Hegel

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

Voto:

1.5 (2)
Download:178
Data:27.06.2005
Numero di pagine:18
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
hegel_38.zip (Dimensione: 17.62 Kb)
readme.txt     59 Bytes
trucheck.it_hegel.doc     60 Kb


Testo

HEGEL

Hegel nasce a Stoccarda nel 1770, studia a Tubinga, si entusiasma per la Rivoluzione Francese e rimane affascinato alla vista di Napoleone. E’ professore a Jena e poi a Berlino, dove insegnerà fino alla morte. Hegel è versato nelle più diverse discipline; pubblica nel 1807 la Fenomenologia dello spirito, nel 1817 esce l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, una sorta di riassunto di tutto il suo pensiero e nel 1821 i Lineamenti di filosofia del diritto.
Per Hegel ciò che si vede nella realtà come contingente, accidentale (l’errore) non è vera realtà ma è il possibile e cioè può essere non può essere, solo l’essenziale è realtà in atto o realtà affettiva, esiste realmente. L’accidentale è un problema oscuro, irrisolto, perché quando esiste fa parte della realtà. Nella vita ordinaria si chiamano a casaccio realtà ogni capriccio, l’errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure qualsiasi difettiva e capricciosa esistenza; ma una esistenza accidentale non merita l’enfatico nome di reale, l’accidentale è un possibile, che può non essere allo stesso modo che è, ma la realtà va distinta non solo dall’accidentale, che pure ha esistenza, ma altresì dall’essere determinato dall’esistenza e da altri concetti.

IL DIVENIRE E LA SOCIETA’
Fin dall’antichità i filosofi si sono posti un problema, cioè quello di un’interpretazione razionale del divenire: Il cielo all’alba ha un colore turchese, che durante il giorno diventa quasi bianco e a sera si trasforma in blu scuro o nero. Questo processo può essere descritto come un cambiamento. Dicendo “il cielo nel corso della giornata ha cambiato colore” abbiamo una prima interpretazione razionale del divenire. Quando qualcosa cambia non è più la stessa cosa, il cielo è sempre lì ma non è più lo stesso cielo. Ogni cambiamento comporta un passaggio da contrario a contrario (cfr. Aristotele); il cielo, ad esempio, passa dal turchese dell’alba al non turchese del mezzogiorno e così via.

Il settecento aveva lasciato in eredità un altro grande problema legato ai cambiamenti. Nel corso degli ultimi secoli l’uomo europeo aveva disgregato sempre più i vincoli che lo avevano legato ai gruppo sociali sulla base di strutture onnicomprensive e inviolabili. Le grandi famiglie nobiliari, le corporazioni si scioglievano progressivamente, cosicché ognuno diventava sempre più un individuo singolo con i suoi ideali, le sue opinioni e le sue esigenze. Questo processo era conseguenza del declino della società feudale, accompagnato dall’affermarsi dello Stato moderno nella forma dell’assolutismo. Si cominciò a ripensare la collettività in termini di individui che si mettono d’accordo (contrattualismo) per costruire in modo ragionevole una qualche entità superiore che li regolasse (Contratto Sociale – Rousseau 1712)

Concludendo Hegel si trova di fronte a due grandi questioni, legate fra loro: quella della razionalità del divenire e quella di un rapporto concreto fra individuo e collettività.

