Avicenna, Averroè, S. Agostino, Abelardo

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Testo

- Avicenna, Averroè, S. Agostino, Abelardo –
(biografie essenziali ed opere)

AVICENNA

La vita e le opere
Nome latinizzato del filosofo, medico e letterato persiano Abu Ali al-Husain Ibn Sina (Afshana, presso Buhara, 980-Hamadan 1037). Figlio di un funzionario della dinastia persiana dei Samanidi, manifestò fin da fanciullo una spiccata attitudine per gli studi filosofici e scientifici e in particolar modo per la medicina. Attivo sostenitore del patriottismo iraniano, fu ministro ( wazir) sotto i Buwaihidi a Hamadan, ma dopo la conquista della città da parte del sultano turco gasnavide Mahmud, si trasferì a Esfahan, dove divenne consigliere del principe kakuyide !Ala' ad-Dawlah. Morì durante una campagna per la riconquista di Hamadan. §Le opere specificamente filosofiche di A. sono il Libro della Guarigione e il Libro della Liberazione, scritte in arabo, che era la lingua dotta dell'epoca, e il Libro della Sapienza, in persiano, un'esposizione semplificata del suo sistema filosofico, dedicata al principe !Ala' ad-Dawlah.
Il filosofo
In filosofia A. non intese costruire un sistema originale ma, negando all'aristotelismo (che pur egli professa nel Libro della Liberazione) la qualifica di verità completa, volle limitarsi a esporre il pensiero di Aristotele come uno dei gradi della verità. Principio di questa filosofia è Dio, come essere necessario, da cui emanano in ordine gerarchico le Intelligenze e quindi gli esseri materiali. Dio, come essere necessario, è identità di soggetto e oggetto, di intelletto intelligente e oggetto dell'intellezione. Egli non agisce che necessariamente e i suoi prodotti, essendo inferiori alla causa da cui emanano, si dispongono in una scala discendente. Conseguentemente non v'è un inizio temporale del mondo, perché Dio agisce dall'eternità e i suoi effetti gli sono contemporanei. La necessità così affermata del mondo come di Dio è tuttavia in essi differente: Dio è necessario in sé, gli enti creati in sé sono solo possibili, mentre divengono necessari solo a causa di Dio. V'è inoltre un'altra distinzione tra gli enti creati: le Intelligenze motrici e le loro sfere hanno un'esistenza eterna e un'azione costante, non dipendendo da alcuna materia e non provenendo il loro moto da una decisione nel tempo come per l'intelligenza umana. Per esse si può parlare di creazione in modo del tutto diverso che per le cose materiali; in queste la forma intelligibile è accolta da una materia determinata da particolari condizioni di spazio e tempo, da una certa miscela di elementi. Ora, la materia è ciò che è unico in tutti gli enti materiali, mentre diverse sono le forme che essa può accogliere. Causa della materia sarà quindi ciò che v'è di uguale e uniforme nei cieli, il movimento circolare, che si trasmette mediante il cielo della Luna. Causa delle forme, quindi della diversità, sarà l'influsso dei diversi astri che giunge alle cose materiali parimenti attraverso il cielo della Luna. L'uomo ha un posto determinato in questa struttura universale: la sua anima non può conoscere che gli oggetti dei sensi, eppure attraverso questi ha accesso agli intelligibili. La conoscenza pura di questi le potrà convenire solo quando sarà separata dal corpo. Due sono le vie della conoscenza umana. Mediante la prima l'uomo giunge alla conoscenza dei principi comuni del pensiero, che si ritrovano sin da principio in tutti gli uomini: ciò avviene per una diretta emanazione divina. Mediante la seconda invece l'uomo astrae dai dati sensibili le forme delle cose, dapprima ottenendone i principi universali, poi agendo liberamente e cogliendo agevolmente le forme di tutti gli oggetti. Ciò avviene perché l'intelletto potenziale, che è presente in ogni uomo, viene fatto passare all'atto e diviene così identico alle forme degli oggetti che pensa. L'intelletto potenziale si muta in intelletto in atto non per sé solo, ma per effetto di un intelletto attivo non commisto alla potenzialità. Separata dal corpo, l'anima può meglio unirsi all'intelletto attivo e proseguire senza intralci nella conoscenza. Nei sogni e nelle visioni profetiche questa più intima unione è già in atto durante la vita.
Il letterato
L'opera poetica persiana attribuita ad A. comprende dodici quartine (v. ruba!i), un ghazal, un frammento (ma c'è chi pensa che sia l'autore di una parte del corpus di!Umar Hayyam); quella prosastica è composta da alcuni affascinanti racconti allegorici. Nella quartina la riflessione lirica fa da supporto ad aforismi scettici, amari, lucidamente materialistici, più ammonitori nei riguardi delle illusioni umane che non moraleggianti nel senso usuale del termine.Il medico
Nella medicina A. è considerato uno dei massimi esponenti del periodo migliore della scuola medica araba; in arabo scrisse i suoi studi di anatomia, fisiologia, patologia e farmacologia, raccolti nel testo Il canone che, tradotto in latino nel sec. XII da Gherardo da Cremona col titolo di Liber canonis medicinae e ritradotto da Andrea Alpago nel sec. XV, influenzò per lungo tempo la medicina europea. La medicina di A., in buona parte di derivazione galenica, appare come una costruzione unitaria paragonabile, per il rigore scientifico svincolato da influenze filosofiche, a una disciplina matematica. A. ci ha lasciato anche numerosi scritti riguardanti l'astronomia, la matematica e le scienze naturali, contenuti specialmente nel Libro della Guarigione.

