Hegel

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Testo

La dialettica Hegeliana
Passiamo ora ad esaminare il periodo di Jena e i suoi scritti: il più importante è senz'altro la Fenomenologia dello spirito , ma spicca anche la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling , in cui Hegel si schiera dalla parte del maestro Schelling e della sua filosofia contro Fichte, il cui idealismo viene visto come eccessivamente soggettivo. Ma l' 'idealismo', nel suo significato originario, mette in discussione l'esistenza autonoma dell'oggetto e, in ultima istanza, tende a dire che soggetto e oggetto sono la stessa cosa, ossia che vi è identità tra i due: e questo vale per tutti e tre i grandi idealisti (Hegel, Schelling e Fichte), accomunati dalla critica a Kant per l'aver mantenuto divisioni nella realtà (oggetto/soggetto, essere/dover essere, noumeno/fenomeno, ecc) e per non essere stato in grado di trovare un unico principio . Per Fichte, però, l'oggetto esiste nella misura in cui è posto dal soggetto, il quale riveste così un ruolo più importante rispetto all'oggetto stesso. Se l'aspetto centrale dell'idealismo risiede nell'identità assoluta tra soggetto e oggetto, allora è evidente che Hegel preferisca Schelling e la sua Filosofia dell'identità, per la quale l'intera realtà è riconducibile ad un unico principio che non è nè natura nè spirito, nè oggetto nè soggetto, bensì sta a monte di ogni frantumazione. L'errore di Fichte sta nell'aver sbilanciato tale identità verso il soggetto, unico vero attore del processo di identità. L'idealismo schellinghiano, al contrario, è più equilibrato: è vero che il soggetto pone l'oggetto, ma è anche vero che dall'oggetto viene fuori il soggetto, con la conseguenza che vi è un'identità assoluta tra i due. In realtà, leggendo la Differenza dei sistemi filosofici di Fichte e di Schelling con il senno di poi, ci si accorge che l'adesione hegeliana alla filosofia di Schelling è più apparente che reale: certo lo preferisce a Fichte, però Hegel sta già imboccando una strada nuova rispetto a quella di Schelling. Anche per lui, come per Schelling, ' il vero è l'intero ' ( Fenomenologia dello spirito ), ovvero la verità più profonda la si trova nel superamento delle differenze, con l'idea di un Assoluto che non è nè oggetto nè soggetto, però comincia ad affiorare la necessità (che accompagnerà Hegel per tutta la sua vita filosofica) che all'interno dell'Assoluto, ovvero all'interno della realtà unitaria, le differenze non debbano essere perse (come è in Schelling), ma debbano invece essere mantenute e riconosciute. Se gli Illuministi sbagliano a concepire la realtà astrattamente come un agglomerato di parti indipendenti le une dalle altre, allo stesso modo sbaglia l'organicismo di Schelling a concepire la realtà come un tutto in cui non si distinguono le parti : Hegel respinge nettamente la concezione astratta degli Illuministi e vede la realtà in chiave concreta, convinto che ogni parte si spieghi solo facendo riferimento al tutto, così come in un albero ogni singola parte (le foglie, le radici, i rami, ecc) esiste e ha una sua funzione solo se si fa riferimento al tutto, cioè all'albero stesso; tuttavia nella concezione concreta cui Hegel fa riferimento le parti, anche se inserite nel tutto, non perdono il loro significato autonomo (come avviene in Schelling). In altri termini, Hegel ci chiede di capire ogni parte in funzione del tutto, ma ciò non toglie che le singole parti continuino ad esistere nel tutto, differenti fra loro : per tornare all'immagine dell'albero, le singole parti si spiegano solo facendo riferimento al tutto, ma il tutto si spiega come unione delle singoli parti che restano distinte le une dalle altre . Così l'astrattismo illuminista, che vede il proprio baluardo conoscitivo nell'intelletto come capacità di distinguere le parti, sbaglia allo stesso modo dell'organicismo schellinghiano, che nel tutto non coglie parti differenti: sbagliano gli Illuministi a vedere nell'albero solo le singole parti, sbaglia Schelling a vedere l'albero senza le singole parti. Bisogna dunque saper cogliere le parti nel tutto . Ecco dunque che a distinguere Hegel da Schelling è la convinzione che si debba, sì, cogliere il tutto, ma anche le parti nel tutto, poichè il tutto è veramente tale nella misura in cui deriva dai rapporti che legano le singole parti . L'Assoluto cui perviene Schelling è invece un tutto in cui non si distinguono parti, una notte in cui tutte le vacche sono scure, ovvero un qualcosa in cui le singole parti si perdono confusamente nel buio del tutto. Hegel critica anche aspramente l'uso limitato dell'intelletto: da solo, esso non basta, bensì è necessario l'ausilio della ragione la quale ricollega a formare un tutto ciò che l'intelletto ha separato. Sempre nella Fenomenologia, Hegel spiega che se è legittimo, e anzi necessario, l'uso dell'intelletto e della ragione, è invece vietato l'uso dell'intuizione, ovvero la pretesa di cogliere per intuizione artistica (come ha fatto Schelling) il principio unitario: Schelling arriva immediatamente (con un colpo di pistola, dice Hegel) all'Assoluto come punto di partenza del ragionamento, e da lì deriva in qualche maniera le varie differenze che ci sono nella realtà. Il percorso che fa Hegel è opposto ed esula dalla pretesa di cogliere l'Assoluto immediatamente. Tale percorso è così articolato:
• analizzare con l'intelletto le differenze della realtà
• identificate tali differenze, cogliere le relazioni che le mettono in collegamento le une alle altre
• costruire con tali relazioni la totalità, vedendo come cose diverse e anche opposte si richiamano ad un unico principio
• e arrivare dunque all'Assoluto (come punto d'arrivo e non di partenza), all'identità tra soggetto e oggetto, identità in cui però si colgono ancora le singole parti.
