Diritto tributario.

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Testo

Capitolo Primo
Gli istituti
1. La nozione di tributo tra ideologia e diritto positivo.
Nel linguaggio ordinario, i termini tributo, imposta, tassa, contributo ed altri sono in sostanza, semanticamente equivalenti; in sede giuridica tali termini, sono specialistici. La definizione di tributo è affidata all’interprete. Per ripercorrere sommariamente le tappe dell’evoluzione dottrinale, si può cominciare col ricordare che, nelle prime elaborazioni dei giuristi, la nozione di tributo è influenzata dagli studi di scienza delle finanze: tali studi distinguono le entrate pubbliche in relazione al tipo di spese pubbliche che servono a finanziare. Essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili, le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono dette imposte, mentre le entrate destinate a finanziare quelle divisibili sono dette tasse. Oltre che l’impostazione degli studi di scienza delle finanze, sui giuristi italiani ha operato l’influenza della dottrina tedesca del diritto pubblico che, caratterizzava il tributo come espressione di sovranità. Da qui nasce il tributo come entrata coattiva o autoritativa, ossia un’entrata la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell’autorità, senza che vi concorra la volontà dell’obbligato. La coattività, distingue, dunque il tributo dalle entrate di diritto privato; essa è però carattere tipico ma non esclusivo del tributo. Perciò il tributo viene definito in base ai seguenti ulteriori caratteri distintivi: a) dal punto di vista degli effetti il tributo comporta il sorgere di una obbligazione di pagamento a titolo definitivo; b) dal punto di vista della fattispecie, il tributo si collega ad un fatto di natura economica. Ciò consente, tra l’altro, di distinguere il tributo dalle sanzioni pecuniari, che pure si risolvono in prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma derivano da fattispecie assunte come illeciti; c) dal punto di vista funzionale, il tributo è definito come un istituto la cui finalità è essenzialmente fiscale, ossia di procurare un’entrata ad un ente pubblico.
2. Classificazione dei tributi
Entro l’ampia categoria dei tributi sono da includere: l’imposta, la tassa, e il contributo.
A) L’imposta è il tributo per eccellenza, da studiare in relazione al tipo di presupposto che da vita al prelievo. Soprattutto al fine di distinguere l’imposta dalla tassa, l’imposta viene caratterizzata per ciò, che il suo presupposto è un fatto posto in essere da un soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con un’attività dell’ente pubblico; il suo presupposto insomma, è un evento cui sono estranei l’ente e l’attività pubblica.
B) La tassa si distingue dall’imposta per il fatto che il suo presupposto è un atto o un’attività pubblica, ossia l’emanazione di un provvedimento o la prestazione di un servizio, specificatamente riguardanti un determinato soggetto. Vi sono tasse collegate all’emanazione di atti o provvedimenti amministrativi e tasse collegate all’espletamento di un servizio pubblico.
C) Viene denominato contributo o tributo speciale quel particolare tipo di tributo che ha come presupposto l’arricchimento (incremento valore immobili) che determinate categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di un’opera pubblica destinata, di per sé, alla collettività.
D) Taluni includono nelle entrate tributarie anche quelle derivanti dai monopoli fiscali; a certi effetti, l’inclusione è opportuna ; ad altri effetti no. Molto dipende dai punti di vista: se la definizione di tributo è imperniata su i suoi caratteri strutturali, il monopolio fiscale non è un tributo; se invece ci si basa sulla funzione degli istituti fiscali anche il monopolio è un tributo.
3. Valore ed usi delle definizioni di tributo.
In passato, veniva attribuita grande importanza, non solo teorica ma anche pratica alla distinzione tra entrate patrimoniale dello Stato ed entrate tributarie. Inoltre rivestiva importanza la distinzione tra imposte dirette ed indirette, in relazione alle disposizioni del vecchio codice civile in materia di privilegi. La dottrina tradizionale poneva delle definizioni che rispecchiavano il quadro ideologico e normativo dell’epoca in cui quelle definizioni furono elaborate, e se ne serviva in modo uniforme per l’interpretazione delle disposizioni. L’utilizzazione oggi di quelle nozioni deve essere invece sottoposta ad un duplice vaglio: occorre vedere se rispecchiano il nuovo quadro normativo, e se si prestano ad essere usate per intendere le disposizioni vigenti. La dottrina affronta tuttora il problema con un approccio di tipo aprioristico-deduttivo. Inoltre, essa non sembra rendersi conto del fatto che le definizioni non sono da apprezzare per il loro valore logico, ma per il loro valore operativo; non conta, insomma, che una definizione sia vera, esatta ecc., conta se vale per intendere le formule di legge in cui è adoperato il termine definito; e poiché le disposizioni da interpretare sono diverse, le definizioni di tributo possono essere molteplici; un certo istituto potrebbe essere tributo ai fini di una norma, potrebbe non esserlo ai fini di un’altra norma. Le definizioni e classificazioni in uso nella dottrina tradizionale si dimostrano poco utili al fine di definire l’ambito di applicazione delle due più importanti disposizioni costituzionali che riguardano il diritto tributario. Infatti le definizioni e classificazioni tradizionali non valgono ai fini dell’art. 23 Cost. che, come vedremo, comprende tutte le prestazioni imposte e quindi anche prestazioni non tributarie secondo la definizione tradizionale di tributo. Inoltre, le definizioni e classificazioni tradizionali non valgono ai fini dell’art. 53 Cost. che, come vedremo correla alla capacità contributiva ogni prestazione che costituisce concorso alla spesa pubblica prescindendo quindi dalla qualificazione tributaria della prestazione.
4. Delimitazione del diritto tributario.
La nozione di tributo e quella di diritto tributario sono coestensive; il diritto tributario è per definizione quel settore dell’ordinamento che disciplina i tributi. Il diritto tributario fa parte del diritto finanziario che a sua volta è parte del diritto amministrativo. Nella disciplina di ogni tributo, possiamo distinguere una disciplina sostanziale (dir. trib. in senso stretto) ed una disciplina (in senso lato) formale. Per disciplina sostanziale si intende il complesso di norme che di un tributo stabiliscono il presupposto , le esenzioni , i soggetti passivi e la misura. Ma hanno a che vedere con il tributo altri tipi di norme : quelle che disciplinano l’istituzione e l’applicazione del tributo (accertamento, riscossione, rimborsi), cui si accompagnano norme punitive e norme processuali.