LA DIALETTICA
Il primo compito è dunque quelli di reperire una logica che governi la nozione di divenire. Per fare questo dobbiamo necessariamente prendere in considerazione la contraddizione, poiché l’essenza del cambiamento è contraddittoria. Hegel riabilita questa nozione dopo duemila anni (cfr. Aristotele). Tuttavia tale contraddittorietà non comporta l’inesplicabilità (cfr. Kant) ma il fatto che possa valere sia una tesi che la sua opposta – l’antitesi – non significa che non sia possibile prendere posizione, ma che la struttura stessa dell’universo è contraddittoria. Il rapporto tra tesi e antitesi produce il movimento ossia un passaggio da contrario a contrario. Ma la testi e l’antitesi sono destinate a questo scontro eterno o si arriva ad una soluzione? Hegel trova una soluzione: tesi e antitesi si combinano sempre in una sintesi superiore che mantiene elementi di entrambe. Vediamo un celebre esempio: ogni uomo nasce all’interno di una famiglia, vincolato da legami di sangue con i genitori, questo è dunque il suo primo rapporto con la collettività. Tuttavia col passare del tempo l’individuo esce sempre più dalla famiglia, perde sempre di più i suoi rapporti familiari per andare a far parte della società civile. Quest’ultima è dunque la negazione della famiglia. Questo scontro, tuttavia, si risolve, ricomponendo una famiglia più grande, che comprenda tutti gli individui, cioè lo Stato. Quest’ultimo è perciò la sintesi fra famiglia e società civile. Il processo del divenire si sviluppa sempre attraverso una violazione della posizione di partenza. Infine incontriamo la sintesi che è un ritorno alla tesi: lo Stato è una specie di famiglia che si è arricchita del contributo dell’antitesi. Infatti, lo Stato è si una famiglia, ma la famiglia di tutti, cioè dell’intera società civile. Per indicare questo processo, in cui la sintesi supera la tesi e l’antitesi negandole, ma anche conservandole, Hegel utilizza il termine tedesco Aufhebung, “superare conservando”.

LO SPIRITO ASSOLUTO
Abbiamo capito come si sviluppa il divenire attraverso la dialettica; ci dobbiamo però chiedere dove si realizzi tale procedimento. Ovvero, è necessario chiederci “che cosa” divenga in modo dialettico. Kant riteneva conoscibile solo l’ambito dell’esperienza, mentre il pensiero umano spazia senza poter concludere nulla sul mondo della cosa in sé. Fichte e Schelling, massimi esponenti dell’idealismo tedesco, avevano criticato questa inconoscibilità della cosa in sé kantiana. Essi avevano negato l’esistenza di qualcosa al di là di ciò che ci appare, tentando di ricostruire un’unità spirituale assoluta, che comprendesse fenomeni, natura e pensiero. Per Schelling l’universo è spirito, cioè libertà e creatività, contrapposto alla materia, costrizione e staticità, e raggiunge il suo grado massimo quando diventa assoluto, cioè sciolto da ogni condizionamento. Lo spirito assoluto, cioè la totalità dell’universo, è unità completa tra pensiero e natura. Hegel accetta quest’idea che non si possa distinguere fra fenomeno e cosa in sé (idea di Kant), per cui diventa necessario concettualizzare l’unità fra pensiero e natura. Egli cerca una struttura razionale dell’intero; la dialettica tesi-antitesi-sintesi è quindi lo schema di sviluppo del tutto. Anch’egli è convinto che l’essenza dell’universo sia spirito per cui possiamo dire che lo spirito assoluto si sviluppa dialetticamente. Hegel critica Schelling perché dice che l’assoluto può essere colto mediante la ragione, ovvero ricondotto allo schema tesi-antitesi-sintesi. Secondo Schelling, invece, l’assoluto è al di sopra di ogni distinzione e differenza della ragione per questo Hegel dirà che l’assoluto di Schelling è come “la notte in cui tutte le vacche sono nere”, cioè è caratterizzato da un’unità che confonde tutte le diversità. Schelling risponderà che la completa razionalizzazione dell’assoluto comporta l’annullamento del reale all’interno del concetto.