Si tratterà di un superamento delle differenze nel senso che si coglieranno i legami che intercorrono tra esse e le si vedranno come espressioni di un'unità, un'unità però in cui le differenze tra le singole parti vengono mantenute. Questa è, in sostanza, la critica che Hegel muove a Schelling nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito . Sempre al periodo di Jena appartiene un curioso saggio, intitolato Fede e sapere , in cui Hegel critica, tra l'altro, la rivalutazione unilaterale di Jacobi poichè si tratta di una sorta di intuizione mistica dell'Assoluto: questo scritto testimonia l'avversione hegeliana per ogni genere di intuizione, sia artistica sia religiosa. Nella Costituzione della Germania , invece, Hegel esordisce con l'amara constatazione che ' la Germania non è più uno Stato ' e, sulla scia di Fichte, pone il problema di una Germania frammentata all'indomani delle vittorie napoleoniche che deve costituirsi per poter dominare. Va sottolineato un aspetto importante: Hegel sostiene in questo scritto che i Tedeschi non saranno mai un popolo finchè non avranno un esercito. Questa affermazione, che testimonia la grande sensibilità hegeliana per la realtà esterna (sensibilità assente nel Romanticismo), distanzia Hegel dal Romanticismo, poichè il filosofo dice esplicitamente che un popolo non è un mero fatto culturale (come sembrava sostenere Fichte), ma, al contrario, un popolo è tale quando ha i presupposti adatti (l'esercito) per essere un popolo. Passiamo ora ad esaminare la DIALETTICA hegeliana, risolta dal pensatore nella triade (già usata, anche con maggior frequenza, da Fichte) tesi (dal greco tiqhmi , pongo ), antitesi (dal greco antitiqhmi , pongo contro ) e sintesi (dal greco suntiqhmi , pongo insieme ). La realtà per Hegel è dinamica, e può esserlo sia nel tempo sia fuori dal tempo: si può parlare di trasformazioni temporali (che avvengono cioè nel tempo), ma ci si può anche riferire a trasformazioni di concetti, nel senso che un concetto porta, hegelianamente, ad un altro concetto e lo fa in maniera atemporale: proprio come quando effettuiamo l'operazione 2+2=4 si tratta di una trasformazione che noi facciamo nel tempo ma che di per sè è atemporale. Dire che la realtà è dinamica, dunque, non vuol necessariamente dire che si svolge nel tempo. Hegel è convinto che la dinamicità investa ogni ambito della realtà, dalla realtà del pensiero (studiata dalla logica) ovvero la trasformazione dei concetti gli uni negli altri, alla realtà della natura (studiata dalla filosofia della natura) e alla realtà umana (lo spirito) come, ad esempio, la storia. Le leggi che regolano tali trasformazioni sono identiche in qualsiasi ambito noi le esaminiamo: saranno le stesse leggi nella realtà del pensiero, in quella della natura e in quella dello spirito. In particolare, spiega Hegel, le leggi che regolano il pensiero sono le stesse che regolano la realtà : già Aristotele l'aveva sostenuto secoli addietro, senza però riuscire a spiegare il perchè. In una prospettiva idealista (quale è quella hegeliana) in cui oggetto e soggetto sono la stessa cosa, risulta evidente che anche il pensiero e l'essere siano la stessa cosa (come già aveva sostenuto Parmenide). Si tratta dunque di esaminare tali leggi: in realtà ve ne è una sola, di cui le altre non sono altro che sottoformulazioni; essa è la 'dialettica', parola usata per la prima volta da Zenone di Elea e che designa un dialogo in movimento, un confronto di posizioni (dal greco dia + logoV , 'dialogo che va da una parte all'altra' ). Ora, essendo Hegel, da buon idealista, convinto che realtà e pensiero siano la stessa cosa, è evidente che anche le leggi che presiedono all'andamento del pensiero e all'andamento della realtà siano le stesse. Fu Platone il primo ad usare una dialettica della realtà, un richiamo reciproco di quelle che lui chiamava 'idee'. Per Hegel è la stessa cosa: 'dialettica' è sì il modo in cui la ragione opera, ma è anche il modo in cui funziona la realtà . Esaminiamo prima la dialettica come dialogo, come modo di procedere del pensiero: per far emergere la verità, Socrate faceva dare al suo interlocutore una definizione di un qualcosa, la criticava e dalla critica distruttiva emergeva una seconda definizione che teneva conto delle critiche mosse; poi se ne dava una terza, e così via. Ora, in questa definizione abbiamo un esempio di dialettica: di tesi, di antitesi e di sintesi. La prima definizione data dall'interlocutore corrisponde alla tesi, ovvero si 'pone', si definisce qualcosa e può trattarsi sia di realtà sia, come nel caso che stiamo esaminando, di pensiero. Dopo la tesi, la si critica e la si nega (antitesi), ma tale negazione non è solo negativa ( ogni negativo è anche positivo ) poichè fa emergere nuove definizioni di volta in volta depurate dagli elementi contradditori. Con l'antitesi, ovvero con la negazione della tesi, si arriva ad una nuova definizione, ma non si tratta più di una tesi giacchè tiene conto sia della prima definizione (tesi) sia della critica ad essa mossa (antitesi): si tratterà dunque della sintesi, ovvero di una composizione che tiene conto sia della tesi sia della antitesi (e anzi, le sintetizza) per giungere ad una nuova tesi più corretta. In altri termini, se la tesi era una definizione e l'antitesi era la negazione di tale definizione, la sintesi (e qui sta la cosa interessante) presenta un pò della tesi e un pò dell'antitesi, ma visto che la sintesi nega la negazione della tesi (ovvero nega l'antitesi), allora la sintesi è una negazione della negazione. Si riproporrà la definizione data in origine, però tenendo conto delle critiche ad essa mosse. Possiamo fare un esempio del procedimento dialettico del pensiero analizzando il passaggio dai Presocratici ai Sofisti e, infine, a Platone. I Presocratici hanno proposto delle verità e rappresentano la tesi; i Sofisti le hanno negate e rappresentano l'antitesi; Platone ripropone tali verità tenendo conto delle critiche mosse ad esse dai Sofisti. Platone non dà ragione nè agli uni nè agli altri ma è comunque più vicino ai Presocratici perchè non si limita a distruggere, bensì presenta delle verità, anzi presenta le verità dei Presocratici ad un livello più alto, avvalendosi della negazione e della critica mossa dai Sofisti come punto d'appoggio per salire. Come i camosci, per salire dalle pareti rocciose a strapiombo, rimbalzano da una parete all'altra salendo a zig zag, così rimbalzando da una parte all'altra con affermazioni e negazioni non si resta ad un livello stazionario, non si torna di volta in volta al punto di partenza, bensì si sale un poco alla volta. E la posizione di Platone risulta più matura rispetto a quella dei Presocratici grazie alle critiche mosse dai Sofisti: è una sorta di processo circolare, ma a spirale poichè non si torna mai al punto