Dai presocratici e Epicuro

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Testo

Con il termine ARCHE’ (principio), che sembra sia stato introdotto in filosofia da Anassimandro, i primi filosofi intesero quell'elemento di base dei mondo da cui tutto ha preso origine ed in virtù di cui tutto si mantiene in vita. In particolare, il principio rappresenta sia la materia di cui sono fatte le cose, sia la forza che le genera, sia la legge che le governa e le rende intelligibili alla mente. Di conseguenza, il concetto di “principio” è strettamente imparentato con le nozioni di “origine”, “causa” e “fondamento”. Aristotele, che fu il primo ad enumerarne in modo esauriente i vari significati, concluse che “Principio è ciò che è punto di partenza o dell'essere o dei divenire o dei conoscere”.
Con il termine ILOZOISMO (dal gr. hylé, “materia”, e zoè, “vita”), si intende ogni dottrina che concepisca la materia alla stregua di una forza dinamica vivente che ha in se stessa (e non al di fuori di sé) animazione, movimento e sensibilità. llozoisti, in questo senso, furono soprattutto gli jonici, i quali ritennero insita nel mondo l'anima e la sensibilità.
Con il termine PANTEISMO (dal gr. pán, “tutto” e theós, “Dio”), si intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il Principio che lo regge. Di conseguenza secondo il panteismo, Dio non è una causa trascendente il mondo (dal lat. transcendère, “salire al di sopra”), ovvero una Forza esterna ad esso, come accade ad esempio nella religione cristiana, bensì una causa immanente nel mondo (dal lat. immanére, “restare dentro”), cioè una Forza interna ad esso. In altre parole, secondo il panteismo (naturalistico) Dio tende a risolversi nell'infinita ed eterna vita della Natura e a identificarsi, come accade nei presocratici, con l'arché da cui tutto dipende.
La filosofia degli jonici è una forma di MONISMO (dal gr. mónos, “solo, unico”) intendendo con questo termine ogni sistema filosofico che si sforzi di ricondurre la realtà variegata e multiforme dei mondo ad un unico principio, di cui le cose molteplici sarebbero le manifestazioni transeunti.
APEIRON. Con questo termine (dal gr. a, “non”, e péras, “limite”) che significa contemporaneamente l'infinito e l'indeterminato, Anassimandro indicò il principio e l'elemento primordiale delle cose, inteso non come una miscela di vari elementi corporei, ma piuttosto come una materia in cui gli elementi non sono ancora distinti e che perciò, oltre che infinita (nel senso di illimitata), è anche indefinita o indeterminata.
Per COSMO (dal gr. kósmos, “universo”, “mondo”) si intende l'universo, considerato come un tutto armonico e ben organizzato. L'espressione, che in origine significava «ordine,,, fu attribuita per la prima volta al mondo nel suo complesso dai Pitagorici, i quali videro nella natura un ordine misurabile e matematicamente esprimibile.
Il concetto di cosmo, presso i Pitagorici, è collegato a quello di ARMONIA (dal gr. harmonía, “accordo”, “giusta mescolanza”) cioè alla nozione di un ordine finalisticamente organizzato - e numericamente esprimibile - delle parti di un tutto. L'armonia, secondo i Pitagorici (cfr. pure Eraclito) non esclude le opposizioni, ma le implica, configurandosi piuttosto come la loro “superiore” mediazione o conciliazione.
I NUMERI COME PRINCIPIO Affermare, come facevano i Pitagorici, che tutte le cose sono costituite da numeri significa dire che la vera natura dei mondo consiste in un ordinamento geometrico esprimibile in numeri, cioè misurabile.
