La scomparsa di un eroe

Materie:Tema
Categoria:Epica

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Testo

LA SCOMPARSA DI UN EROE

Salve a tutti. Il mio nome è Maximus III, soldato semplice della Legione Achea. Non pretendo che mi conosciate, infatti qui siamo quasi un milione. Quello che non passa inosservato qui nell’esercito, è un certo Patroclo, che di sicuro conoscerete. Patroclo per me, è quasi come un modello di vita. La sua audacia e il suo coraggio sono invidiati da tutti noi, qui nell’esercito.
È quasi mezzogiorno. Il sole picchia forte sulle nostre armature, che si arroventano eccessivamente e ci fanno ustionare le spalle. Patroclo non indossa armature simili alle nostre, nonostante siano della stessa foggia delle nostre. Su di lui la corazza è più lucente che mai e il suo elmo diventa paragonabile al sole splendente. Sarà l’effetto dei raggi solari. Comunque ho sentito dire che quell’armatura non è sua, ma d’Achille. Si ho detto proprio d’Achille, il più grande eroe di tutti i tempi, considerato quasi come semidio, grazie alla sua invincibilità in guerra e per il suo coraggio. Sembra che Patroclo ed Achille siano degli amici inseparabili. Purtroppo non ho mai avuto l’onore di incontrarlo. Starei qui per giorni interi a lodare Achille, ma c’è una battaglia in corso. Il problema è che non accenna a finire! Non credevo che questi troiani ci avessero dato filo da torcere. Mi sbagliavo. Sembra che i due eserciti si equivalgano e lo scontro non sembra avere una fine. I nostri soldati cadono come mosche, ma anche i nostri arcieri non scherzano: le loro frecce sono letali quanto il morso di un serpente. Ma nonostante i soldati cadano sia da una parte che dall’altra, non sembra vicina la fine di questo combattimento. Questi troiani paurosi scappano via da Patroclo, ne hanno paura. Verrebbe da chiedersi se questa paura provenga dal fatto che Patroclo indossi l’armatura d’Achille, eroe temutissimo anche dai Troiani, che evitano Patroclo forse credendo che si tratti del Pelide.
Sul campo di battaglia, i soldati cadono come le foglie d’autunno, perciò ho avuto un’idea che mi farà restare in vita (spero) per un po’ di tempo in più. Seguo Patroclo come un’ombra, non me ne separo mai per due buone ragioni: se qualche Troiano avesse l’idea di sferrarmi un colpo di spada, sempre che non mi uccida al primo colpo, ci sarebbe Patroclo a difendermi e a farla pagare a quel Troiano. Secondo motivo, seguo assiduamente Patroclo perché tutti i Troiani ne hanno paura e ne fuggono via, così ho meno possibilità di essere ucciso. A dirla tutta, è un po’ difficile seguire Patroclo, perché questo si muove con una tale velocità tra i soldati, che diventa stancante stargli dietro. Il tempo scorre lentissimo, volto lo sguardo a destra e a sinistra, disorientato, e vedo Achei e Troiani combattere allo stremo delle forze. Mi ritenete codardo a non gettarmi nella battaglia? No, tengo soltanto alla mia vita.
Anche se lentamente, il tempo scorre e il sole cala già tramonta, morendo dietro le montagne. Morto il sole, una larva di luna appare in cielo ed avviene un fatto molto strano: il vigore e l’audacia che credevamo morta sul fondo della nostra anima, resuscita improvvisamente. Come dei mostri brucolak, dopo il tramonto diventiamo esseri invincibili e temerari e il nostro vigore aumenta. Il nostro esercito si scaglia all’improvviso contro i Troiani, dimostrando il suo valore. Ma nonostante ciò, tra tutti noi splende Patroclo, come una fulgida stella notturna, che con il suo bagliore, offusca le altre. L’eroe Acheo prende una rincorsa e si scaglia contro un raggruppamento serrato di Troiani, mietendo numerose vittime. Mi è impossibile seguirlo. Con il medesimo vigore e splendore d’Ares, Patroclo si scaglia altre due volte sui Troiani, abbattendo un numeroso gruppo di Troiani. Nel pieno del suo vigore, Patroclo si accinge a sferrare un quarto colpo mortale ai nostri nemici, ma qualcosa va storto. Cerco di orientarmi nel campo, ma mi è impossibile: una foschia caliginosa si addensa sul terreno. Cosa diamine sta succedendo? Molti soldati si guardano intorno, spaesati, non vedendo un palmo dal naso. Nonostante la nebbia brumosa, riesco a distinguere una luce intensa, quasi accecante. Sembra che una cometa fiammeggiante stia filando rasente la terra. Oh, no! Si dirige proprio da questa parte! Con un salto, mi butto verso destra: credo di non aver mai saltato così tanto. Atterro sul cadavere di un Troiano e mi scosto subito. Abbastanza distante da Patroclo, mi volto verso di lui. Scruto con più attenzione quella cometa fiammeggiante e, nonostante la foschia, riesco ad esaminarla: si tratta di un luminoso cavaliere, che veste di un’armatura abbagliante che mi costringe a socchiudere gli occhi. Il Cavaliere monta un destriero dal