Circuito Regolatore Di potenza

Materie:Altro
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Testo

Relazione Elettronica
I.P.S.I.A. Iglesias G.Ferraris
Relazione numero 1
Circuito Regolatore Di Potenza
30/01/2006
Pilloni
Classe 3^
A.S. 2005/2006
Efisio
Sezione A – O.E.I.
Circuiti di misura utilizzati:
Dato il Seguente schema del circuito:
Abbiamo Realizzato il master:
Ed abbiamo proceduto nel montaggio dei seguenti componenti (indicati uno ad uno nel cenno teorico) all’interno del circuito, per poi effettuarne le misure.
SRUMENTI UTILIZZATI
DENOMINAZIONE
QUANTITA
CASA COSTTRUTRICE
CARATTERISTICHE
N°INVENTARIO
Triple power supply
1
HAMEG
DIGITALE
/
Oscilloscopio
1
HAMEG
-
-
Componenti utilizzati
DENOMINAZIONE
QUANTITA
SIGLA
Fototriac
1
Moc3020
resistenze
12
2,2kΩ(2 pezzi)
1MΩ(1 pezzo)
Trimmer10kΩ(1 pezzo)
10kΩ(1 pezzo)
68kΩ(1 pezzo)
Trimmer100kΩ(1 pezzo)
220Ω(1pezzo)
100Ω(3 pezzi)
1kΩ(1 pezzo)

condensatori
4
470μf elettrolitico (1pezzo)
100μf poliestere (3 pezzi)
Triac
1
LM358
Riduttore
1
220v/12Ve-12v=24v
Cenni teorici
In assoluto i primi componenti che abbiamo iniziato a studiare ed applicare nei circuiti elettronici, e ad applicare in questo nuovo circuito sono le resistenze. In elettronica se ne usano tantissimi tipi, ma la loro funzione rimane sempre quella di determinare una caduta di tensione, e quindi di ottenere nei vari rami di un circuito le giuste correnti. Nel paragrafo che segue cercherò di illustrare meglio questi concetti. E' bene specificare subito che i valori in ohm delle resistenze non sono quasi mai scritti con dei numeri: esiste un codice basato su fascette colorate, che inizialmente può risultare un pò ostico, ma che col tempo e con la pratica si impara a leggere a colpo d'occhio. Tanto per abituarci, cominciamo subito a vedere il significato dei vari colori:
Se osservate una resistenza, vedrete (da una estremità o dall'altra) una fascetta color oro; questo colore indica che la tolleranza rispetto al valore nominale è del 5 %. Se la fascetta è color argento significa che la tolleranza è del 10 % (valore meno preciso e resistenza di minore qualità). Disponete la resistenza davanti a voi con la fascetta dorata alla vostra destra (come in figura). Cominciate poi a leggere le tre fascette, da sinistra verso destra. Il colore della prima indica il primo numero; il colore della seconda fascetta indica il secondo numero; il colore della terza vi dice quanti zeri dovete aggiungere. Per la resistenza dell'esempio qui sopra abbiamo: rosso, viola, arancio, che corrispondono ai numeri 2, 7 e 3. Il valore è quindi 27 seguito da 3 zeri, cioè: 27000 ohm
Un componente elettronico utilizzato nella realizzazione del nostro circuito dal comportamento molto particolare è il diodo. Abbiamo visto che applicando una certa tensione ad una resistenza, la corrente che la attraversa corrisponde al rapporto fra la tensione applicata ed il valore della resistenza stessa; questa legge non vale per il diodo.
Dal punto di vista fisico-strutturale, il diodo (figura 1, in alto) è costituito da una giunzione "p-n", ovvero da un semiconduttore contenente, adiacenti l'una all'altra, due regioni, drogate una con impurità di tipo "p" ed una con impurità di tipo "n".
La regione P, essendo drogata con atomi in difetto di elettroni, tende a catturare elettroni: come si dice, presenta delle buche o lacune.