LA STORIA
Dunque la dialettica è la struttura dell’intero universo, ovvero dello spirito in tutte le sue forme. Questo però significa che lo spirito ha una storia giacché la dialettica è l’interpretazione razionale del movimento. Siccome la dialettica ha un andamento progressivo dalla tesi fino alla sintesi, ne segue che la storia del tutto è un percorso guidato e razionale, che tende verso un fine ultimo, la sintesi assoluta. Tutto percorre un itinerario che va dai livelli più bassi e semplici a quelli più ricchi e complessi. Hegel si occupa a lungo di storia e i suoi allievi pubblicheranno le sue lezioni di Filosofia della storia. Egli non è certo il primo ad aver pensato a questo itinerario del mondo, dato che già nella visione cristiana si delinea una storia a partire dalla creazione al Regno dei cieli ma tuttavia sussiste un importante differenza: mentre il cristianesimo pone come ultima meta della storia il regno dei cieli e quindi un qualcosa al di fuori di questo mondo in una dimensione trascendentale, Hegel dice che la storia realizza il suo fine ultimo in questo mondo, ovvero nel mondo immanente. In ciò egli è senz’altro influenzato dal concetto di progresso dell’illuminismo. L’universo e l’intera umanità seguono tale percorso storico verso la sintesi suprema, ma bisogna capire cosa accade al singolo individuo, se questo viene annullato completamente nella storia del tutto o mantiene comunque una sua autonomia. Per gli idealisti la realtà è spirito, libertà creatività, mentre la materia è costrizione e staticità. Ma a queste due caratteristiche dello spirito bisogna aggiungerne un'altra: il carattere organico dello spirito, che lo contrappone alla materia. Per Hegel il tutto viene prima e determina le sue parti, per cui anche negli elementi più semplici è già abbozzato l’intero; per la materia le parti si sommano determinando l’intero, mentre per lo spirito il tutto viene prima delle parti, le quali vengono così determinate dall’intero. Questo può aiutarci a capire il rapporto fra individuo e collettività: per Hegel tutto è spirito, per cui anche il singolo uomo è una parte della storia dello spirito assoluto. Questo significa che il singolo è determinato dal tutto e acquista un suo senso solo all’interno dell’intero sistema. L’uomo agisce secondo le sue aspirazioni, i suoi ideali, ma non è il vero artefice della storia, bensì una pedina di un disegno più grande. Questo però non significa che il singolo si annulli completamente nell’intero – altrimenti torneremmo all’assoluto di Schelling in cui tutte le vacche sono nere – esso tuttavia gioca un suo ruolo solo in funzione del quadro complessivo. In particolare, Hegel sottolinea l’importanza degli eroi, come Alessandro Magno, Cesare e Napoleone, che inconsapevolmente, seguendo la loro ambizione e le loro passioni, guidano la storia nella direzione prescritta. Tutto nella storia è razionale, ovvero la ragione dirige sovrana l’intero percorso. Per questo si può parlare di una vera e propria astuzia della ragione che utilizza le singole azioni, compiute inconsapevolmente dagli uomini del destino, per realizzare il suo progetto provale e predeterminato.

REALTA’ E RAZIONALITA’
Nella filosofia di Hegel “tutto ciò che è reale, è razionale”, poiché tutto ciò che accade ha una ragione, nulla è accidentale. Il compito della filosofia è proprio quello di riuscire a eliminare ciò che è casuale e ricondurlo al progetto complessivo. Hegel infatti ripercorre tutti gli aspetti della vita sociale, della storia, della natura, dell’arte e della religione, inquadrandoli in un sistema dove ogni cosa ha un suo posto e le reciproche relazioni sono governate dalla dialettica. Non solo tutto ciò che è reale è razionale ma anche “tutto ciò che è razionale è reale”, cioè la logica che controlla la costituzione del mondo è parte del mondo stesso, non è una logica astratta, ma concreta. Hegel non crede sia possibile parlare di razionalità ancora prima di immergersi nella concreta vita della realtà, per cui la logica tradizionale, che vuole insegnare il modo corretto di ragionare ancor prima di conoscere, non è accettata. Dunque la razionalità è la realtà e il pensiero deve essere sempre concreto. Si può anche dire che la logica è la struttura del mondo. Tutto il pensiero di Hegel è relativo alla realtà nelle diverse forme quindi sorge il dubbio che questa concretezza vada a discapito dell’universalità cioè, se occupandosi delle diverse forme concrete, Hegel non rischi di perdere in generalità e limitarsi soltanto ai casi specifici. Questo però in Hegel non accade perché per lui il tutto viene prima delle parti, per cui analizzando ogni singolo elemento sempre più approfonditamente si aggiungono elementi al disegno complessivo. Maggiore concretezza non significa quindi maggiore individualità, ma al contrario maggiore universalità, in quanto nelle singole parti del sistema si delinea già il tutto.
Nella filosofia hegeliana oltre a vedere che:
- la dialettica si applica all’intera vita dello spirito
- la storia ha un fine ultimo immanente e in essa il singolo partecipa al disegno complessivo
- ogni cosa che accade ha una sua ragione e ogni pensiero è reale
Dobbiamo ora trarre un’ultima conseguenza secondo cui: tutto è immerso in un processo dialettico. Noi siamo abituati a considerare il mondo come costituito da entità, che possono essere di generi diversi:
- entità materiali (tavoli, sedie)
- entità sociali (istituzioni, leggi)
- entità culturali (opere d’arte, simboli religiosi)
Tutte però hanno la caratteristica di essere permanenti e sostanziali. Per Hegel, invece, nulla è fermo, tutto è in movimento, per cui quelle che siamo abituati a considerare come entità sono in realtà sempre il risultato di un processo. Ad esempio: tavoli e sedie sono frutto del lavoro dell’uomo, mentre leggi e istituzioni sono punto di arrivo di complessi percorsi storici. In altre parole nella filosofia di Hegel, nulla è dato, tutto si presenta come il risultato di un processo storico. Dunque la filosofia della storia pervade ogni aspetto della vita dell’uomo.

