Gli sviluppi della psicoanalisi: Adler, Jung, Reich, Lacan

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Categoria:Filosofia

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Testo

Gli sviluppi della psicoanalisi: Adler, Jung, Reich, Lacan
La teoria psicoanalitica trovò presto molti seguaci, che si riunirono nella «Società psicoanalitica», fondata nel 1908. Tuttavia abbastanza presto si delinearono contrasti teorici, che segnarono una temporanea crisi della sistemazione freudiana.
Il primo a dichiarare il suo distacco da Freud fu Alfred Adler (1870-1937), che fondò la «Rivista internazionale di psicologia individuale» e che scrisse Il temperamento nervoso (1912), Prassi e teoria della psicologia individuale (1920) e Conoscenza dell'uomo (1927).
Adler svaluta il ruolo attribuito da Freud agli istinti sessuali, mettendo in luce, invece, quello svolto dai fattori ambientali e sociali. Egli infatti è convinto che la tendenza alla socialità è naturale nell'uomo, e quindi il comportamento nevrotico scaturisce dal fatto che la situazione socio-ambientale mortifica questa tendenza. Cosí si sviluppa, egli dice, il «complesso d'inferiorità».
Piú lunga invece fu l'intesa tra Carl Gustav Jung (1875-1961) e Freud. Autore di La libido, simboli e trasformazioni (1912), Sulla psicologia dell'inconscio (1917), Tipi psicologici (1920), L'Io e l'inconscio (1929), Psicologia e religione (1940), Psicologia del transfert (1946), La simbolica dello spirito (1948), L'uomo e i suoi simboli, Jung si distacca da Freud intorno al 1913, per un dissenso, non certo di poco conto, sulle nozioni di «libido» e di «inconscio».
Egli afferma che la «libido» freudiana è fin troppo ricca di determinazioni sessuali; bisogna invece intenderla come un'energia primaria desessualizzata.
Ma soprattutto sostiene che l'«inconscio individuale» di cui parla Freud è solo un momento particolare dell'«inconscio collettivo».
Com'è noto, secondo la concezione di Freud i contenuti dell'inconscio si limitano a tendenze infantili, che a causa del loro carattere incompatibile vengono rimosse. La rimozione è un processo che si inizia nella prima fanciullezza sotto l'influenza morale dell'ambiente e dura tutta la vita. Mediante l'analisi le rimozioni vengono soppresse e i desideri rimossi diventano coscienti.
Sarebbe tuttavia ingiusto definire o valutare l'inconscio esclusivamente in tal modo. L'inconscio ha anche un altro lato: nel suo ambito bisogna comprendere non solo i contenuti rimossi, ma anche tutto quel materiale psichico che non raggiunge la soglia della coscienza.
(L'lo e l'inconscio)
L'inconscio collettivo dunque è un complesso di «archetipi», cioè di immagini simboliche comuni a tutta l'umanità; immagini che traducono simbolicamente i momenti significativi della vita d'ogni uomo in ogni tempo, quali nascita, morte, paura, pubertà, maternità. Questi archetipi comuni sono individuabili proprio attraverso l'analisi dei simboli personali.
Questa psiche straordinariamente antica costituisce la base della nostra mente, cosí come la struttura del nostro corpo è fondata sul modello anatomico generale del mammifero.
Lo studioso della mente può ugualmente rinvenire analogie equivalenti fra le raffigurazioni oniriche dell'uomo moderno e i prodotti della mente primitiva, le sue «immagini collettive» e i suoi motivi mitologici.
La mia teoria sui «resti arcaici», da me definiti «archetipi» o «immagini primordiali», è stata sempre criticata da coloro che non hanno una conoscenza appropriata dei sogni e della mitologia. Il termine «archetipo» è spesso frainteso in quanto viene identificato con certe definite immagini o precisi motivi mitologici.
L'archetipo è invece la tendenza a formare singole rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dal medesimo modello fondamentale.
Gli archetipi in realtà sono tendenze istintive altrettanto marcate quanto lo è l'impulso degli uccelli a costruire il nido, o quello delle formiche a dar vita a colonie organizzate.
(L'uomo e i suoi simboli)
Jung infine sostiene che è possibile delineare una tipologia psicologica fondamentale; si possono distinguere infatti gli uomini, in modo generalissimo, secondo le categorie di «introversione» ed «estroversione».
Nel corso della mia pratica professionale di medico di malattie nervose mi ha da tempo colpito il fatto che, accanto alle molte diversità individuali della psicologia umana, esistono anche differenze di tipi: piú specialmente mi hanno colpito due tipi, che ho denominati introverso ed estroverso.
In modo del tutto generico si potrebbe qualificare l'atteggiamento introverso come quello che in ogni circostanza tende ad anteporre l'Io e la vita psichica soggettiva all'oggetto e alla realtà obiettiva, o almeno ad affermarli nei confronti dell'oggetto. Questo atteggiamento conferisce quindi al soggetto un valore superiore a quello attribuito all'oggetto. In conformità a ciò l'oggetto viene costantemente svalutato e riveste un'importanza secondaria.
Per contro, l'atteggiamento estroverso subordina il soggetto all'oggetto; è allora l'oggetto a rivestire il valore preponderante. Il soggetto ha sempre importanza secondaria; i processi soggettivi appaiono talora come qualcosa di meramente accessorio, di incomodo e di superfluo rispetto agli accadimenti oggettivi.
(Tipi psicologici)
Non è opportuno seguire piú oltre le vicende della teoria psicoanalitica, o anche delle scuole psicoanalitiche, tanto complessi sono gli sviluppi e gli arricchimenti teorici, specie per l'incontro con i contributi della sociologia. Qui faremo riferimento solo all'elaborazione di Reich e Lacan.
Wilhelm Reich (1897-1957) non solo non accetta l'ultimo Freud, quello dell'«istinto di morte», ma mostra il ruolo svolto dalle strutture sociali e dalle ideologie nella vita psichica. Il contrasto vissuto dall'uomo è tra «tendenze istintuali» e l'insieme, per dirla in termini marxiani, strutturale e sovrastrutturale della società. Sicché anche le conseguenze, ad esempio, della repressione delle pulsioni sessuali infantili non sono limitate all'ambito della vita individuale; infatti tale repressione è la base della rinuncia all'autonomia, alla libertà, alla democrazia, cioè è la fonte della disposizione verso regimi dittatoriali o comunque autoritari.
Jacques Lacan (1901-1981) assume l'inconscio di tipo freudiano; ma, aggiunge, tale inconscio «parla»; esso è un linguaggio che sta tra le righe del linguaggio manifesto. L'inconscio pertanto è la struttura stessa del linguaggio cosciente. E se il «discorso dell'Io», cioè il discorso consapevole, risulta discontinuo, disorganico, o stentato, ciò avviene perché esso non possiede appieno il «discorso dell'Altro», cioè dell'inconscio. Pertanto tutte le espressioni del linguaggio umano, cioè tutte le forme espressive, sono interpretabili psicoanaliticamente.

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