La regione N, essendo drogata con atomi in eccesso di elettroni, tende a perdere gli elettroni in eccesso.
Quando la giunzione PN è polarizzata inversamente (figura 1, al centro), ovvero al lato P risulta applicata una tensione negativa ed al lato N una positiva, sia le lacune della zona P che gli elettroni liberi della zona N vengono attirati dal campo elettrico applicato, per cui la zona centrale si svuota; in tale zona, che viene detta "zona di deplezione", si crea una barriera di potenziale che impedisce il passaggio della corrente; circola soltanto una debolissima corrente dovuta a cariche minoritarie, detta "corrente di drift. Tale corrente è dell'ordine di qualche µA per i diodi al germanio, e di qualche nA per i diodi al silicio.
Quando la giunzione PN è polarizzata direttamente (figura 1, in basso), le lacune della zona P vengono sospinte verso la zona centrale della giunzione dalla polarità positiva applicata; analogamente, gli elettroni liberi della zona N vengono sospinti verso la zona centrale della giunzione dalla polarità negativa; se la tensione è sufficiente a vincere la barriera di potenziale esistente, le buche e gli elettroni si combinano fra loro, dando origine ad una corrente, detta corrente di diffusione, che può anche diventare molto intensa. La tensione necessaria per innescare il flusso di tale corrente è di 0,2 - 0,3 V nel caso di giunzioni al Germanio e di 0,5 V nel caso di giunzioni al Silicio.
Il diodo realizzato con una giunzione PN come appena descritto, viene rappresentato col simbolo che si vede in figura al centro: il lato corrispondente alla zona P viene chiamato "anodo"; il lato corrispondente alla zona N viene chiamato "catodo". Sotto al simbolo è riportata l'immagine di un diodo reale: la fascia argentea indica il catodo; nell'uso normale del diodo, la corrente nel diodo fluisce dall'anodo verso il catodo
Nel suo impiego pratico, il comportamento del diodo è rappresentato nel grafico della figura 3.
La tensione applicata al diodo si legge sull'asse X (quello orizzonate), mentre sull'asse Y (quello verticale) si legge la corrente che lo attraversa.
Con polarizzazione diretta, ovvero quando all'anodo è applicata una tensione positiva rispetto al catodo, si osserva che non passa corrente fino al valore di tensione VT, detto valore di soglia; se la tensione applicata al diodo viene aumentata oltre tale valore, si verifica il passaggio di una corrente tanto più alta quanto maggiore è la tensione applicata.
Se il diodo viene polarizzato inversamente, e cioè si applica all'anodo una tensione negativa rispetto al catodo, in pratica non passa corrente, se si esclude una debolissima corrente detta di "drift"; se però si supera un determinato valore di tensione, detto valore di "breakdown", la resistenza del diodo cede improvvisamente, ed ha luogo una conduzione senza limiti, detto "effetto valanga". Poichè normalmente un diodo non viene costruito per funzionare nella regione di break-down, occorre evitare che questo accada, pena la distruzione irreversibile del diodo, dovuta al brusco aumento della potenza dissipata.
Grazie alle caratteristiche fin qui descritte, il diodo risulta utilissimo nel funzionamento come "raddrizzatore"; inserendo per esempio un diodo in un circuito percorso da corrente alternata sinusoidale, si verifica che la corrente passa nel circuito solo quando ha la giusta polarità, mentre viene bloccata ogni volta che la polarità si inverte. In pratica, tutte le semionde negative della corrente alternata vengono eliminate, per cui, a valle del diodo, si ottiene una tensione costituita dalle sole semionde positive (tale tensione viene detta "pulsante"). Il passaggio dalla corrente alternata alla corrente continua viene descritto in modo dettagliato in altre pagine di questo sito.