LA COPPIA LIMITE-ILLIMITATO di cui parlano i Pitagorici (e che essi fanno corrispondere a quella di dispari e pari) esemplifica un modo di pensare tipicamente greco. Infatti, mentre noi (per motivi che vedremo in seguito) siamo abituati ad associare il concetto di “limite” (o di “finito”) a quello di imperfezione ed il concetto di “illimitato” (o di “infinito”) a quello di perfezione, i greci erano abituati a considerare l'illimitato come qualcosa di indeterminato o di incompleto (e quindi di difettoso) e il limite come qualcosa di determinato o di compiuto (e quindi di perfetto). Questo schema concettuale, che trova un aggancio anche nel parlare comune spiega perché i Pitagorici vedessero nel limite, e in tutto ciò che si riteneva corrispondesse ad esso il principio “attivo” e determinante delle cose e nell'illimitato, e in tutto ciò che si riteneva corrispondesse ad esso l'elemento “passivo” e determinato. Tant'è vero che la vicenda dell'universo appariva, ai loro occhi, come un processo in cui si ha un eterno trionfo dei limite sull'illimitato, del- l'ordine sul disordine, della forma sul caos.
Con il termine DUALISMO, si designa qualsiasi teoria che spieghi un dato ordine di cose, o l'universo nella sua totalità, mediante l'azione di due principi affatto opposti ed irriducibili l'uno all'altro. Nel caso dei Pitagorici, tali principi, come si è visto, sono il limite e l'illimitato.
Secondo Eraclito l'universo costituisce una totalità in DIVENIRE (dal lat. devenire, “venire gradualmente a stato e qualità diversi da quelli di prima”) che ha come principio fisico il fuoco, l'elemento mobile e distruttore per eccellenza.
Pur insistendo sul concetto dei divenire o del fluire delle cose, Eraclito si è sforzato nel contempo di sottolineare l'IMMUTABILE LEGGE DEL DIVENIRE. Legge che non consiste solo nella successione necessaria dei contrari (giorno-notte, inverno-estate, giovane-vecchio ecc.) ma anche nella loro necessaria unità (un opposto non può vivere senza l'altro) e nella vicenda ciclica (v.) dei fuoco cosmico, il quale, a fasi alterne, crea e distrugge l'universo.
Il concetto eracliteo di LOGOS (“parola”, “discorso”) non può essere tradotto in italiano con un unico termine, poiché contiene una pluralità di significati interdipendenti. Il lógos è, al tempo stesso, il vero discorso, la vera dottrina e la vera realtà delle cose, la quale non è caos, ma ordine ed armonia e quindi ragione. Di conseguenza, per Eraclito la ragione non è una semplice entità umana (ragione in senso soggettivo) ma la sostanza stessa della realtà (ragione in senso oggettivo).
Secondo Eraclito la LOTTA e l'OPPOSIZIONE costituiscono un aspetto ineliminabile della realtà, senza di cui non ci sarebbero la vita e l'essere.
Per VISIONE CICLICA DEL MONDO si intende la dottrina secondo la quale il mondo ritorna, dopo un certo numero di anni, al caos primitivo, da cui uscirà di nuovo per ricominciare il suo corso sempre uguale. Questa concezione - già embrionalmente presente, oltre che in Eraclito, nell'orfismo, nel pitagorismo e in Anassimandro - venne suggerita agli antichi filosofi dalle vicende cicliche constatabili: l'alternarsi dei giorno e della notte, il susseguirsi delle stagioni ecc. Ripresa da Empedocle, tale dottrina troverà radicali sviluppi soprattutto per opera degli stoici.
Il tema originale della filosofia di Parmenide è il contrasto tra la verità (ALèTHEIA) e l'opinione (DòXA). La prima si basa sulla ragione e ci porta a conoscere l'essere vero. La seconda si basa sui sensi e ci porta a conoscere l'essere apparente.
La tesi parmenidea secondo cui “l'essere è; il nulla non è” (fr. 6) presuppone la validità di due principi logici che saranno teorizzati e codificati solo più tardi: IL PRINCIPIO D’ IDENTITA’ (per cui ogni cosa è se stessa) e IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE (per cui è impossibile che una stessa cosa sia e insieme non sia nello stesso tempo ciò che è).