Capitolo Secondo
Le Fonti
1. Le fonti
L’espressione fonte del diritto è quella con cui metaforicamente sono designati gli atti e i fatti normativi, da cui sono prodotte norme astratte e generali. Le principali norme sulle fonti sono contenute nella Costituzione, negli statuti regionali, nelle disposizioni preliminari al codice civile, nella legge sull’attività di governo ecc. Le diverse fonti del diritto costituiscono un ordinamento gerarchico; esse sono disposte a gradi: le fonti di ciascun grado possono abrogare o modificare norme dello stesso grado o norme di grado inferiore, e devono conformarsi alle norme di grado superiore. Secondo la terminologia tradizionale, le leggi sono fonti primarie e i regolamenti sono fonti secondarie.
2. La riserva di legge ( art. 23 Cost.)
Già la Statuto Albertino (art. 30) poneva una riserva di legge in materia tributaria stabilendo che “nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle camere e sanzionato dal Re”. La norma, esprimeva un certo assetto di rapporti di potere tra le classi sociali rappresentate dai parlamenti, da un lato, e dal monarca e dall’esecutivo, dall’altro. Nel pensiero liberale, la norma è invece ricondotta al più generale principio per cui solo la legge può incidere nella sfera della proprietà e libertà individuali. Nella nostra Cost., il principio trova espressione nell’art. 23, secondo il quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La dottrina tradizionale e la stessa Corte Cost., nelle prime sentenze hanno attribuito a tale norma la funzione garantista., conforme all’ideologia liberale di tutelare la libertà e la proprietà dei singoli. Anche l’art. 23 va interpretato nel contesto dei valori costituzionali: ciò non significa negare che esso tuteli la proprietà e la libertà dei singoli, ma comporta che la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, si pone nell’ambito della Cost. vigente, in funzione immediata e prevalente di interessi generali e solo in via mediata e subordinata degli interessi dei privati.
3. Esegesi dell’art.23 Cost.
I problemi esegetici posti dall’art. 23 Cost. sono essenzialmente tre: nozione di prestazione imposta, nozione di legge, nozione di base legislativa.
A) L’art. 23 concerne le prestazioni personali e patrimoniali imposte. Adoperando tale locuzione si è costituzionalizzato un principio elaborato dalla dottrina amministrativa sotto il vigore dello statuto albertino: il principio per cui le prestazioni coattive dei singoli, a favore degli enti pubblici rappresentano una limitazione della proprietà e libertà individuali, possono essere stabiliti solo con legge. Nell’ambito di tale teoria i tributi sono prestazioni coattive. La norma contempla non soltanto le prestazioni patrimoniali ma anche quelle personali. La categoria delle prestazioni patrimoniali ha maggiore importanza pratica ed è quella che più interessa in questa sede, perché in tale categoria rientrano le prestazioni tributarie.
B) Circa il significato in cui il termine legge è assunto nell’art. 23, vi è concordia nel ritenere che legge non è soltanto quella statale ordinaria, ma ogni atto normativo avente efficacia formale di legge: decreto legge e decreto legislativo. Non vi è poi ragione di escludere la legge costituzionale. Si ritiene inoltre, che anche la legge regionale o provinciale soddisfa il precetto dell’art. 23 (fermo restando i limiti costituzionali della potestà legislativa regionale o provinciale, in materia impositiva). Molto dibattuto è il problema del rapporto tra riserva di legge e fonti comunitarie. Il problema riguarda, in particolare, i regolamenti comunitari self executing. La tesi prevalente è quella secondo cui, con adesione al trattato, l’Italia ha operato una limitazione della propria sovranità pienamente legittimata dall’art. 1 Cost. : il che comporta deroga alle norme costituzionali sia in materia di potestà legislativa, sia in materia di riserva di legge.
C) La riserva dell’art. 23 Cost. è relativa, non assoluta; vediamo perciò quale sia la base legislativa, che deve essere contenuta nella legge: distinguiamo in altri termini, quali elementi della disciplina di un tributo devono essere previsti dalla legge e quali possono essere previsti con altri atti non legislativi. Il problema riguarda non tutti i tipi di norme che si definiscono correttamente tributarie, ma soltanto quelle impositive. Si ritiene concordemente, innanzitutto, che la legge debba determinare il presupposto ed i soggetti passivi del tributo. La legge deve fissare, inoltre la misura del tributo. In proposito, la Corte Cost. reputa rispettato il precetto ex art. 23 se la legge indica la misura massima dell’aliquota, o fissa i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’ente impositore. Sovente la legge attribuisce all’autorità amministrativa poteri normativi che influiscono sulla determinazione della base imponibile : anche qui, il criterio che consente di ritenere legittime o no tali previsioni, sta nel vedere se la discrezionalità dell’autorità amministrativa è sufficientemente delimitata.
4. Le leggi e gli atti aventi forza di legge.
A) La legge dello Stato è la fonte, per così dire, normale delle norme tributarie: ciò è una conseguenza della riserva di legge contenuta nell’art. 23 . Il che comporta che ,di massima, le norme tributarie siano contenute in atti aventi forma di legge o efficacia di legge. Nessuna peculiarità vi è per la formazione e l’approvazione delle leggi tributarie: si applicano gli artt. 70 e seg. della Cost. Le leggi tributarie però non possono essere abrogate con referendum popolare e non possono essere approvate con la legge di bilancio. Si è inteso conservare la distinzione tra leggi (sostanziali) di prelievo e di spesa, e legge (formale) di approvazione del bilancio.