AVERROE’

Biografia
(arabo Ibn Rushd). Filosofo arabo (Cordova 1126-Marrakech 1198). Appartenente a una famiglia di giudici, seguì egli stesso questa carriera e fu giudice a Siviglia. Dal 1182 fu medico dei califfi Abu Ya!qub Yusuf ibn al-Mu'min e Abu Yusuf Ya!qub al Mansur. Nel 1195 cadde in disgrazia a causa delle accuse degli ortodossi; la protezione del califfo Abu Yusuf Ya!qub al Mansur gli salvò la vita, ma dovette andare in esilio in Marocco.
Il commentatore
A. fu per l'Occidente latino il commentatore di Aristotele; la sua attività intendeva restaurare il significato autentico dell'opera di Aristotele, al di là delle interpretazioni neoplatonizzanti di al-Farabi e Avicenna. Tre sono i tipi di commentario usati da A.: il Grande Commentario, in cui viene seguito il metodo ancora greco della spiegazione frase per frase del testo aristotelico, cui si aggiungono spesso note di A., indicate come Commentaria; il Commentario medio, consistente in un riassunto di testi aristotelici; le Parafrasi, in cui è riportato solo il senso dei libri aristotelici, ridotti a un'esposizione che non segue l'ordine originale, con sviluppi personali di Averroè. Inoltre A. difese la filosofia contro al-Ghazzali in un libro intitolato Distruzione della distruzione dei filosofi.A. intese mantenersi fedele ad Aristotele, che per lui rappresentava il più alto esempio di ciò che la natura sa produrre; ma questa sua è una fedeltà critica, retta da una continua indagine sulla filosofia e la tradizione religiosa.
Il pensiero religioso
Nei confronti della religione, A. si mostra attento a distinguere i vari livelli della fede. Vi sono infatti uomini che possono essere volti a Dio solo mediante argomenti tratti dalla realtà sensibile, altri cui meglio si adattano le esortazioni: per questi l'insegnamento coranico, che fa leva soprattutto sulla facoltà immaginativa, è particolarmente adatto. Per coloro invece che sono in grado di accedere al pensiero puro, all'ordine razionale, il Corano non contiene che esortazioni e spunti a proseguire la ricerca di Dio. Come è critico nei confronti della tradizione religiosa e dei commenti teologici al Corano, altrettanto A. si mostra verso la tradizione di pensiero araba. Alla dottrina di al-Farabi e di Avicenna – per i quali il molteplice nasce da Dio nel seno della Prima Intelligenza, dove si verifica la distinzione tra la semplice possibilità, che a questa è propria in quanto non coincide con Dio, essere necessario, e la causalità divina che la rende necessaria – A. contrappone la dottrina del necessario fluire della realtà molteplice da un'unica sorgente.
Il pensiero filosofico
Avicenna concepiva, neoplatonicamente, la realtà come un seguirsi di emanazioni, secondo il principio che una cosa deriva da una cosa sola; A. ritiene invece che l'ordine cosmico derivi dal comprendersi reciproco e dal convergere finalistico delle intelligenze. Il risultato è quello di una concezione del mondo come accordo di attività finalizzato al Dio supremo come scopo ultimo. La negazione della visione del mondo di Avicenna, come serie di realtà emananti l'una dall'altra, è pure visibile nella concezione che A. ha della generazione nel mondo sublunare: egli ritiene che non già, come per Avicenna, sia un'intelligenza separata a imprimere le forme alle cose materiali, bensì materia e forma sussistano all'interno di ciascun essere e sia il loro composto a generarsi, passando dalla potenza all'atto. Dalla dottrina della materia e forma si svolge anche la più celebre delle dottrine averroiste, quella dell'intelletto. La conoscenza inizia con l'impressione prodotta sui nostri sensi dalle forme materiali a noi esterne. Dalla contemplazione di tali impronte, come oggetto di conoscenza, si generano delle forme sensibili in atto, sulle quali l'immaginazione a sua volta interviene. Così elaborate le forme sono pronte, attraverso un ulteriore processo, a divenire degli intelligibili. Ma il passaggio da tali immagini a forme intelligibili non può essere immediato, perché esse sono in effetti solo potenzialmente intelligibili: è quindi necessario ammettere un intelletto attivo che le faccia passare dalla potenza all'atto. L'intelletto attivo, facendo passare in atto le forme intelligibili, fa passare in atto anche l'intelletto potenziale in cui esse vengono accolte, divenendo quindi per noi intelligibili. Le forme intelligibili hanno così una duplice relazione, con l'intelletto da un lato, con le immagini sensibili da cui derivano dall'altro. In tal modo esse sono eterne e nello stesso tempo corruttibili e generate. L'intelletto speculativo o acquisito, che nasce dall'attualizzazione dell'intelletto potenziale o materiale, è così almeno per un verso corruttibile: A. conclude che conseguentemente non v'è immortalità individuale per l'uomo, perché, sebbene l'intelletto attivo e quello materiale siano per sé eterni, la nostra partecipazione a essi è condizionata dalle immagini sensibili attraverso le quali avviene per noi l'attualizzazione dell'intelletto. L'intelletto attivo è l'oggetto di conoscenza più alto da noi raggiungibile. Alcuni uomini possono superare il limite della natura, degli oggetti materiali a noi esterni e cogliere l'intelletto agente stesso. Poiché questo è l'ultima delle Intelligenze celesti e a sua volta conosce l'Intelligenza a lui superiore, in una catena che di Intelligenza in Intelligenza risale sino a Dio, l'ultimo termine della scienza è la semplice conoscenza intuitiva di Dio stesso.

