Hegel:Vita e pensiero

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Testo

HEGEL
LE PRIME OPERE DI HEGEL
I suoi primi scritti risalgono ai primi anni dell’800.
Scrisse Religione popolare e cristianesimo, di cui abbiamo solo dei frammenti, in cui si distinguono religione oggettiva (insieme di dottrine, la Chiesa che si occupa di politica, organizzata in gerarchie) e religione soggettiva (cristianesimo vissuto, sentito davvero). Hegel si chiede quali debbano essere le caratteristiche di una religione pubblica, che sappia guidare la vita di un intero popolo, basata sulla ragione e sui sentimenti.
Nella Vita di Gesù, questi diventa il propugnatore di una religione morale a base razionale, in cui per esempio il regno di Dio rappresenta l’affermarsi della giusta ragione.
Nella Positività della religione cristiana, Hegel analizza il processo che, dalla religione puramente razionale predicata da Gesù, ha portato alla sua trasformazione in una religione positiva, praticata non tanto per motivi interiori, quanto per l’autorità della Chiesa. Le cause, egli dice, sono due:
1) la predicazione di Gesù: dato che il popolo ebraico non avrebbe mai ascoltato un messaggio morale non fondato sull’autorità di Dio, Gesù era costretto a ribadire spesso la sua origine divina, ponendosi in una posizione di superiorità rispetto agli uomini. L’uomo è infelice per questo e conseguenza di ciò è la nascita della Chiesa politica. Tutto questo processo è alla base dei cattivi rapporti tra gli Ebrei e gli altri popoli, perchè gli Ebrei si sentono in colpa per la rottura tra Dio e uomo, e il senso di colpa aumenta la distanza.
2) la mentalità dei discepoli e degli uomini del tempo: i discepoli erano troppo formali e ligi alle regole ed hanno creato così una religione fanatica e bigotta. Il cristianesimo è comunque in questo differente dall’ebraismo perché mentre questo ha degli obblighi che riguardano azioni, il cristianesimo impone sentimenti.
Il cristianesimo si diffuse anche per la crisi della civiltà classica nell’antica Grecia e della dignità umana: l’uomo si sentiva in armonia con il tutto e Dio, ma questa situazione era destinata a terminare presto (situazione dell’uomo romantico). Da quando è accaduto l’uomo vive un’eterna nostalgia e il divino è stato trasformato in una cosa dall’enorme potenza, nucleo di ogni religione positiva. Comunque, durante il periodo di armonia l’uomo credeva di essere al centro dell’universo, mentre non capiva che è l’unità uomo-Dio ad esserlo: prenderà coscienza di questo fatto solo dopo la scissione. Il popolo ebraico è naturalmente l’emblema della divisione.
Più tardi Hegel scrive Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, in cui spiega che lo scopo del cristianesimo è unificare il mondo superando tutte le scissioni. Il principio unificante e l’essenza del cristianesimo è l’amore. Il popolo ebraico invece, paragonato a Kant, emblema della scissione, è unito solo dall’oppressione. Infatti come gli Ebrei vengono salvati dall’Egitto per poi sottostare comunque a norme, quelle di un dio padrone, così l’universalità della norma di Kant si oppone alle tendenze naturali dell’individuo. Nel cristianesimo legge e natura, Dio e uomo, sono un’unità grazie a Gesù. Gesù porta all’uomo la consapevolezza di non essere al centro dell’universo e, sebbene riconcilii l’uomo a Dio, finisce per dividerlo, perchè il suo messaggio viene inteso nel modo sbagliato.
Alla fine risulta che è la fede che ci porta a cogliere l’unità, perchè ci mostra la divinità della natura umana che l’intelletto non vuole ammettere.
Anche nel Frammento di sistema si dimostra la superiorità della religione sulla filosofia: solo nella religione (poiché coglie l’unità) è possibile elevarsi dalla vita finita a quella infinita. Viene approfondito il rapporto tra finito e infinito: l’infinito non è una semplice unità di opposti, perché così si escluderebbe da esso la non-unità di questi. Questa non-unità è opposizione, morte, finitezza. Dunque la morte, l’opposizione, la finitezza sono comprese nella vita infinita, nel senso che essa rappresenta il movimento che toglie la finitezza, le opposizioni, la morte. La cattiva infinità dell’Io è l’impossibilità dell’Io di colmare questa distanza tra finito e infinito. Si tratta di un’affermazione che si oppone al pensiero di Ficthe.
Comunque, in una prima fase della sua vita Hegel è molto vicino a Schelling, ma con la stesura della Fenomenologia dello spirito se ne discosta, perchè la sostanza di Schelling è troppo rigida (per cui non può essere il fondamento della comprensione del divenire) ed è una per tutto, mentre una cosa sola non può produrre tutto. L’opera è scritta come un romanzo ed è un’analisi del manifestarsi della coscienza nel mondo.
LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (pag.210)
Il «bisogno della filosofia»
Hegel scrisse la Fenomenologia dello spirito (1807) mentre soggiornava a Jena, basandosi sui suoi scritti precedenti sulla religione, sulla morale e sulla politica.
Fenomenologia vuol dire studio dell’apparire dello spirito.
Discute fervidamente con Schelling, maturando sempre più l’aspirazione a superare le divisioni tra finito e infinito, sensibile e razionale, …
Hegel affida questo compito alla filosofia: all’intel-letto non viene opposta (come negli scritti precedenti) la fede, ma la ragione filosofica. Quindi l’aspirazione all’eliminazione delle scissioni si riduce ad un “bisogno di filosofia”, secondo una frase dello stesso Hegel.
La filosofia ora ha due obiettivi:
- trovare l’assoluto a cui ricondurre l’origine di ogni opposizione;
- costruire una scala attraverso cui la coscienza comune possa raggiungere il punto di vista della filosofia, in modo che ogni coscienza abbia un accesso all’assoluto. Questa scala è la Fenomenologia dello spirito.
Il vero è l’intero: la dialettica (Prefazione)
Il bisogno di filosofia è molto impellente anche in relazione all’epoca di rinnovamento in cui Hegel vive.
Molti filosofi negano che ci sia bisogno del sistema filosofico per conoscere l’assoluto, perché basta affidarsi ai sentimenti. Questo concetto deve essere, secondo Hegel, superato, così come il formalismo di Kant e Ficthe, che separano l’aspetto materiale da quello formale.
Nella prefazione alla Fenomenologia, Hegel aggiunge una critica a Schelling, per cui l’Assoluto è identità di soggetto e oggetto, finito e infinito. Per Hegel il pensiero di Schelling può essere paragonato alla notte in cui “tutte le vacche sono uguali”. Viene criticata anche l’intuizione intellettuale che tende a sintetizzare i risultati di tutte le scienze naturali. Secondo Hegel se si seguisse questo pensiero si arriverebbe a dire che tutti gli oggetti sono nulli, perché nell’assoluto ogni realtà determinata è negata. Non si può, dice Hegel, sintetizzare fenomeni di genere troppo diversi.
Su che basi allora si può sviluppare la scienza? Solo superando il formalismo.
Perché ciò sia possibile è necessario intendere il vero non come sostanza ma come soggetto. Per sostanza Hegel intende ciò che è fisso e privo di movimento, dunque intendere il vero come soggetto significa superare ogni rigidità: l’assoluto non ha a che fare con nessuna immediatezza, ma è unità o identità mediata. Questa unità non ha bisogno di rimanere immobile per essere conservata, per cui si può dire che l’identità dell’assoluto è la mobile unità di un soggetto che rimane identico a sé stesso in tutte le sue molteplici manifestazioni.
In questa spiegazione risiede la definizione hegeliana di vero (o assoluto) come intero. Il vero ha un senso solo se completo nel suo sviluppo, nel movimento; dunque è possibile ridefinire l’assoluto come un movimento le cui parti non hanno senso singolarmente ma solo se pensate in rapporto all’intero.
Lo sviluppo di cui si parla è schematizzabile in tre fasi:
a) l’assoluto pone sé stesso, cioè si pone come uguaglianza con sé: l’essenza coincide con l’identità immediata, propria della sostanza.
b) l’essenza diviene altro, si estranea (o oggettiva): il fenomeno si rivela nell’essenza.
c) lo spirito si mostra a sé stesso come fenomeno: l’assoluto comprende anche “l’altro”, ovvero ciò che è in sé (essenza) e per sé (fenomeno). Si è formata una nuova unità, di essenza e manifestazione.