Con Parmenide il termine ESSERE - destinato ad avere una grande fortuna nella storia della filosofia- da semplice forma verbale avente la funzione di copula diviene un sostantivo neutro che allude ad un concetto astratto. Ciò avviene grazie all'articolo determinativo (tó), che ha il potere di trasformare un nome, un aggettivo o un verbo qualsiasi in una nozione indeterminata. Ad es. l'aggettivo “bello”, da proprietà o attributo di un ente specifico, diventa, in virtù dell'articolo, “la bellezza” (una genesi analoga hanno nozioni filosofiche come “il bene”, “la giustizia”, ecc.). Infatti, con il termine essere (tò ón, tò éinai; cfr. ad es. i fr. 4, 6, 8) il pensatore greco non intende riferirsi a questa o quella realtà in particolare, ovvero ai singoli enti (tà ónta), ma alla realtà in generale. Di conseguenza, è proprio con Parmenide che prende avvio quella branca fondamentale dei pensiero filosofico che è l'ontología, cioè il discorso e lo studio de;I'essere nelle sue caratteristiche universali.
In Parmenide SFERA LINGUISTICA, LOGICA ed ONTOLOGICA sono strettamente connesse e si corrispondono a vicenda. Infatti, per questo filosofo, ciò che è vero sul piano dei linguaggio (l'indicibilità dei non-essere) lo è altrettanto su quello logico (l'impensabilità dei non-essere) e su quello ontologico (l'irrealtà dei non-essere), con l'ovvia conseguenza che la realtà (vera) esiste allo stesso modo in cui si dice e si pensa (in modo vero).
In base alla sua tesi dell'esistenza dei nulla, Parmenide, con logica rigorosa, deduce una serie di “connotati” o di ATTRIBUTI DELL’ESSERE, che viene definito come ingenerato, imperituro, eterno, immutabile, immobile, unico, omogeneo e finito (per il commento ad ognuno di questi attributi cfr. il testo).
La modalità fondamentale dell'essere parmenideo è la NECESSITA’, intendendo, con questo termine filosofico, il fatto che l'essere non può non essere o essere diverso da così com'è.
Per PLURALISMO, in senso metafisico, si intende ogni dottrina filosofica che, opponendosi al monismo e al dualismo (v. gli ionici o i pitagorici) cerca di spiegare l'essere ricorrendo ad una pluralità di principi o di elementi originariamente esistenti e distinti (in modo tale che nessuno di essi risulti ontologicamente privilegiato rispetto agli altri).
Il pensiero dei fisici pluralisti si basa sulla distinzione fra ELEMENTI E COMPOSTI. I primi sono i princìpi immutabili ed eterni della realtà, i secondi sono gli aggregati mutevoli e transeunti cui dà luogo la loro combinazione.
Il principio secondo cui in natura nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma rappresenta una delle tesi più importanti della filosofia greca, che avrà notevole fortuna anche nella storia della scienza.
Empedocle riconobbe nell'AMORE la forza che tiene uniti i quattro elementi e nell'ODIO la forza che li separa. Il regno dell'Amore è lo SFERO, la fase culminante dei ciclo cosmico, nella quale tutti gli elementi sono legati nella più completa armonia. In questa fase non c'è né il sole, né la terra, né il mare, perché non c'è altro che un tutto omogeneo ed uniforme, ovvero una divinità che gode della sua solitudine (fr. 27). Quando predomina l'Odio si ha invece il regno del CAOS, nel quale gli elementi sono tutti separati. La vita si ha soltanto nelle fasi in cui Amore e Odio si spartiscono a metà il dominio dei mondo e gli elementi non sono né completamente uniti né completamente separati.
Alla base della sua teoria della conoscenza Empedocle pone il principio secondo cui il simile conosce il simile, ossia la tesi di un'identità di base fra gli elementi dell'essere nostro e dell'essere dei mondo. Questa dottrina, al di là dei significati specifici e immediati che riveste in Empedocle (“con la terra scorgiamo la terra, con l'acqua l'acqua”, e così via) sottintende uno schema concettuale destinato ad avere decisivi sviluppi nella storia della filosofia, ovvero la teoria di un'omogeneità di fondo fra il nostro pensiero e l'universo.