di partenza, bensì ad ogni spira il livello è salito di un pò. Questo gioco per cui si sale un pò alla volta è ben espresso dall'uso hegeliano di una parola tedesca: Aufhebung , che potremmo tradurre con 'superamento', ma che può essere tradotto ancora più adeguatamente dal 'tollere' latino, nella sua duplice accezione di 'togliere' e di 'sollevare'. Infatti, il superamento è il processo per cui, nello sviluppo dialettico della realtà, ogni cosa viene tolta e conservata, ovvero tolta e sollevata (cioè riproposta ad un livello più alto). Ecco perchè le discussioni di Platone rappresentano un superamento della posizione presocratica e sofistica: si eliminano (togliere) le posizioni precedenti, ma vengono, per così dire, conservate e riproposte ad un livello più alto (sollevare): in poche parole, si toglie e si mantiene ad un livello superiore . I 3 momenti della dialettica Hegel li definisce tesi, antitesi e sintesi, ma ancor più spesso chiama 'momento intellettuale' la tesi, e momenti razionali l'antitesi e la sintesi, dove l'antitesi (1° momento razionale) è momento razionale in senso stretto, mentre la sintesi (2° momento razionale) è momento speculativo. Definisce la tesi come momento intellettuale a sottolineare l'egemonia dell'intelletto in questa fase della dialettica: l'intelletto definisce, stabilisce limiti e ritaglia la realtà, facendo vedere le cose le une indipendenti dalle altre. L'errore degli Illuministi consiste nell'essersi fermati all'intelletto, senza passare alla seconda fase della dialettica ( 1° momento razionale ), quella in cui subentra la ragione: essa rivela che, in un gioco di contrapposizioni, ogni cosa può essere capita solo se vista insieme a quelle da essa differenti e ad essa opposte. Già Eraclito aveva notato come il concetto di salute non fosse comprensibile se non in riferimento al concetto opposto, di malattia, e aveva sottolineato che la strada in salita è anche in discesa, a seconda di come la si guardi; ora Hegel fa notare, sulle orme di Eraclito, che il concetto di unità e di molteplicità si richiamano a vicenda, sicchè non è possibile capire cosa sia l'unità se non in riferimento alla molteplicità, e viceversa. L'intelletto mi dice che l'unità è una cosa, la pluralità un'altra. La ragione, nella seconda fase della dialettica, mi dice che c'è richiamo tra le due cose ed è, propriamente, il più dialettico dei tre momenti poichè è il più dinamico in quanto si attua un meccanismo che vivacizza la realtà facendo sì che i concetti si richiamino a vicenda. Con il terzo momento della dialettica ( 2° momento razionale ), dopo aver colto la realtà astrattamente con l'intelletto e dopo aver colto con la ragione i giochi di rimando tra i vari concetti, riesco a costruire il sistema in cui le parti vivono nel tutto: si ha così un'unità del molteplice. E' interessante notare come nella categoria kantiana di quantità vi fossero la pluralità, l'unità e la totalità, quasi come se Kant avesse già colto embrionalmente il processo ora descritto da Hegel. Egli ci tiene a sottolineare che la negazione della tesi non è mai assoluta (del tipo 1-1=0), bensì è 'determinata', ovvero si eliminano solo gli aspetti che risultano contradditori. Il processo, come accennato, vale per il pensiero ma anche per la realtà in quanto tutti e due hanno le stesse leggi: un seme, per poter diventare pianta, deve morire come seme, ovvero passare per la negazione del seme e per la negazione della negazione, per poter così vivere come pianta. Allo stesso modo, nota Hegel, Gesù dovette morire per poter realizzare la sua missione. Hegel, smorzati gli entusiasmi iniziali, prova cordiale antipatia per la Rivoluzione Francese, ma riconosce ad essa il merito di aver eliminato il vecchio stato stagnante: ecco perchè, pur essendo un momento negativo della storia del genere umano, essa si colora anche di positivo. Abbiamo citato l'esempio del seme per spiegare la dialettica; Hegel ne adduce un altro, quello della zoologia, ovvero dello studio sistematico del mondo animale. Non sarà zoologia nè il limitarsi a catalogare tutte le bestie come 'animali' con un colpo di pistola alla Schelling, nè guardare astrattamente ad ogni singola specie come se fosse indipendente dalle altre, come fanno gli illuministi. Si dovranno invece analizzare con l'intelletto le specifiche differenze nei generici animali e riconnetterle all'interno della totalità, cogliendo le relazioni che intercorrono tra una specie e l'altra. E' curioso il fatto che la filosofia di Hegel ebbe un così forte impatto sulla cultura del tempo che perfino in ambito musicale trovò una sua esposizione: le grandi sinfonie dell'Ottocento, infatti, tendono a riproporre sul finale le stesse melodie iniziali ma innalzate ad un livello superiore, come se vi fosse stato un superamento dialettico.

LA FILOSOFIA DELLA NATURA
La filosofia della natura, illustrata nell' Enciclopedia delle scienze filosofiche , è la seconda parte del sistema hegeliano. La prima parte di esse, la logica, riguarda l'Idea in sé, considerata nella forma del pensiero puro. Per oggettivarsi, per essere oggetto a se stessa, l'Idea deve quindi uscire dall'"in sé", esteriorizzarsi, diventare "altro" rispetto al pensiero puro. Questa "Idea nella forma dell'essere altro" è la natura . Se il pensiero puro (l'Idea in sé) è universalità, necessità, unità, la natura (l'Idea fuori dal sé) è, al contrario, particolarità, accidentalità, dispersione, "per sé". La natura è infatti caratterizzata dall'estraneità non solo nel senso che essa è "altro" rispetto al pensiero puro, ma anche nel senso che è estrinsecità in se stessa, ossia dispersione di momenti particolari che non trovano un principio e una legge unitari. Però anche la natura, come le altre parti del sistema, obbedisce ad uno schema dialettico. Infatti, essa si presenta come ' un sistema di gradi di cui l'uno esce dall'altro necessariamente ed è la prossima verità di quello da cui risulta '. Questi , che sono poi 3, costituiscono una gerarchia in cui si rivela un progressivo passaggio dall'estrinsecità all'unitarietà attraverso il graduale affermarsi di quell'elemento dell'individualità che troverà il suo più proprio campo di applicabilità nell'ultima parte del sistema hegeliano, la filosofia dello spirito. La filosofia della natura in Hegel ha dunque una funzione prevalentemente sistematica: essa è il necessario momento di passaggio della logica alla filosofia dello spirito, ossia dal pensare che non ha un oggetto esterno a sé, all'autocoscienza dell'Assoluto come unità sostanziale di soggetto e oggetto, di pensiero e realtà, di finito ed infinito. Ma questo passaggio può avvenire soltanto attraverso la negazione dell'Idea in sé, attraverso l'esperienza di quel che non è pensiero puro, di quel che è puro oggetto senza soggetto, ossia appunto la natura. Il primo