Il formalismo è superato: dall’assoluto non resta fuori nulla che gli si contrapponga. Questo scindersi e ritrovarsi come unità dell’intero rappresenta la dialettica hegeliana. Il procedimento dialettico mostra l’incapacità di ogni termine di esistere se preso isolatamente o fuori del rapporto con il suo opposto: gli opposti hanno senso solo se uniti.
Quindi il movimento dialettico è un movimento negativo che va contro il senso comune che dice che due opposti sono inconciliabili.
In questo modo, però, il finito non ha individualità (perché esiste solo in relazione al suo opposto). Per questo Hegel pensa un altro movimento (il terzo), detto positivo razionale, in cui le determinazioni finite vengono ricomprese nella loro profonda unità.
A)
A) LA COSCIENZA
Tutta la Fenomenologia ha come tema la coscienza. Coscienza designa gli atteggiamenti per cui la coscienza è certa che la verità stia in tutto ciò che essa considera fuori di sè, cioè nell’oggetto. La dialettica rivelerà il carattere illusorio di queste certezze.
La prima figura della coscienza è la certezza sensibile ed è il momento in cui l’oggetto è il dato immediato dei sensi. In questa fase non si fanno riflessioni sull’oggetto (io percepisco “questo” ma non so che è un tavolo): la conoscenza sensibile, apparentemente la più ricca, si dimostra la più povera e vuota, per cui la coscienza perde la certezza nella verità del sensibile. Si tratta di un momento dialettico negativo perchè la realtà dell’oggetto si mostra nella natura.
La seconda figura della coscienza è la percezione, che mira ad afferrare la verità in un oggetto diverso da quello della certezza sensibile, ma sempre esterno alla coscienza. La coscienza capisce che l’oggetto della percezione è semplicemente un insieme di proprietà e che l’elemento unificante di tale oggetto è la coscienza stessa e non più l’oggetto.
La terza figura della coscienza è la sintesi degli altri due momenti ed è rappresentata dall’intelletto, che non pone più la verità nella cosa, ma nella causa, che Hegel identifica nella forza (fondamento e legge non sensibile del mondo fenomenico). Si tratta di un momento positivo razionale, perchè rappresenta la vera costruzione dell’idea.
B)
B) L’AUTOCOSCIENZA
Quando conosce il mondo in realtà, l’Io conosce sé stesso. L’autocoscienza, cioè la certezza che la coscienza ha di sé stessa, è il risultato di questa fase dialettica.
Ma l’autocoscienza non è consapevole del movimento che sta dietro alle sue spalle. Essa stessa, infatti, si appare come desiderio, appetito, un’esperienza puramente pratica (ma che comprende anche la sfera morale), che dunque non concepisce niente altro che il fenomeno.
L’autocoscienza è l’essenza di questo fenomeno e lo nega consumandolo. In questo modo, attraverso la negazione dell’esistenza indipendente del mondo, l’autocoscienza acquista indipendenza.
Ma, annientato l’oggetto, l’autocoscienza apprende che non può soddisfare i propri appetiti senza di esso. Affinché l’autocoscienza diventi indipendente da questo ciclo di appagamento, è necessario che si rivolga ad un oggetto indipendente a sua volta: un’altra autocoscienza (ognuna è negatrice dell’oggetto e a sua volta oggetto da consumare).
Il superamento di questo squilibrio avviene quando ognuna della autocoscienza riconosce l’altra come tale (cioè come è per sé). Questo riconoscimento avviene attraverso un processo dialettico, uno scontro tra autocoscienze. L’individuo che non rischia la propria vita non è riconosciuto come indipendente. Si genera così una situazione di ineguaglianza, nella quale chi ha rischiato la propria vita e ha vinto si impone sull’altro. Questa relazione servo-signore ha breve vita.
Attraverso il lavoro l’autocoscienza servile si oggettiva (dà la propria forma agli oggetti), anche se non è consapevole dell’identità tra coscienza e oggetto che si istituisce proprio in conseguenza del lavoro. Perché l’autocoscienza servile si renda conto di questa identità, per ora solo confusamente avvertita, è necessario che la pensi esplicitamente.
Questo processo ha potuto avvenire storicamente solo nel periodo della civiltà ellenistico-romana, in cui paura e schiavitù si accompagnavano al progresso culturale (il lavoro manuale è anche lavoro intellettuale). In tempi di paura e servitù l’autocoscienza è comunque libera nel senso che può pensare liberamente.
Questa libertà la possiamo ritrovare nel saggio stoico, che si sente sempre libero, anche in catene, perché è indifferente rispetto all’esistenza naturale, anzi: quando è imprigionato gli viene negato il movimento dell’esistenza, per cui può concentrarsi maggiormente nel pensiero. In questo caso, però, l’autocoscienza è solo un concetto, privo del “riempimento della vita”.
La vera libertà si attua nello scetticismo. Lo scetticismo non nega la realtà, ma la possibilità di legittimare qualunque teoria. Si crea così una scissione nella mente dello scettico: da una parte l’uomo costruisce teorie (la coscienza afferma), dall’altra le distrugge (la coscienza nega). Si tratta di una scissione che non porta a nessun progresso. Questo momento di stasi può essere superato attraverso il pensiero religioso (ebraismo): il contrasto tra le due parti viene sostituito da una proiezione all’esterno della coscienza della verità, che diventa verità divina, come secondo il pensiero ebraico (c’è una grande distanza fra uomo e Dio). In questo momento Dio è l’unica certezza. Naturalmente si tratta di una soluzione negativa per la coscienza, che allora diventa una coscienza infelice, perchè ha capito di essere limitata. Il Medioevo è il simbolo dell’infelicità, ma anche del superamento di questa tramite l’agire e il mortificarsi di fronte a Dio, che porta alla liberazione. A questo punto l’uomo diventa l’unica fonte di certezza. E’ nata la vera coscienza.
Lo sviluppo dello scetticismo può portare alla nascita della coscienza infelice anche attraverso un’altra via, che comunque porterà alle stesse conclusioni: non potendo leggittimare nulla, la coscienza mette in dubbio ogni determinazione finita e fa esperienza della propria libertà come infinita potenza negativa. Nell’infinità della sua potenza le differenze appaiono come inessenziali: a queste differenze lo scetticismo oppone la stabile identità dell’Io con sé stesso.
Ma questo processo si rivolge contro lo stesso scetticismo: in quanto opposta alle differenze, la coscienza scettica sarà anch’essa differenza. Dunque da un lato la coscienza è al di sopra di tutto, anche delle differenze, dall’altro è la differenza delle differenze.
In questa oscillazione la coscienza scettica è duplice, contraddittoria. Il limite dello scetticismo è tenere separati i termini della contraddizione. L’autocoscienza è la consapevolezza di questa contraddizione e da ciò nasce la coscienza infelice (ebraismo e cristianesimo medievale).
C.V) LA RAGIONE
Quando assume le caratteristiche di coscienza infelice, l’autocoscienza diventa consapevole dell’unità di singolare e universale, e considera il primo inessenziale e il secondo essenziale. La ragione (storicamente il periodo postrinascimentale e l’idealismo) é invece contrassegnata dall’idea opposta: la singola coscienza é universale e quindi si coglie come essenziale. La ragione é infatti la certezza della coscienza di essere ogni realtà, di costituire l’essenza di tutte le cose. Se infatti l’essenza della realtà sta nel suo nucleo razionale, allora tale realtà esiste solo grazie alla ragione che la pensa.
Allora, dato che la certezza dell’altro e di sé coincidono, si può dire che la ragione rappresenta il superamento dell’opposizione tra coscienza e autocoscienza.
Ma la coscienza non é consapevole di ciò e quindi deve passare prima il solito processo evolutivo diviso in tre momenti.
1. la ragione osservativa. La ragione richiama le esperienze della coscienza (certezza sensibile, percezione, intelletto) per trovare le leggi che le regolano attraverso la sperimentazione e l’osservazione. La ragione sa che la verità dell’oggetto che indaga sta in ciò che la coscienza vi attribuisce di vero.
2. la ragione attiva. La coscienza mira alla propria attuazione: il mondo non é più principalmente natura da contemplare, ma realtà umana, nella quale si realizza ogni individuo. Si ha un spostamento (come nel passaggio da coscienza a autocoscienza) dal piano teorico a quello pratico. Questa attuazione avviene in tre momenti corrispondenti a vari atteggiamenti:
1. Il primo momento è l’edonismo, ossia la ricerca del piacere. L’autocoscienza razionale gode il mondo, cioè gli altri uomini (in quel senso), e diventa appetito. Questo momento si
esaurisce a causa della fugacità del piacere: il singolo capisce che la verità del piacere comprende anche il suo inesorabile venir meno, atto incomprensibile regolato da una necessità estranea.
