Giordano Bruno (1548-1600)

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Testo

Giordano BRUNO
(1548-1600)
1. Tutte le cose hanno un'anima
La tesi fondamentale di Giordano Bruno è che tutte le cose hanno un'anima. Tale affermazione è il frutto di considerazioni neoplatoniche portate alle estreme conseguenze: se il principio che muove ogni cosa è lo spirito, in veste di "nocchiere della nave", ovvero di guida che dà l'intelligenza ai corpi, allora ogni ente terreno, sia esso animale, vegetale o minerale è dotato di questo spirito, di questa intelligenza, in varia misura rispetto alla consapevolezza che compete a ciascun ente (l'uomo è più consapevole del proprio spirito rispetto agli animali, gli animali ne sono più consapevoli rispetto ai vegetali, i vegetali lo sono più dei minerali).
Le affermazioni di Bruno non sono il frutto di semplici elucubrazioni magiche (seppure egli fosse considerato dai suoi contemporanei niente di più che un mago), ma traggono forza proprio dalla constatazione spiritualista che il principio che rende le cose vive non può essere generato solamente da fattori fisico-meccanici, ma mostra invece l'evidenza di un'intelligenza sottesa alle cose, per cui esse sono in un certo modo e si relazionano tra loro secondo un preciso ordine naturale che rappresenta lo stesso principio divino.
Questa intuizione sarà poi alla base della Naturphilosophie di Shelling, il quale si occuperà del filosofo di Nola nel suo Bruno. Del principio divino e naturale delle cose (1802), ma tutto il pensiero di Shelling presenterà forti analogie con quello di Bruno.
Le cose non sono animate solo per il fatto di essere vive e in movimento, ma lo sono anche e soprattutto per avere in sé quel proprio principio strutturale interno che permette loro di acquisire una certa forma e non un'altra. Questo principio strutturale di tutte le cose è l'anima divina che si palesa nella materia (l'anima plasma quindi la materia eterna e le dà una forma finita e mortale). La materia è incorruttibile e indistruttibile, come del resto l'anima, e quest'anima interviene dando una forma sempre diversa alla stessa materia. Il mutamento nel mondo è allora il mutamento delle forme, mentre lo spirito che le anima rimane fermo a plasmare le cose secondo la propria intelligenza. Questo processo è simile a quello che Platone attribuisce al Demiurgo.
Questa visione di un mondo animato dalla presenza del principio divino nella materia organica come in quella inorganica dà al creato un'interpetrazione fortemente panteista: Dio è in ogni cosa come principio vitale, entro le pietre come negli uomini, l'intera natura è un grande organismo unitario il quale è esso stesso evidenza dell'intelligenza divina.
2. Il rapporto con la magia
La magia, ovvero la convinzione che la materia abbia in sé un principio spirituale che interagisca con l'uomo e il suo intelletto, è una delle caratteristiche salienti dell'umanesimo rinascimentale, in particolare nell'ambito della riscoperta dell'indagine naturale. Bruno fu senz'altro un mago relativamente a tale accezione, interessato com'era ad attribuire un principio spirituale ad ogni ente e a scoprire e mettere in evidenza il segreto formale della materia.
Tutto nel mondo è animato, poiché la forma che il mondo assume è conseguenza di un'azione spirituale superiore. Questa evidenza viene dimostrata, secondo Bruno, nel fatto che certi farmaci e certe erbe medicinali influiscono anche sullo spirito, tale evidenza dimostra quindi un nesso che lega ogni cosa creata alle altre.
"Se dunque lo spirito, l'anima, la vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia, viene certamente a essere il vero atto e la vera forma di tutte le cose. L'anima, dunque, del mondo è il principio formale costitutivo, dell'universo e di ciò che in quello contiene." (G. Bruno, dal dialogo De la causa, principio et uno).
La magia, contrariamente all'opinione comune, non fu molto diffusa nell'epoca classica, per tutto il medioevo rimase poi ai confini della scienza, ma sempre gravata dal peso dell'accusa di satanismo che le muoveva la Chiesa. Bruno era un mago in quanto i suoi studi sull'anima dei minerali confluivano necessariamente nella pratica alchemica, inoltre Bruno si occupava di mnemonica (le tecniche di potenziamento della memoria), di numerologia e di geometria.
L'interesse per la numerologia e per la geometria era per Bruno una conseguenza inevitabile della teoria atta a mostrare l'intelligenza della materia, e in questo si può senz'altro scorgere un eco delle dottrine pitagoriche. La numerologia attribuiva ai numeri e alle loro combinazioni poteri magici in forza delle relazioni matematiche tra le cose, relazioni che esprimevano, in un'ultima analisi, quella armonia tra le parti sulla quale tutto l'universo poggiava necessariamente. Ecco perché i rapporti numerologici erano in grado, secondo Bruno, di esprimere verità metafisiche.
Per quanto riguarda la geometria, essa rappresentava l'inevitabile collegamento tra la struttura numerica e quella formale delle cose, per cui ogni cosa assumeva una certa forma assecondando il codice numerico suo proprio, codice nel quale si rispecchiava necessariamente la presenza di un'intelligenza divina superiore e costituente (si pensi, come esempio contemporaneo, al codice genetico).