I diodi raddrizzatori vengono prodotti per una vasta gamma di applicazioni; variando le tecniche di costruzione, la percentuale di drogaggio del chip e le sue dimensioni, si possono ottenere diodi in grado di sopportare una corrente massima che varia da 1 A a decine e centinaia di ampere, adatti a tensioni di lavoro da qualche decina a varie centinaia di volt.
Le principali grandezze ch ecaratterizzano un diodo sono:
- Maximum reverse voltage: la massima tensione inversa che il diodo può sopportare, senza che si verifichi l'effetto valanga
- Rated forward current: la massima corrente (valore medio) che può attraversare il diodo senza distruggerlo; dipende dalla grandezza del chip, e dalla sua capacità di trasmettere all'esterno il calore prodotto
- Maximum forward voltage drop: è la massima caduta di tensione ai capi del diodo e dipende dalla corrente che lo attraversa (in senso diretto)
- Maximum leakage current: è la corrente di dispersione che fluisce nel diodo quando viene collegato (polarizzato) in senso inverso (purchè la tensione applicata non sia abbastanza elevata da causare l'effetto valanga)
- Maximum reverse recovery time: è il tempo che occorre al diodo per passare dallo stato oN allo stato OFF, e cioè dalla conduzione alla non conduzione; è in pratica la "switching speed", cioè la velocità di commutazione, e dipende dalle dimensioni e dalle caratteristiche del chip.
Un altro componente che abbiamo utilizzato nel nostro circuito è il Il condensatore un componente elettronico che può immagazzinare una carica elettrica. Di base è costituito da due conduttori che sono separati da un isolante detto dielettrico (carta, plastica, ceramica...). Hanno forme molto diverse solitamente sono dei cilindretti verticali orizzontali, sono costruiti arrotolando due lamine di conduttori isolate dal dielettrico, oppure hanno forma di goccia o bottoncino e sono costituiti da una o più facce metalliche immerse nel dielettrico e collegate in parallelo. La capacità del condensatore si misura in Farad. Oltre alla pila, il condensatore è l'unico dispositivo elettronico che può immagazzinare energia elettrica ma contrariamente alla pila rilascia la sua carica in maniera istantanea, per questo viene usato nei flash delle macchine fotografiche. I condensatori possono essere fissi o variabili quelli fissi a loro volta possono essere normali oppure elettrolitici. I condensatori elettrolitici funzionano esattamente come quelli normali ma poiché il materiale isolante è costituito da un elettrolita hanno una polarità, il piedino polarizzato viene indicato con una freccia o un segno sul corpo del condensatore, se non viene rispettata durante il montaggio del condensatore sul circuito questo verrà danneggiato irreparabilmente.
I condensatori variabili sono costituiti da alette di metallo separate da un dielettrico fatto di lamine isolanti o dall’aria. Un classico impiego è la sintonia delle radio, quelle con la rotella per cercare le stazioni, in questo caso il condensatore è fatto da alette a forma di mezzaluna saldate a pettine su un asse, una serie di queste rimane fissa e un’altra ruota, la capacità varia a seconda di quanta superficie si sovrappone.
Un nuovo (per noi) e importantissimo componente di maggior interesse della famiglia dei tiristori è il triac; potendo controllare il passaggio della corrente in entrambi i sensi, esso rappresenta una delle soluzioni più efficienti ed economiche per il controllo della potenza assorbita dagli utilizzatori funzionanti con tensioni alternate. Il triac può essere considerato come due diodi SCR collegati in antiparallelo, ovvero affiancati, ma con direzioni opposte (schema a) della figura 1). Gli anodi dei due SCR diventano i terminali principali del triac, ed assumono il nome di MT2 e MT1 (Main Terminal 1 e Main Terminal 2). I gate dei due SCR vengono collegati insieme, e diventano il gate del triac
In b) si vede la costruzione a blocchi di un triac, mentre in c) è riportato il suo simbolo schematico.