2. Ora la necessità non é più estranea, perché viene ricondotta all’interno della coscienza: la legge che governa tutte le cose é ora l’aspirazione alla felicità, che fa diventare la coscienza individuale universale. Ma questa legge é solo legge del cuore, cioè conforme ad una inclinazione naturale. Quando la ragione si propone di attuare questa inclinazione, sembra che un ordine dato dal mondo vieti che ciò accada. Ciò provoca la protesta dell’autocoscienza e la sua ribellione. Ma protesta e ribellione sono follia: l’ordine é il risultato del gioco delle individualità, ciascuna impegnata a realizzare nel mondo la legge del proprio cuore.
3. In realtà non si tratta di un gioco di individualità, ma di un gioco di egoismi, una guerriglia in cui ognuno arraffa ciò che può. Così, contro questo corso del mondo, scende in campo il cavaliere della virtù, difensore di un ordine ideale contrario al reale corso del mondo e dunque destinato a perdere: egli può solo enunciare il suo ideale di virtù. Ma finché non si attua, questa virtù non esiste ed il mondo non può apparire malvagio. L’agire egoistico della coscienza si trasforma in un non essere consapevoli dell’ideale di virtù.
La dialettica delle virtù è servita ad eliminare l’opposizione tra mondo reale e ideale della ragione, ricongiungendoli nell’operare individuale: l’essenza dell’individuo e della realtà sta nell’operare.
Al di là delle doti di ciascuno, nell’operare si esplica un’universale capacità operativa che ridefinisce il concetto di cosa: la “cosa” della coscienza lascia il posto alla “cosa” intesa come opera. In questa definizione l’individualità tende a dileguarsi: se da un lato l’opera esiste grazie ad un certo individuo, dall’altro l’operare implica cooperazione. La “cosa” ha dunque una natura ambigua.
Questa ambiguità troverà soluzione solo nella “cosa” che é effettivamente opera di tutti e di ciascuno, cioè lo spirito, la cosa comune.
3. la ragione individuale. La coscienza tenta, senza successo, di risolvere la precedente contraddizione. Come opera?
Innanzitutto diventa legislatrice enunciando degli imperativi universali (ognuno deve dire la verità / ama il prossimo tuo come te stesso / ...). Tali doveri, che sembrano incondizionati, portano in realtà una condizione: ognuno deve dire la verità se sa la verità. La norma diventa accidentale, cioè la verità viene detta in relazione al caso.
Si può mantenere l’universale necessità dell’imperativo solo se si considera la forma dell’enunciato e si tralascia il contenuto. Allora però gli imperativi non sono leggi, perché si realizzano mediante un processo casuale, non determinato da loro.
La ragione diventa esaminatrice di leggi, perché gli imperativi che enuncia valgono solo come criteri per esaminare la validità delle leggi vigenti. Accade come per gli imperativi categorici kantiani: enunciano una condizione generale, secondo cui una massima può pretendere a validità universale.
C.VI) LO SPIRITO
Protagonista di questa sezione non è il soggetto, ma la realtà in cui lo spirito si manifesta. La contraddizione tra singolarità e universalità dell’operare si annulla nella collettività di un popolo, in cui la ragione non è più in opposizione con la realtà, ma è incarnata in consuetudini, tradizioni… e perciò diventa spirito. In questa fase la coscienza individuale cerca di conoscere la sua formazione, che avviene attraverso lo spirito.
Inizialmente lo spirito è solo sostanza, l’autocoscienza è poco importante, perché il singolo è completamente assorbito nella collettività. Il periodo storico è quello della polis della Grecia arcaica ed Hegel ricava le sue figure dalla tragedia.
All’interno dello spirito vi è una lacerazione tra due parti che lottano per prevalere una sull’altra: legge umana e divina. La prima corrisponde alla legge della città, pubblica (Creonte nella tragedia Antigone di Sofocle); la seconda a quella della famiglia (il personaggio Antigone).
Le due leggi sono inconciliabili e si scontrano dolorosamente. In seguito a questo conflitto l’esistenza della polis scompare e la sostanza spirituale si frammenta in molteplici individui a cui viene riconosciuta l’identità di persona giuridica (Impero romano): tutti gli individui
hanno uguali diritti. Ma a volte questa uguaglianza si realizza solo su un piano astratto: concretamente non modifica nessuna condizione.
Così dissolto, lo spirito percepisce come staccato da sé tutto ciò che compone lo Stato, e cioè le tradizioni, le istituzioni, i costumi, …, anche se questo mondo è la stessa sostanza dello spirito. E’ il periodo storico della modernità, in cui lo spirito si vede separato da sé secondo due modalità: quella della cultura e quella della fede.
La cultura comprende i processi politici ed economici e ha il significato particolare di differenza fra due popoli. Necessita un’alienazione (come il lavoro servile nell’autocoscienza). Attraverso questa alienazione Hegel spiega come la coscienza considera l’economia e la politica, che compongono il potere statale. Nel potere statale si esprime l’universalità degli individui, la cui opera individuale è irrilevante per la comunità (che è l’opera comune). L’operare individuale è identificato nell’agire economico e si oggettiva nella ricchezza.
Dunque alla cultura restano estranei due aspetti fondamentali:
• il potere statale (opera universale) è il risultato dell’opera individuale;
• la ricchezza è essa stessa universale (anche se è oggettivazione dell’opera individuale), perché l’insieme degli arricchimenti genera il mercato che realizza l’opera universale.
Nello studio dello Stato, questo è l’unica fonte di sovranità e la sua separazione deriva da un processo umano. Stato ed economia comunque non sono malvagie, (anzi, perchè sono manifestazioni dello spirito) ma l’individuo le vede estranee perchè le proietta fuori di sè.
La fede riconosce potere e denaro come realtà illusorie e cerca la verità al di là di esse, in un contenuto positivo (come è stato per la cultura) che è Dio. Anche attraverso la fede, dunque, la coscienza crede di vedere una realtà al di fuori di sé, ma in realtà si tratta solo di una sua alienazione.
Gli Illuministi, che lottano contro la superstizione e l’oscurantismo, creano ugualmente delle costruzioni metafisiche simili a quelle religiose: esiste un ente supremo razionale che controlla l’ordine ordinato del mondo e una materia priva di determinazioni materiali. Mi sembra che anche questo sia un pensiero abbastanza oscuro, no? In questo modo, osserva Hegel, il dissidio tra Illuminismo e fede si ripropone all’interno dell’Illuminismo stesso, che non è capace di risolverlo. Così si sforza di capire lo spirito attraverso l’utile: l’oggetto viene visto in funzione della coscienza, secondo un processo che deve avere una qualche utilità. A questo meccanismo corrisponde l’elevarsi dell’autoco-scienza singola a volontà universale, infatti: se l’utilità per mezzo della quale ogni azione singola deve essere giustificata è quella di tutti, allora la volontà singola, quando usa l’utile, si fa volontà universale.
E da questo discorso dialettico dell’Illuminismo scaturisce l’ultima figura del mondo della cultura, la libertà assoluta, inquadrata nel periodo roussoniano del Terrore. La volontà del cittadino, in quanto volontà generale, non è più quella di un uomo privato, uomo che partecipa alla vita politica attraverso la mediazione delle corporazioni. La coscienza individuale, liberata dai vincoli dell’appartenenza a corporazioni, diventa subito volontà universale e partecipa all’opera comune: questa è la libertà assoluta.
Tuttavia la Rivoluzione francese, che mirava a rendere effettiva la volontà generale, ha fallito (Terrore) e l’armonia tra sostanza e soggetto, tra istituzioni e autocoscienza, non si è realizzata. Prima della Rivoluzione lo spirito esisteva effettivamente nelle istituzioni, ma era alienato e non aveva ancora preso coscienza di sé; dopo la Rivoluzione, quando lo spirito si afferma come autocoscienza (sotto forma di volontà generale), non si possono costruire istituzioni positive, perché queste particolarizzerebbero di nuovo la volontà generale annullandola. La libertà assoluta allora resta solo un operare negativo.
Dopo tutto questo processo lo spirito torna alla dimensione interiore e diventa certo di esistere, è libertà. Il periodo storico è quello della Germania contemporanea, con tutti i suoi filosofi (tra cui Kant e Ficthe) che delineano due concezioni del mondo: concezione morale del mondo e spirito coscienzioso.
All’interno della concezione morale del mondo di Kant si trova una contraddizione: da una parte dice che mondo dei fini e mondo della natura devo essere indipendenti, dall’altra il mondo della natura deve essere armonizzato con quello dei fini.
