinitamente buono ma il male esiste Dio non è onnipotente.
o L’idea di finita potenza di Dio, viene interpretata come una concessione di Dio, come se Dio stesso trattenesse in se un potere che non ha mai esercitato. Ma ad Auschwitz gli ebrei si aspettavano che Dio venisse meno alla regola che si è imposto e operasse un miracolo. Dio fu costretto a non intervenire, secondo Jonas, perché ha abdicato ad ogni potere di intervento nel corso fisico del mondo. Concedendo all’uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla propria potenza.
Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile». Potenza e onnipotenza sono due diversi concetti, per Jonas il primo è attribuibile a Dio e non il secondo, in quanto «il male c'è solo in quanto Dio non è onnipotente. Solo a questa condizione possiamo affermare che Dio è comprensibile e buono e che nonostante ciò nel mondo c'è il male». Per Jonas la bontà Divina quindi, non esclude l'esistenza del male; e come se Dio si fosse privato di qualcosa, della sua assoluta onnipotenza per dare all'uomo determinati caratteri (la conoscenza del bene e del male) che gli permettessero di agire nella più completa libertà; e questo, nonostante tutto, potrebbe essere considerato un atto d'amore: «Concedendo all'uomo la libertà, Dio ha rinunciato alla sua potenza». Il non intervento non dà la misura di un limite Divino, casomai di una penosa, dolorosa incapacità nel ristabilire l'ordine del mondo attraverso l'esercizio di un miracolo. Perché farlo? Oggi, in questi ultimi anni non sarebbe stato costretto a rifarlo ancora ed ancora? Dio è imperscrutabile, il mistero che lo caratterizza riduce, secondo Jonas, ogni teoria, ogni illazione ad un misero (umano, io direi) balbettio dove solo la responsabilità umana può dare a Dio ciò che gli viene tolto attraverso il male da noi compiuto. Nei confronti del male Dio reagirebbe come con Giobbe e direbbe a Satana: «Egli è ancora saldo nell'interezza sua, e tu mi hai spinto su lui, senza ragione, per rovinarlo». (Giobbe 2,3) Il silenzio del dolore è tutto ciò che ha risuonato ad Auschwitz. Non un grido, non un lamento, ma un mutismo di rassegnazione di chi, all'oscuro di tutto, non può immaginare il motivo di tanto odio, perché troppo impegnato a cercare di comprendere il volere di Dio, il suo sentimento per l'uomo.
o Dunque si presenta il seguente dualismo:
- o esiste una forza attiva del male operante ab origine in ogni cosa contro la volontà di Dio (teologia dei due dei, inaccettabile per l’ebraismo)
- o si aderisce alla concezione platonica di una realtà passiva in condizione di incarnare la realtà ideale nel mondo in modo necessariamente imperfetto (risolve il problema dell’imperfezione della natura, non quello manicheista).
o Dottrina Tzimum: l’esistenza dell’universo è stata resa possibile grazie a un processo di contrazione, autolimitazione di Dio…
o Confronto Bibbia (B) - tesi teologiche di Jonas (J):
- B: pienezza di potenza Dio creatore, J: rinuncia alla potenza da parte di Dio
- B e J intendono entrambe glorificare e lodare Dio
o Lode a Dio da Jonas: la rinuncia alla potenza divina avvenne affinché noi potessimo essere. Risposta a Giobbe: in lui Dio stesso soffre.
o Jonas spera che questo testo possa condizionare il Goethe, che disse: “ E la lode a Dio che si balbetta, lassù in cerchi sta riunita”. Secondo me, J. spera che lo scrittore non pensi che la preghiera sia un atto vano, anche se Dio non è onnipotente.