figura 1
Come si è detto, il TRIAC può essere attraversato dalla corrente in entrambi i sensi; occorre notare, inoltre, che il suo passaggio allo stato "on", e cioè di conduzione, può avvenire applicando al gate una tensione sia positiva che negativa. Queste molteplici possibilità di funzionamento possono meglio essere illustrate facendo riferimento ad un grafico come quello di figura 2, detto "a quattro quadranti". Ciascun quadrante rappresenta una diversa condizione di funzionamento del triac; le polarità e quindi le tensioni sono sempre riferite al terminale MT1.
figura 2
1° quadrante: Il terminale MT2 è positivo rispetto al terminale MT1; la corrente che attraversa il triac scorre infatti dall'alto verso il basso. Il gate, a sua volta, è positivo rispetto ad MT1, ed infatti la corrente di gate risulta "entrante"
2° quadrante: MT2 è sempre positivo rispetto ad MT1, mentre il gate è negativo; la corrente di gate è una corrente che "esce"
3° quadrante: MT2 è negativo rispetto ad MT1, ed infatti la corrente attraversa il triac dal basso verso l'alto; la tensione applicata al gate è negativa rispetto ad MT1
4° quadrante: MT2 è negativo rispetto ad MT1, mentre al gate viene applicata una tensione positiva.
La scelta di far lavorare il Triac in un quadrante piuttosto che un altro, ovvero di scegliere una tensione di gating positiva o negativa, modifica in modo più o meno importante le prestazioni del dispositivo. In seguito alla disposizione fisica degli strati di semiconduttore che compongono il triac, i valori della "latching current" (IL), della "holding current" (IH) e della "gate trigger current" (IGT), variano da un quadrante all'altro.
Il funzionamento più utilizzato è quello corrispondente ai quadranti 1° e 3°, ovvero quando la tensione applicata al gate ha la stessa polarità di quella applicata al terminale MT2; in tali quadranti si ottiene un'ottima sensibilità di gate. Quando non sia possibile lavorare in detti quadranti, la migliore alternativa è quella di utilizzare la coppia di quadranti 2° e 3°.
E' difficile per un triac lavorare nel 2° quadrante quando la corrente dei terminali principali è molto bassa.
Il 4° quadrante presenta, fra tutti, la più bassa sensibilità di gate.
Per comodità e chiarezza, segue una tabella che riepiloga le principali grandezze caratteristiche dei tiristori, col nome inglese ed il corrispondente significato in italiano:
BREAKOVER POINT
punto della caratteristica tensione-corrente in cui la resistenza differenziale assume valore zero
OFF-State
condizione del tiristore caratterizzata da alta resistenza differenziale e passaggio di corrente quasi nullo
ON-State
condizione del tiristore caratterizzata da bassa resistenza differenziale e passaggio della corrente principale fra i "main terminals"
Critical Rate-of-Rise of Commutation Voltage of a Triac (Commutating dv/dt)
il minimo valore della velocità di salita della tensione principale, che provoca la commutazione del tiristore dallo stato OFF allo stato ON
Critical Rate-of-Rise of On-State Current (di/dt)
la massima velocità di crescita della corrente principale che il tiristore può sopportare senza deteriorarsi
IGT
GATE TRIGGER CURRENT
la minima corrente richiesta dal gate per far commutare il tiristore dallo stato OFF allo stato ON
VGT
GATE TRIGGER VOLTAGE
la tensione da applicare sul gate per ottenere la commutazione
IL
LATCHING CURRENT
il valore minimo di corrente tra anodo e catodo richiesto per mantenere il tiristore in stato di conduzione, immediatamente dopo la commutazione da OFF a ON e la rimozione della tensione di gate
IH
HOLDING CURRENT
il valore minimo di corrente tra anodo e catodo richiesto per mantenere il tiristore nello stato di conduzione
La tabella che segue fornisce un esempio dei valori che assumono le correnti caratteristiche nei vari quadranti, per un triac da 4 A.