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO
Nell’ambito della filosofia hegeliana sorge spontaneo chiedersi come possa il singolo raggiungere la piena coscienza di questo grande sistema dello spirito assoluto. Lo spirito assoluto si sviluppa storicamente, per cui, anche se fin dai primi bagliori il progetto globale era già implicito, secondo Hegel, solo con l’idealismo assoluto esso giunge a completa esplicitazione. Il primo grande capolavoro di Hegel, la Fenomenologia dello spirito, è dedicato proprio ad illustrare il processo attraverso cui la coscienza arriva a cogliere lo spirito assoluto. Per Hegel sussiste una corrispondenza fra l’ontogenesi e la filogenesi, cioè fra le tappe dello sviluppo nel singolo individuo e quelle dell’intera specie. Questo significa che la coscienza del singolo dovrà seguire una storia simile a quella dell’intera umanità. Hegel utilizza il termine fenomenologia (in greco, discorso su ciò che appare) perché vuole raccontare quali siano le figure sotto cui appare lo spirito mano a mano che si rivela. Queste figure solo le tappe successive di dispiegamento dello spirito nell’ambito della coscienza del singolo, per cui la fenomenologia ci descrive una sorta di percorso di iniziazione alla filosofia. Qui nasce un problema; siccome ogni manifestazione spirituale è parte del tutto, per cui la fenomenologia è parte del tutto, la coscienza individuale che scopre lo spirito è parte dello spirito. In altre parole nella fenomenologia è già implicito quello spirito che essa descrive nel suo disgelarsi progressivo alla coscienza.

LA COSCIENZA
La prima figura in cui si presenta lo spirito alla coscienza è la sensibilità, in quando il mondo ci è innanzitutto dato nella sensazione. Perciò il primo e più naturale punto di vista è quello empirico, che dà fiducia all’esperienza immediata così come appare. Ma presto ci si rende conto che le sensazioni non sono affidabili, poiché sono spesso illusorie. Spinta dalla sua negazione la sensazione si trasforma in quella che Hegel chiama percezione, che non è più immediata. La percezione, come la sensazione, è ancora convinta che il mondo stia là fuori di noi, ossia non si è ancora resa conto dell’unità tra spirito e natura, ma a differenza dell’esperienza, cerca di cogliere le strutture stabili dell’esperienza, andando aldilà delle illusioni. (Es.: sensazione coglie remo immerso in acqua come spezzato, percezione come intero perché va aldilà delle apparenze). La percezione è un elaborazione della sensazione, che può essersi realizzata solo tramite l’uso dell’intelletto che ci consente di formare dei giudizi. Inoltre, benché tutte queste figure, sensazione-percezione-intelletto sembrano le più ricche, in realtà rappresentano i gradini più bassi dello spirito, proprio perché sono le prime a comparire, sono le più povere. Hegel dice che l’intelletto, nel formulare giudizi, manca della capacità di sintesi (cfr. Kant) che è necessaria per unire soggetto e predicato, per cui rimanda necessariamente all’autocoscienza: la rappresentazione dell’io, la riflessione su di sé, consente all’intelletto di costruire i suoi giudizi. In pochi passaggi dalla sensazione siamo arrivati all’autocoscienza. Il rapporto fra sensazione, percezione, intelletto e autocoscienza in Hegel sembra molti simile a quello in Kant ma, mentre in Kant le diverse parti dell’apparato cognitivo lavorano insieme nel processo conoscitivo, per Hegel le diverse parti vengono scoperte una dopo l’altra in una progressiva presa di coscienza filosofica. Tutto in Hegel è un dinamico superamento e conservazione (aufhebung), che procede dal basso verso l’alto, secondo un progetto che era presente fin dall’inizio.