Poiché il primo rappresenta il singolare, cioè l’azione condizionata dalla natura individuale e dalla situazione, e il secondo rappresenta l’universale, il dovere, si tratterà di una contraddizione tra singolare e universale. Ad annullare la contraddizione ci pensa lo spirito coscienzioso (in pratica la coscienza) che fa in modo che al dovere astratto si sostituisca un attimo l’individualità agente, che deve essere però lo stesso universale. Ma come è possibile che lo sia se decide e compie ciò che è giusto in base alla situazione privata in cui si trova? L’unico elemento universale dell’azione è il riconoscimento della convinzione individuale da parte delle altre autocoscienze, affidato al linguaggio che universalizza la portata della comprensione.
In tutto questo, però, l’attenzione si sposta dall’azione alla sua contemplazione: la coscienza diventa anima bella (Romanticismo). L’anima bella non fa, ma contempla la giustezza dell’intenzione dell’azione.
Alla fine l’universalità è stata guadagnata, ma al prezzo della perdita dell’azione. L’azione dell’individualità agente è finita, così come l’universalità dell’anima bella (perché tiene fuori di sé l’azione). Ognuna di queste due forme dello spirito si scopre limitata perché finita.
In ultimo, attraverso il perdono reciproco, si realizza l’unità tra le due forme spirituali. Questa dialettica, che unisce finito e infinito, è manifestazione dello spirito assoluto o apparire di Dio.
C.VII) LA RELIGIONE
La religione rappresenta l’autocoscienza dello spirito, che ancora non è diventata concetto (accadrà nel sapere assoluto) ma è rappresentazione.
Esistono vari tipi di religione, dice Hegel, e in tutti si rappresenta l’autocoscienza:
- religione naturale: lo spirito appare come essere immediato, perché vengono divinizzati gli oggetti naturali;
- religione artistica: lo spirito appare come opera d’arte. Questo tipo di religione, corrispondente all’autocoscienza della comunità della polis, si presenta sotto forme via via più mature:
1. opera d’arte astratta (forma esteriore: lo spirito si mostra in opere simili a cose, come i templi; forma interiore: lo spirito si mostra come inni lirici; mediazione tra le due: sacrifici).
2. opera d’arte vivente (nei giochi, nelle
feste religiose dove si realizza l’unità vivente fra umano e divino).
3. opera d’arte spirituale, cioè la tragedia o la commedia antica, forme d’arte in cui si esprime prima la ricchezza dello spirito e poi la perdita della sua sostanzialità in seguito alla consapevolezza della vanità dei valori.
- religione rivelata: il cristianesimo, in cui sostanza e soggetto si conciliano e che si fonda sull’etica classica. A questo punto Hegel sottolinea l’identità in Cristo della natura umana e divina, soggetto e sostanza, ma anche che la morte di Gesù è sì la morte della natura umana in cui si era alienata la divinità, che quindi si separa dall’uomo, ma è anche la morte dall’essenza astratta divina. Così, dopo la morte della natura umana e dell’essenza divina, le due possono rifondersi nello spirito vivente della comunità.
C.VIII) IL SAPERE ASSOLUTO: STORIA DELLO SPIRITO E SISTEMA FILOSOFICO
Affinché lo spirito sia concetto deve essere superata la forma della rappresentazione. Ciò avviene nel sapere assoluto che è la forma del sistema filosofico.
Arrivati a questo punto sapere e oggetto, soggetto e sostanza, sono identici e dunque la bipolarità della coscienza è stata annullata.
Ora resta da approfondire il rapporto tra lo svolgimento dello spirito (formato dai momenti delle realtà spirituali) e il sapere assoluto, inizio dello svolgimento. In fondo, il sapere assoluto è il rapporto tra la storia e il sistema filosofico. All’interno di questo sistema, il sapere assoluto rappresenta la compren-
sione da parte della coscienza dell’intero, in tutti i momenti che lo hanno composto e in tutte le sue manifestazioni. Ognuno di questi momenti di sviluppo è finito e quindi cancellato, ma è un momento dell’assoluto e quindi conservato.
Hegel dice che la dimensione propria del sapere assoluto è la memoria interiorizzante che, si vede nel nome, ci comunica che il sapere assoluto ha superato la fase della manifestazione all’esterno, rappresentata dal movimento storico dello spirito: la scienza è memoria delle epoche passate, poiché queste ritornano nel sapere assoluto dopo l’alienazione.
Nella scienza ogni elemento del passato è cancellato in quanto elemento storiografico, ma conservato perché fa parte dei momenti necessari del sapere assoluto (che, ricordiamolo, è la conoscenza che l’assoluto o spirito ha di sé stesso come concetto).
Ciò vuol dire che il sapere assoluto conserva la verità di ogni tappa del cammino dello spirito, ossia ciò che si è manifestato davvero in quel momento nell’intero. Ad esempio lo spirito quando è nato era sostanza e tale momento è stato interiorizzato nella scienza, nella cultura lo spirito si manifestava contemporaneamente come alienazione, e così via.
CONCLUSIONE
Non esiste una distinzione tra realtà e razionalità umana, nè tra mondo intorno alla coscien
za e oggettivo. Soggetto e oggetto fanno parte
di un’identità dialettica in movimento: il mondo del divenire è accettato.
IL SISTEMA HEGELIANO
Il sistema filosofico
Dunque, dopo la trattazione della Fenomenologia dello spirito, possiamo tracciare le linee essenziali del pensiero hegeliano:
1. la sola conoscenza è quella che vede la realtà
nella sua totalità;
2. di conseguenza la filosofia deve assumere forma di sistema;
3. l’assoluto non è solo sostanza, ma soggetto e spirito;
4. c’è identità tra soggetto e oggetto, ragione e realtà.
5. ogni realtà finita è una manifestazione dell’as-soluto nel tempo e nello spazio;
Si approfondiscono ora i contenuti del sistema filosofico hegeliano anche alla luce delle sue nuove opere, quelle della maturità. Tali opere non trattano più della formazione della coscienza, ma dell’esposizione del sapere assoluto (la filosofia come un’enciclopedia, praticamente). Ciò comunque non elimina un dato fondamentale della filosofia hegeliana: il rapporto con la storia.
Compiti e partizioni della filosofia (Abbagnano)
Il compito della filosofia è prendere atto della
realtà, comprenderne le strutture razionali. La filosofia non deve dire come deve essere il mondo, perché la sua riflessione arriva dopo che il mondo è bell’e fatto. Deve portare nella forma del pensiero il contenuto reale dell’esperienza, giustificandolo attraverso la razionalità.
Le partizioni della filosofia (che rappresentano il divenire dell’Idea) sono tre:
• la Logica o scienza dell’Idea in sé e per sé (cioè della sua trasformazione da essere implicito a esplicito);
• la Filosofia della natura, ovvero la scienza dell’Idea nel suo essere altro (cioè nel farsi estranea a se stessa nella natura);
• la Filosofia dello spirito, che è la scienza dell’Idea che torna dall’alienazione all’autoco-scienza.
Questa divisione e la forma del suo sistema derivano dal neoplatonismo antico, con l’unica differenza che per Hegel la realtà è manifestazione dell’assoluto, mentre per il neoplatonismo l’assoluto non era immanente, cioè non era all’interno del processo di conoscenza. Attraverso questa visione della realtà in un unico spirito, Hegel supera molti dualismi.
LA LOGICA
La logica dialettica di Hegel
Compito della logica è esporre il pensiero in quanto tale. Il pensiero si pensa in forma pura.
L’attività del pensare è un atto unico, i cui singoli momenti si fondono tra di loro. Con la logica Hegel vuole unificare tutti questi atti singoli del pensiero, che solo in successione prendono un senso.
Dunque: la logica espone lo svolgimento del pensiero (dinamico), che regola lo sviluppo della realtà, che è dunque dinamica (per la proprietà transitiva).
A questo punto, Hegel analizza il concetto di logica nelle altre filosofie:
• alla Scolastica riconosce di aver esposto le strutture del pensiero nella loro purezza, ma critica l’aver considerato la logica come uno strumento di cui si serve la conoscenza: questo vuol dire anteporre l’io che pensa al pensiero;
• a Kant riconosce il merito di aver dato un ruolo più importante alla logica, ma critica la base soggettiva delle sue forme (dato che il suo contenuto è oggettivo).
La dialettica del pensiero, cioè il suo ritmo, è composta da tesi, antitesi e sintesi:
• la tesi: è il momento nel quale il pensiero si limita a considerare le determinazioni della

realtà separate l’una dall’altra;
• l’antitesi: mostra come le determinazioni della tesi abbiano bisogno di essere messe in relazione con le determinazioni opposte o negative;
• la sintesi: mostra l’unità delle determinazioni opposte.