TIPICO TRIAC DA 4 A
1°quadrante
2°quadrante
3°quadrante
4°quadrante
IGT (mA)
10
16
25
27
IL (mA)
12
48
15
13
IH (mA)
10
10
11
11
Come si vede, la corrente di gate risulta di soli 10 mA quando il triac viene fatto lavorare nelle condizioni corrispondenti al 1° quadrante, confermando con tale valore la migliore sensibilità; la stessa corrente passa a 27 mA per il 4° quadrante, quello che presenta la minore sensibilità.
Il valore elevato (48 mA) della "latching current" nel 2° quadrante, coincide con una certa difficoltà di innesco del triac.
L'amplificatore operazionale come circuito integrato è uno dei circuiti lineari maggiormente usati. Grazie alla produzione in larghissima scala, il suo prezzo è sceso a livelli talmente bassi da renderne conveniente l'uso in quasi tutte le possibili aree applicative.
L'amplificatore operazionale è un amplificatore in continua: ciò significa che esiste una continuità elettrica fra ingresso e uscita; il nome di "operazionale" è dovuto all'uso per cui era nato tale amplificatore, e cioè il funzionamento all'interno di elaboratori analogici per l'esecuzione di operazioni matematiche.
Nella sua forma più semplice (figura 1), un amplificatore operazionale è composto essenzialmente da uno stadio d'ingresso, da un secondo stadio amplificatore differenziale e da uno stadio di uscita in classe AB, del tipo "emitter follower".
figura 1 - schema di base di un amplificatore operazionale
Un amplificatore operazionale ideale dovrebbe avere, in particolare, amplificazione e resistenza d'ingresso elevatissime (praticamente infinite) e resistenza di uscita bassissima (uguale a zero); gli amplificatori operazionali reali si avvicinano in parte a tali caratteristiche, per cui hanno una resistenza d'ingresso molto grande, una resistenza di uscita molto piccola ed una amplificazione, ovvero un guadagno in tensione, moto alto ma pur sempre limitato.La corrente che un amplificatore operazionale può fornire in uscita in genere non supera i 25 mA.
Senza approfondirne ulteriormente il funzionamento, passiamo adesso a considerare l'aspetto esterno di un amplificatore operazionale, vale a dire la forma in cui esso si presenta pronto all'uso. Uno degli amplificatori operazionali più conosciuti, come già detto, è il 741, disponibile abitualmente in contenitore metallico tondo oppure in contenitore plastico DIL; la sua sigla cambia a seconda dei costruttori, diventando LM741, oppure µA741, o altro ancora.
figura 2 - l'amplificatore LM741 nelle versioni in contenitore metallico tondo ed in contenitore plastico Dual In Line
Per l'identificazione dei vari piedini si fa riferimento agli schemi della figura 2, dove i piedini sono raffigurati visti da sopra; nel caso del tipo tondo, il numero 8 corrisponde alla tacca presente sull'involucro metallico.
Per tener fede all'indirizzo soprattutto pratico di questo corso, non ci dilungheremo sulle equazioni caratteristiche e sulle problematiche progettuali degli amplificatori operazionali, ma li tratteremo come un'unità funzionale, dotata di ingressi e uscite, con determinate caratteristiche.
figura 3 - circuito test
In figura 3 vediamo il nostro amplificatore operazionale, per esempio un LM741, inserito in un circuito che consente di sperimentarne il funzionamento. Osserviamo che l'operazionale ha due ingressi, contrassegnati con un "-" (piedino 2) e con un "+" (piedino 3); ci sono poi un'uscita, indicata con OUT (piedino 6), e due terminali per l'alimentazione dell'integrato (piedini 7 e 4). Perchè gli ingressi sono due? Perchè l'amplificatore operazionale è prima di tutto un amplificatore "differenziale"; ciò vuol dire che il segnale presente in uscita non dipende solo da uno o dall'altro degli ingressi, ma da tutti e due, ed esattamente dalla differenza che esiste fra il segnale applicato su un ingresso ed il segnale applicato sull'altro. E' proprio qui che si evidenzia la principale caratteristica di un simile circuito: è sufficiente che fra i due ingressi vi sia una differenza di tensione anche di pochi µV, perchè l'uscita cambi completamente il suo stato, passando per esempio da zero al massimo valore della tensione di alimentazione.
