Arthur Schopenauer

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Testo

Schopenhauer

La sua filosofia è influenzata da diverse grandi correnti filosofiche: l’illuminismo, il romanticismo, l’idealismo e la spiritualità indiana più due altri grandi autori come Platone e Kant. Schopenhauer è uno dei maggiori teorici del pessimismo e a lui vanno alcuni meriti:
1. E’ stato il primo filosofo Occidentale a tentare il recupero d’alcuni elementi del pensiero filosofico Orientale,
2. Ne ha tratto numerose espressioni e immagini suggestive impiegate nei suoi scritti.
3. E’ stato un estimatore della filosofia Orientale e il responsabile del suo successo in Occidente.
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana fra fenomeno e cosa in sé, anche se tale distinzione ha poco in comune con quella di Kant. Per Kant il fenomeno è l’unica realtà accessibile alla mente umana e il noumeno è un concetto-limite che serve per ricordarci i limiti della mente umana, mentre che per Schopenhauer, il fenomeno è parvenza, illusione (Velo di Maya) mentre il noumeno è la realtà che si cela dietro al mondo fenomenico. Il fenomeno di cui parla Schopenhauer, è una rappresentazione interna alla coscienza e non esterna, secondo la quale egli è convinto di poter esprimere l’essenza della filosofia di Kant con l’assioma “il mondo è la mia rappresentazione”. La rappresentazione ha due aspetti inseparabili: il soggetto rappresentante e l’oggetto rappresentato ed entrambi esistono all’interno di essa allo stesso livello e dipendenti l’uno dall’altro. Schopenhauer ritiene che la nostra mente sia dotata di forme a priori, della cui scoperta ne riconosce il merito a Kant, pur ammettendo soltanto tre delle dodici forme a priori kantiane: spazio, tempo e causalità. Quest’ultima è l’unica categoria che riconosce, in quanto tutte le altre sono riconducibili ad essa (Kant ne ha indicate 12). Egli paragona le forme a priori a dei vetri sfaccettati attraverso i quali la visione della vita ne risulta deformata, traendo la conclusione che la vita è un “sogno”, dato che è costituita da qualcosa (rappresentazione) di illusorio e ingannevole. Al di là del sogno e del velo di Maya esiste la realtà vera sulla quale l’uomo non può fare a meno di interrogarsi (animale metafisico).
Ma come è possibile lacerare il velo di Maya e raggiungere la verità che ci è nascosta dal mondo della rappresentazione che ci circonda? Schopenhauer dice che noi uomini non siamo solo conoscenza e rappresentazione, poiché non siamo solo una rappresentazione, ma anche un corpo, non ci percepiamo solo come esseri “dal di fuori” ma viviamo delle esperienze anche interiori godendo o soffrendo. Proprio grazie a questa esperienza interiore che siamo capaci di vedere oltre il velo del fenomeno, e di afferrare la verità. Analizzandoci come siamo interiormente, Schopenhauer si rende conto che l’essenza profonda del nostro io (oppure la cosa in sé) è la volontà di vivere. Noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro corpo non è che la manifestazione esteriore dei nostri desideri interiori (apparato digerente = volontà di nutrirsi, apparato sessuale = volontà di accoppiarsi e riprodursi). L’intero mondo fenomenico non è che la manifestazione spazio-temporale della volontà di vivere che viene così posta come la radice noumenica, non solo dell’uomo, ma bensì dell’intero universo (o cosa in sé).
Essendo al di là del mondo fenomenico, volontà di vivere presenta caratteristiche contrapposte e si sottrae alle sue forme proprie (spazio, tempo e causalità). La volontà di vivere è innanzi tutto, inconscia perché la consapevolezza e l’intelletto sono sue manifestazioni, unica in quanto esistendo al di fuori dello spazio e del tempo che limitano e moltiplicano gli enti si sottrae al principio di individuazione, eterna e incausata (cioè senza un inizio e una fine) oltre che indistruttibile. Tutti gli esseri viventi non vivono che per continuare a vivere (unica crudele verità del mondo), anche se gli uomini hanno tentato di mascherare tale verità creando un Dio che desse un fine alla loro vita. Solo che nel mondo di Schopenhauer Dio non può esistere, l’unico assoluto è la volontà di vivere che, infatti, possiede le caratteristiche che generalmente erano attribuite a Dio (unico, eterno e incausato).
Schopenhauer ritiene che la volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso due fasi distinte. Nella prima fase la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili che chiama idee, e che considera una sorta di archetipi del mondo. Nella seconda fase, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono nient’altro che la moltiplicazione delle idee attraverso lo spazio e il tempo. Il mondo delle realtà naturali assume una struttura piramidale, alla base della quale ci sono le forze generali della natura, mentre i gradi superiori sono occupati dalle piante e animali per poi culminare nell’uomo che è il suo gradino più alto nel quale la volontà diviene consapevole. Affermare che l’uomo è una manifestazione di una volontà infinita equivale, secondo Schopenhauer, a dire che la vita è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e il desiderio implica uno stato di tensione provocato dalla mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere; nell’uomo la volontà, essendo cosciente, è più “affamata” condannando l’uomo ad un destino privo di un appagamento definitivo. Infatti, per ogni desiderio appagato, ne rimangono innumerevoli insoddisfatti e, inoltre, l’appagamento per la soddisfazione di un bisogno è apparente poiché questo dà spesso origine ad un nuovo desiderio. Il piacere non è che la fine di uno stato di dolore, ossia lo scarico da uno stato di tensione, che ne rappresenta la condizione necessaria. Schopenhauer dice che perché ci sia piacere bisogna per