Fichte - la dottrina

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Testo

Fichte

1762 Nasce a Ramenau
1791 Conosce Kant a Königsberg
1794 Docente di filosofia a Jena, grazie a Goethe
1799 Lascia Jena, accusato di ateismo
1805 a Erlangen
1810 a Berlino
1814 Morte

Scritti principali

I Fondamenti della dottrina della scienza (1794)
I Fondamenti del diritto naturale (1796)
Il Sistema della dottrina morale (1798)
Discorsi alla Nazione tedesca (1807-8)

Fichte si riteneva un fedele interprete di Kant e si poneva come obiettivo l’eliminazione di ogni residuo dogmatico dal criticismo.
Infatti, secondo Fichte, Kant, nella sua filosofia, aveva commesso il grave errore di porre a fondamento della conoscenza1 l’esistenza indimostrata della cosa in sé, del noumeno. Kant aveva fatto ciò per spiegare l’eterogeneità tra forma e materia: se la prima era data dal soggetto, l’altra doveva trovarsi al di fuori del soggetto, essere indipendente.
Fichte criticava questa posizione sostenendo l’impossibilità dell’esistenza di qualcosa che non potesse esser conosciuto e sui cui, per di più, si doveva fondare la conoscenza. Questa doveva fondarsi solamente sul rapporto soggetto-oggetto, dato che non era possibile conoscere né il soggetto in sé né l’oggetto in sé.
Asserendo ciò, Fichte, come in seguito rimarcò lo stesso Hegel, aprì la strada ad una nuova filosofia: l’idealismo.
Per avvalorare le proprie tesi, il filosofo di Ramenau pose in confronto dogmatismo ed idealismo, al fine di dimostrare la superiorità del secondo. Per Fichte, due erano le ragioni che dovevano portare alla scelta dell’idealismo:

MOTIVO TEORETICO : Fondando l’esistenza della cosa in sé, il dogmatismo credeva in una realtà fatta di enti, tra cui l’uomo. Questi si differenziava da tutto il resto in quanto in grado di pensare ed agire in base a riflessioni. In tal modo, però, la soggettività veniva dedotta dall’oggettività. L’idealismo, invece, era teoreticamente superiore perché era molto più plausibile e comprensibile che il pensiero-attività producesse l’oggetto, che non viceversa. In quest’ultimo caso, infatti, il pensiero sarebbe stato un prodotto dell’oggetto: ma come faceva qualcosa di dinamico a derivare da qualcosa di statico?
MOTIVO PRATICO : Il credente nel dogmatismo aveva, per natura, un carattere fiacco: facendo derivare lo spirito da una realtà preesistente, riteneva che la libertà del pensiero fosse un prodotto delle cose (egli era schiavo della realtà). L’idealista,invece, deducendo l’oggetto dal soggetto, si mostrava più vivo ed energico, affermando la propria autonomia e libera attività rispetto al mondo.
Il Processo del Sapere

Fichte affermava quindi che lo spirito, assolutamente libero perché non limitato dall’esistenza del noumeno, fosse l’unica sorgente del conoscere, alla cui attività era dovuto sia il mondo dell’esperienza che il pensiero che si ha di esso.
L’indagine filosofica, pertanto, non doveva essere una descrizione statica delle forme dello spirito, ma un processo continuo ed ininterrotto, attraverso cui lo Spirito realizzasse se stesso come attività libera, originaria ed universale; una ricostruzione degli atti con cui lo Spirito produce l’essere quale momento del pensiero.

L’attività Teoretica

Fichte cercava il fondamento della conoscenza, come già detto, all’interno del rapporto tra soggetto ed oggetto, eliminando di fatto l’esistenza del noumeno.
Il principio unico fichtiano doveva poter spiegare:
a) la possibilità di sintesi tra materia e forma
b) l’opposizione tra soggetto ed oggetto.
Questo principio unico era l’Io Puro, infinito ed assoluto (Egoità), ed era sia principio sostanziale che formale.
Questo non significava tornare alle metafisiche tradizionali, in quanto l’Io non era un essere statico, ma era concepito come attività, dinamismo, pensiero in generale (“È in quanto agisce e non agisce in quanto è”).
L’Io Puro era attività che poneva se stessa e, nel fare ciò, si scindeva necessariamente in un soggetto ponente ed un oggetto posto (“L’Io pone se stesso”).
Dopo questo primo momento logico (e non cronologico!!!) ne seguiva un secondo: “L’Io oppone a se stesso un non-io (ovvero l’oggetto che l’Io sente diverso da sé)”.
C’era infine l’ultimo momento: “L’Io oppone all’interno di sé un non-io divisibile ad un io2 divisibile”. Con questo momento si giungeva quindi alla situazione concreta del mondo, dato dall’opposizione tra molteplici io e non-io finiti, tutti derivanti dall’Io Puro.