AGOSTINO

Biografia
Santo e dottore della Chiesa (Tagaste 354-Ippona 430). Figlio di un modesto possidente, Patrizio, di religione pagana, e di madre cristiana, Monica, studiò a Madaura e a Cartagine; non ancora ventenne ebbe un figlio, Adeodato, dalla relazione con una donna da lui abbandonata solo quindici anni dopo. Professore di eloquenza a Tagaste e a Cartagine, aderì alla setta dei manichei, che seguendo la teoria dei due principi opposti di Bene e di Male approfondivano la tematica della corruzione del mondo e del male morale e cosmico. Dal manicheismo A. si staccò ufficialmente soltanto dieci anni più tardi, allorché era professore a Milano, sotto l'influsso del vescovo Ambrogio. La notte di Pasqua del 387 fu battezzato dallo stesso Ambrogio assieme all'amico Alipio e al figlio Adeodato. Decise quindi di tornare in Africa. A Ostia gli morì la madre, che l'aveva costantemente seguito e che ebbe non piccola parte nella sua evoluzione verso il cristianesimo. Nel 391 fu ordinato sacerdote, nel 395 eletto vescovo d'Ippona, dove svolse un'intensissima attività pastorale e di studio fino alla morte. Secondo la tradizione le sue ossa riposano a Pavia nella basilica di S. Pietro in Ciel d'Oro. È festeggiato il 28 agosto.
Il pensiero di S. Agostino
A. fu spinto da giovane a coltivare la filosofia dalla lettura di un'opera di Cicerone per noi perduta, l' Hortensius; e i suoi primi libri, composti nel 386 nel ritiro di Cassiciacum(forse Cassago, in Brianza), in attesa del battesimo, sono di natura schiettamente filosofica, attestante un forte influsso neoplatonico: i dialoghi Contra academicos, De vita beata , De ordine.Poco dopo il battesimo, a Milano, scrive invece una sorta di esame di coscienza in due libri, non portati a termine, dal titolo Soliloquia.Entrata ormai nell'ambito pieno del cristianesimo, la sua attività di scrittore si sviluppa in gran parte sul fronte della polemica contro le eresie pullulanti soprattutto nell'Africa settentrionale. L'importanza di A. nel rifiuto di certe teorie e nella formulazione diversa di certi dogmi o norme morali è per questo immensa. Prima venne la lotta contro i manichei ( De libero arbitrio, De magistro, De vera religione, De utilitate credendi e, più tardi, Contra Faustum) centrata sul tema della Verità. Essa risiede nell'animo dell'uomo, salda e immutabile contro la mutevolezza del mondo esteriore; il Bene è l'unica realtà davvero esistente e tutto quanto esiste è bene, mentre il Male è, all'opposto, l'assenza di essere, non è; nell'uomo è la mancanza di capacità a conformarsi pienamente al volere del Creatore. La novità di A. consiste nel riprendere questi temi di origine platonica e neoplatonica alla luce della concezione cristiana. Da questo punto di vista la vita interiore e intellettuale è resa possibile dalla luce divina che è dentro noi ed è la fonte della fede e al tempo stesso di una ricerca inesauribile diretta a enuclearla nella sua purezza: questa concezione (teoria dell'illuminazione) porterà A. alla formula del credo ut intelligam.A. andò sempre maggiormente prendendo coscienza di questa novità del suo pensiero, così come della "novità" del cristianesimo attraverso l'approfondimento della problematica religiosa che la partecipazione alla vita attiva della Chiesa gli impose. In Africa egli si trovò di fronte allo scisma