B) Anche la legge regionale è fonte di norme tributarie: essa soddisfa la riserva di legge ex art. 23, ma può disporre solo entro certi limiti, che sono più ristretti per le regioni a statuto ordinario, più larghi per quelle a statuto speciale. Per le regioni ordinarie, occorre far capo all’art. 119 Cost. che, nel primo comma, proclama l’autonomia finanziaria (Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni) e, nel secondo, delimita la potestà tributaria (alle regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi......). Questi precetti costituzionali sono stati interpretati in vario modo. Di fatto il legislatore ha optato per una soluzione piuttosto riduttiva: con la l. Del 16/5/70 n° 281, sono state attribuite alle regioni di diritto comune quattro specie di tributi (imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indispensabile; tassa sulle concessioni regionali; tassa di circolazione; tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche). La legge statale regola completamente questi tributi, lasciando al legislatore regionale la sola facoltà di fissare le aliquote, entro minimi e massimi prefissati dalle legge statale. Questi tributi quindi sono propri delle regioni solo perché le regioni ne ricevono il gettito; nella sostanza, sono tributi voluti dallo Stato, che provvede anche ad amministrarli. Per le regioni a statuto speciale, andrebbero analizzate le singole norme statutarie: queste sembrano attribuire alle regioni differenziate un’autonoma potestà normativa in campo tributario in armonia con il sistema tributario statale . Di tale potestà le regioni hanno fatto uso soltanto per concedere esenzioni o agevolazioni rispetto a tributi erariali : il che è stato ritenuto ammissibile dalla Corte solo a condizione che le norme regionali di favore trovino riscontro in un tipo di esenzione già contemplato dalle norme statali.
C) I decreti legge sono abbastanza frequenti in materia tributaria. Essi possono essere emanati dal Governo in casi straordinari di necessità ed urgenza e debbono essere convertiti in legge entro 60 gg., altrimenti decadono ex-tunc. Le Camere possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti (art. 77).
D) Anche i decreti legislativi sono molto frequenti in materia tributaria. Essi trovano fondamento nell’art. 76 Cost. , che consente alle Camere di delegare al Governo l’esercizio della funzione legislativa “con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetto definiti”. Il ricorso frequente in materia tributaria al meccanismo della delega trova la sua ragione in ciò che le norme tributarie, per il loro tecnicismo, mal si prestano ad essere elaborate e discusse in sede parlamentare, soprattutto quando l’area di intervento è piuttosto estesa.
5. I testi unici.
La legge per la riforma tributaria ha attribuito al Governo il potere di emanare : a) decreti legislativi per l’attuazione della riforma; b) decreti legislativi con disposizioni integrative e correttive; c) decreti legislativi recanti testi unici. Circa il contenuto dei testi unici, la legge delega dispone che essi contengano le norme emanate in attuazione della riforma e le norme previgenti rimaste in vigore, con la possibilità di apportare le modifiche necessarie per il coordinamento delle diverse disposizioni e per eliminare ogni contrasto con i principi e criteri direttivi della delega. I testi unici di attuazione della riforma tributaria, quindi, non sono testi soltanto compilativi (di pura raccolta di disposizioni vigenti), ma testi innovativi, in quanto possono contenere disposizioni integrative e correttive delle norme preesistenti.
6. I regolamenti.
Nella gerarchia delle fonti sono subordinati alle leggi; quindi non possono essere in contrasto con norme di legge; se sono contrari alla legge, possono essere annullati dal giudice amministrativo e disapplicati dagli altri giudici (ordinario e tributario). I regolamenti non sono oggetto di giudizio di costituzionalità; se contrari a norme costituzionali, sono annullati o disapplicati come nel caso in cui sono contrari alla legge. Nei limiti in cui ciò è consentito dalla riserva di legge (art. 23), fonte di produzione di norme tributarie possono essere anche i regolamenti, sia di organi statali sia di enti locali.
A) La l. 23/8/88 n°400, recante “disciplina dell’attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, ha disciplinato (art. 17) la potestà regolamentare prevedendo che i regolamenti governativi sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono emanati dal Pres. Della Rep.. Tali regolamenti possono essere emanati per disciplinare: 1) l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi; 2) L’attuazione ed integrazione delle leggi e dei decreti legislativi; 3) le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge; 4) l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge; 5) L’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti in base agli accordi sindacali.
Il Governo dispone di una potestà regolamentare generale esercitabile anche senza specifica autorizzazione legislativa; esso è titolare, inoltre, di una potestà esercitabile solo previa autorizzazione legislativa, nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge.
B) I regolamenti ministeriali sono adottati con decreto del Ministro nelle materie di competenza del ministro. Quando la materia è di competenza di più ministri, sono emanati regolamenti interministeriali, sempre in base ad apposite autorizzazione legislativa. I regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti governativi e debbono essere comunicati al Pres. del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
C) Vi sono poi i regolamenti locali, emanati da regioni, province e comuni; per lo più essi hanno per oggetto la fissazione di aliquote (la legge però fissa sempre il tetto max).
7. Le fonti comunitarie.
Il trattato istitutivo della CEE è stato ratificato con legge ordinaria; è stato così inserito, nel sistema delle fonti del nostro diritto, un meccanismo in base al quale valgono nell’ordinamento italiano anche le norme comunitarie. Il sistema delle fonti del diritto comunitario è costituito, innanzitutto, dal diritto c.d. primario, elaborato direttamente dagli stati membri, e vi è poi il diritto derivato, costituito dalle norme emesse dagli organi comunitari. Tra le fonti di produzione del diritto comunitario derivato hanno particolare importanza i regolamenti e le direttive. Il regolamento a norma dell’art. 189 del trattato, ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi, ed è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. La diretta applicabilità comporta che gli Stati non possono e non debbono emanare norme per introdurre un regolamento nell’ordinamento interno. In quanto produttivo di effetti immediati, il regolamento è idoneo ad attribuire ai singoli dei diritti che i giudici nazionali devono tutelare. Le direttive secondo l’art. 189 del trattato CEE, vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo.
8. Efficacia delle norme nel tempo.
A) A norma dell’art. 73 Cost., “le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore 15 gg. dopo la loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”. Vi possono essere casi, nei quali entrata in vigore ed efficacia non coincidono ; ci si riferisce ai casi in cui il momento dell’entrata in vigore indica soltanto che la legge è perfetta e vale come tale, ma i suoi effetti sono differiti o retroagiscono. I decreti legge, di solito hanno efficacia dal giorno della loro pubblicazione, e perdono efficacia (sin dall’inizio) se non sono convertiti in legge entro 60 gg. dalla loro pubblicazione.
B) Di regola la legge non dispone che per l’avvenire : essa non ha effetto retroattivo; possono però darsi leggi retroattive. Possono dunque darsi leggi tributarie retroattive; la retroattività può concernere la fattispecie (dell’imposta), gli effetti od entrambi gli elementi della norma tributaria. La retroattività attiene alla fattispecie quando, ad esempio , viene istituito un tributo su fatti già avvenuti quando è approvata la legge. La retroattività attiene agli effetti quando, ad un fatto che si verifica dopo l’entrata in vigore della legge, sono collegati effetti che invece riguardano il passato; si pensi, ad esempio, ad una legge di condono.