Ma a questo non c'è stata risposta, «Dio tacque, [...] non intervenne, non perché non volle, ma perché non fu in condizione di farlo». Quale potrebbe essere la risposta? «Voi chi dite che io sia?» dice Gesù ai discepoli: «Maestro la mia bocca non è assolutamente in grado di dire chi tu sia.» (Vang. di Tommaso 14, Vangeli apocrifi, Einaudi 1990, a cura di Marcello Craveri) risponde Tommaso forse vicino a quel mistero che nemmeno Giobbe era riuscito a penetrare. Dio non è in condizione di aiutare l'uomo perché l'uomo non è in condizione di comprendere Dio; ed anche il popolo ebraico, abituato, come dice Jonas, alla visione di Dio, al suo costante contatto, perde questo privilegio, resta attonito e non riesce più ad afferrare la presenza del divino che nella storia ebraica si è sempre mostrato. Il male assoluto diventa ad Auschwitz la pietra angolare, getta le fondamenta di una perpetua non presenza di Dio che, credo, ci porteremo fino alla fine dei tempi. Il mistero Divino non deve però diventare un triste alibi; quello che ha colto Tommaso in Gesù non è necessariamente inviso al resto dell'umanità, almeno fino alla conoscenza dell'aldilà, bensì intuibile già in questa nostra vita. Il balbettio che Jonas assegna, come unico risultato dell'umana intellezione del Divino è preferibile ad un osceno silenzio.
COMMENTO..
Auschwitz è stata senza dubbio una delle più immani tragedie che la contemporaneità abbia conosciuto e, del resto, non pochi libri, articoli, inchieste si sono preoccupati di analizzare questo fenomeno, nel tentativo di metterne in luce le tante zone oscure, di capirne il significato e, non ultimo, di riuscire a spiegarne il perché.
Hans Jonas abbandona ogni prospettiva storica, sociologica o etica per acquisirne un'altra, del tutto originale: la prospettiva della teodicea. Come può Dio aver permesso la tortura, l'umiliazione ed infine la morte di milioni di ebrei? Come si può ancora accordare a Dio l'attributo della bontà dopo gli orrori che Auschwitz ha conosciuto? L'esistenza di Auschwitz, secondo Jonas, porta a dover ripensare alla radice il concetto di Dio; si deve rinunciare all'idea di un Dio immutabile, onnipotente e al tempo stesso in parte sconosciuto all'uomo.
Attraverso un mito l'autore del libro spiega come Dio abbia volontariamente creato il mondo e abbia rinunciato alla propria perfezione, calandosi nello spazio e nel tempo. Egli ha scelto di farsi immanente, ha preferito il 'divenire' all' 'essere immutabile'; e lo stesso Dio si arrichisce via via grazie all'evoluzione delle specie degli esseri viventi; ogni forma di progresso è per Dio un essere sempre più consapevole di sé e della propria opera. Al comparire dell'uomo sulla terra Dio si rende spettatore del suo cammino: ne segue i primi passi, diviene sentimentalmente partecipe della sua vicenda senza però intervenire mai in essa.
Come si colloca Auschwitz in questo processo cosmico? Esso si pone come un evento che chiude un'era e ne inizia un'altra ma è un evento di cui Dio non è responsabile fisicamente. Il Dio di Jonas non è indifferente alle vicende umane ma Egli non può causarle o dirigerle. È un Dio che non è distante dal mondo e tuttavia non è onnipotente. Egli ha concesso all'uomo una delimitata regione in cui muoversi ed ha deciso di non irrompere in questo luogo circoscritto; Dio ha rinuniciato a se stesso, alla sua perfezione perché noi fossimo, ma noi e solo noi siamo responsabili degli accadimenti del mondo storico.
Al di là delle asserzioni filosofiche e delle conclusioni a cui Jonas giunge attraverso la lettura delle Sacre Scritture, questo libretto ci regala due insegnamenti: primo che le vicende, anche dolorose, che appartegono al nostro passato (e pure quelle che apparterrano al nostro futuro) possono essere guardate anche sotto una nuova luce, quella della religione; secondo che solo l'uomo è responsabile di ciò che compie. Tirare in ballo un cieco destino o un volere imperscrutabile che ci è superiore serve soltanto ad oscurare il fatto che dobbiamo sempre e comunque imporci un attento esame di coscienza.
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