Il secondo momento è quello più importante, perché è lì che le determinazioni perdono rigidezza.
Per Hegel la dialettica è la legge del mondo, perché unifica il molteplice eliminando le opposizioni. Molteplicità, opposizioni e conflit-
ti, dice Hegel, esistono solo in quanto alienazioni della ragione. Ma proprio per questo “esistono per poco tempo”, sono di passaggio nel processo della dialettica. Questo è il dramma del mondo: è soltanto un modo passeggero nella storia dell’Assoluto.
Il contenuto della Logica (pag.249)
I tre momenti principali della Logica sono:
• la Dottrina dell’essere (il pensiero nella sua immediatezza – in sé)
• la Dottrina dell’essenza (il pensiero nella sua manifestazione – per sé)
• la Dottrina del concetto e dell’idea (il concetto tornato in sé e per sé).
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1) LA DOTTRINA DELL’ESSERE
Scopo della Dottrina dell’Essere è superare l’indifferenza della quantità rispetto alla qualità. E’ divisa in tre momenti: qualità, quantità e misura.
Qualità: l’essere indeterminato: l’essere, il nulla e il divenire
La qualità è divisa in: essere indeterminato, essere determinato e essere per sé.
Caratteristica fondamentale dell’essere inde-
terminato è l’immediatezza.
Il momento dialettico dell’essere indeterminato comprende essere, nulla e divenire.
Essere: è la nozione più povera e astratta di tutte: l’essere non ha determinazioni. Secondo le altre filosofie il pensare deve avere per forza un contenuto determinato: questo concetto le smentisce. E’ impossibile distinguere un contenuto all’interno del pensare: l’essere puro è identico al puro pensare.
Nulla: Ma questa definizione di essere in quanto privo di determinazioni coincide con quella di nulla: essere e nulla sono identici. Hegel sconvolge tutte le basi della filosofia!
Divenire: il divenire è unità di essere e nulla, in quanto passano dinamicamente uno nell’altro.
Il divenire è la prima categoria della logica: così la logica viene fondata sul divenire, un concetto dinamico e non più, come la tradizione, statico.
L’essere determinato: determinazione e negazione
L’intera attività del pensare è incessante e generalissima (negativa). Per questa sua generalità si dice che l’unità dell’essere e del nulla si presenta nella determinazione del nulla.
Ma un singolo pensiero è determinato (positivo) e può essere formulato solo in un momento in cui l’attività del pensare si “ferma”. Si dice allora che l’unità dell’essere e del nulla si presenta nella determinazione dell’essere. Ed ecco la seconda categoria della logica: l’essere determinato.
Nonostante la sua istintiva positività, l’essere determinato si presenta anche come negativo: infatti una determinazione è tale solo perché si afferma contro infinite altre determinazioni che esclude. L’essere determinato è positivo e negativo.
Si delinea così il momento della qualità: l’essere qualitativamente determinato è un qualcosa che si distingue da qualcos’altro.
Quantità: la cattiva infinità e l’infinito della ragione
Ogni essere finito (determinato) ha in sé la negazione. La ragione considera tale negazione come necessaria a se stessa, in contraddizione con la stabilità che la contraddistingue. Questa inquietudine nel modo di pensare il finito (essere in sé e essere per altro – le determinazioni negate) è la base del passaggio da finito a infinito.
Si delineano così due infinità: la cattiva infinità e la vera infinità.
La cattiva infinità coincide con ciò che nel finito non è stato incluso. Non è un vero infinito perché è limitato e poi, anche se si cercasse di raggiungere l’infinito vero attraverso la cattiva infinità, si riuscirebbe solo a creare sempre più determinazioni e non si raggiungerebbe l’infinito, ma solo un maggior numero di determinazioni.
Per raggiungere la vera infinità bisognerà allora superare la contrapposizione che da sempre ha contraddistinto l’idea di infinito e finito, finendo col trovare il divenire, il vero infinito.
Geometricamente, se la cattiva infinità può essere disegnata come una linea senza confini precisi (ma con confini), la vera infinità sarà un cerchio.
Misura: uno dei tratti più originali della filosofia di Hegel è la relazione tra qualità e quantità, che fino ad allora erano state pensate come completamente eterogenee. Hegel deriva la quantità dalla qualità. Hanno in comune la variabilità, ma intesa in modi opposti: a una quantità non cambia nulla se gli elementi hanno diverse qualità, così come non è importante la quantità se ci si riferisce alla qualità (un campo sarà sempre tale anche se varia la sua estensione). La separazione tradizionale tra quanittà e qualità esiste solo nell’intelletto: in realtà esiste una quantità qualitativa che è la misura. Così si conclude la Dottrina dell’essere.
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2) LA DOTTRINA DELL’ESSENZA
Dato che “la verità dell’essere è l’essenza”, posso pensare che l’essenza sia il risultato del processo dialettico dell’essere.
Lo scopo della Dottrina dell’essenza è superare il dualismo tra essere immediato ed essenza.
Infatti caratteristica della Dottrina dell’Essenza è l’essere ragionata (non più immediata come l’Essere).
Il processo funziona in questo modo: durante la Dottrina dell’Essenza viene negata l’immedia-tezza dell’essere e sono messe in relazione le differenze che porteranno alla sua unicità. Queste differenze sono illustrate secondo coppie di concetti in opposizione bipolare (essenza/fenomeno; causa/effetto; …), che verranno riconciliate nella terza Dottrina sotto forma di concetto e di idea.
La Dottrina dell’Essenza si divide in: essenza, fenomeno e realtà.
Essenza, fenomeno e realtà
Essenza: comprende i i due movimenti opposti di interiorizzazione ed esteriorizzazione.
Nel primo movimento l’essere è negato dal movimento di interiorizzazione dell’essenza e diventa semplice apparenza, mentre l’essenza è il fondamento.
Fenomeno: si divide in esistenza, fenomeno e relazione essenziale. L’essenza si manifesta nell’esistenza e diventa contemporaneamente fenomeno, che perde la sua accezione negativa perché indica il mostrarsi della cosa in sé (il contrario di quello che diceva Kant). Questa relazione tra essenza ed esistenza si chiama relazione essenziale.
Realtà, sostanza, causa
E’ dunque nel terzo momento (realtà) che si realizza lo scopo della Dottrina dell’Essenza, perchè la relazione essenziale diventa ufficialmente vera (essenza e esistenza sono unite) sotto il nome di relazione assoluta. In questa relazione la realtà è esistenza che ha in se stessa il principio del suo strutturarsi (essenza).
La dialettica della relazione assoluta (terzo momento della realtà) si svolge attraverso la relazione sostanziale, la relazione di causalità e l’azione reciproca.
• La relazione sostanziale è quella che intercorre tra sostanza e accidenti. Per Hegel, a differenza della tradizione filosofica che considerava la sostanza immutabile, nella relazione sostanziale la sostanza si scinde in due poli: da un lato una molteplicità di accidenti, dall’altro la loro unità nella sostanza. Nella relazione sostanziale questi poli passano immediatamente uno nell’altro.
• Nella relazione di causalità il rapporto sostanza-accidente si trasforma nel rapporto causa-effetto, che (come sempre Hegel rivoluziona tutta la filosofia tradizionale!) non sono più opposte una all’altra. La causa è una sostanza che agisce producendo un effetto. Come si fa a dire che la causa è sostanza? In questo caso Hegel fa ricorso al termine tedesco che in italiano viene tradotto con “causa”, e cioè “Ursache”, il cui significato letterale è “sostanza originaria”.
Oltre a questo, Hegel afferma che il rapporto causa-effetto non è quello concepito spontaneamente dall’intelletto: come sono termini distinti, allo stesso tempo sono identici. Non nel senso che una causa è effetto di un’altra causa o che un effetto è causa di un altro effetto, ma che la causa è effetto (e viceversa) non nell’ambito dello stesso rapporto in cui è causa (e viceversa). Questo modo di pensare la relazione causa-effetto crea una specie di progresso all’infinito (una serie infinita di cause che è contemporaneamente una serie infinita di effetti).
• Nell’azione reciproca si coglie la vera infinità del processo: l’effetto è diverso dalla causa nel senso che questa è una sostanza che agisce su un’altra sostanza producendovi un effetto. Sebbene la seconda sostanza sia passiva, in quanto è anch’essa causa è contemporaneamente anche attiva e reagisce alla prima sostanza producendo un effetto su sé stessa.
I due termini di causa e effetto devono essere ricondotti al loro fondamento unitario che è il concetto, e pensati come momenti di quest’ultimo.