C) Una volta individuato il momento in cui inizia l’efficacia di una legge può essere dubbio quale sia il trattamento giuridico di fatti o di situazioni che avvengono in parte sotto l’impero di una legge, in parte sotto l’impero della legge successiva. Di solito il legislatore risolve i problemi che si pongono in caso di successione di legge con norme apposite dette norme di diritto transitorio.
D) Secondo un principio consolidato, le norme procedimentali sono norme di applicazione immediata: con il che si vuole dire che si applicano ai procedimenti che iniziano o che sono in corso di svolgimento al momento dell’entrata in vigore della nuova legge, anche se hanno per oggetto fatti avvenuti in passato. Spesso, invece, nel diritto tributario, le nuove leggi procedimentali si applicano solo ai presupposti d’imposta successivi all’entrata in vigore della legge. Ciò dipende dalla stretta correlazione, di solito esistente, tra norme sostanziali di un dato tributo, e norme relative alla sua applicazione.
E) Le leggi cessano di essere efficaci quando sono abrogate, quando sono dichiarate incostituzionali, e in caso di leggi temporanee quando scade il termine previsto. L’abrogazione di una legge può avvenire in 3 modi: “per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge precedente”. Con l’abrogazione, l’efficacia della legge abrogata cessa ex-nunc; il che significa che la legge continua ad essere la legge regolatrice dei fatti avvenuti nell’arco temporale che va dalla sua entrata in vigore alla data della sua abrogazione; quindi una legge tributaria abrogata continua ad essere applicabile ai fatti avvenuti prima dell’abrogazione. Analogo discorso vale per le leggi temporanee dopo la scadenza del termine. Invece la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia ex-tunc; perciò, dopo la pronuncia della Corte Cost., la legge giudicata illegittima è da considerare come mai esistita.
F) Infine, le norme nazionali pur rimanendo formalmente vigenti, diventano inapplicabili quando sopravviene una norma comunitaria non compatibile con la norma nazionale.
Capitolo Terzo
L’interpretazione – sezione prima –
1. Testo, norma, interpretazione.
L’interpretazione mira a scoprire la norma che il legislatore ha inteso esprimere, quindi, è vista come attività meramente ricognitiva di una realtà che le preesiste. Il legislatore produce (non norme ma ) testi, ai cui enunciati l’attività interpretativa attribuisce un significato: a questo significato di da il nome di norma.
2. I vincoli dell’interpretazione.
L’attività interpretativa non è del tutto libera né del tutto vincolata. I vincoli d’interpretazione, posti dallo stesso ordinamento giuridica sono i seguenti:
a) vincoli derivanti dalla struttura gerarchica dell’ordinamento: i testi di legge devono essere interpretati in modo da risultare conformi alla Cost.; in materia tributaria le leggi devono essere interpretate in modo da risultare conformi all’art. 53 Cost.; i testi delle leggi delegate devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle leggi di delegazione; i testi delle norme nazionali devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme comunitarie; i testi dei regolamenti devono essere interpretati in modo da risultare conformi alle norme di legge , ecc;
b) Vincoli derivanti da leggi interpretative e dalle definizioni legislative;
c) Vincoli derivanti dalle norme sull’interpretazione.
Tra le norme generali sull’interpretazione vanno ricordate le seguenti. Innanzitutto va ricordato l’art. 12 disp. Prel. C. C. Primo comma (nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. In secondo luogo vi è l’art. 12 cit. Secondo comma ( se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato). Terzo luogo, art. 13, che vieta l’analogia per le leggi penali e per quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.
3. Semantica delle leggi tributarie.
Nel lavoro interpretativo debbono essere risolti problemi di vario tipo : semantici, sintattici, logici, ecc.. I problemi semantici sono quelli che ineriscono al significato delle parole. E’ immanente, nell’uso giuridico della lingua storico-naturale, il fenomeno della specializzazione; l’uso di un termine da parte del legislatore tecnicizza il termine, che assume un significato che si differenzia da quello ordinario; abbiamo così parole che hanno un significato generale nella lingua comune e sensi specializzati in sfere più ristrette. Vengono detti vocaboli tecnici quelli che nell’uso giuridico hanno significato specialistico; può trattarsi di termini che non ricorrono nell’uso ordinario, ma solo in quello giuridico o di termini in uso sia nel linguaggio comune che in quello giuridico. Vediamo ora quali sono i problemi semantici più ricorrenti:
A) La specializzazione del significato di un termine può essere implicita o esplicita. L’uso di un termine da parte del legislatore è o può essere, di per sé un fatto che specializza il termine. Quando si dice che un termine assume un determinato significato agli effetti della tale disposizione o della tale legge, si postula appunto che il legislatore abbia in qualche modo operato un mutamento semantico del testo. La specializzazione è esplicita quando il legislatore fornisce la definizione del significato di un termine o di un complesso di termini. In presenza di definizioni legislative esplicite, diventa irrilevante ogni diverso significato attribuito o attribuibile al termine legislativamente definito.
B) Non solo le parole della lingua ordinaria ma anche quelle tecnico giuridiche possono essere ambigue, polisemiche, di significato incerto.
C) Quando un termine, oltre che d’uso comune, ha un significato tecnico, s’intende che è usato nel suo significato tecnico. Il significato tecnico prevale dunque su quello ordinario.
D) La dottrina ha discusso ampiamente il problema se l’uso, nelle leggi tributarie, di termini tecnici o tecnicizzati di altri settori dell’ordinamento giuridico, costringa l’interprete ad attribuire al termine lo stesso significato che il termine ha nel settore giuridico di provenienza, o se invece l’interprete gli debba attribuire un significato autonomo. Nella prassi interpretativa, si pensa generalmente che il legislatore tributario usi il termine con il significato tecnico che ha nel settore di origine (es: appalto, S.p.A., testamento). In altre parole, si presume esservi costanza nell’uso tecnico del discorso legislativo.