L’AUTOCOSCIENZA
Nell’elaborazione hegeliana del concetto di coscienza troviamo tutta la forza innovativa del suo pensiero. Per Hegel l’autocoscienza non è rappresentazione di sé, ma un desiderio. Questo significa che il momento più interno della costruzione dello spirito non ha più un carattere statico e cognitivo. L’autocoscienza non è una sorta di autoconsapevolezza di sé o conoscenza del proprio io, ma un tendere verso qualcosa, un desiderare, un andare oltre se stessi. Vediamo dunque che quel carattere dinamico è presente anche nell’autocoscienza. Il fatto che l’autocoscienza sia un desiderio e non una rappresentazione ha una conseguenza importante per il problema del rapporto tra individuo e collettività. Un autocoscienza che è un desiderio non può mai chiudersi staticamente in se stessa, ma deve necessariamente tendere aldilà di sé verso qualcos’altro. In questo andare verso l’esterno, l’autocoscienza incontra necessariamente un'altra coscienza, l’ego interagisce con un alter ego. Dunque l’autocoscienza di Hegel è sempre legata agli altri, il nostro io non si costituisce mai in totale autonomia, ma sempre in relazione a quello degli altri. Gli altri sono già dall’inizio dentro di noi: non poteva che essere così in un progetto in cui ognuno di noi è parte di un progetto globale. Il nostro io è originariamente legato a quello degli altri, in modo che tutti assieme partecipiamo al disegno complessivo.

LA DIALETTICA SERVO-PADRONE
L’autocoscienza esce da se stessa e va verso l’altra autocoscienza. D’altra parte, l’autocoscienza è una tensione, un desiderio, per cui essa tenta di negare l’altra autocoscienza impossessandosene e annientandola; questa contrapposizione è reciproca. Il rapporto fra ego e alter ego è ambivalente in quanto ciascun polo non può esistere senza l’altro, ma entrambe entrano in conflitto. In Hegel, ogni cosa nasce da una lotta, in ogni contrapposizione sono già implicite le premesse per ricomporla. Il processo di superamento della contrapposizione tra ego e alter ego ha due fasi:
- uno dei due poli supera e subordina l’altro
- la simmetria, infranta, tra ego e alter ego deve ricomporsi a un livello più alto
Sorge spontaneo chiedersi chi vinca: se per Hegel il cambiamento supera sempre l’immobilità e implica la negazione di sé, sarà più forte quell’autocoscienza che saprà muoversi, che avrà il coraggio di mettersi in discussione, di rischiare la propria vita. Dunque l’autocoscienza che è rimasta attaccata a se stessa diventerà servo, mentre quella che ha messo a repentaglio la propria identità sarà padrone: si instaura un rapporto di dipendenza in cui qualcuno vince e qualcuno perde, qualcuno è completamente libero e qualcuno completamente schiavo. Ma il servo non rimarrà sempre servo e il padrone sempre padrone. Infatti accade che il padrone delega al servo la soddisfazione di tutti i suoi bisogni, costringendo a lavorare per lui; tuttavia il lavoro, sia manuale, sia intellettuale, è una forma di espressione di sé, in quanto è formazione della realtà, ovvero con il lavoro si modifica la realtà che ci circonda. Il servo acquisisce autonomia lavorando, mentre il padrone nell’ozio la perde; il padrone viene a dipendere dal suo servo mentre il servo diviene indispensabile per il suo padrone, ribaltando così il rapporto originario. Questa è la dialettica servo-padrone. La rivincita del servo, che lavora, sul padrone ci fa venire in mente la classe borghese che, proprio ai tempi di Hegel, stava definitivamente sostituendo la nobiltà.