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3) LA DOTTRINA DEL CONCETTO
Essere ed essenza alla fine si risolvono nel concetto.
Mentre i tratti distintivi di essere e essenza erano rispettivamente l’immediatezza e la mediazione, quello del concetto è l’autosviluppo della totalità.
L’automovimento del concetto corrisponde alla creatività del pensiero ed è l’antecedente dell’essere e dell’essenza.
Il concetto è il risultato della dialettica della relazione assoluta, ed essendo autosviluppo è anche soggettività. Per questa soggettività si può dire che nel movimento del concetto l’assoluto viene inteso non come sostanza ma come soggetto.
I tre momenti del movimento del concetto sono soggettività, oggettività e idea.
Soggettività, oggettività e idea
Soggettività: la soggettività si divide a sua volta in concetto, giudizio e sillogismo. Quanto al concetto (inteso qui in senso ristretto), Hegel classifica la distinzione del concetto tra universalità, particolarità e singolarità come una serie di momenti di un unico processo, e non come semplici proprietà. Infatti universale, particolare e singolare corrispondono al concetto in sé (concetto), al suo particolarizzarsi o differenziarsi (giudizio - che diventa l’elemento divisore dell’unità del concetto) e all’unità di particolare e universale nell’individuo (sillogismo).
Il concetto si realizza nell’oggetto, perchè questo rappresenta una realtà indipendente e completa, e questa completezza è la totalità del concetto.
Oggettività: si divide in meccanismo, chimismo e teleologia.
Il primo momento dell’oggettività è il meccanismo, che considera l’oggetto senza riguardo alle differenze qualitative che lo distinguono dagli altri oggetti (movimento simile a quello nella Dottrina dell’essere, quando si passa dalla qualità alla quantità). La relazione con gli altri oggetti è solo esteriore, perchè interi-
ormente tutti gli oggetti sono aggregati di componenti.
E’ importante dire che Hegel parla di meccanismo sia riguardo agli oggetti fisici sia riguardo ad altri oggetti, come un’azione.
Altra categortia dell’oggettività è il chimismo, in cui l’oggetto si mostra differente in composizione chimica, qualitativamente.
Solo nella teologia si realizza la vera unità dell’oggetto, dando luogo ad un oggetto finalisticamente ordinato o organismo (la teologia nell’oggettività è come il sillogismo nella soggettività).
Ora, dice Hegel, manca solo l’ultimo passaggio: porre la finalità internamente all’organismo (cosa che la filosofia tradizionale è non riuscita a fare, ma Kant sì).
La dialettica dell’idea: vita, conoscenza, prassi
L’unità del concetto e delle determinazioni in cui si oggettiva è conseguita nella dialettica dell’idea.
L’idea è vita, e nella vita si ha l’unità immediata di soggettivo e oggettivo. L’oggettività diventa un momento dell’autorealizzazione del vivente e si realizza dunque in questo la finalità interna a cui tendeva la teleologia.
Bisogna sempre ricordare che per vita Hegel intende anche la vita dello spirito, degli organismi politici, non solo la vita biologica.
Come vita l’idea è ancora sostanzialità, nel senso che ancora non mostra i connotati della libera soggettività, poichè li possiede solo implicitamente. Ciò accade non solo riguardo all’individuo vivente, ma a tutta l’universalità. Questa universalità è però limitata dal fatto di realizzarsi solo nella singolarità degli individui, che rappresenta però contemporaneamente la negazione dell’universalità. Il superamento di questa negazione sta nella morte, che è negazione della negazione (la soggettività).
Dunque, se da un lato la vita è morte incessante degli individui, dall’altro la morte dei singoli, in quanto nega la sostanzialità immediata della vita, libera il genere vivente dalla singolarità e consente così che emerga la soggettività universale.
Solo, dunque, liberandosi dall’immediatezza della vita l’idea può affermarsi come libera soggettività.
Infatti l’idea può assumere a proprio oggetto il concetto (diventato universale perchè si è liberato dalla singolarità) o meglio se stessa (perchè l’idea è unità del concetto).
Inizia il processo dialettico dell’idea, che si divide in idea soggettiva e oggettiva, che appare come un universo esteriore. L’unità dell’idea si ricompone attraverso l’idea assoluta. Come?
L’idea soggettiva opera in due modi:
1. con la passività (idea del vero), assorbendo in sè stessa l’universo esteriore per mezzo del conoscere;
2. con l’attività (idea del bene): l’idea soggettiva tenta di dissolvere l’oggettività dell’idea oggettiva modellando come volontà il mondo esteriore per incorporarvi se stessa con la prassi.
L’idea assoluta (la totalità del pensare) è l’unità dell’idea del vero e del bene, dell’idea soggettiva e oggettiva. .Si è realizzata l’unità di soggetto e oggetto presupposta all’inizio della Logica.
LA FILOSOFIA DELLA NATURA (pag. 262)
Concetto e gradi della natura
Nella Filosofia della natura Hegel si porpone di dare una base razionale ai princìpi delle scienze naturali.
Per procedere bisogna inanzitutto inquadrare il posto della natura nelle scienze filosofiche e poi giustificare razionalmente i principi su cui si basa la scienza naturale. Questo avviene valutandone la coerenza rispetto al concetto della natura e controllando che modellino tutti gli ambiti del sapere scientifico.
La natura è l’idea nella forma dell’essere altro da sè; corrisponde cioè (akk kkk) al momento dell’estra-niazione dell’idea assoluta (ricordiamo che la Filosofia della Natura è il secondo momento dialettico di tutto il sitema filosofico di Hegel, e quindi rappresenta il momento dialettico negativo).
Hegel compara il farsi natura dell’idea all’atto della creazione di Dio. Su questo sfondo metafisico si delinea la negatività della natura in quanto estraniazione dell’idea: la realtà allora è identificata con il male, perchè è il risultato della decadenza dell’idea.
In quanto alienazione la natura ha un’esistenza solo esteriore, da cui sono affette tutte le sue manifestazioni: esse sono tutte isolate l’una dall’altra. Non esiste libertà, ma solo acci-
dentalità e sostanzialità: sappiamo dalla Logica che era il concetto che cambiava la sostanzialità in libertà unendo le varie determinazioni che sembravano distinte; nell’esistenza puramente naturale il concetto è nascosto e non può compiere la sua opera unificatrice.
Anche l’infinita ricchezza delle forme della natura è un segno della sua impotenza, perchè mostra maggiormente la labile e generica presenza del concetto. La varietà di queste forme è affidata solo al caso e alle circostanze esterne accidentali.
Insomma, non è possibile trasformare la natura in concetto. Viene criticato così il meccanicismo che dà una spiegazione razionale ad ogni aspetto della natura e soprattutto Shelling che forza eccessivamente i risultati delle scienze.
La natura è contraddistinta da staticità e incapacità di sviluppo autonomo.
Alla fine la natura si configura come un sitema di gradi, ciascuno dei quali deriva dal precedente ma non ne rappresenta un’evoluzione: non è possibile che per evoluzione di processi inorganici derivino i processi organici. Comunque i gradi sono connessi perché ognuno ha qualcosa di necessario allo sviluppo dell’altro.
Il sistema dei gradi è diviso in tre parti: meccanica, fisica e fisica organica. E’ un sistema molto simile a quello dell’oggettività della dottrina del concetto, anche pensando che qui la parte della fisica comprende dei processi chimici. L’organismo animale è il massimo grado di unificazione della natura.
LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO (pag. 263)
La filosofia dello spirito si divide in tre momenti dialettici: spirito soggettivo, spirito oggettivo e spirito assoluto.
L’analisi di Hegel si ispira ad Aristotele.
Lo spirito soggettivo: il soggetto individuale e la psicologia
Questa è la fase del “ritorno in sé”, il terzo momento dialettico della filosofia hegeliana, per cui si parla di spirito soggettivo.
Lo studio dello spirito soggettivo si attua attraverso tre punti:
1. l’antropologia, che studia l’uscita dello spirito dall’esteriorità della natura. Suo oggetto è l’anima,
un’unità immediata in cui soggetto e oggetto ancora non si sono distinti;
2. la fenomenologia studia le forme della coscienza che è la negazione di tale unità e la sua opposizione;
3. la psicologia studia il soggetto, unità di anima e coscienza. La psicologia risolve in forma mediata le opposizioni della coscienza e il soggetto rappresenta in questo caso il concetto.
Lo spirito oggettivo
In questa sezione l’attenzione per il singolo cede il posto a quella per i rapporti che legano gli individui. La dialettica della psicologia considera lo spirito soggettivo come libertà o volontà libera. Lo spirito oggettivo rappresenta la realizzazione di questo concetto in una dimensione non più soggettiva ma esterna.