grado della natura è la meccanica , che rappresenta il momento dell'estrema particolarità ed estrinsecità. In essa, infatti, l'unità della forma è imposta soltanto dal di fuori, attraverso leggi astratte (le leggi del movimento della materia) e concetti anch'essi astratti (come lo spazio ed il tempo). Il secondo momento è la fisica , nella quale, attraverso la sostituzione dell'analisi qualitativa a quella quantitativa, comincia a sorgere l'individualità, dapprima come " individualità universale " (le qualità fisiche degli elementi fondamentali), poi come " individualità particolare " (le qualità fisiche considerate nei singoli oggetti: peso specifico, coesione, suono, colore) ed infine, come " individualità totale " (le qualità fisiche considerate come espressioni particolari di tutta la natura: la struttura dei corpi, il magnetismo, l'elettricità, il chimismo). Il terzo grado è la fisica organica , in cui emerge l'elemento dell' " individualità soggettiva " tenuta su da un'unità che presenta già caratteri ideali. I tre momenti interni alla fisica organica ( natura geologica, natura vegetale, natura animale ) sono interpretati in chiave teologica e vitalistica , in modo da essere finalizzati gerarchicamente alla realizzazione dell'individualità soggettiva, la quale trova piena espressione soltanto laddove le parti animate diventano membra di un unitario organismo animale. Hegel è fortemente polemico con le concezioni romantiche della natura . Rispetto ad esse egli dissente su due punti fondamentali. In primis, egli non accetta l'identificazione della natura con Dio (o comunque in riconoscimento di un carattere divino della natura). Questo equivarrebbe a identificare la natura con la sostanza infinita, mentre per Hegel essa rappresenta soltanto una "caduta", una "negazione" ( per quanto necessaria per la successiva realizzazione dialettica dello spirito ) rispetto alla purezza dell'Idea in sé. In secondo luogo, Hegel non condivide la concezione romantica e soprattutto propria di Schelling di una natura sostanzialmente convergente con lo spirito: al contrario, per lui spirito e natura si oppongono e lo spirito non può sorgere se non laddove la natura in quanto tale (ovvero in quanto non-pensiero, in quanto esteriorità e occidentalità ) viene negata e risolta in un momento interno all'Idea. In comune con la filosofia romantica della natura, Hegel ha invece la profonda ostilità alla tradizione newtoniana che aveva imparato nel Settecento. La fisica newtoniana (e, prima ancora, galileiana) era fondata sulla convergenza di due metodi: metodo empirico e metodo matematico. Nessuno dei due piace ad Hegel. All'esperienza egli oppone il metodo speculativo, che non si limita a connettere rapsodicamente le testimonianze della sensibilità, ma definisce ogni aspetto particolare della realtà mediante il suo rapporto con il tutto inteso come sostanza infinita ed assoluta. Al metodo matematico, che impone agli oggetti una razionalità astratta ed estrinseca, Hegel sostituisce il metodo dialettico, che mostra l'intrinseco derivare di un aspetto dall'altro in una reciproca relazione di opposizione e di unità. Inoltre, tanto l'esperienza quanto la matematica hanno il comune difetto di accontentarsi del fato, sia esso sensibile (come nel caso dell'esperienza), sia esso intuitivo (come nel caso della matematica), che esse assumono ingiustificatamente come punto di partenza: al contrario la filosofia speculativa, con il suo metodo dialettico, fornisce un fondamento assoluto ad ogni aspetto della realtà, riconducendolo, attraverso successive mediazioni, alla totalità infinita (che ovviamente, per Hegel, è fondata su se stessa).

LE CATEGORIE DELLA LOGICA
La Scienza della logica si divide in tre parti, che riguardano rispettivamente la "logica dell'essere", la "logica dell'essenza" e la "logica del concetto". L'opera principia infatti dal concetto di essere , il quale, essendo il concetto più indeterminato e non presupponendo quindi per la propria determinazione nessun altro concetto (ma, viceversa, entrando nella determinazione di tutti gli altri), può costituire il "cominciamento" della scienza della logica. L'essenza di cui parla Hegel, infatti, è l'essere di Parmenide, assolutamente privo di determinazioni: è l'essere di cui non si può dire altro se non che è. Ma un essere così indeterminato (ossia l'essere che non è "nulla" di determinato) si traduce o, come Hegel si esprime, "trapassa" nel suo opposto, nel concetto di nulla . La separazione di essere e nulla è dunque soltanto apparente: in realtà (il che sfuggì a Parmenide, il quale irrigidì intellettualisticamente la loro opposizione) essi sono i due momenti, anche se opposti, di un' unica realtà. Questa loro sintesi, come ben aveva afferrato Eraclito, primo esponente del pensiero dialettico, è il divenire . Il divenire, superando l'indeterminatezza dell'essere e del nulla, conduce all'essere determinato , ovvero all'"alcunché", alla cosa che è questo e non è altro. La determinazione dell'alcunché deriva appunto dal fatto che esso si oppone all'"altro", a quel che è determinato diversamente da sé; esso è determinato in quanto viene "definito", limitato dall'altro, ossia in quanto è finito . L'insieme di tutti gli esseri determinati (ovvero degli aspetti finiti della realtà) è un infinito . Al concetto di infinito Hegel dà quindi un significato peculiare. L'infinito non è un processo senza termine e senza compimento, così come lo intendeva Fichte, per il quale l'Io ricomprende in sé all'infinito il Non-io. Questo per Hegel è il "cattivo infinito", che non è mai la totalità, perché lascia sempre risorgere qualcosa che è al di fuori di esso. Il vero infinito è una totalità conchiusa in se stessa : è la totalità infinita di tutti i finiti, la cui infinitezza deriva proprio dal fatto di non lasciare fuori di sé nulla, cioè di non essere più "de-finito" da nessun' altra cosa. La rappresentazione grafica del cattivo infinito è la retta, che in realtà non è mai data, in quanto prolungabile indefinitivamente; quella dell'infinito autentico è il cerchio, " la linea che ha raggiunto se stessa, che è conchiusa e tutta presente, senza inizio né fine " . Naturalmente questo vuol dire che il finito non ha un'esistenza propria, ma è soltanto un momento dell'infinito: in termini più hegeliani, la realtà del finito è soltanto ideale, mentre reale è solamente la totalità infinita. L'unica vera, infinita realtà è l'idea, la Ragione assoluta che ricomprende in sé ogni determinazione della realtà. La seconda parte della Scienza della logica , riguardante la "logica dell'essenza", si apre con l'espressione: " La verità dell'essere è l'essenza " ; con questa asserzione Hegel intende dire che l'essenza è l' essere considerato non nella sua immediatezza (come nella "logica dell' essere"), ma come oggetto della