CHIARIFICAZIONI

I tre principi sopra citati erano i capisaldi dell’intera dottrina fichtiana, visto che stabilivano:
1) l’esistenza d’un Io infinito, Attività assolutamente libera e creatrice.
2) L’esistenza di un io finito (perché limitato dal non-io), cioè d’un soggetto empirico (l’uomo come intelligenza o ragione).
3) La realtà di un non-io, cioè dell’oggetto, che era opposto all’io finito, ma parte dell’Io Puro.

Vediamo ora alcune considerazioni che ci possono aiutare a capire meglio:
• I tre momenti vanno visti solo in senso logico e non cronologico
• Per Fichte, L’Io era sia infinito che finito al tempo stesso: finito perché limitato dal non-io, infinito perché quest’ultimo, ossia la natura, esisteva solo in relazione all’Io e dentro l’Io, costituendo il polo dialettico indispensabile alla sua attività.
• L’io Puro e infinito non era qualcosa di diverso dall’insieme di tutti gli io finiti nei quali si realizzava. Tuttavia, mentre questi erano soggetti “a nascita e morte”, l’Io infinito perdurava nel tempo.
• L’io infinito non era solo sostanza o radice metafisica degli io finiti, ma anche la loro metà ideale. In altri termini, gli io finiti erano L’Io infinito solo in quanto vi tendevano.
• L’anelito (streben) dell’io finito verso l’Io Puro non sarebbe mai giunto ad una conclusione, ma era un processo infinito. Infatti, se tutti gli ostacoli fossero stati superati, l’Io avrebbe cessato di esistere in quanto privo di non-io a cui opporsi, e così, al posto del movimento della vita, sarebbe subentrata la stasi della morte.3 [L’io conosce il non-io come limite, diverso da sé, ma che poi, con l’autocoscienza, gli si rivela come proprio. Presa coscienza di ciò, l’io supera il non-io con uno sforzo incessante e in un processo all’infinito (si trova davanti innumerevoli altri non-io da superare), cosicché il limite si sposta continuamente verso l’Io Puro, senza però scomparire mai]

L’attività morale

L’Io si limitava, ponendo il non-io, per realizzare se stesso e per realizzarsi come attività morale.
Infatti, lo sforzo continuo dell’io per superare il limite posto dal non-io aveva un carattere spiccatamente pratico, prima che teoretico.
Con l’incessante superamento del limite l’Io conquistava la propria libertà.
L’Io era “in modo assoluto, autonomo, immediato, la causa di se stesso”.
[“Originariamente, cioè senza il proprio operato, esso non è assolutamente nulla: ciò che esso deve diventare deve farselo da solo, con la propria attività”].
Questa attività diveniva possibile solo nel momento in cui “ad essa veniva contrapposto un ostacolo”, che era il non-io, la materia.
L’attività morale era, dunque, l’azione del soggetto sull’oggetto, e il mondo sensibile non era che lo strumento per l’esplicarsi di essa.
Il fine dell’attività era l’affermarsi all’infinito della libertà spirituale, che, del resto, non avrebbe mai potuto essere conseguita, dato che il superamento totale del finito non sarebbe mai stato completamente realizzato.
Lo sforzo incessante all’azione costituiva la radice ultima dell’Io, sulla quale si fondava anche la conoscenza (tuttavia per Fichte l’attività pratica era più importante della teoretica). Il dovere era determinante per lo sviluppo dell’Io; la “missione dell’Io” doveva essere portata a termine per non cadere nel male, ossia la carenza d’azione.
Per questi motivi, l’idealismo fichtiano fu anche detto etico.

La filosofia religiosa

Dopo le accuse di ateismo, dovute al fatto che l’Io Puro non fosse conciliabile con la divinità, pena la negazione dell’assolutezza della libertà, Fichte diede una nuova impronta religiosa alla propria filosofia.
Egli affermò l’esistenza, aldilà dell’Io Puro, di un vero principio originario: l?uno Assoluto, Dio, uguale a se stesso, immutabile, eterno ed indistruttibile, principio ontologico dell’Io Puro stesso.
Per queste modifiche fu accusato di plagio da parte di Schelling.
1 Sintesi di dati empirici e forme a priori
2 In questo caso non si tratta più dell’Io in generale ma di un io divisibile, un singolo soggetto: le minuscole sono d’obbligo!
3 Con Fichte decade quindi il concetto statico di perfezione, e nasce quello dinamico, che pone la perfezione nello sforzo continuo ed indefinito di autoperfezionamento.
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