dei donatisti, che legavano la validità dei sacramenti alla purezza della vita di colui che li amministrava e negavano ogni gerarchia ecclesiastica: li combatté con una serie di opere ( Psalmus contra partem Donati, De Baptismo , Contra epistulam Petiliani, De unitate Ecclesiae) e con interventi ai concili di Cartagine del 403 e 411, affermò la validità dei sacramenti indipendentemente dalla persona che li amministrava e ribadì i diritti della Chiesa di Roma. La terza polemica, contro i pelagiani, fu la più importante e quella che impegnò A. nel problema più arduo della morale cristiana: il rapporto fra grazia e libero arbitrio. Contro la negazione di Pelagio che il peccato originale avesse intaccato radicalmente la libertà originaria dell'uomo e quindi la sua capacità di fare il bene, A. sottolineò energicamente la necessità della grazia divina per la salvazione: la natura umana, di per sé corrotta, non merita che la dannazione e solo la misericordia divina in Cristo, che liberamente concede al di là di ogni calcolo umano la grazia santificante, può restaurarla. Le tesi dibattute nella polemica antipelagiana, in cui A. fu portato talora ad accentuare un aspetto del problema, daranno luogo a discussioni teologiche che ancor oggi non sono esaurite: "La concezione pessimistica della condizione umana, che già prima di A. aveva alimentato tutto un filone del pensiero cristiano d'Africa (Tertulliano, Arnobio) e che in A. era stata rinforzata dall'esperienza manichea, lo ha portato al di là delle posizioni paoline interpretate nel senso più rigido, fino a un punto in cui l'insegnamento della Chiesa non lo ha potuto più seguire " (M. Simonetti). Tra le opere in proposito del "dottore della grazia" ricordiamo De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum, De spiritu et littera, De natura et gratia, Contra Iulianum.L'intervento più alto di A. nella dogmatica cattolica è costituito peraltro dal trattato De Trinitate, in 15 libri, degli anni 400-416. Dimostrata dapprima la unità e l'uguaglianza delle tre Persone sulla base della Scrittura e sostenuta l'identità della loro sostanza, A., dopo un approfondito discorso teologico, conclude nell'ultimo libro che quaggiù si può soltanto adombrare debolmente il mistero: la Trinità divina ci sarà veramente chiara dalla futura visione "faccia a faccia". Fra le opere esegetiche di A. primeggiano, anche per mole, le Enarrationes in Psalmos; degli scritti pastorali numerosi sono i Sermones.Da ultimo citiamo i suoi due scritti più famosi: Confessiones e De Civitate Dei.Il primo, scritto in 13 libri, dal 397 al 400, è un ripensamento della vita di A. dalla nascita alla conversione, sotto la luce del rapporto fra uomo e Dio, e risulta un libro di intima emozione, in cui si alternano in modo a volte sconcertante i fatti con le discussioni psicologiche, filosofiche, esegetiche (sul tempo, la memoria, l'interpretazione delle Scritture, ecc.); si mescolano stili raffinati e invenzioni letterarie a espressioni immediate del sentimento riuscendo così una delle opere più sconvolgenti e moderne dell'antichità, che non ha mai cessato di attrarre i lettori in ogni tempo. Nel De Civitate Dei si dibatte invece la storia di tutto il mondo. L'opera fu composta negli ultimi lustri della vita di A. per difendere il cristianesimo dall'accusa dei pagani