Aristotele denominò con il termine OMEOMERIE (“particelle simili”) i “semi” di Anassagora, cioè le parti che compongono un corpo e che sono in prevalenza simili al corpo stesso. Così, per quanto in ogni corpo vi siano particelle o semi di tutti gli altri corpi, in ogni corpo è tuttavia prevalente una certa specie di particelle che è quella che dà nome al corpo stesso. Le omeomerie sono qualitativamente differenti fra di loro ed infinitamente divisibili.
Anassagora chiamò NOUS (“intelletto”) la mente ordinatrice dell'universo, ossia quella forza che ha sceverato i semi originariamente confusi nel migma o caos primordiale, permettendo la formazione dei nostro mondo.
Per ATOMISMO FILOSOFICO si intende la dottrina, formulata per la prima volta da Leucippo e Democrito, secondo la quale l'universo sarebbe costituito dai vario aggregarsi di particelle indivisibili, dette atomi (dal gr. átomos = non divisibile), qualitativamente identiche ma quantitativamente differenti (per forma, grandezza e posizione).
Il termine MATERIALISMO designa, in filosofia, ogni dottrina che faccia della “materia” (comunque intesa) il principio di spiegazione della realtà. Il materialismo ha molti aspetti o sfumature. In Democrito, che può essere considerato come il teorico dei primo e più coerente sistema materialistico dell'antichità, troviamo un materialismo metafisico o cosmologíco che fa della materia la sostanza e la causa ultima delle cose. Tale materialismo si concretizza in una forma di atomismo (v.) che insiste: a) sul carattere originario o inderivabile della materia; b) sulla presenza, in essa, di una forza intrinseca capace di farla muovere; c) sulla negazione di ogni struttura finalistica e provvidenziale dell'universo. In Democrito troviamo anche un abbozzo di materialismo psicofisico basato sulla tesi di una stretta dipendenza causale dei fenomeni psicologici da quelli fisiologici.
Il materialismo metafisico o cosmologico, attribuendo la causalità, cioè il potere di azione, soltanto alla materia, è sempre una forma di ATEISMO (“senza Dio”) il quale, nell'accezione filosoficamente rigorosa del termine, si identifica con la negazione della causalità di Dio.
Per MECCANICISMO si intende, in generale, ogni teoria che spieghi la realtà mediante il movimento dei corpi nello spazio e concepisca l'universo stesso come una grande macchina. In senso stretto, per meccanicismo si intende l'opposto del finalismo (v.), ossia un metodo di indagine che consiste nello spiegare i fenomeni tramite un sistema di “cause meccaniche” che non contengono la rappresentazione anticipata di fini o scopi.
Per FINALISMO si intende, in generale, ogni teoria secondo cui l'universo agisce in vista di determinati fini o scopi (comunque concepiti). In senso stretto, per finalismo si intende l'opposto dei meccanicismo (v.), ossia un metodo di indagine che consiste nello spiegare la realtà mediante una serie di ,cause finali,, che contengono in se stesse la rappresentazione anticipata di fini o scopi. Il metodo finalistico è detto anche teleologico (dal gr. télos, fine e lógos, discorso).
Per CASUALISMO O DETERMINISMO si intende la concezione per cui in natura nulla avviene a caso, ma tutto accade secondo ragione e necessità. Per “causa” si intende, in generale, ciò da cui dipende un determinato effetto. La mentalità causalistica e deterministica ha rappresentato uno degli ingredienti fondamentali della scienza, che è nata e si è sviluppata proprio in virtù dei desiderio di trovare le “cause” delle cose e le “leggi” che le determinano.
OGGETTIVO è ciò che esiste indipendentemente dal soggetto ed è valido per tutti.
SOGGETTIVO è ciò che esiste in relazione al soggetto ed è valido solo in rapporto a lui. Secondo Democrito sono oggettive le proprietà quantitative e spaziali dei corpi (ad es. figura e movimento), soggettive le proprietà di tipo qualitativo (ad es. sapori e odori).
UMANISMO è un termine filosofico con cui si designa ogni sistema di pensiero che veda nell'uomo - anziché in entità esistenti al di fuori o al di sopra di lui - la “misura” delle cose, cioè il criterio o il metro di giudizio di tutto ciò che si afferma o si nega intorno alla realtà.