riflessione, del pensiero che lo conosce nella sua verità. Le articolazioni fondamentali di questa parte sono l' essenza come appare in se stessa, nella "riflessione" del pensiero (dove il termine "riflessione" perde la connotazione negativa che aveva nelle prime opere hegeliane, non riferendosi più soltanto all' attività "astratta" dell' intelletto, ma esprimendo piuttosto la funzione di "mediazione" esercitata dal pensiero in generale di contro all' "immediatezza" del dato sensibile); l' essenza come si manifesta nell' esistenza, cioè il fenomeno; e la realtà effettiva come unità di essenza e di esistenza. Anche in questo caso non è ovviamente importante seguire il succedersi delle varie determinazioni dell' essenza. Soffermiamoci dunque soltanto sulle categorie della prima sezione, corrispondenti a quelle che la logica tradizionale considerava "leggi universali del pensiero". La prima determinazione è quella dell' identità, per cui ogni essenza viene riferita soltanto a se stessa, appunto come identica a se stessa. La vera identità, per Hegel, è però soltanto quella conseguita dialetticamente, attraverso la negazione e il ritorno in sè dell' identico. Il "principio di identità" su cui tradizionalmente si fonda questa categoria non è dunque sufficiente, dal momento che si limita all' affermazione dell' immediatezza, ovvero a una pura e semplice tautologia (A = A). Il conseguimento della vera identità deve dunque passare attraverso la negazione dell' identità, cioè attraverso la differenza. Quest' ultima si manifesta dapprima come diversità, intesa come differenza immediata, ancora indeterminata; poi si traduce in opposizione, cioè differenza determinata da un oggetto che si pone, o meglio, si oppone, come "altro"; infine, come contraddizione, nella quale si chiarisce che gli opposti, se da un lato si negano vicendevolmente, essendo l' uno il contrario dell' altro, d' altro lato si "pongono" vicendevolmente, dal momento che l' uno esiste in quanto esiste l' altro. Se nella logica aristotelica la contraddizione comporta l' esclusione di uno dei termini contradditori, in quanto inconciliabile con l' altro, in quella hegeliana essa diventa la condizione stessa della determinabilità dell' oggetto: l' elemento contradditorio è quel che, essendo affermato in uno degli opposti e negato nell' altro, li lega insieme e permette di scorgere la loro essenziale unità a un livello superiore a quello dell' opposizione. Alla logica della non-contraddizione della tradizione aristotelica Hegel oppone la logica della contraddizione. E così la contraddizione non dev' essere rimossa ma, al contrario, riconosciuta come fondamentale: infatti, l' ultima categoria della riflessione, il fondamento, non è altro che la contraddizione "risolta" in una superiore unità. L' ultima parte della Scienza della logica è "la logica del concetto ", che comporta l' unione dell' essere (immediato) e dell' essenza (riflessa), consentendo in questo modo l' intelleggibilità dell' essere. A sua volta, questa parte si divide in: 1) dottrina della soggettività (o del concetto formale), nella quale si esaminano gli elementi in cui si articola l' attività del soggetto pensante: il concetto, il giudizio, il sillogismo (che in questa sede non possono essere oggetto di trattazione); 2) dottrina dell' oggettività, che riguarda i diversi momenti dello sviluppo dell' oggetto del pensiero, cioè la natura: meccanismo, chimismo, teologia (temi ripresi più ampiamente nella "filosofia della natura"); 3) dottrina dell' Idea, intesa come "unità assoluta del concetto e dell' oggettività", cioè come realtà razionale considerata nella sua totalità.

LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO SOGGETTIVO
Dopo essersi estraniata dalla natura, l'Idea può portare a compimento il circolo dialettico ritornando in se stessa arricchita dall'esperienza della negazione. Al temine di questo processo, infatti, l'Idea non è più soltanto in sé , mero pensiero primo di oggettivazione, ma in sé e per sé : "pensiero puro" e "natura" sono ormai congiunti in una concreta realtà, nella qualche le categorie del pensiero astratto sono dispiegate nelle loro determinazioni oggettive. L'Idea che ha questa consapevolezza di sé, come "in sé e per sé", è lo spirito . La filosofia dello spirito rappresenta quindi la terza ed ultima parte del sistema hegeliano e viene illustrata nella corrispondente sezione dell' Enciclopedia delle scienze filosofiche . Essa si articola, come di consueto, in tre momenti dialettici. Il primo è lo spirito soggettivo , il quale rappresenta la consapevolezza che lo spirito ha di sé in quanto singolo individuo umano e giunge al culmine con la presa di coscienza della sostanziale liberà dell'uomo. Il secondo è lo spirito oggettivo , in cui qualche la liberà umana ( termine del processo dello spirito soggettivo) si realizza, o, appunto, si "oggettiva" nella comunità sociale e delle istituzioni. Il terzo momento è lo spirito assoluto , nel quale lo spirito acquista consapevolezza di sé come Assoluto, ossia come totalità della realtà razionale. Anche lo spirito soggettivo si divide in tre momenti interni. La sua prima determinazione è quella dell' anima , concepita come il principio vitale che è alla base dello sviluppo biologico dell'uomo. In questa fase lo spirito è ancora uno spirito naturale, dal momento che le sue manifestazioni sono ancora strettamente legate con la base naturale da cui prorompono. Però Hegel ordina tali manifestazioni in una scala progressiva che va dalle determinazioni in cui è più forte il condizionamento della natura a quelle in cui comincia a manifestarsi l'indipendenza dell'individuo da essa. L' antropologia , che è la scienza dell'anima così concepita, si occuperà quindi dapprima delle manifestazioni vitali che l'uomo ha in comune con l'intero universo o con il pianeta terra, poi dei ritmi naturali della vita dell'uomo (crescita, riproduzione sessuale, rapporto sonno-veglia come indizio dell'emergere della coscienza), poi ancora delle condizioni della vita sensitiva, per giungere, tra le ultime determinazioni, all'analisi dell'abitudine, quella "seconda natura" tramite cui l'uomo comincia a dominare la sua corporeità attraverso gli stessi meccanismi corporei, in una stretta unione di libertà e necessità. L'anima non è quindi intesa da Hegel come principio spirituale da opporsi alla materialità corporea, bensì come un principio vitale in cui natura e spirito, materia e pensiero sono ancora strettamente congiunti (di qui l'assurdità della questione se l'anima sia materiale o immateriale) anche se, in seguito alla sua evoluzione interna, essa giunge, nei suoi gradi più elevati, alle prime concrete manifestazioni di libertà spirituale. Il secondo momento dello spirito soggettivo è la coscienza , nella quale il processo di realizzazione della