Supponiamo di alimentare il circuito con 10 V, e che le due resistenze R1 ed R2 abbiano lo stesso valore: la tensione di alimentazione sarà allora presente per metà ai capi di R1 e per metà ai capi di R2; in altre parole, al centro, e quindi sul piedino 3 dell'integrato, ci saranno esattamente 5 V. Il piedino 2 è collegato invece ad RV1, che è una resistenza variabile: possiamo quindi far variare a piacere la tensione che risulta applicata sul piedino 2 dell'amplificatore operazionale.
Figura 4
Figura 5
Spostiamo il cursore di RV1 in modo da portarlo verso il positivo (figura 4), applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro superiore a 5V, e quindi leggiamo, con un tester, la tensione presente in uscita: troveremo un valore molto vicino allo zero.
Spostiamo adesso il cursore di RV1 in modo da portarlo in basso (figura 5), verso la tensione zero, applicando così al piedino 2 una tensione senz'altro inferiore a 5V, e quindi leggiamo la tensione in uscita: troveremo un valore molto vicino alla tensione di alimentazione (che è 10 V).
Quello che abbiamo appena constatato ci permette di formulare la regola basilare del funzionamento del nostro amplificatore operazionale: quando la tensione sul piedino "-" è maggiore della tensione sul piedino "+" l'uscita è a livello basso (cioè prossimo a zero); quando la tensione sul piedino "-" è minore della tensione sul piedino "+" l'uscita è a livello alto (cioè prossimo alla tensione di alimentazione).
Ma, come già si è detto, non occorre che la tensione sul piedino 2 vari di alcuni volt: sono sufficienti pochi milionesimi di volt per provocare la "commutazione" dell'uscita. Se vi divertite ad osservare la tensione indicata dal tester mentre ruotate RV1, vedrete che ad un certo istante, di colpo, la tensione in uscita passa da zero al massimo, o viceversa; potete tornare indietro, spostare il cursore di RV1 quanto volete, ma non riuscirete mai a trovare una posizione tale che permetta di avere in uscita un valore intermedio, vicino alla metà della tensione di alimentazione.
Poichè, come si è visto, quando l'ingresso "-" è a tensione più alta, l'uscita è a livello basso, si dice che tale ingresso è "invertente".
Se invece avessimo collegato a tensione fissa il piedino 2, variando la tensione del piedino 3, avremmo riscontrato le stesse variazioni della tensione di uscita, ma con verso corrispondente alla tensione applicata sull'ingresso "+"; per tale motivo, l'ingresso "+" viene chiamato "ingresso non invertente".
Usato come amplificatore, l'operazionale presenta la caratteristica di amplificare qualsiasi segnale applicato in ingresso: sia un normale segnale variabile, caratterizzato da determinate frequenze, sia una tensione con fluttuazioni lentissime o, addirittura, di valore costante. Parlando in termini di frequenza, si dice quindi che l'amplificatore operazionale lavora con frequenze da zero (corrente continua) fino ad un valore massimo, determinato dalle caratteristiche specifiche dell'amplificatore stesso. A questo proposito, è opportuno accennare brevemente ad un parametro caratteristico degli amplificatori operazionali: si tratta del prodotto guadagno x larghezza di banda, che per ogni amplificatore operazionale ha un preciso valore, fisso ed immutabile. Tale parametro ci dice, in pratica, che se noi utilizziamo l'amplificatore in modo da ottenere una maggior amplificazione, perdiamo proporzionalmente in larghezza di banda, e cioè possiamo amplificare segnali in un campo di frequenze più limitato. Il µA741, per esempio, ha una larghezza di banda di 1Mhz quando il guadagno è uguale a 1; se viene usato in modo da amplificare 100 volte, la larghezza di banda si riduce di 100 volte, e passa quindi a 10Khz. Il guadagno più alto è utilizzabile quando l'amplificatore lavora con frequenze bassissime o con tensioni continue: in tali casi il guadagno può essere uguale o superiore a 100.000.