FENOMENISMO (“ciò che si manifesta” o “appare”) è un termine che è stato coniato in età moderna per designare le teorie secondo cui noi non abbiamo mai a che fare con la realtà com'è in se stessa, ma soltanto con la realtà quale appare a noi. In altri termini, il fenomenismo - che si collega strettamente all'umanismo (v.) e al relativismo (v.) - è la dottrina filosofica per cui, non potendosi conoscere le cose come sono in se stesse, ma soltanto come si manifestano a noi, il mondo riveste i caratteri di un semplice fenomeno, ossia di una realtà che è tale solo in rapporto a colui che l'apprende e nel modo in cui egli l'apprende.
Il RELATIVISMO CONOSCITIVO O MORALE è la teoria secondo cui non esiste una verità teoretica o morale “assoluta”, ovvero “sciolta” (“libero da legami”) dalla soggettiva angolatura di pensiero di colui che la enuncia, ma ogni credenza è “relativa” ad un determinato punto di vista sul mondo.
Per SCETTICISMO (“ricerca”) si indica, in generale, la posizione di chi mette in dubbio o nega la possibilità di accedere al vero (comunque inteso).
Lo SCETTICISMO ONTOLOGICO O METAFISICO è l'atteggiamento proprio di colui che pone in discussione (come faceva Gorgia) la possibilità umana di conoscere l'essere o di pronunziarsi intorno al reale. Di conseguenza, mentre l'ontologo o il cosmologo parte dal presupposto della corrispondenza necessaria fra linguaggio, pensiero ed essere e crede che la nostra mente sia in grado di rispecchiare adeguatamente la realtà, colui che fa professione di scetticismo ontologico o metafisico ritiene che fra pensiero ed essere esista un irrimediabile divorzio o frattura. Per agnosticismo (dal gr. ágnóstos, sconosciuto) si intende, in generale, la posizione di colui che afferma di non avere strumenti mentali sufficienti per pronunziarsi intorno ad un argomento qualsiasi. In filosofia, si paria soprattutto di agnosticismo metafisico (per alludere ad una posizione analoga a quella dello scetticismo metafisico) o di agnosticismo religioso o teologico (per alludere alla teoria secondo cui non si possiedono mezzi adeguati né per ammettere né per escludere l'esistenza di Dio).
Per RETORICA (“tecnica dei parlare”) si intende l'arte di persuadere mediante l'uso di strumenti linguistici. La retorica, che nacque inizialmente in sede giudiziaria, fu la creatura prediletta dei sofisti, i quali finirono per praticarla come un'arte ammaliatrice, capace di “imbonire” gli ascoltatori indipendentemente dalla validità delle prove addotte.
Per ERISTICA ( “arte dei disputare”) si intende l'arte di battagliare a parole o di far prevalere la propria tesi, vera o falsa che sia, grazie ai più raffinati strumenti linguistici e retorici.
IRONIA (“simulazione-dissimulazione”). In filosofia designa l'aspetto critico-demolitorio dell'interrogare socratico, che consisteva nel “fingersi” ignoranti rispetto all'interlocutore, onde confutare meglio le sue certezze prefabbricate. Come tale, l'ironia non è fine a se stessa, ma rappresenta il metodo usato da Socrate per svelare all'uomo la sua ignoranza e per gettarlo in quella situazione di dubbio e di inquietudine, dalla quale soltanto può nascere la ricerca.
MAIEUTICA ( “arte della levatrice”). Designa l'aspetto positivo - costruttivo del metodo di Socrate, il quale, per mezzo di opportune domande al suo interlocutore, aiutava il prossimo a “partorire” le verità che quest'ultimo custodiva, in modo latente, dentro di sé.
IL METODO SOCRATICO DELLE DEFINIZIONI, così come lo presenta Platone, consiste nel pretendere dall'interlocutore una risposta breve e precisa intorno all'essenza di ciò di cui si sta parlando (,,che cos'è la giustizia?,,, ,che cos'è la virtù?,, ecc.). Secondo Aristotele tale metodo equivale alla dei ragionamento induttivo e dei concetto.