libertà individuale si estrinseca non più nella liberazione della natura, ma nella progressiva consapevolezza dell'unità tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. In questa sezione Hegel riprende dunque le tesi sostenute nelle prime parti della Fenomenologia dello spirito . La fenomenologia è infatti la scienza che si occupa della coscienza, e le articolazioni interne a quest'ultima sono la coscienza propriamente detta, l'autocoscienza e la ragione. Vengono invece tralasciate le ultime due determinazioni studiate nell'opera del 1807 - lo spirito (che in quell'opera significava "spirito oggettivo") e il sapere assoluto (che equivaleva a "spirito assoluto") - le quali saranno trattate nelle successive sezioni dell'Enciclopedia. Il processo fenomenologico descritto nella Fenomenologia dello spirito viene quindi ridimensionato nell'Enciclopedia, apparendo non più come l'introduzione generale alla filosofia, bensì come una parte specifica (e debitamente amputata) del sistema. Questo può voler dire che nella definizione sistematica della realtà assoluta, nella qualche ciascun momento particolare riceve la sua giusta collocazione rispetto al tutto, anche la vicenda della coscienza, che è un punto di vista particolare finché non arriva alla consapevolezza della propria identità con lo spirito, deve occupare soltanto un luogo specificatamente determinato. Ma la tensione tra le due descrizioni del processo fenomenologico lascia comunque aperti numerosi problemi interpretativi. La terza manifestazione dello spirito soggettivo è lo spirito propriamente detto, che indica qui ancora la coscienza individuale, giunta però alla consapevolezza dell'identità tre sé e il proprio oggetto. La scienza che studia le tre determinazioni dello spirito così definito è la psicologia . In primis, lo spirito appare come spirito teoretico, nel quale si sottolinea il momento della conoscenza (e quindi l'azione dell'oggetto sul soggetto). In secondo luogo, esso si manifesta come spirito pratico, nel qualche prevale il momento della volontà (e quindi l'azione del soggetto sull'oggetto). Operando la sintesi di questi due momenti, che sono dialetticamente correlati, lo spirito si conosce infine come volontà libera. Ma quest'ultima, ormai pienamente consapevole, tende necessariamente a realizzarsi nel mondo esterno a sé, cioè ad oggettivarsi: il che comporta il passaggio dallo spirito soggettivo a quello oggettivo, ossia dalla sfera dell'interiorità soggettiva al mondo oggettivo della società e delle istituzioni.

FILOSOFIA DELLO SPIRITO OGGETTIVO
Lo spirito oggettivo è il momento in cui lo spirito si realizza anche esteriormente nella concretezza delle istituzioni storicamente esistenti; ad esso Hegel dedica, oltre ad una parte dell' Enciclopedia delle scienze filosofiche , anche i Lineamenti di filosofia del diritto (1821), che sono l'unica opera di rilievo pubblicata durante il periodo berlinese. Proprio nella Prefazione dei è contenuta la famosa affermazione hegeliana relativa alla coincidenza di razionale e reale : ' ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale '. Con questo Hegel non intende dire, come talvolta si è creduto , che tutto quel che esiste è assolutamente razionale e deve esistere necessariamente: le manifestazioni particolari dell'esistenza, alle quali con compete nessuna razionalità intrinseca, sono del tutto accidentali e possono indifferentemente esistere o non esistere. Egli vuole invece sostenere che quel che è in sé intrinsecamente ed assolutamente razionale non piò non essere reale, dal momento che la ragione e la realtà sono la stessa cosa (identità di logica e metafisica). E a queste realtà intrinsecamente razionali appartengono innanzitutto le determinazioni universali dello spirito oggettivo - le istituzioni, i costumi e lo Stato. La prima determinazione dello spirito oggettivo è il alla diritto astratto o formale. Esso corrisponde in gran parte alla concezione del diritto naturale o razionale come era stata elaborata dalla tradizione giusnaturalistica (nella quale rientrano ancora Kant e Fichte). Lo scopo del diritto è infatti quello di trovare, attraverso le astratte procedure dell'intelletto, un "sistema delle libertà individuali" che consenta a ciascun individuo di oggettivare la propria volontà libera senza interferire con quella degli altri. L'individuo non è ancora concepito come membro di un organismo politico concreto, ma solo come persona giuridica, ovvero come un'essere astratto caratterizzato esclusivamente dalla facoltà di essere, appunto, latore di diritti. Il termine "persona" è qui da prendersi nella sua accezione latina originaria di "maschera teatrale": in essa quel che conta non è la vera e semplice natura dell'individuo, diversa da caso a caso, ma la semplice capacità esteriore, eguale per definizione in tutti gli individui, di compiere atti giuridicamente validi. Per questo la persona giuridica si deve esprimere in una determinazione altrettanto esteriore, che è la proprietà, così come carattere estrinseco hanno i contratti che regolano i rapporti giuridici tra individui diversi. Se nel diritto si realizza una forma di universalità astratta ed esteriore, nella alla moralità ( che è il secondo momento dello spirito oggettivo) tale universalità è completamente interiorizzata. Il protagonista della moralità è ancora l'individuo, ma esso viene qui considerano non più nella sua esteriore capacità di possedere una proprietà e di entrare in un contratto, bensì nella dimensione interiore della alla coscienza morale . La forma più alta della moralità è esemplificata dall'etica kantiana, cioè appunto dalla legge del dovere nella quale la coscienza si erge a legislatrice universale. Ma appunto perché puramente interiore, la moralità viene posta di fronte al contrasto tra il bene universale cui essa aspira e il benessere o la felicità particolare cui ogni uomo naturalmente mira; e soprattutto essa conduce al conflitto tra l'essere e il dover essere, tra la razionalità oggettiva della realtà e la razionalità ideale del comando morale. In altre parole, se il diritto appariva insufficiente a causa della sua esteriorità, della sua incapacità di coinvolgere l'interiorità dello spirito, la moralità è inadeguata perché si esaurisce nell'interiorità, senza mai conseguire una vera oggettivazione esterna. Il terzo momento dello spirito oggettivo è l' alla eticità , nella quale l'universalità non si manifesta più né come legge formale (diritto), né come identità interiore (moralità), bensì come un ordine reale che esprime la vita di un popolo. Il carattere fondamentale dell'eticità è quindi la alla concretezza , dal momento che in essa trovano conciliazione gli opposti (e in quanto tali astratti) caratteri del diritto e della moralità. In essa si esprimono insieme l'interiorità dello spirito, che anima