di essere la causa della rovina dell'impero, accusa rinnovata con particolare vigore dopo il sacco di Roma a opera di Alarico (410). L'autore stesso ne riassume in questo modo i 22 libri nelle Retractationes: "I primi 5 libri tendono a confutare quei tali che sostengono necessarie alla prosperità del mondo la venerazione di molti dei..., e che le presenti calamità derivano dall'abbandono di questo culto. I 5 seguenti sono rivolti contro coloro che riconoscono come questi mali non mancarono mai..., ma che il culto di molti dei e il far loro sacrifici sono utili per la vita futura... I 4 libri seguenti contengono l'origine delle due città, delle quali l'una è il Regno di Dio, l'altra il regno di questo mondo; i 4 seguenti descrivono il progresso e lo sviluppo delle due città..., mentre gli ultimi 4 descrivono il loro destino finale ". L'opera è dunque una vera e propria teologia della storia. La storia umana è la storia della lotta tra la Terra e il Cielo: l' amor sui che portato sino al disprezzo di Dio genera la città terrena e l' amor Dei che portato sino al disprezzo di sé genera la città di Dio. Le due città coesistono sulla Terra mescolate insieme sin dall'inizio della storia umana e saranno divise solo dal giudizio finale.
Pedagogia agostiniana
La posizione pedagogica di A. si ricava essenzialmente dal De magistro, dal De catechizandis rudibus e, in tono minore, dalle Confessiones e dalle Epistole.Il principio della "verità interiore", tema fondamentale della sua speculazione filosofica, resta valido anche nell'educazione. Il compito dell'educatore è di portare alla luce la verità che esiste nell'animo umano ed è segno della presenza divina nell'uomo. Quindi il vero Maestro, il solo Maestro, è Cristo. L'opera dell'educatore, del maestro esteriore, ha solamente il compito di preparare l'ambiente all'azione del "Maestro interiore", del Verbo ( audiam quid loquatur in me Dominus Deus), e di disporre il campo per l'irrorazione della grazia. Se per A. la conoscenza delle discipline liberali (grammatica, dialettica, retorica, ecc.) è necessaria come processo purificatore e formativo per l'anima, la conoscenza delle verità religiose è invece indispensabile e deve essere attuata anche nelle menti più umili. A questo punto viene analizzata l'opera educativa che deve essere vitale e lontana dai formalismi delle istituzioni: il maestro deve accostarsi all'educando con amore e umiltà e così facendo realizza e perfeziona se stesso, vivificando anche gli aspetti più semplici e consueti del compito educativo.
Musica
Le esigenze della liturgia indussero il solerte vescovo d'Ippona a dedicare alla musica un trattato ( De musica, in 6 libri), compiuto nel 389 e riguardante la musica liturgica antica (specie da un punto di vista ritmico e metrico), con accenni alla pratica musicale del tempo.
S. Agostino nella storia della cultura
In un giudizio complessivo su A. e sulla sua opera dobbiamo dire che la vastità della cultura, l'altezza dell'ingegno, la vivacità del temperamento ne hanno fatto non solo uno dei geni più alti del cristianesimo, ma uno degli scrittori più grandi d'ogni tempo. Dal punto di vista, infine, teologico e storiografico, il suo apporto è fondamentale non solo per la comprensione di tutto il pensiero medievale ma anche di quello di buona parte della Riforma protestante.