pelo bianco come la neve e dai crini infuocati. Ora capisco: si tratta di Febo splendente, che avanza temerario nella battaglia. Il dio, alleatosi con i Troiani, impugna un arco aureo, pronto a scagliare una freccia letale. Infatti, Apollo scaglia il suo dardo fiammeggiante verso Patroclo, che viene colpito dalla saetta sfolgorante sulla schiena, sulla scapola destra, trapassando l’armatura d’Achille come se fosse fatta di carta. Colpito alle spalle, Patroclo barcolla e il suo elmo splendente cade per terra, nella polvere rotolando per terra. I pennacchi rossi del copricapo si sporcano di terra. Che razza d’affronto è questo ad Achille! E come se non bastasse, le cinghie di cuoio cedono, la splendente armatura si slaccia, e cade via, lasciando il torace di Patroclo scoperto, indifeso da qualsiasi attacco. La ferita inferta dall’asta di Febo sanguina vistosamente. Come fa Patroclo a sopportare quel dolore? Con la fedele spada ancora stretta nel pugno, Patroclo barcolla, sembrando sul punto di svenire. Con un certo disgusto, cerco di slacciare una corazza da un cadavere, per darla a Patroclo, dato che è privo di protezione. Appena mi accingo a sfibbiare la corazza di un Troiano, sento un possente galoppare alle mie spalle. Mi volto per vedere cosa succede: un cavaliere Troiano si avvicina a Patroclo, con un’asta acuminate stretta in mano, pronto a sferrarla contro l’eroe. Mi sembra di riconoscere quel Dardano maledetto. Sì, si tratta del famigerato Èuforbo di Pantoo. Lo conosco perché è l’astato dell’esercito Troiano che più brilla sugli altri guerrieri, per la sua abilità nel maneggiare l’asta. Vedo con i miei stessi occhi questa sua rinomata abilità: dalla distanza di circa cinque pertiche da Patroclo, lancia con una precisione letale il suo giavellotto che colpisce il povero Patroclo sulla schiena nuda, fra le due scapole. Nonostante la violenza del colpo, l’asta non l’uccide. Se solo fossi stato più veloce ad armare Patroclo di una corazza, ora quel colpo non lo avrebbe ferito. Ma nonostante non sia morto, Patroclo oscilla pericolosamente, come se fosse ubriaco. I suoi occhi erano sbarrati nel vuoto, come se stesse guardando le ali nere della Morte avanzare verso di lui. Con uno scatto fulmineo, Patroclo si getta in un gruppo serrato d’Achei, tentando si schivare qualche colpo mortale.
Ecco, Patroclo ora è salvo. Ma ecco che una seconda fulgida figura gli si approssima. Lo riconosco: è Ettore, glorioso eroe Dardano, figlio del re Priamo, che avanza impetuoso verso il gruppetto Acheo che racchiudeva il povero Patroclo. Ettore sfodera la sua spada fatale e la alza fin sopra alla testa, pronto a sferrare il colpo di grazia al Meneziade. Dal suo cocchio, Ettore infligge con veemenza l’ultimo colpo nell’addome di Patroclo. Posso a malapena immaginare il dolore che il misero Patroclo stia patendo in questo momento. Il sangue rossastro sgorga dalla ferita come un fiume in piena. Patroclo cade sulle ginocchia in avanti, con lo sguardo vuoto rivolto ad Ettore. Ecco che quel dannato Ettore rivolge le sue parole velenose al povero Patroclo, sul punto di morte. Mi avvicino, no, non per uccidere Ettore, mi sarebbe impossibile, come mi sarebbe impossibile aiutare Patroclo, ma mi avvicino ai due per ascoltare le parole che Ettore rivolge a Patroclo. Con tono sprezzante, l’eroe Troiano dice: “Guardati. Sei come un fuoco di paglia. Il tuo impeto è grande, lo ammetto, ma solo per poco tempo. Credevi forse di abbattere troia, non è così? E magari credevi anche di rendere schiave le nostre donne nella vostra sporca terra, vero? Quanto ti sbagliavi…”. Come diavolo si permette questo “eroe” di rivolgersi in questo modo al grande Patroclo? Il Meneziade rimane lì, accasciato, ferito dalle parole aspre d’Ettore, che continua “Achille non è qui, stolto! Nessuno potrà più salvarti dalla terribile Chera!”. Ettore scoppia in una fragorosa risata. Proprio in quel momento, Patroclo schiude le labbra e dice con un fil di voce “ Vantati Ettore, vantati pure. Ma è solo per l’aiuto divino d’Apollo e Zeus che sto morendo, non certo per causa tua.”. ecco, anche in punto di morte, Patroclo conserva il suo onore. “Prendi le mie parole come un avvertimento. Vivi la poca vita che ti rimane, perché l’ira d’Achille sarà terribile e ti ucciderà senza alcuna pietà. Non ti servirà a nulla scappare. Achille ti troverà, e compirà la sua tremenda vendetta”. A queste parole profetiche, Patroclo cade in avanti, con il volto nella polvere, ed esala il suo ultimo respiro. Intimorito dalle inquietanti parole del Meneziade, Ettore di dilegua veloce nella battaglia. Guardo il misero Patroclo steso per terra, esanime: se n’è andato, uno dei più valorosi eroi che la Grecia abbia mai visto.

Francesco Santese

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