le istituzioni e ne costituisce l'intima razionalità, e l'esteriore oggettività con cui le istituzioni operano nella vita sociale e politica di una comunità. Oltre alla concretezza, l'eticità è essenzialmente caratterizzata dall' organicità . In essa, infatti, gli individui non sono più considerati né come astratte persone giuridiche, né come semplici coscienze, bensì come membri di un tutto di cui sono parti indissolubili: la vita dell'individuo è un momento della vita stessa della comunità etica e viene da essa informata in ogni suo aspetto. L'eticità si articola a sua volta in tre momenti distinti. La alla famiglia è la prima espressione di concreta società organica: in essa gli individui non sono più atomi sociali, ma membri di uno stesso organismo. Nonostante abbia ancora un fondamento naturale (l'unione sessuale e la generazione fisica), la famiglia si spiritualizza attraverso il matrimonio e l'educazione dei figli, manifestando così la sua intima sostanza etica. Con il conseguimento della maturità da parte dei figli, la famiglia si dissolve dal punto di vista etico, preparando il passaggio alla società civile , che è la seconda determinazione dell'eticità. La società civile è infatti concepita innanzi tutto come sistema dei bisogni dei singoli individui. Si tratta cioè di elaborare un sistema nel quale i bisogni "concreti" dell'individuo, che spesso, nella loro particolarità, contrastano con quelli degli altri individui, possano essere trasformati in bisogni più generale (o "astratti") che interessino non più soltanto il singolo, ma l'intera società. A tale scopo Hegel distingue nella società civile tre diversi alla ceti o stati (nella stessa concezione del francese étais) preposti a diverse funzioni complementari. Lo " alla stato sostanziale " è quello legato alla coltivazione della terra (che è appunto la base, la "sostanza" della vita economica del paese) e riunisce in un'unica finalità i grandi proprietari terrieri e i contadini che lavorano materialmente nei campi. Lo " alla stato industriale " raccoglie tutti quelli che elaborano materie prime o provvedono alla diffusione delle merci. E, dulcis in fundo, lo " stato generale " è quello dei funzionari dello Stato, nei quali l'interesse economico privato coincide con il servizio prestato alla comunità. Per l'individuazione del sistema dei bisogni Hegel fa ampio riferimento all'opera degli economisti classici (Smith, Ricardo, Say), condividendo con essi (oltre all'analisi di alcuni problemi specifici, come la divisione del lavoro, la distribuzione del capitale, l'automazione della produzione) la netta alla distinzione tra società civile e società politica . Quest'ultima è la comunità dei cittadini (Hegel Si serve del francese citoyens ) che operano per un fine generale, e si identifica con lo Stato. Al contrario, la società civile è l'insieme degli individui privati, dei "borghesi" ( bourgeois ) che operano per i propri scopi particolari, e quindi primariamente in vista del proprio utile economico. In quanto particolari, ovvero legati ai fini del singolo privato, gli interessi economici sono originariamente in reciproco contrasto. Di qui sorge il bisogno di elaborare un sistema che trasformi la loro naturale incompatibilità in una artificiale complementarità. Il sistema dei bisogni, infatti, non rispecchia la sostanziale organicità della vita etica, ma è il prodotto artificiale di un'operazione dell'intelletto ( che costitutivamente procede per divisione del tutto in parti ) costruisce non una vera totalità (che sarebbe la realtà stessa), ma solamente un aggregato nel quale le parti sono connesse esteriormente e forzosamente le une alle altre. La stessa società civile soffre dunque di questo vizio d'origine, e appare come uno "Stato esteriore", come uno "Stato di necessità e intellettualistico" che deve risolversi nel vero Stato, il quale nasce spontaneamente dall'interno della stessa eticità, come fondamento e coronamento insieme della vita di un popolo.

LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO ASSOLUTO
Lo spirito assoluto universale si manifesta già nella vita etica dello Stato e, specialmente, nello sviluppo della storia univerale, come ' spirito del mondo ' . In questi casi però la manifestazione dell' universale e' legata alla dimensione dell' oggettivita', vale a dire dell' esteriorità del mondo politico e storico. L' idea non è ancora ritornata completamente a se', non e' ancora giunta a comprendersi nella purezza dell'elemento spirituale, che risolve in se', come una sua componente, l' oggettivita' del mondo storico-politico. Questo accade soltanto nel terzo ed ultimo momento del processo dello spirito, che Hegel designa con il nome dello spirito assoluto . Lo spirito assoluto e' la ragione infinita che diventa finalmente consapevole di se stessa, dopo essere passata per le sue determinazioni finite ed averle progressivamente conosciute come tali: pertanto esso non si contrappone al finito come qualcosa di trascendente ad esso, ma non e' che lo stesso finito che si comprende come infinito o, meglio, come totalità dialettica dei finiti. Lo spirito assoluto si articola in tre momenti: l'arte, la religione e la filosofia. Oltre che nelle corrispondenti sessioni dell' Enciclopedia , arte, religione e filosofia sono trattate anche nei corsi universitari che Hegel dedico' loro in modo specifico: le Lezioni sull'estetica , le Lezioni sulla filosofia della religione , le Lezioni sulla storia della filosofia . Il contenuto delle tre determinazioni dello spirito assoluto e' sempre lo stesso, dal momento che unico e' il loro oggetto: l'Assoluto, l'infinito , in termini religiosi, Dio. Ogni momento dello spirito assoluto coglie però l'infinito in una forma diversa, piu' o meno adeguata ad esprimerlo. Sulla base di questa maggiore o minore adeguazione della forma espressiva si sviluppa anche l'ordine di successione dell'arte, della religione e della filosofia. L' arte e' il momento in cui l'assoluto viene colto in forma immediata, attraverso l' intuizione sensibile. Nell'arte, infatti, una determinata realta' sensibile (che può avere qualsiasi contenuto specifico) si configura in maniera tale da lasciare trasparire l' Idea assoluta: per questo Hegel dice che in essa l' Assoluto appare come ideale. Non tutte le intuizioni sensibili, però, sono ugualmente adeguate ad esprimere l' Idea. Anche nel caso dell' arte si assiste ad un processo di sviluppo tramite il quale si perviene ad una sempre maggiore consapevolezza dell' essenza infinita, per quanto questo e' consentito nella limitata forma espressiva della sensibilita'. I momenti fondamentali di tale processo coincidono con le grandi tappe della storia dell' arte. La prima determinazione e' costituita dall' arte simbolica , che storicamente corrisponde all' arte orientale (fino agli egizi), e