La libertà dunque non dipende dall’arbitrio individuale, ma dai rapporti con il mondo esterno.
Anche nello spirito oggettivo il terzo momento dialettico, l’eticità, rappresenta l’unità che, dividendosi, dà luogo ad altri momenti.
Uno stato basato sull’eticità è fondamentale perché questa è la base delle relazioni tra le persone e della problematica morale: senza stato non esisterebbero diritto e morale, perché queste, senza un contesto concreto, diverrebbero solo astrazioni.
Comunque non basta la presenza dello stato: è necessario infatti che i cittadini si impegnino ad essere moralmente responsabili.
I tre momenti dialettici dello spirito soggettivo sono: diritto astratto, moralità ed eticità.
Il diritto astratto
Il primo ambito di realizzazione della volontà libera è il diritto astratto. Come ogni primo momento dialettico, il diritto astratto è una realizzazione ancora incerta della libertà, è il concetto di libertà, domina il singolo.
Nel diritto astratto sono compresi tre momenti: la proprietà, il contratto, l’illecito e la pena.
• La proprietà garantisce il possesso delle cose e della persona (habeas corpus). Di conseguenza la schiavitù è considerata ripugnante.
• Il contratto è un momento di unità di volontà differenti, ma è un’unità precaria perché si basa sull’arbitrio dei singoli.
• L’illecito è una violazione delle regole di tutti a favore di un diritto individuale. E’ espressione del disagio del singolo di fronte alle regole giuridiche. L’illecito può essere eliminato attraverso la pena, che è un diritto di chi ha commesso un illecito e dunque non è una vendetta contro il singolo. Serve per affermare l’universalità della libertà. Hegel difende per questo la leggittimità della pena di morte.
Il principio moderno della moralità
Il punto di vista della persona giuridica deve necessariamente essere integrato con quello del soggetto morale, il che avviene con il passaggio al secondo momento dialettico dello spirito oggettivo: la moralità.
Per Hegel la moralità è fondamentale, è un santuario che non bisogna violare. La moralità aiuta il soggetto a riflettere sui propri rapporti con il mondo.
A riguardo Hegel critica la filosofia pratica kantiana. In Kant l’imperativo categorico comanda la forma e non il contenuto dell’agire, per cui non affronta il problema dell’agire concreto. Il dovere universale emanato dall’imperativo categorico, in quanto indeterminato, si contrappone ai doveri particolari: assumendo come principio di vita la morale kantiana non è possibile trarne dei doveri particolari e precisi.
Solo attraverso l’eticità, secondo Hegel, si può salvare l’autonomia della ragione e contemporaneamente la concretezza dei doveri particolari: l’idea etica è realizzata nelle istituzioni, dove si incarna la volontà razionale, che detta dei doveri determinati legittimati dall’autonomia della ragione.
Inoltre, Kant viene criticato per la scissione tra felicità e dovere, che per Hegel non esiste.
Lo spirito etico nella famiglia moderna
La volontà libera diviene dunque concreta nell’eticità, e più specificatamente negli organismi della famiglia, della società civile e dello stato, i tre momenti della dialettica dell’eticità.
La famiglia è concepita come un organismo immediatamente unitario, privo di differenze di qualità al suo interno. I suoi membri formano un tutt’uno. Comunque in questa sezione si tratta dell’idea di famiglia.
Anche la famiglia si divide in tre momenti dialettici: matrimonio, patrimonio ed educazione dei figli.
Il maggiore aspetto di modernità della famiglia hegeliana sta nella posizione centrale del matrimonio. Il matrimonio per Hegel non ha alla base un contratto (per l’uso delle facoltà sessuali – come diceva Kant), ma l’amore coniugale, di cui è l’oggettivazione. Dal matrimonio scaturiscono, per fiducia, gli altri due momenti della dialettica della famiglia: patrimonio ed educazione dei figli. La modernità sta dunque nella libera scelta d’amore che è alla base della nuova famiglia.
Naturalmente il filosofo tiene conto anche dell’elemento sessuale, che però trasfigura in un rapporto spirituale. Non bisogna per questo considerare Hegel un romantico, anzi: per lui non è importante che questa certa persona ami quell’altra, ma che entrambe siano disposte a rinunciare alla propria soggettività per formare una famiglia, al cui interno nessuno si distingue dall’altro.
Differenze e contraddizioni della società civile moderna
Al contrario della famiglia, la società civile rappresenta lo smembramento e la dispersione dell’unità (solito cammino dialettico).
Il rapporto tra il singolo e la totalità, che nella famiglia era l’identità, sparisce all’interno della società civile. Gli individui sono come degli atomi, il cui movimento appare determinato solo da interessi particolari. Questa insocievolezza comunque è uno dei modi di esistenza del legame etico di fondo della società ed è quindi in un certo senso una socievolezza: insomma, l’insocievole socievolezza.
I tre momenti dialettici della società civile sono: il sistema dei bisogni, l’amministrazione della giustizia e la polizia e corporazione.
Il sistema dei bisogni è il primo momento in cui si realizza l’unità etica della società. I tre bisogni di questo sistema sono:
1. l’interdipendenza economica: la divisione del lavoro, favorendo la specializzazione, permette la soddisfazione di bisogni sempre più complessi, ma in tal modo ognuno risulta sempre legato al lavoro di un altro, anche se il nostro egoismo ci spinge a credere che facciamo del bene solo a noi stessi.
2. Altro importantissimo bisogno è lo sviluppo della cultura, fatta anche di sapere tecnico che obbliga l’individuo a mettersi in contatto con gli altri membri della società.
3. Ultimo, ma non meno importante, è la formazione di classi sociali distinte: la classe sostanziale (agricoltura), l’industria (che comprende il commercio) e la classe universale (burocrazia), così definita perché si prende cura degli interessi di tutti.
Il secondo momento della dialettica della società civile è l’amministrazione della giustizia. Nel sitema giudiziario il diritto astratto (primo momento dello spirito oggettivo) diventa concreto, in relazione alle leggi istituite. Il legame etico è più forte perchè il diritto del singolo è legato al diritto universale, cioè alla legge.
La polizia, che con la corporazione fa parte del terzo momento dialettico, intesa come amministrazione in generale, è lo stato del benessere. Qui il legame è ancora più forte: l’amministrazione tutela preventivamente il diritto del singolo e si fa carico del benessere dei membri della società attraverso l’istituzione di programmi educativi e politiche economiche, che mirano a diminuire il contrasto tra ricchi e poveri.
Dell’ultimo momento dialettico dell’unità della società civile fa parte anche la corporazione. Si tratta del momento più alto della unione di singolo e totalità (anche se si tratta di una totalità rispretta a coloro che svolgono lo stesso mestiere). Per questo la corporazione rappresenta il momento di passaggio dalla dispersione alla nuova unità dello spirito etico, stavolta arricchita dal passaggio attraverso la società civile (non è più l’unità immediata della famiglia).
La realizzazione della libertà nello stato
Famiglia e società civile alla fine risultano essere momenti dello stato, in cui si attua la libertà, essenza dell’eticità. Lo stato è dunque il fondamento della famiglia e della società.
Questa concezione dello stato, che riprende quella di Aristotele, si contrappone a quella della tradizione giusnaturalistica fino a Kant e Ficthe, secondo cui il fondamento della famiglia e della società è l’individuo e lo stato ne deriva secondo il modello contrattualistico. La critica al modello contrattualistico era iniziata nel Settecento, quando si era provata l’infondatezza storica del contratto. Rousseau e Kant avevano tenuto conto di questa critica, ma Hegel si distingue fra tutti perché fonda la sua idea a riguardo su un principio razionale, non solo storico. La volontà razionale del singolo, con cui si identifica la libertà, in quanto pensiero è identica alla volontà universale. Per questo è sbagliato far discendere la volontà universale (da cui si fonda realmente lo stato) dall’unione delle volontà particolari, come dice il contratto, perché si riferiscono tutte ad interessi particolari.
Questa insistenza costante sulla priorità dell’aspetto pubblico rispetto a quello privato, i privilegi concessi allo stato e simili cose, hanno fatto pensare che Hegel fosse un conservatore e un illiberale. Da qui le prime riflessioni sulla posizione del filosofo di fronte ai partiti e sulla sua concezione dello stato.
Per quanto riguarda il primo punto, in realtà Hegel era un moderato e scoraggiava sia chi si muoveva in nome di progetti su come “deve essere” il mondo, sia gli atteggiementi più illiberali del potere politico.