Per RAGIONAMENTO INDUTTIVO si intende il procedimento mentale che, dall'esame di una serie di casi particolari, risale ad un concetto o a un principio universale.
Per CONCETTO, nell'accezione socratico - platonico - aristotelica dei termine, si intende ogni contenuto mentale in grado di fissare in modo universalmente valido le note essenziali di una realtà qualsiasi.
Per VIRTU’ si intende, in generale, una qualsiasi capacità o eccellenza, a qualsiasi ente appartenga. Riferita all'individuo, indica il modo ottimale di essere uomo. Secondo l'idea tradizionale, di matrice omerica e micenea, la virtù risiedeva soprattutto in valori quali la forza d'animo, la vigoria fisica e l'onore. In Socrate, la virtù acquista invece una connotazione marcatamente etica e tende ad identificarsi con quella pratica abituale dei bene tramite cui l'uomo consegue la felicità e la serenità d'animo. La virtù diviene quindi, nella prospettiva umanistica ed “eudemonistica” di Socrate, un'arte dei ben vivere e dei ben comportarsi che poggia sul sapere, anzi che fa tutt'uno con il sapere stesso.
Per RAZIONALISMO MORALE si intende la dottrina filosofica che attribuisce alla ragione e all'intelligenza la direzione suprema della vita, reputando che per agire correttamente sia indispensabile la conoscenza e la riflessione.
Il razionalismo morale di Socrate, implicando le equazioni virtù = scienza e vizio ignoranza, è stato accusato, attraverso i secoli, di INTELLETTUALISMO ETICO, intendendo, con tale espressione, quell'indebita sopravvalutazione dell'intelletto rispetto alla volontà (e alle emozioni) che Socrate avrebbe operato nella sua etica, affermando che chi conosce il bene lo mette in pratica (mentre chi compie il male non lo attua per cattiva volontà, ma solo per una reale ignoranza circa il suo vero bene).
Per EUDEMONISMO (“felicità”) si intende ogni dottrina che, analogamente a quella socratica, assuma la felicità a principio o movente della vita morale e che fondi la felicità (identificata con il bene) sulla vita “virtuosa”.
Per EDONISMO (“piacere”) si intende ogni dottrina filosofica che, analogamente a quella dei Cirenaici (v.), consideri il piacere come principio o movente della vita morale e come l'unico bene (o felicità) possibile.
La canoníca
Con il termine QUADRIFARMACO vengono indicate le quattro massime fondamentali in cui si articola la concezione epicurea della filosofia come “medicina dell'anima”.
Epicuro chiamò CANONICA la logica o teoria della conoscenza, in quanto la considerò diretta essenzialmente a dare il criterio della verità e quindi un canone (= una regola) per indirizzare l'uomo verso la felicità.
Per PROLESSI O ANTICIPAZIONI Epicuro, analogamente agli Stoici (v.), intese i concetti generali, ossia quegli schemi della nostra mente che fungono da riassunto mnemonico delle esperienze passate e da anticipazione di quelle future.
Con il termine EVIDENZA gli Epicurei e gli Stoici (v. la nozione di “rappresentazione catalettica” indicarono la presenza o la manifestazione incontrovertibile delle cose alla mente. In particolare, gli Epicurei identificarono l'evidenza con l'azione stessa degli oggetti sugli organi di senso.
La fisica
La “fisica” di Epicuro, che è sostanzialmente un'ontologia o una metafisica, è una forma di atomismo, di materialismo e di meccanicismo che si basa su di una ripresa dei modello democriteo (v.).