trova nell' architettura la sua forma espressiva caratteristica. In essa lo spirito non ha ancora una conoscenza adeguata dell' Idea: per questo anche le forme sensibili in cui si tenta di esprimere l' Assoluto mostrano la loro insufficienza e possono valere solo come simboli del contenuto infinito che ancora sfugge. La seconda determinazione e' l' arte classica che si esprime prevalentemente nella forma della scultura. Infatti, proprio attraverso la raffigurazione artistica del corpo umano e della sua perfesione (si pensi alle statue di Fidia o di Prassitele), l' arte classica giunge a realizzare il pieno equilibrio tra la forma sensibile ed il contenuto spirituale che essa deve manifestare. Hegel aderisce quindi al neoclassicismo sostenuto, soprattutto in Germania, da autori come Johann Joachim Winckelmann , che vide nella' arte greca l'apice delle possibilita' espressive nel campo dell' estetica, dal momento che la forma artistica raggiunge in essa la massima aderenza possible all' idea del bello assoluto. Il terzo momento dello sviluppo universale dell' arte e' costituito dall' arte romantica (o cristiano romantica, visto che essa prende l'avvio dal cristinesimo post-clasico), la quale trova espressione soprattutto nella pittura, nella musica e nella poesia. Come gia' nell ' arte simbolica, anche nell' arte romantica si verifica uno squilibrio tra forma e contenuto: non piu' però perche' non si conosca adeguatamente l' Idea che deve fungere da contenuto della forma ma, viceversa, perche' si giunge alla consapevolezza che l' infinito del contenuto, ossia dello spirito, non puo' essere adeguatamente espressa nella finitezza della forma sensibile. Per questo l' arte romantica trascura le forme artistiche nelle quali l' elemento sensibile e' piu' forte, come l' architettura e la scultura, per concentrarsi su quelle in cui esso diventa sempre piu' tenue: nella pittura si perde il fattore della corporeita' e rimane soltanto il colore, nella musica viene meno ogni dimensione figurative e resta solamente il suono, nella poesia infine anche il suono assume una forma meramente spirituale per mezzo della parola. L' arte romantica segna per Hegel la morte dell' arte : espressione per molti versi problematica, la quale non significa che dopo l' esperienza romantica non si possa piu' fare arte, ma soltanto che con essa lo spirito giunge definitivamente alla consapevolezza che l' arte e' una forma inadeguata di espressione dell' Assoluto e che essa deve quindi essere superata da alter forme di conoscenza. La determinazione che succede all' arte e che elimina le inadeguatezze dell' intuizione sensibile e' la religione . In essa l' Assoluto viene colto sotto forma di rappresentazione intellettuale. La rappresentazione presenta il vantaggio di essere una forma riflessa di conoscenza. L' Assoluto, che per definizione e' pensiero che pensa se stesso, quindi riflessione, processo spirituale, non viene piu' dato nell' immediatezza della sensibilita', che gli è per essenza estranea, ma appunto nell' elemento della riflessione. D' altra parte, la rappresentazione, in quanto conoscenza riflessa, e' ancora qualcosa di limitato, di finito, al pari della facolta' dell' intelletto da cui scaturisce; essa e' rappresentazione di qualcosa di determinato, che si distingue e si oppone all' altro da se', alle rappresentazioni diverse. In altri termini, nella religione l' uomo conosce gia' l' Assoluto nella sua vera natura, che e' spirito (mentre nell' arte la forma sensibile si limitava ad alludere intuitivamente ad esso), ma non giunge a cogliere tale spirito nella sua unita' organica, perche' lo frantuma ancora in una molteplicita' di rappresentazioni. Ad esempio, Dio (l' Assoluto) viene ancora conosciuto come Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e il concerto unitario della Trinita' si divide nelle Persone che, pur essendo legate dialetticamente, ne costituiscono aspetti diversi. Anche i limiti della religione vengono superati nella terza determinazione dello spirito assoluto: la filosofia . Essa infatti non opera più tramite rappresentazioni finite e distinte, ma attraverso il concetto della ragione: in questo modo l'uomo diventa consapevole dell'assoluta unità del reale, conoscendo nel contempo l'articolazione dialettica nella quale la totalità unitaria necessariamente si organizza. La filosofia è quindi lo spirito assoluto stesso che, per mezzo dell'autocoscienza umana, pensa se stesso e giunge alla consapevolezza di sé. Ma questo pensare se stesso, che è proprio dello spirito, è il risultato di un processo evolutivo. Lo sviluppo , come Hegel spiegava a partire dalla Fenomenologia , è essenzialmente sviluppo. In altri termini, l'autoconsapevolezza dello spirito coincide con la consapevolezza della sua storia. Di conseguenza, Hegel sostiene la perfetta identità di filosofia e storia della filosofia : le diverse filosofie, che si sono storicamente realizzate, non sono che manifestazioni o "apparizioni" nel mondo fenomenico di una specifica determinazione dello spirito, ossia di quello spirito assoluto a cui quest'ultimo perviene in un dato momento del proprio sviluppo. L'aspetto sistematico - la connessione ordinata e unitaria delle diverse determinazioni dell'idea - e l'aspetto storico - il susseguirsi delle diverse filosofie - sono due facce della stessa medaglia. Rimane da chiedersi allora se la filosofia hegeliana, che si pone all'apice dello sviluppo storico del pensiero occidentale, sia da considerarsi come l'ultima e definitiva sistemazione della filosofia (rispetto alla quale sono possibili soltanto revisioni e aggiustamenti interni, ma non un "superamento" da parte di una nuova filosofia); o se anch'essa non sia che un momento, per quanto importante, di un processo evolutivo che prosegue per il suo cammino. Questo problema può essere espresso in termini più generali: il sistema hegeliano è un "sistema chiuso", che rispecchia la comprensione definitiva della totalità di un reale che, essendo assolutamente razionale, non è suscettibile di ulteriori sviluppi (per cui con Hegel si conclude non solo la storia della filosofia, ma anche la storia universale stessa, almeno nei suoi aspetti essenziali); oppure esso è un "sistema aperto", nel quale la totalità del reale e razionale che ora, nel momento in cui Hegel scrive, si presenta come definitiva apparirà provvisoria alla luce di una nuova razionalità (e una nuova totalità)divenuta reale? Sono problemi questi su cui si sono arrovellati gli interpreti di Hegel fin dall'Ottocento (la spaccatura tra destra e sinistra hegeliana nascerà all'interno di questo quadro) e che continuano ad affaticare la critica contemporanea, dal momento che entrambe le alternative trovano nel testo hegeliano stesso argomenti per una loro difesa.

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