Ma come si determina l'amplificazione di un operazionale? L'amplificatore operazionale, come amplificatore in continua, può essere utilizzato in diverse configurazioni, di cui adesso vedremo le più comuni.
figura 6 - amplificatore invertente
Amplificatore invertente: lo schema è quello di figura 6. La tensione Vi viene applicata all'ingresso invertente attraverso la resistenza R1; Vu è la tensione amplificata che si ritrova in uscita. La resistenza R2 riporta all'entrata parte del segnale in uscita, realizzando in tal modo quella che viene detta "controreazione"; senza R2, l'operazionale non potrebbe funzionare come amplificatore lineare, poichè la sua uscita commuterebbe con estrema rapidità fra un valore minimo (prossimo a zero) ed un valore massimo (prossimo alla tensione di alimentazione). L'amplificazione del circuito di figura 6 dipende dalle due resistenze R1 ed R2, secondo la formula
Av = R2 / R1 (ciò significa che se R2 è di valore più basso, si ha più controreazione e quindi il guadagno è minore). Vediamo un esempio pratico:
R1 = 100 Kohm (cioè 100.000 ohm)
R2 = 1 Mohm (cioè 1.000.000 di ohm)
Vi= 1mV
L'amplificazione Vu/Vi sarà: Av=1.000.000:100.000=10
Poichè l'amplificazione è 10, con 1 mV in entrata avremo in uscita 10 mV
Osserviamo che il segnale in uscita è invertito, ovvero è di segno opposto a quello in entrata; se Vi aumenta, Vu diminuisce, e viceversa.
figura 7 - amplificatore non invertente
Amplificatore non invertente: nello schema di figura 7 vediamo che il segnale d'ingresso viene applicato all'ingresso contrassegnato col "+", ovvero a quello non invertente. In questo caso, infatti, il segnale in uscita ha lo stesso segno di quello in entrata.
In questo caso, l'amplificazione è data dalla formula:
Av = (R1 + R2) / R1
Anche per l'amplificatore non invertente, come si vede dallo schema, la resistenza R2 determina una certa quantità di reazione negativa (o controreazione), che diminuisce il guadagno dell'amplificatore ma gli consente di lavorare linearmente.
figura 8 - buffer a guadagno unitario
Buffer a guadagno unitario: il circuito di figura 8 mostra l'utilizzo dell'operazionale come "buffer". Col termine "buffer" si intende un circuito che svolge una funzione di separazione o di adattamento; nel caso specifico, il circuito presenta la più alta impedenza d'ingresso ottenibile con gli amplificatori operazionali. Per ottenere tale risultato, si applica il massimo
valore possibile di controreazione, collegando direttamente l'uscita con l'ingresso invertente. Per tale motivo, il guadagno di questo circuito è uguale a 1, il che vuol dire che il circuito non amplifica (essendo il segnale di uscita uguale a quello di entrata); in altre parole, non si ottiene un guadagno di tensione, ma un guadagno di impedenza.
Dimensionamento Componenti
Eseguito dal professore
Scopo dell’esercitazione
Con questa esercitazione abbiamo imparato a realizzare un circuito regolatore di potenza, ma soprattutto a trovare un guasto all’interno del circuito, saperlo riparare ed effettuare le misurazioni con all’interno del circuito componenti a noi nuovi.

Esempio