LE CONFESSIONI
opera di Sant'Agostino di carattere autobiografico: in 13 libri il santo descrive il suo itinerario spirituale verso Dio assieme al formarsi del suo pensiero e all'iniziazione alla vita mistica. Preponderante è fin dalla prima giovinezza il problema del male, che Agostino analizza con appassionata tenacia fino a determinarne la natura metafisica nella deviazione di un bene. È la prima inversione di rotta, che, attraverso nuovi errori, lo porterà verso Dio, unendo alla ricerca intellettuale lo slancio della via mistica, dove passato e presente si vanificano per lasciar emergere solo l'Eterno. L'opera, scritta attorno al 400, fonde l'esperienza umana e religiosa del santo con la sua esperienza speculativa.

LA CIVILTA’ DI DIO
( De civitate Dei). Opera di Sant'Agostino, in cui vengono messe a confronto le due città, celeste e terrena, l'una informata ai principi del cristianesimo, l'altra impregnata di paganesimo, per dimostrare la superiorità e sostenere il trionfo finale della prima sulla seconda. Esegesi, metafisica, psicologia e teologia confluiscono a dare all'opera solidità di struttura e di dottrina, così da costituire una filosofia dell'umanità e della sua storia nell'ambito individuale e sociale. L'opera si compone di 22 libri ed è stata scritta dal 412 al 416.