forza che questo sia preceduto da uno stato di dolore (ad es. il godimento del bere presuppone la sofferenza della sete) mentre non è possibile il viceversa: non si può dire che il dolore è una cessazione del piacere in quanto un uomo può sperimentare molti dolori senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri. Da qui deriva il fatto che il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è un dato permanente, il piacere è solo una funzione derivata da esso e vive a spese di esso. Accanto al dolore, che è radicato nella stessa natura della vita, e il piacere, Schopenhauer pone come terza situazione esistenziale la noia. Di conseguenza paragona la vita ad un pendolo che oscilla continuamente tra il dolore e la noia passando attraverso un intervallo fugace e illusorio del piacere e della gioia. Dato che la volontà di vivere, che è un desiderio permanentemente inappagato, si manifesta in tutte le cose sotto forma di un desiderio inappagato cosmico, ossia: il dolore non riguarda soltanto l’uomo, ma investe ogni creatura (tutto soffre). Così facendo Schopenhauer giunge ad una delle forme più radicali di pessimismo cosmico, ritenendo che il male non sia solo nel mondo, ma nel principio stesso da cui deriva (Volontà di vivere). L’individuo appare soltanto come uno strumento per la specie, al di fuori della quale egli non ha valore; di conseguenza al di là dell’esistenza individuale, l’unico fine della natura sembra essere quello di perpetuare la vita e con essa, il dolore. L’amore è per Schopenhauer una forza capace di introdursi nelle menti degli uomini e generare scompiglio, così potente soltanto perché dietro di esso sta il freddo genio della specie che mira alla perpetuazione della vita, e quindi l’unico scopo dell’amore è quello dell’accoppiamento privo di ogni traccia di sentimento. L’amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come peccato poiché commette il maggiore dei delitti: la perpetuazione di creature destinate alla sofferenza. L’unico tipo di amore che considera positivo non è quello dell’eros, ma quello disinteressato della pietà.
Dalla concezione Schopenauriana della vita come sofferenza si potrebbe pensare che la sua filosofia proponga una sorta di suicidio universale, invece egli rifiuta il suicidio come liberazione dal dolore per due motivi:
1. Il suicidio, invece di essere un atto di negazione della volontà, è piuttosto un atto di negazione della vita(e affermazione della volontà), in quanto il suicida vuole la vita ma è solo scontento delle condizioni che gli sono toccate.
2. Perché il suicidio sopprime soltanto l’individuo che è solo una manifestazione della volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che rinasce in mille altri individui.
Secondo Schopenhauer, la vera risposta al dolore non sta, dunque, nel suicidio ma nella liberazione dalla volontà di vivere. Invece di spiegare teoricamente come tale processo sia possibile, S. richiama l’attenzione sul fatto che esistono degli individui eccezionali (geni dell’arte, santi, mistici, eremiti) che hanno intrapreso e sperimentato il cammino della liberazione dalla dominazione dei bisogni. S. identifica tre tappe fondamentali del precorso della liberazione dalla schiavitù dei bisogni: l’arte, la morale e l’ascesi.
L’arte secondo S. è una forma di scienza libera e disinteressata che si rivolge alle idee poiché l’arte passa dal particolare (questa guerra, questo amore) alla loro essenza immutabile (la guerra, l’amore). A causa del suo carattere contemplativo e per la sua capacità di muoversi tra le forme eterne che l’arte sottrae l’individuo dalla catena infinita dei bisogni. Secondo S. l’arte fa sì che l’uomo più che vivere, contempli la vita, elevandosi al di sopra della volontà, del dolore e del tempo. Tra le varie arti occupa un posto privilegiato la musica ritenuta arte suprema, anche se l’arte in generale costituisce solo una breve ed effimera evasione dalla vita (solo un conforto) e le vie di liberazione sono altre.
L’etica della pietà implica un tentativo di superare l’egoismo e un impegno nei confronti del prossimo, per vincere la lotta incessante tra individui che costituisce l’ingiustizia e che è una delle maggiori fonti di dolore. Pur sostenendo, come Kant, che la pietà è disinteressata, non crede che derivi da un imperativo categorico della ragione bensì attraverso il sentimento della pietà che avvertiamo. La conoscenza del dolore nel mondo non fa sì che noi avvertiamo la pietà, poiché bisogna sentire e realizzare tale realtà nel profondo del nostro essere. La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità, la prima è un primo freno all’egoismo ma ha un carattere negativo poiché è un riconoscimento agli altri di ciò che siamo pronti a riconoscere a noi; mentre la carità si identifica con una volontà positiva di fare del bene al prossimo, ed è per Schopenauer il vero amore (il falso è l’eros poiché egoistico e interessato). Con la pietà l’uomo vince l’egoismo, anche se la pietà presuppone ancora un certo attaccamento alla vita dalla quale ci si libera con l’ascesi.
L’ascesi indica l’esperienza secondo la quale l’individuo cessa di volere la vita e il volere stesso, proponendosi di estirpare il suo desiderio di esistere, di godere e di volere. Il primo passo dell’ascesi è la castità perfetta(liberazione della volontà di riprodursi)poi la rinuncia ai piaceri, l’umiltà, il digiuno, la povertà e il sacrificio. La cancellazione della volontà di vivere (l’ascesi è la tecnica per realizzarla) è l’unico atto di libertà possibile dell’uomo e si conclude con il raggiungimento del nirvana che è un nulla relativo al mondo (cioè la negazione di questo). L’ascesi rappresenta un oceano di pace libero dalla sofferenza e dal dolore tipici del mondo fenomenico.

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