3. La mnemonica, l' 'ars inveniendi'
Bruno si può considerare il primo studioso moderno della memoria. Già coltivata dai sofisti (Ippia si vantava di esserne il maestro), la mnemonica è l'arte di utilizzare al meglio la memoria, facendone uno strumento portentoso di "catalogazione".
Già nel "Ad Caium Herennium" (un trattato anonimo dell'82 d.C.), si dimostra come gli eventi che maggiormente ci restano impressi siano quelli ai quali vengono associate forte emozioni, o comunque particolari stati emotivi (è per questo che la mente non ricorda a volte gli avvenimenti ordinari come la cena o il pranzo del giorno prima, ma può tenere in sé il ricordo di eventi legati all'infanzia o a particolari esperienze vissute).
Una delle tecniche più usate per aumentare le capacità della memoria sono le immagini mnemoniche: queste sono disegni fortemente surreali dettati dall'esigenza di creare figure che abbiano in sé tutti gli elementi che permettono di ricordare qualcosa (ad esempio, per ricordarci del nome di pura invenzione "Alba Forestieri", l'immagine da associare potrebbe essere un sole che sorge su una foresta, e questo è uno dei casi più semplici).
La mnemonica era uno strumento dell'ars inveniendi: l'arte di trovare il metodo più adatto a favorire nuove scoperte in modo subliminale e inconscio. Bruno ideò una "macchina per inventare", nel suo De umbris idearum, la quale consisteva in un sistema di ruote mnemonico-associative, nelle quali al centro venivano poste immagini archetipe, mentre lettere, numeri e simboli su diversi livelli di circonferenze ruotavano trovando le giuste combinazioni tra tutte le infinite possibilità.
L'idea era che immagini archetipe legate alla nascita del cosmo e ai suoi significati (schemi di talismani, immagini celesti e mitologiche, segni astrologici, tracce di orbite planetarie), potessero inconsciamente influenzare la mente nella ricerca di quelle verità che ancora non erano state portate alla luce.
La verità dei meccanismi divini era nascosta in tutte le cose, grazie all'aiuto di una adeguata simbologia, la mente umana, entro la quale molto platonicamente (si veda la reminescenza di Platone) vi sarebbero racchiuse, se non le verità stesse, le possibilità potenziali per raggiungerle, poteva conoscere l'inconosciuto.
L'idea di Bruno era che la mente fosse un potente strumento di ricerca: l'uomo ha dunque la possibilità, nel pieno rispetto dello spirito rinascimentale, di utilizzare al meglio capacità mentali in lui sopite ma potenzialmente infinite.
4. L'universo infinito è popolato da mondi infiniti
Bruno fu anche il sostenitore di una nuova visione del cosmo. Radicalizzando la teoria copernicana (la quale sosteneva pur sempre che il Sole fosse immobile al centro dell'universo), Bruno affermò che l'universo è infinito e la Terra non è altro che uno dei molti pianeti che popolano l'immensità di questo infinito.
A chi affermava che era la Terra ad essere al centro dell'Universo, Bruno rispondeva adducendo il fatto che in un universo infinito vi sono infiniti centri, vista l'impossibilità di definire in modo certo un centro in mancanza di confini. A chi afferma invece che l'universo era limitato dall'Ultimo Cielo (l'Empireo aristotelico-tolemaico), Bruno rispondeva che ogni limite che si crede ovvio per il fatto di non vedere nulla oltre è solo una limitazione della capacità visiva, come se l'uomo affermasse di vedere la fine di un bosco per il fatto di non vedere più alberi all'orizzonte.
In particolare questa infinità del cosmo, che ne sottolineava la perfezione divina, costituisce un luogo entro il quale tutti i corpi sono soggetti alle stesse leggi fisiche in modo omogeneo (non così per la visione aristotelica che differenziava le leggi fisico-cosmologiche in ragione delle diverse sfere). L'infinità dello spazio è un concetto necessario a rendere giustizia della sua perfezione, qualità che rispecchia la stessa perfezione divina, la quale è lo stesso universo, lo stesso mondo, la stessa natura.
Inoltre a chi sosteneva che le stelle fossero fisse e immobili entro delle sfere di materiale concreto, Bruno opponeva il fatto che l'osservazione degli astri dimostra che ve ne sono certi più grandi di altri, e tale varietà di dimensioni contrasta con l'idea che vuole le stelle degli oggetti di egual misura posti a egual distanza dalla Terra in ragione di una loro fissità impressa nelle sfere.
Tali dimostrazioni mettevano in evidenza un concetto fondamentale: Bruno riteneva che la verità attorno alla struttura della realtà non può essere decisa dalla sola percezione sensibile, i sensi non percepiscono necessariamente la verità quando, ad esempio, si afferma che l'universo è finito perché non se ne scorge l'ampiezza ad occhio nudo.
Dunque è da notare, per finire, che Bruno, partendo da presupposti neoplatonici legati all'opportunità metafisica dell'infinità dello spazio, arrivò a definire un concetto di Universo molto vicino a quello odierno.

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