4. Peculiarità delle leggi tributarie.
Le leggi tributarie sono talvolta di difficile comprensione per altre peculiarità. Le leggi tributarie sono assi poco stabili, le modifiche legislative sono continue. Ciò dipende da più fattori. Un primo fattore è costituito dall’esigenza di adeguare la legislazione alle nuove realtà economiche. Un secondo fattore è la condizione permanente di crisi fiscale dello Stato medesimo; in uno Stato afflitto da una crisi di bilancio che sembra irrimediabile, le leggi tributarie sono continuamente ritoccate e modificate per individuare nuovi oggetti imponibili e nuove fonti di entrata, per tappare lacune, impedire espedienti elusivi, ecc.. Un terzo fattore è che le leggi tributarie nascono di solito all’insegna della fretta e della poca ponderazione; ne è la prova il ricorso frequentissimo alla decretazione d’urgenza. Accade che vengano elaborati frettolosamente decreti-legge, la cui emanazione suscita polemiche ed avversioni; può accadere che il decreto-legge non venga convertito. Un altro elemento di instabilità della legislazione tributaria è dato dall’emanazione frequente di leggi a termine; sono le leggi, ad esempio, con cui viene stabilito un certo trattamento fiscale per determinati fatti posti in essere entro una certa data. Molto di frequente, gli enunciati delle leggi tributarie non hanno per oggetto dei comportamenti , ma altre disposizioni (norme su norme). Ciò può dipendere, ad esempio: da una preoccupazione precisionistica del legislatore; o dal proposito di nascondere l’esatta portata di una legge. Può aversi poi una catena di richiami quando la legge richiamata è stata modificata più volte, e sono quindi richiamate le leggi modificatrici. Altre difficoltà interpretative delle leggi tributarie sono legate alla preferenza per le formulazioni casistiche, piuttosto che alle formulazioni di regole generali. Ciò comporta diversi inconvenienti. Quando il legislatore non considera una classe di fenomeni (con una regola generale), ma pretende di indicare uno per uno gli specifici fenomeni di una data classe, è inevitabile che la legge presenti delle lacune. La formulazione casistica delle leggi, associata ad interpretazioni di tipo formalistico genera trattamenti diseguali per casi uguali, lacune, ecc.. Infine, essendo il diritto tributario un diritto senza codice, accade che l’istituzione di un tributo implichi, non solo la formulazione di norme di diritto sostanziale (concernenti i soggetti passivi, il presupposto, la base imponibile), ma anche di norme strumentali o secondarie (sull’accertamento, sanzioni, riscossioni). Di qui il problema di individuare ed interpretare volta per volta le norme strumentali o secondarie che si correlano ad ogni particolare tributo. Invece, sarebbe auspicabile una legge tributaria generale, contenente norme sull’accertamento, sulla riscossione, sulle sanzioni, ecc..
5. Gli argomenti dell’interpretazione.
Le dottrine dell’interpretazione oscillano tra due poli: da un lato quello del formalismo e della fedeltà alla lettera della legge, dall’altro quello di una interpretazione sostanzialistica, più sensibile alla ratio della legge, agli elementi logici dell’interpretazione, agli scopi della legge. Nel diritto tributario, v’è tradizionalmente una prevalenza dell’indirizzo formalistico, giustificato con il richiamo alla certezza del diritto. La giurisprudenza sembra seguire un procedimento per gradi; viene dato anzitutto rilievo al criterio generale ( che ha , dunque, valore preminente e preclusivo del ricorso ad altri argomenti, quando la lettera della legge è chiara); solo quando la lettera della legge non è chiara, è consentito il ricorso ad altri criteri ( che hanno dunque valore sussidiario rispetto all’interpretazione letterale). Non mancano casi, però, in cui vengono seguite altre scale di valori; vale a dire: a) la lettera della legge è considerato un argomento interpretativo non preminente sugli altri; b) si ammette la liceità di interpretazioni che fanno prevalere il criterio della ratio della legge sul significato letterale.
6. Le lacune e l’analogia.
Sull’ammissibilità dell’analogia in diritto tributario, vi è largo consenso nel ritenere che nulla vi è di peculiare per quel che attiene alle norme tributarie non sostanziali: norme sui procedimenti, n. processuali, ecc.. Naturalmente vale anche per le norme penali tributarie il divieto di analogia. L’analogia è ammessa per le norme tributarie sostanziali: più precisamente, per le norme che delimitano gli oggetti imponibili. IN materia di oggetti imponibili, vige il principio della completezza. E’ vietata l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile: nulla esclude l’analogia per le norme che indicano in che modo deve avvenire la tassazione. Possono darsi, infatti, nel diritto tributario le lacune c.d. tecniche. Si prenda il caso di una legge che stabilisca l’imponibilità di un dato fatto economico, ma si presenti lacunosa, ad esempio, su come si determina l’imponibile , su come si fa la dichiarazione, su come si versa ,ecc. In una simile ipotesi, l’interprete è autorizzato a ricorrere all’analogia.
7. Gli autori dell’interpretazione.
L’interpretazione viene detta dottrinale, giurisprudenziale, forense, autentica, ecc, a seconda di chi la pone in essere. Non è indifferente la provenienza, poiché ogni autore, a seconda del suo ruolo nell’organizzazione giuridica, tenderà ad accreditare risultati interpretativi conformi agli interessi di cui è portatore ed ai fini per i quali l’operazione è compiuta.
8. Le leggi interpretative.
Anche il legislatore si fa interprete, quando, data una disposizione di dubbio significato, interviene con una disposizione interpretativa. La disposizione interpretativa presuppone una disposizione suscettibile di più interpretazioni; la disposizione di interpretazione autentica, quindi, lasciando immutato il testo cui si riferisce, elimina, tra le due o più norme potenzialmente contenute in quel testo, le interpretazioni considerate errate, lasciandone sopravvivere una soltanto. L’interpretazione autentica si basa sulla finzione che, delle possibili interpretazioni di cui un testo è suscettibile, tutte meno una siano errate. Le disposizioni interpretative sono retroattive; perciò è importante distinguere tra disposizioni interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive). Accade però nella pratica, che nuove disposizioni, che sostituiscono disposizioni previgenti, ma con formulazione più chiara o più completa, vengano considerate retroattive.