LA COSCIENZA INFELICE
La coscienza servile, poi, liberatasi del padrone, si allontana sempre più dal mondo che ha plasmato, per acquisire consapevolezza, si distacca cioè sempre più dalle cose, per immergersi nel pensiero e diventare quella che Hegel chiama coscienza stoica. Il saggio stoico, infatti, vive la sua libertà all’interno dei suoi pensieri, indifferente rispetto al mondo. Dopo di che la coscienza, completamente ritirata nel pensiero, si rivolge nuovamente al mondo, ma non può che negarlo: la coscienza che vive immersa nel proprio pensiero non può che considerare tutte le determinazioni del mondo come incerte, essa quindi sospende il giudizio su ogni cosa e diventa coscienza scettica. Ma lo scettico è necessariamente in contraddizione perché negando è sempre costretto ad affermare, questo significa che la coscienza scettica si trasforma in una coscienza duplice e bipolare. Allora questa coscienza si trova tesa tra una parte eterna e trascendente e una mutevole e immanente (storicamente questa figura corrisponde all’affermarsi del cristianesimo nel Medioevo). La coscienza cerca quindi di raggiungere la propria essenza andando verso ciò che è immutabile ma la sua vita mutevole, le appare come vanità e dolore, essa diventa quindi coscienza infelice. Tuttavia non riuscendo a raggiungere la totale immutabilità, viene rigettata nel mondo mutevole, dove continua la sua infelicità. La coscienza vive una doppia infelicità perché dal suo polo immutabile svaluta e vanifica la sua vita mutevole e dal suo polo mutevole sente nostalgia per il suo polo eterno. La coscienza infelice rappresenta la figura più alta dell’autocoscienza e che viene superata dalla ragione. La ragione è il contrario della coscienza infelice (storicamente corrisponde alla filosofia dal Rinascimento in poi). La coscienza però raggiunge un’unità eccessivamente astratta e teorica, solo nello spirito si arriva a un’effettiva unione fra ragione e realtà. La Fenomenologia termina dunque con la scoperta dello spirito, che storicamente coincide per Hegel con la filosofia del suo tempo.

IL SISTEMA
L’Enciclopedia è lo scritto in cui Hegel sistema il suo pensiero complessivo. In essa troviamo tutta la sua dottrina presentata in modo schematico.
La filosofia si divide in tre grandi branche:
- la scienza della logica che studia la struttura del tutto, che è anche lo scheletro del mondo in quanto per Hegel la logica non è separata dal mondo, ma ne è parte integrante.
- Poi la logica esce da se stessa, si applica, e si realizza nella natura, per cui la seconda parte sarà la filosofia della natura, che studia l’oggetto del pensiero in quanto si è completamente alienato, diventando la materia.
- Infine la natura rientra in se stessa, diventando spirito che riprende la logica arricchita dalla natura.
- La filosofia dello spirito prende le mosse dalla filosofia dello spirito soggettivo, che studia i percorsi della singola coscienza.
- Poi lo spirito soggettivo esce da sé e si realizza nelle strutture collettive, dando origine allo spirito oggettivo.
- Infine lo spirito rientra in se stesso arricchito da tutta la collettività di un popolo, diventando spirito assoluto.
- A sua volta la filosofia dello spirito assoluto inizia con l’arte che è intuizione dell’assoluto mediante qualcosa di sensibile
Dunque anche per Hegel l’arte è una delle vie fondamentali verso l’assoluto, ma, a differenza di Schelling, non è l’unica né la più importante. Ma l’arte viene superata dalla religione, dove l’assoluto non è più intuito sensibilmente, ma rappresentato. La religione va aldilà del sensibile, contrapponendosi all’arte, ma non è ancora in grado di formarsi un concetto compiuto dell’assoluto, come invece farà la filosofia: sintesi finale dello spirito assoluto.
Questo lungo percorso della filosofia hegeliana rappresenta sia l’itinerario logico del pensiero, sia quello storico, per cui la storia dell’uomo raggiunge il suo culmine con la scoperta filosofica dello spirito assoluto. La filosofia coincide con la storia della filosofia. Tornando alla sintesi suprema dello spirito assoluto, vediamo che la verità ultima e completa è l’intero, che fin dall’inizio era abbozzato, ma che solo ora giunge alla compiutezza.