ABELARDO

Biografia
filosofo e teologo francese (Palais 1079-Châlon-sur-Saône 1142). Discepolo di Roscellino e di Guglielmo di Champeaux, dalle cui posizioni ben presto dissentì, studiò poi teologia sotto la direzione di Anselmo di Laon, manifestando anche in questa occasione un temperamento ardente di polemista e di dialettico eccezionale. A Parigi nel 1113, non avendo ottenuto gli ordini sacri, ebbe un canonicato e la cattedra alla scuola di teologia di Notre-Dame. Affascinante e famoso maestro, intrecciò con Eloisa, fanciulla di eccezionali qualità, una memorabile relazione amorosa (sono purtroppo perduti al riguardo i componimenti poetici di A. che si suppone abbiano influito sull'arte trovadorica), che ebbe tragica conclusione per opera del canonico Fulberto, zio di Eloisa: costui infatti, nemico personale di A., lo fece evirare. Ritiratosi allora a Saint-Denis, scrisse le sue opere più importanti, mantenendo nel dibattito teologico e filosofico del suo tempo una coerenza e un rigore pari all'altezza del suo ingegno. Di conseguenza non accettò la condanna del Concilio di Soissons (1121) né quella del Concilio di Sens (1141) nel quale ebbe come diretto avversario San Bernardo. Il suo pensiero ebbe profonda influenza sulla posteriore filosofia medievale e principalmente su Giovanni di Salisbury e Pietro Ispano. Il metodo della quaestio da A. riformulato e originalmente impiegato nell'opera Sic et non si integrò nella tecnica espositiva della Scolastica. Opere principali: Dialectica(1121), Sic et non(1121), Theologia(1123), Scito te ipsum(1129). Importanti per la sua biografia sono la Historia calamitatum(1136) e le bellissime lettere scambiate con Eloisa.
Etica
La morale di A. insiste precipuamente sull'intenzione: sia il vizio, come inclinazione a compiere cose illecite, sia la mera azione esterna non hanno in sé rilevanza morale, perché il peccato non consiste nel fare un'azione da cui bisogna astenersi, ma nell'acconsentire a tale azione. La moralità consiste tuttavia in un'intenzione che non sembri soltanto buona, ma che lo sia realmente. Su questa linea A. afferma che i persecutori di Cristo hanno agito bene, poiché hanno seguito la loro coscienza, ma non virtuosamente, poiché hanno compiuto un'azione oggettivamente sconveniente, e perciò meritano l'inferno. La morale di A. risulta così costituita dall'integrazione dell'intenzione con la virtù. Al di là dell'esistenza di una sfera morale vi è inoltre per A. una sfera teologica, che ha la capacità di determinare la convenienza oggettiva degli atti.
Logica
È l'ambito in cui A. dimostra l'originalità del suo pensiero. Sulla scorta di Boezio, di Prisciano e di alcuni scritti logici di Aristotele, egli prende posizione sul problema largamente dibattuto degli universali. Le posizioni fino ad allora elaborate, pur nella varietà delle sfumature, si riducevano a due: quella del realismo, secondo cui l'universale è una cosa ( res), separata dagli individui ma da loro predicabile, in quanto ne rappresenta l'essenza comune; e quella del nominalismo, secondo cui l'universale non è che un mero flatus vocis, poiché gli individui si distinguono tra loro essenzialmente. Tutte le difficoltà delle precedenti soluzioni dipendono dal considerare gli universali come cose separate dall'individuo o identificantisi con esso. Ora, la nota distintiva dell'universale è proprio la sua possibilità di essere predicato di più cose. Tale universalità tuttavia non può essere di una cosa ( res) ma soltanto delle parole. Diventa perciò una funzione logica, senza tuttavia ridursi a un puro flatus vocis, poiché l'universale, pur non fondandosi su un'essenza comune a più individui, si giustifica in quanto esprime uno stato comune. Il termine uomo, p. es., si può convenientemente predicare di Pietro e di Giovanni perché esprime il loro stato di essere uomini, anche se non significa una inesistente comune essenza uomo. Tale soluzione del problema degli universali fu detta "concettualismo ".
Ragione e fede
Parecchi studiosi ritengono A. un razionalista, dimenticando però che in lui è presente il teologo accanto al filosofo e che mantiene una netta distinzione tra filosofia e teologia, conservando in questa il principio di autorità. Tuttavia A. ritiene utile l'uso della dialettica anche nella teologia, non essendovi opposizione tra verità filosofica e verità teologica. In tale spirito deve essere interpretato il trattatello intitolato Sic et non costituito dall'accostamento di contrastanti sentenze della Scrittura e dei Padri, allo scopo non di produrre scetticismo, ma di indicare problemi bisognosi di ulteriore approfondimento, metodo che sarà ripreso da San Tommaso e troverà il suo massimo coronamento nelle Summae.

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