9. Le circolari interpretative.
L’amministrazione svolge quotidianamente opera di interpretazione; l’opera di interpretazione l’Amm. la esplicita nelle circolari e negli altri atti, con cui gli uffici centrali dell’Amm. impartiscono ordini e direttive agli uffici periferici. Di solito, all’emanazione di una nuova legge, il Ministero fa seguire una circolare, con la quale illustra agli uffici periferici il significato della legge. La pronuncia del Ministero viene inoltre sollecitata da quesiti posti dagli uffici periferici o dai cittadini, in relazione a casi specifici; la risposta a tali quesiti (espressa in atti che prendono il nome di risoluzioni o note) costituiscono occasione per altri esercizi di interpretazione della legge. Ora, è pacifico che tutti questi atti sono interni; ciò significa che vincolano, in base al rapporto gerarchico, l’ufficio periferico a conformarsi a quanto stabilito dall’ufficio sopraordinato; ciò significa, inoltre, che non hanno effetti vincolanti all’esterno dell’Amm.. L’interpretazione ministeriale, quindi non è vincolante; mentre, quanto alla sua attendibilità, vi sono fattori che la rendono attendibile, e fattori che la rendono inattendibile. La rende inattendibile l’essere un’interpretazione di parte, cioè dalla parte interessata a che la questione dubbia sia risolta pro fisco.

Capitolo terzo
Interpretazione ed elusione – sezione seconda –
10. Nozione di elusione.
A) Cerchiamo innanzi tutto di definire l’elusione. Data una norma fiscale che, ad un certo fatto, fa seguire l’obbligo di pagare un certo tributo, si dice che la norma è elusa quando il contribuente non realizza esattamente la fattispecie imponibile, ma un fattispecie equivalente sotto il profilo del risultato economico considerato dalla norma elusa. La nozione di elusione rimanda, quindi ,ad una duplice possibile interpretazione della disposizione fiscale: una interpretazione letterale o restrittiva, o formalistica, in base alle quale il comportamento elusivo non è tassabile, ed una interpretazione non letterale, non rigida, non formalistica, in base alla quale il fatto elusivo è tassabile. I tratti che identificano il comportamento elusivo sono i seguenti: 1) il ricorso all’uso di uno strumento giuridico anormale, ossia diverso da quello che normalmente si usa per raggiungere un dato risultato ; 2) con questo strumento, viene raggiunto lo stesso risultato che sarebbe raggiungibile con lo strumento giuridico normale, considerato dalle legge fiscale; 3) la scelta viene operata perché i vantaggi fiscali sperati fanno preferire l’operazione elusiva nonostante eventuali svantaggi giuridici dell’uso dello strumento; 4) lo strumento giuridico anormale viene prescelto con il fine di eludere l’imposta. La definizione che precede riguarda l’elusione di norme impositive; ma può esservi elusione anche rispetto alle norme di agevolazione, quando viene posto in essere un comportamento che, apparentemente, è da assumere nella fattispecie della norma agevolatrice, ma che, in realtà, non è da considerare agevolato, perché non realizza il tipo di fenomeno economico considerato dal legislatore fiscale. La fattispecie elusiva è quindi contraddistinta da tre elementi: assenza di valide ragioni economiche; scopo esclusivo di ottenere un vantaggio fiscale; animo fraudolento.
B) L’elusione va distinta dal risparmio di imposta. Con l’elusione viene posto in essere un risultato pratico identico a quello considerato dalla norma elusa; nel c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in essere un risultato pratico diverso. Una forma di risparmio lecito d’imposta è quella che, nel linguaggio giornalistico viene detta erosione. Una persona che in sede di dichiarazione dei redditi deduce molti oneri, fruisce di redditi esenti o agevolati, ecc., paga, alla fine un’imposta minore di chi, a parità di reddito, non fruisce delle stesse deduzioni, agevolazioni, ecc.. Nel linguaggio degli studiosi di scienza delle finanze, si parla di rimozione dell’imposta per riferirsi al comportamento di chi, essendo tassato un certo comportamento economico, opera scelte economiche diverse da quelle tassate. L’erosione e la rimozione dell’imposta sono casi di risparmio lecito d’imposta.
C) L’elusione si distingue dall’evasione; nell’evasione, viene posto in essere il fatto o negozio o risultato considerato dal legislatore, ma la fattispecie viene occultata, mascherata, ecc.; es: documenti falsi, falsa dichiarazione dei redditi. Sia nell’evasione che nell’elusione, l’operatore mira a non pagare l’imposta; ma nell’elusione l’operazione è posta in essere con strumenti leciti e non occulti cosa che non avviene per l’evasione. Chi elude confida su una determina interpretazione della legge; chi evade confida di non essere scoperto.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge. La fattispecie contratto in frode alla legge è regolato dall’art. 1344 c.c., ove si dispone che è nullo per illiceità della causa il contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. L’art. 1344 non si applica al contratto stipulato per eludere l’applicazione di una norma fiscale, perché le norme fiscali non sono norme imperative, nel significato in cui tale espressione è adoperata in tale articolo . Ciò comporta che il contratto (rivolto ad eludere una norma fiscale) non è nullo tra le parti , ma ciò non dovrebbe impedire al fisco di pretendere l’imposta dovuta sull’affare effettivamente compiuto.
11. L’interpretazione antielusiva.
Il legislatore dispone, fondamentalmente, di due tecniche per fronteggiare l’elusione: porre una o più norme di carattere generale, oppure porre norme specifiche. I due sistemi non sono alternativi: ogni sistema presenta norme antielusive specifiche. Le norme specifiche risolvono un problema specifico ma non è detto che lo risolvano definitivamente, anche la norma antielusiva potrebbe essere elusa. Schematicamente due sono i metodi interpretativi da considerare per fini antielusivi. I metodi rigidi e formalistici non consentono interpretazioni antielusive. Ci si riferisce ai metodi strettamente legati alla lettera della legge ( ed al significato strettamente giuridico dei termini usati dalla legge) e alla casistica legislativa; e non si ammette che l’interprete possa distaccarsi dalla volontà del legislatore, inteso come legislatore di un dato momento storico. La giustificazione ideologica di questo metodo di interpretazione sta nel richiamo alla certezza del diritto. Viceversa, la possibilità di interpretazioni antielusive sono favorite da metodi non formalistici; per tali metodi, i problemi semantici sono risolti facendo prevalere il significato economico dei termini usati dal legislatore, a preferenza del significato strettamente giuridico; si fa prevalere, sull’intenzione del legislatore storico, la volontà attualizzata della legge.