Le differenze fra la fisica di Democrito e quella di Epicuro sono parecchie. In primo luogo, Epicuro ritiene che gli atomi, pur essendo fisicamente od ontologicamente indivisibili, siano logicamente o mentalmente divisibili in frammenti o “parti” di grandezza inferiore - i cosiddetti “minimi” - i quali, a loro volta, non risultano più divisibili nemmeno dal punto di vista teorico. In secondo luogo, mentre Democrito aveva distinto gli atomi secondo “figura”, “ordine” e “posizione”, Epicuro li distingue per “figura”, “peso” e “grandezza”. L'introduzione dei peso segna una spaccatura netta nei confronti di Democrito. Infatti, mentre per quest'ultimo gli atomi hanno come proprietà strutturale il movimento, il quale rappresenta un dato originario della materia, che non ha bisogno di essere “dedotto”, Epicuro per “spiegare” il moto ricorre invece al peso, il quale fa sì che gli atomi “cadano” nel vuoto in linea retta e con la stessa velocità. Da ciò la formulazione di un'idea completamente assente in Democrito; quella dei “clinamen”.
La teoria dei CLINAMEN (termine latino con cui Lucrezio traduce il vocabolo greco parénklisis = deviazione, declinazione) venne escogitata da Epicuro per rendere possibile l'urto degli atomi. Infatti, se gli atomi cadono perpendicolarmente nel vuoto alla stessa velocità ci si può chiedere perché gli atomi non cadano sempre per linee parallele (ovvero senza incontrarsi). Per risolvere la difficoltà Epicuro parla di una declinazione casuale e spontanea degli atomi dalla loro traiettoria, grazie a cui avviene l'incontro, e perciò l'interazione, fra atomi. Tale dottrina non fu elaborata solo per ragioni fisiche, ma anche (e forse soprattutto) per ragioni etiche. Infatti, una fisica come quella dell'atomismo poteva portare diritto al determiniamo e quindi alla negazione di ogni forma di libertà. Invece, l'ipotesi della casualità degli incontri atomici finiva per introdurre, nella realtà, un elemento di indeterminazione e di spontaneità, conciliabile (almeno così sembrava) con l'agire libero e spontaneo dell'uomo.
L'etica
Secondo Epicuro la felicità consiste nel PIACERE, il quale rappresenta il criterio di ogni scelta e di ogni valutazione.
L'Epicureismo distingue due tipi di piaceri: IL PIACERE STABILE O CATASISTEMATICO, che consiste “nel non soffrire e nel non agitarsi” e IL PIACERE IN MOVIMENTO O CINETICO che consiste nella gioia e nella letizia.
I piaceri stabili sono, in riferimento al corpo, l'APONIA (= assenza di dolore) e, in riferimento allo spirito, l'ATARASSIA (= assenza di turbamento).
Epicuro ha una concezione negativa della felicità, in quanto ritiene che essa risieda soltanto nella “distruzione dei dolore”, ovvero nel piacere stabile.
Sulla base della sua visione negativa del piacere Epicuro distingue vari tipi di bisogni.
I bisogni naturali e necessari sono quelli legati alle improrogabili richieste della carne, ovvero quelli che se non vengono soddisfatti conducono alla morte (ad es. la fame, la sete, il sonno ecc.).
I bisogni naturali e non necessari sono quelli che costituiscono una variante superflua dei bisogni naturali (ad es. il mangiare troppo, il bere troppo ecc.). Epicuro tende a porre in questa categoria anche gli eccessi amorosi e sessuali, circa i quali la matura saggezza di Metrodoro sentenzia: “i piaceri amorosi non hanno mai giovato, c'è da esser grati se non portano danno”.
I bisogni non naturali e non necessari sono i bisogni “vani”, cioè quelli legati a desideri artificiali come la gloria, la potenza, gli onori ecc.
Il pensiero di Epicuro non è una forma di edonismo, bensì di RAZIONALISMO MORALE, in quanto tale filosofia non predica l'abbandono smodato ai godimenti, ma il calcolo intelligente dei piaceri. Un calcolo che non è fatto solo di misura e di equilibrio, ma anche di raffinata rinuncia.
Il noto comandamento epicureo “vivi nascosto” deriva dalle premesse del sistema. Infatti, pur credendo fermamente nell'amicizia, Epicuro disdegnava la politica e i suoi affanni, ritenendo che i beni supremi dell'uomo non risiedessero negli (illusori) fasti dei potere, ma nella serenità dell'animo: “La corona dell'atarassia è incomparabilmente superiore alle corone dei grandi imperi”.

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