Hannah Arendt.

Materie:Appunti
Categoria:Filosofia

Voto:

1 (2)
Download:323
Data:01.08.2000
Numero di pagine:4
Formato di file:.doc (Microsoft Word)
Download   Anteprima
hannah-arendt_1.zip (Dimensione: 5.52 Kb)
trucheck.it_hannah-arendt.doc     25 Kb
readme.txt     59 Bytes


Testo

Professione filosofa: Vita di Hannah Arendt

Hannah Arendt, filosofa ebrea, nacque ad Hannover, Germania, nel 1906.
Dopo aver frequentato il Ginnasio a Konisberg (1916-1924), studiò filosofia, greco e teologia con Rudolf Bultmann e Martin Heidegger presso l’università di Marburgo.
Nel 1925 proseguì il suo corso di studi all’università di Heidelberg dove, nel 1928, si laureò sotto la guida di Karl Jaspers.
Nel 1930 iniziò a comporre la biografia di Rahel Varnhagen, una donna ebrea vissuta tra il XVIII e il XIX sec., che per lei divenne un modello da seguire e il mezzo attraverso cui poter riflettere sulla propria identità ebraica.
Nel 1933, anno in cui il nazismo manifestò la propria tendenza antisemita, la Arendt ebbe l’idea di raccogliere delle dichiarazioni per informare l’opinione pubblica europea di quanto stava accadendo agli ebrei in Germania. A causa di ciò fu arrestata e successivamente costretta a fuggire in Francia, dove prese parte all’associazione sionista Jungend-Aliyah, per tentare di difendere gli interessi degli ebrei con mezzi politici, ma disapprovando il fine sionista della costituzione di uno stato ebraico.
Nel 1940, anno in cui le truppe tedesche occuparono la Francia, la Arendt fu internata nel campo “Vèladrome d’Hiver” e successivamente nel campo di Gurs. Scappata da Gurs si trasferì a New York dove lavorò come giornalista presso la rivista “Aufbau” e “Partisan Riview”.
Nel 1943, venuta a conoscenza delle atrocità dovute alla guerra e, successivamente, avendo partecipato nel 1961-62 al processo Eichmann, la Arendt si accinse alla composizione delle sue opere maggiori: “Origini del Totalitarismo” (1948), “Vita Activa” (1958), “Banalità del Male” (1962).
Negli ultimi anni della sua vita la Arendt ottenne un risarcimento in denaro dal governo tedesco, avendo potuto dimostrare, anche grazie l’appoggio di Jaspers, come la sua carriera in Germania fosse stata ostacolata dalle leggi antisemite del nazismo.
Hannah Arendt morì nel suo appartamento di New York nel 1975.

Fondamentale per la formazione filosofica della Arendt risultò essere l’influenza esercitata dall’esistenzialista Martin Heidegger, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale.
La Arendt riusciva a stimolare, con la propria intelligenza, il pensiero del maestro anche se egli si rivelò essere più un vincolo che uno sprone per l’evolversi del suo pensiero. Resasi conto di tale situazione tentò di allontanarsi da Heidegger per rendersi più autonoma e per aprirsi nuovi orizzonti in ambito filosofico. Tuttavia, soltanto dopo che nel 1933 Heidegger aderì al partito nazista, la Arendt riuscì a porsi criticamente nei suoi confronti giungendo alla conclusione che, alla base del comportamento contraddittorio del filosofo, risiedesse un’accentuata mancanza di carattere che lo rendeva molto influenzabile soprattutto dall’opinione della moglie, che da tempo aveva aderito al partito nazionalsocialista. Tale atteggiamento critico è particolarmente evidente in “Vita Activa”, scritta nel 1958, in cui la Arendt si rivolgeva contro quei filosofi, come Heidegger, per i quali la vita è caratterizzata in primo luogo dal fatto di essere in cammino verso la morte. Per la Arendt, invece, la fonte di ogni vero agire non era lo sguardo in avanti verso la morte, ma lo sguardo in dietro verso la nascita, poiché ella considerava la nascita come l’evento che segue l’unicità di ogni uomo. Lo stesso “agire”, inteso come dar vita a cose nuove e non previste, era da lei considerato come la più alta facoltà dell’uomo in opposizione a “l’essere per la morte” degli esistenzialisti.
Una costante nel pensiero della Arendt è la convinzione che fosse necessario distinguere l’ambito pubblico dal privato. Ciò che secondo la filosofa bisognava evitare era che tali ambiti collidessero, infatti il pericolo maggiore sarebbe emerso nel momento in cui il politico si fosse privatizzato e il privato si fosse politicizzato. Più volte alla Arendt fu mossa l’accusa di non amare il suo popolo, gli ebrei, ed ella si difese affermando che l’amore è qualcosa di privato, è , mentre il destino degli ebrei era una importante questione politica.
Precedentemente, lavorando alla biografia di Rahel Varnhagen, ebbe modo di analizzare con maggiore attenzione i diversi modi di rapportarsi al proprio ebraismo, introducendo i concetti di “Paria” e “Parvenu”. Un “Parvenu” non voleva essere soltanto un ebreo ma anche un cittadino che intendeva inserirsi in una società alla quale di fatto non apparteneva. Un “Paria”, al contrario, era colui che faceva di necessità virtù e che, in quanto ebreo, rimaneva un autsider rispetto alla società.
Col passare del tempo, anche attraverso i soprusi che dovette subire in quanto ebrea, ebbe modo di considerare con maggiore attenzione la questione ebraica e la degenerazione del potere politico gestito da singoli individui. Infatti, in “Origini del totalitarismo”, vengono analizzate le caratteristiche del regime nazista e quelle dello stalinismo sovietico. Riguardo il nazionalsocialismo, la Arendt notò che dietro l’ideologia di questo partito risiedeva una “logica folle” basata sulla convinzione che fosse possibile attuare il dominio di una singola razza nel mondo, attraverso il terrore e un organizzazione perfetta. All’interno di questo sistema gli esseri umani diventavano solo il mezzo attraverso cui poter raggiungere l’obiettivo finale.
L’attento esame dei regime totalitari, fece sì che la Arendt giungesse alla conclusione che >. Tuttavia, dopo aver assistito al processo Eichmann , la Arendt, nella “Banalità del Male”, giungerà alla conclusione che il male non è mai radicale, come precedentemente aveva sostenuto, bensì estremo, cioè privo di profondità e dimensione demoniaca.
Ella riteneva che le radici del male risiedessero nel pensiero, entro cui l’uomo si pone continuamente in relazione con se stesso attraverso la coscienza. Quest’ultima è da intendere come quel dialogo interiore che allontana l’uomo dall’agire ingiustamente, e a cui nessuno può sfuggire a meno che non si smetta di pensare. Questo, secondo la filosofa, era quanto accaduto a uomini come Eichmann, i quali avevano smesso volutamente di rapportarsi con la loro coscienza al fine di poter commettere i grandi crimini di cui effettivamente si macchiarono.
A causa del contenuto della “Banalità del Male”, le organizzazioni religiose di tutto il mondo avevano redatto dei promemoria in cui venivano diffuse le linee guida e i materiali per la battaglia contro la pubblicazione del suddetto libro e contro la stessa Hannah Arendt.

Esempio