12. Il superamento delle forme.
Le tecniche attraverso le quali si può pervenire a tassare le fattispecie elusive sono due: la prima consiste nell’interpretare la norma elusa in modo da applicarla anche a fattispecie che essa formalmente non prevede; la seconda consiste nell’interpretare e ricostruire i negozi giuridici elusivi in modo da far emergere, di la dall’apparenza formale ed esteriore, il vero affare e il vero negozio posto in essere dalle parti. Viene così operata una riqualificazione del negozio ovvero un superamento della forma.
13. L’interpello.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori economici i quali, proponendosi di porre in essere un’operazione, hanno motivo di ritenere che il fisco la consideri elusiva, è stato istituito uno speciale procedimento, con il quale i contribuenti possono interpellare l’amministrazione finanziaria e conoscerne preventivamente il giudizio in ordine ad una determinata operazione. I contribuenti possono interpellare l’amm. finanziaria in ordine all’applicazione delle seguenti norme: operazioni di fusione, concentrazione, trasformazione, scorporo e riduzione di capitali; in caso di interposizione di persona i redditi sono imputati al titolare effettivo e non a quello apparente; sulla qualificazione di determinare spese come spese di rappresentanza ovvero di pubblicità e propaganda. La procedura di interpello è così articolata: il contribuente, quando sta per porre in essere un comportamento che potrebbe dar luogo all’applicazione di una delle citate norme antielusive, può richiedere il preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle finanze fornendole tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata; in caso di mancata risposta della direzione generale, o di risposta alla quale il contribuente non intende uniformarsi, è dato al contribuente il diritto di richiedere il parere del “comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive”; la mancata risposta da parte del comitato consultivo entro 60 gg. dalla richiesta del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale diffida ad adempiere, equivale a silenzio-assenso.

Capitolo quarto
I principi
1. Principi generali (legislativi e superlegislativi)
La nozione di principio generale del diritto è tutt’altro che univoca. In uno dei significati dell’espressione, per principio generale si intende un principio che occupa un alto grado nella gerarchia delle fonti, in questo significato, sono principi generali: le norme costituzionali rispetto alla legislazione ordinari, le norme delle leggi di delegazione rispetto alla legislazione delegata, le norme comunitarie rispetto alle norme nazionali. A livello di legislazione ordinaria, la più parte dei principi generali espressamente formulati sono racchiusi nella legge di delega 9/10/71 n° 825 che, con la successiva legislazione delegata, ha determinato un’ampia e profonda riforma di quasi tutto il nostro sistema tributario. Dalla citata legge delega si desume, ad esempio, che possono essere considerati principi generali del diritto tributario: il principio secondo cui le imposte sui redditi colpiscono il reddito netto; il carattere personale e progressivo dell’IRPEF; la determinazione dei redditi d’impresa secondo criteri di adeguamento del reddito imponibile a quello calcolato secondo principi di competenza economica; la territorialità dell’ILOR e dell’I.V.a.; la neutralità dell’IVA; la commisurazione dell’imposta di successione al valore netto dell’eredità.
2. Capacità contributiva, dovere tributario ed extrafiscalità.
Nella Cost. vi sono diverse disposizioni che, più o meno esplicitamente, riguardano il diritto tributario. Le due disposizioni più importanti sono, da un lato, l’art. 23. , e dall’altro l’art. 53 che, proclamando il principio di capacità contributiva, pone un principio che deve informare tutto il sistema giuridico tributario. Per intendere il senso dell’inserimento, nel testo della Cost., del principio della capacità contributiva, occorre innanzitutto considerare la nuova forma di Stato tracciata nella Cost. repubblicana: nella Repubblica democratica (art. 1) sono riconosciuti e garantiti i diritti individuali dell’uomo, ma è altresì richiesto l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2). Il dovere tributario è appunto un dovere di solidarietà, che l’art. 53 impone a tutti in ragione della loro capacità contributiva. La ragione sostanziale del dovere tributario, quindi, non deriva da un rapporto commutativo del singolo con lo Stato, ma nel dovere di solidarietà cui è tenuto ogni membro della comunità, per il fatto stesso di essere membro della comunità. Il singolo deve contribuire alle pubbliche spese, non in ragione di ciò che riceve dallo Stato, ma in ragione della sua capacità contributiva, in quanto membro di una collettività; e deve farlo, non in ragione proporzionale, ma in ragione progressiva rispetto alle sue potenzialità economiche. Se lo Stato preleva i tributi in relazione ad un dovere di solidarietà, ciò implica che la funzione del prelievo tributario non sia meramente fiscale (e cioè di procurare entrate allo Stato) ma sia anche extrafiscale. La Cost. ripudia il concetto liberale della finanza neutrale, e delinea un concetto funzionale della finanza pubblica; il tributo deve essere utilizzato, non solo per procurare entrate, ma anche per gli altri fini, che la Cost. assegna alla Rep.. Lo Stato non deve limitarsi a garantire il libero svolgimento della vita economica e sociale, ma ne deve essere parte attiva, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3). La politica tributaria è uno degli strumenti fondamentali dell’azione pubblica rivolta al perseguimento di quel fine.
3. La nozione di capacità contributiva e divieto di tassare fatti non espressivi di forza economica.
Occorre ora esaminare il principio di capacità contributiva, che l’art. 53 Cost. proclama stabilendo che: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
A) La disposizione costituzionale, nel suo significato letterale può apparire assai poco significativa; può sembrare cioè in quanto mera enunciazione del dovere di pagare i tributi, priva di significato pratico, perché il dovere di pagare i tributi, in concreto, sorge solo per effetto di quanto stabiliscono le leggi.
B) Si cogli la funzione normativa dell’art. 53, solo se in esso si scorge una delimitazione di quel potere (dello Stato) e di quel dovere (dei consociati). L’art. 53 infatti delimita il potere legislativo in quanto in esso è stabilito che è costituzionalmente legittimo imporre tributi solo in ragione di un fatto che sia indicativo di capacità contributiva. Correlativamente, l’art. 53, delimita il dovere contributivo, in quanto garantisce ai consociati di non poter essere obbligati a contribuire alle spese pubbliche in relazione a fatti che non siano espressivi di capacità contributiva.