LO SPIRITO OGGETTIVO
La tesi dell’autocoscienza che nasce originariamente in rapporto con un’altra autocoscienza e riconosce se stessa attraverso il conflitto con un alter ego ha conseguenze importanti per la filosofia politica. Oggi, infatti, si possono distinguere due grandi correnti nell’analisi della società:
- la prima sostiene che il sistema sociale è frutto della somma delle azioni dei singoli, ad esempio così lo stato non è un entità che abbia una vita autonoma e separata dai singoli cittadini che lo compongono, ma si riduce alle esigente e alle attività dei cittadini. Questo implica che la libertà dei singoli deve essere tutelata il più possibile e che lo Stato deve intervenire il meno possibile nei liberi rapporti fra gli individui. Chiamiamo questo punto di vista sostenuto nel Novecento soprattutto da Popper, individualismo.
- Altri ritengono che le strutture sociali non siano solo somme dei contributi sei singoli, ma che acquisiscano una cerca autonomia sovraindividuale. Così, ad esempio, lo Stato non sarebbe riducibile all’attività dei cittadini che lo costituiscono, ma avrebbe una sua vita e delle sue ragioni proprie. In questo caso lo Stato come entità superindividuale può intervenire molto di più nella vita dei suoi cittadini, limitandone le libertà individuali in nome di un interesse superiore. Chiamiamo questo punto di vista sostenuto nel Novecento soprattutto da Keynes e dai marxisti, comunitarismo.
La filosofia di Hegel propende decisamente verso il com’unitarismo con il suo privilegiare l’intero rispetto alle parti. Inoltre, l’idea secondo la quale la singola autocoscienza non ha mai una vita individuale vera e propria, ma si definisce sempre in rapporto con gli altri, non può ammettere centro l’individualismo. Hegel è quindi senz’altro comunitarista, tanto più che dall’hegelismo di sinistra nascerà il comunismo di Marx, che è sicuramente una delle forme più radicali di comunitarismo.
La filosofia dello spirito oggettivo è quella parte del pensiero di Hegel che si occupa delle istituzioni collettive che si formano mediante la negazione dello spirito soggettivo che esce fuori da se stesso per costituire vere e proprie realtà individuali come le leggi, la famiglia e lo Stato. Hegel è convinto che questa entità esistano effettivamente e siano ancor più reali degli oggetti del mondo quotidiano, in quanto più vicine alla realtà ultima dello spirito assoluto.