Riguardo alla concezione dello stato, egli lo considerava la compiuta realizzazione della libertà. Esso è infatti volontà razionale (pensiero), sostanziale (istituzioni oggettive) e autoconsapevole (dotata di soggettività). La volontà autoconsapevole è un elemento fondamentale: lo stato è razionale proprio perché tale soggettività prende il comando sull’oggettività modellandola secondo i propri fini.
In parole povere, sebbene al privato la legge può sembrare un ente esterno, in realtà le istituzioni (la parte oggettiva) derivano dalla presa di potere della volontà libera dei cittadini (la parte soggettiva), guidata dalla ragione.
Sotto quest’ottica è perfettamente logica la divisione dei poteri che propone Hegel seguendo i principi di universalità (potere di stabilire l’universale, la legge: legislativo), particolarità (potere di applicare la legge ai casi particolari: esecutivo) e individualità (o soggettività: potere monarchico). Come possiamo osservare l’unica differenza dal modello liberale è la presenza del potere monarchico al posto di quello giudiziario.
La monarchia costituzionale è espressione massima dell’individualità (perché il monarca può prendere decisioni e dare concretezza alla volontà universale). La monarchia rappresenta l’unità dei poteri dello stato e non ha alcuna origine divina.
Lo Stato si forma in tre momenti dialettici: il diritto statale interno, il diritto statale esterno, la storia del mondo.
Del primo momento, il diritto statale interno, ci siamo occupati fin’ora.
Il secondo momento, che concerne le relazioni fra stati, è il diritto statale esterno. Viene meno la solidarietà e fra gli stati si instaura un rapporto simile a quello dello stato di natura in cui, essendo ogni stato autosufficente, i loro rapporti non sono regolati da altro che dalla loro volontà particolare. Non esiste una volontà univerale che regoli il diritto internazionale, così non è possibile che tra gli stati regni una pace perpetua come sotenenva Kant: per Hegel è leggittimo ricorrere alla guerra quando viene meno l’accordo fra gli stati.
I popoli domininati e la storia universale
Il terzo momento della dialettica dello stato è la storia del mondo.
Lo spirito del mondo è il giudice fra gli stati e si sviluppa nel tempo incarnandosi in popoli diversi. Il popolo che in quel momento è incarnato dallo spirito del mondo è il popolo dominante.
Come lo spirito è il giudice, così la storia del mondo è il tribunale del mondo.
Scopo della storia del mondo è arrivare alla realizzazione della libertà, che avviene quando riescono ad affermarsi completamente i principi dell’eticità. Lo spirito del mondo guida la storia in questa direzione attraverso il conflitto tra i popoli che, di volta in volta, incarnano lo spirito del mondo.
In questo modo, mentre credono di operare per scopi individuali o collettivi, i popoli agiscono quali strumenti per la realizzazione della libertà della ragione nella storia: questo processo è chiamato da Hegel astuzia della ragione.
Il processo che porta all’attuazione di questa libertà è scandito in quattro
momenti, ad ognuno dei quali corrisponde un diverso popolo dominante, la cui ubicazione si sposta mano a mano verso occidente.
Il primo regno è quello orientale, basato sul dispostismo (libertà di uno solo), secondo il regno greco, dove si afferma la bella eticità come libertà di pochi, terzo il regno romano, in cui l’individuo è un’astratta persona giuridica, ultimo il regno germanico che, nato con il cristianesimo e quindi con il mostrarsi dell’infinito nel singolo, è “ l’assoluto orgoglio della soggettività”.
L’autoconoscersi dell’idea e lo spirito assoluto: l’arte
Ultima sezione della filosofia dello spirito è lo spirito assoluto, che mira alla fondazione delle più alte manifestazioni dello spirito umano: l’arte, la religione e la filosofia.
Nello spirito assoluto l’idea (che nello spirito oggettivo si era affermata come libertà) giunge a conoscere sé stessa, come essenza della realtà naturale e spirituale.
Arte, religione e filosofia non si distinguono per il loro contenuto (è sempre l’assoluto), ma per la forma con cui conoscono l’assoluto: per l’arte è l’intuizione sensibile, per la religione sono il sentimento e la rappresentazione, per la filosofia il concetto.
L’arte coglie l’assoluto in forma immediata ed è prodotta dallo spirito. Poiché però le opere d’arte non sono propriamente pensieri o concetti, esse rappresentano il momento dell’alienazione del concetto nel sensibile. L’arte è legata alla dimensione sensibile e contemporaneamente a quella spirituale: il contenuto sensibile del’opera d’arte viene trasformato dall’artista nell’espressione di un concetto. Lo studio dell’arte dunque coglie l’universalità del pensiero nella particolarità del sensibile.
La storia dell’arte si sviluppa attraverso tre stadi: arte simbolica, arte classica e arte romantica.
L’arte simbolica (antico Egitto e Oriente) è caratterizzata da un’inadeguata espressione sensibile del concetto. Questa inadeguatezza è dovuta al fatto che il pensiero non è ancora in grado di elaborare autonomamente i concetti, che dunque non sono ancora esprimibili in forma sensibile.
L’arte classica è propria dell’antica Grecia e rappresenta il prefetto equilibrio tra concetto ed espressione sensibile.
L’equilibrio si spezza nell’arte romantica (Europa cristiana e moderna) che ribalta la situazione dell’arte simbolica: ora è eccessivo il contenuto concettuale che non riesce ad essere espresso in forma sensibile. Il mondo moderno a sua volta rappresenta la “morte dell’arte”: non nel senso che il cammino dell’arte è destinato ad arrestarsi, ma perché si è esaurita la funzione dell’arte come sapere assoluto, perché non riesce più a riflettere compiutamente il vero.
Ai momenti della storia dell’arte è legato il sistema delle singole arti, divise in arti la cui forma sensibile è percepita dalla vista (architettura, scultura, pittura) e dall’udito (musica e poesia).
L’architettura è da collegarsi all’arte simbolica, la scultura all’arte classica, la pittura, la musica e la poesia sono proprie dell’arte romantica.
Rispetto ad architettura e scultura, la pittura ritrae in modo più astratto l’elemento sensibile. Per questa sua capacità riesce a tradurre in immagine ogni concetto.
La musica è il mezzo espressivo più idoneo allo spirito, perché si libera dalla dimensione spaziale del sensibile.
Nella poesia non si parla di materiale sensibile esterno ma interno, dei sentimenti. E’ difficile conciliare l’idea di arte come espressione sensibile del concetto con la natura rappresentativa della poesia, ma questa riesce a cogliere i concetti immediatamente e quindi attraverso immagini: nella forma della poesia l’arte va oltre sé stessa, è nel suo momento supremo.
La religione come forma rappresentativa dello spirito assoluto
La forma rappresentativa, comunque, è più propria della religione, che rappresenta (o racconta) Dio, ossia la verità stessa.
Su questa base Hegel critica il deismo illuministico: questo infatti limita l’esperienza religiosa ad un campo intellettualistico, mentre questa dovrebbe essere il veicolo attraverso cui tutti gli uomini entrano in rapporto con la verità e l’assoluto.
Criticata anche la concezione romantica della religione che pone alla sua base il sentimento, mentre la religione si fonda sulla rappresentazione di un concetto.
Come per l’arte viene analizzato lo sviluppo storico delle religioni, che culmina con il cristianesimo che ha il più ricco contenuto concettuale.
Il compito di una scienza filosofica della religione è di fondare razionalmente ciò a cui il cristiano crede per fede.
Filosofia, sistema filosofico e storia della filosofia
La filosofia conosce in modo concettuale e dunque è il momento conclusivo della Filosofia dello Spirito. Nella filosofia lo spirito assume sé stesso come oggetto di conoscenza e non è limitato da alcuna forma: non ha bisogno di rappresentazione o di una forma sensibile, ma usa direttamente il concetto.
Occorre precisare comunque alcuni punti:
1. Anche se la filosofia è trattata con precisione solo in quest’ultimo punto, il sistema fin qui presentato è filosofico in ogni sua parte.
2. Tutto il sistema è organizzato in modo ordinato filosoficamente secondo tre sillogismi: logica-natura-spirito, con funzione didattica; natura-spirito-logica, per il conoscere soggettivo; spirito-logica-natura, il sillogismo più filosofico, in cui il termine medio è rappresentato dalla logica (vuol dire che il pensiero è il principio unitario che si scinde nella parte spirituale e naturale).
3. Il rapporto tra sistema filosofico e storia della filosofia: ogni filosofia confuta la precedente come in un processo dialettico. La filosofia che segue rappresenta un tempo (tempo storico della filosofia) più maturo dello spirito, il cui nuovo pensiero viene ordinato dalla filosofia.

Esempio