Dialettica dello spirito oggettivo:
- Stiamo passeggiando per un parco, mangiamo una caramella e non sappiamo dove gettare la carta, stiamo per gettarla a terra ma leggiamo un cartello che dice di depositare i rifiuti negli appositi cestini. Questa regola è la prima forma collettiva che incontriamo. Per cui possiamo dire che il diritto è la forma più elementare dello spirito oggettivo. In altre parole il diritto per Hegel è una specie di scheletro dello spirito oggettivo, in quanto concepisce l’uomo in generale, indipendentemente dalla personalità e dalle situazioni in cui può trovarsi. In questo caso ad esempio ci si dice semplicemente che non si può gettare la caramella a terra.
- L’episodio non si conclude così: ci accorgiamo che il cestino si trova molto lontano e nella direzione opposta a quella in cui siamo diretti. Siamo allora tentati di gettare lo stesso la carta a terra. Bisogna dire che comportandoci così non danneggiamo nessuno mentre per noi sarebbe una scelta fonte di benessere. Concludiamo quindi che dal punto di vista della moralità, la cosa migliore è quella di buttare subito la carta. Dunque la seconda tappa dello spirito oggettivo è la moralità; il diritto esce da se stesso e rientra nel soggetto che ha i suoi propositi, la sua ricerca del benessere e la sua concezione del bene.
- Quando però abbiamo quasi deciso di lasciar cadere la carta, pensiamo che il parco è un bene di tutti, per cui sporcandolo, anche se in minima parte, facciamo un danno allo Stato. In altre parole, anche se da un punto di vista morale potevamo gettare la carta, dal punto di vista politico è meglio che la mettiamo in tasca. Perciò, se la moralità aveva superato il diritto astratto, quella che Hegel chiama l’eticità nega anche la prima, ritornando al secondo, ma in una forma superiore, che ha acquisito la piena concretezza dei soggetti che agiscono nelle istituzioni collettive.
Adesso non gettiamo la carta a terra non solo perché ce lo comanda la legge ma anche perché abbiamo compreso che siamo una pedina di un progetto globale che si chiama Stato.
Questa è la dialettica dello spirito oggettivo che muovendo dal diritto passa per la moralità fino ad arrivare all’eticità. L’eticità a sua volta ha una dialettica interna, cioè quella di famiglia, società civile e Stato: ogni uomo nasce all’interno di una famiglia, vincolato da legami di sangue con i genitori, questo è dunque il suo primo rapporto con la collettività. Tuttavia col passare del tempo l’individuo esce sempre più dalla famiglia, perde sempre di più i suoi rapporti familiari per andare a far parte della società civile. Quest’ultima è dunque la negazione della famiglia. Questo scontro, tuttavia, si risolve, ricomponendo una famiglia più grande, che comprenda tutti gli individui, cioè lo Stato. Quest’ultimo è perciò la sintesi fra famiglia e società civile. Il processo del divenire si sviluppa sempre attraverso una violazione della posizione di partenza. Infine incontriamo la sintesi che è un ritorno alla tesi: lo Stato è una specie di famiglia che si è arricchita del contributo dell’antitesi. Infatti, lo Stato è si una famiglia, ma la famiglia di tutti, cioè dell’intera società civile. Diciamo solo che il risultato finale del percorso dello spirito oggettivo è lo Stato, che Hegel considera con rispetto assoluto. Gli Stati sono espressione istituzionale dei popoli, sono i veri attori della storia del mondo. Non gli individui, ma gli stati sono gli artefici del progresso dell’uomo verso l’assoluto. Lo Stato, tuttavia, non può essere dispotico perché è fondato sul diritto, ma non può essere neanche democratico, perché la moltitudine acquisisce un senso politico solo nello Stato. Dunque la monarchia costituzionale è la miglior forma di organizzazione dello Stato. Notiamo infine che lo Stato di Hegel non è realmente liberale, perché la libertà dell’individuo si realizza solo nell’organicità del tutto, cioè nella subordinazione al bene comune. L’individuo non si annulla mai nello Stato, tuttavia esso acquisisce autonomia solo come parte di quest’ultimo.

Popper è un epistemologo: filosofia della scienza, teoria della falsità. Questi dice che Hegel è un profeta del totalitarismo nella “società aperta e i suoi nemici”. Lo stato come dice Popper è massimo in cui l’individuo non ha importanza, non riconosce nessun principio etico e questo stato hegeliano è una base del totalitarismo. Non siamo d’accordo con Popper perché lo stato di Hegel non è dispotico ma è uno stato di diritto. C’è una differenza tra lo stato di Hegel e il nazismo che antepone allo stato la purezza della razza.

Marcuse facente parte della scuola di Francoforte fa fornito la base ideologica alla rivoluzione studentesca del ’68 dicendo che i più poveri, il terzo mondo, deve ribellarsi. Riguardo ad Hegel lo difende nei confronti del totalitarismo e sottolinea le potenzialità liberatorie della ragione in quanto lascia l’uomo libero dall’oggetto.

Esempio