C) Quali sono i fatti che esprimono capacità contributiva? Cosa è la capacità contributiva? Per rispondere a queste domande è bene ricordare che, secondo la scienza delle finanze, le risorse pubbliche possono essere reperite o secondo il principio del beneficio o secondo il principio del sacrificio. Il primo principio importa che la spese pubbliche sono finanziate da chi ne fruisce; secondo il principio del sacrificio le spese pubbliche sono finanziate non da chi ne fruisce, ma da chi è dotato di capacità contributiva. Mentre le spese pubbliche c.d. divisibili possono essere finanziate in base al principio del beneficio, le spese pubbliche c.d. indivisibili possono essere finanziate solo col criterio della capacità contributiva. Dalla scienza delle finanze non ci è però fornita una definizione rigorosa di capacità contributiva; perciò alcuni autori ritennero che il precetto costituzionale fosse privo di significato. Su di un punto, comunque, il consenso è unanime; e cioè nell’attribuire alla capacità contributiva il significato di capacità economica, e quindi nel dire che fatto espressivo di capacità contributiva è un fatto di natura economica.
4. Gli indici di capacità contributiva.
Per dare concretezza al concetto di capacità contributiva, non basta dire che esprimono capacità contributiva i fatti economici (e non basta escludere i fatti non economici). Occorre anche indicare quali fatti economici esprimono capacità contributiva. Dal punto di vista qualitativo il sacrificio patrimoniale che viene imposto ai consociati deve essere rapportato alla idoneità che il singolo mostra di potersi privare di una parte dei propri averi per metterla a disposizione della collettività. Non è perciò indice di capacità contributiva un reddito minimo. Il fatto espressivo di capacità contributiva per eccellenza è il reddito. Ed il reddito complessivo delle persone fisiche, al netto, non solo delle spese di produzione, ma anche di particolari oneri (personali e familiari), si presta, più di ogni altra forma di ricchezza, a rispecchiare la capacità contributiva, non solo specifica, ma anche globale delle persone, ed a fungere da base di commisurazione dell’imposta progressiva del reddito globale. Insieme con il reddito, sono considerati indici diretti di capacità contributiva il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio. Sono, invece, indici indiretti il consumo e gli affari. Se, in generale, il consumo di beni o servizi è indice di capacità contributiva perché implica disponibilità economica, ciò non vale per ogni consumo. Altro indice indiretto è il trasferimento di un bene.
5. Capacità contributiva, uguaglianza e ragionevolezza.
La legge tributaria deve trattare in modo uguale i fatti economici che esprimono pari capacità contributiva, e deve trattare in modo differenziato i fatti che esprimono capacità contributiva in modo differenziato. In tal modo, il principio di capacità contributiva integra il principio di uguaglianza. Il sindacato della Corte cost., in materia di uguaglianza, è legato alle seguenti massime: 1) il principio di uguaglianza postula trattamenti uguali di situazioni uguali, trattamenti diversi di situazioni diverse; 2) spetta al legislatore nella sua discrezionalità stabilire se due situazioni sono uguali o diverse; 3) la Corte può sindacare le scelte discrezionali del legislatore se queste sono irragionevoli; il limite alla discrezionalità del legislatore è la ragionevolezza e la Corte può intervenire quando le differenziazioni sono irragionevoli.
6. La ragionevolezza come coerenza della legge.
Il principio di uguaglianza esige che la legge non detti discipline contraddittorie; esige, cioè, coerenza interna alla legge. Si parla di coerenza interna perché ci si riferisce ai casi nei quali la contraddizione emerge rispetto a situazioni che lo stesso legislatore mostra di considerare eguali.
7. Capacità contributiva, uguaglianza e agevolazioni fiscali.
Il problema del rispetto del principio di uguaglianza non si pone soltanto per le norme impositive ma anche per le norme agevolative ( dove agevolazione significa qualsiasi norma di favore). Il legislatore può concedere agevolazione se ciò risponde a scopi costituzionalmente riconosciuti; in sostanza, se il trattamento differenziato trova giustificazione in una norma costituzionale. Di solito, le questioni di costituzionalità sorgono non in quanto si giudica incostituzionale un norma agevolativa, ma in quanto si ritiene contrario al principio di uguaglianza che una certa agevolazione sia accordata ad una certa categoria di soggetti o di fatti imponibili, e non sia accordata ad altre categorie. Le norme agevolative sono norme di deroga rispetto al regime ordinario e che, perciò, costituiscono il frutto di scelte legislative discrezionali; spetta soltanto al legislatore di valutare e di decidere, non solo in ordine all’an, ma anche in ordine al quantum di una agevolazione. Una volta stabilito che accordare o non accordare una agevolazione è una scelta discrezionale del legislatore, il sindacato di tali scelte può essere svolto dalla Corte solo nei modi e nei limiti in cui si svolge il sindacato sulle scelte discrezionali, ossia come giudizio sulla ragionevolezza delle scelte legislative.
8. Il requisito di effettività. Forfettizzazioni e principio nominalistico.
Nella giurisprudenza della Corte cost. è dato risalto all’esigenza che il collegamento tra fatto rivelatore di capacità contributiva e tributo sia effettivo, e non apparente o fittizio.
9. Il requisito di attualità, i prelievi anticipati e i tributi retroattivi.
Oltre che effettiva la capacità contributiva deve essere attuale. Il tributo, nel momento in cui trova applicazione, deve essere correlato ad una capacità contributiva in atto, non ad una capacità contributiva passata o futura. I tributi retroattivi colpiscono fatti pregressi e quindi una capacità contributiva appartenente al passato; in linea di massima, quindi, i tributi retroattivi urtano contro il principio di capacità contributiva in quanto, colpendo fatti del passato, colpiscono una capacità contributiva non attuale e quindi non effettiva. I fatti del passato potrebbero esprimere un’attitudine contributiva ancora presente nel momento in cui sopravviene il tributo. Perciò, secondo la giurisprudenza, i tributi retroattivi non sono sempre anticostituzionali, ma solo quando si collegano a fatti del passato che, in base ad una verifica da compiersi volta per volta, non esprimono capacità contributiva attuale. Il requisito di attualità impedisce al legislatore anche di imporre prelievi che si collegano a presupposti d’imposta che si verificheranno in futuro. Gli acconti sono ammissibili se no del tutto disgiunti dal presupposto, se l’obbligo di versarli non è incondizionato e se è assicurato il diritto al rimborso.
10. Capacità contributiva e rapporti privati.
Di solito, le norme costituzionali sono dunque modelli per il legislatore, e trovano attuazione attraverso la legislazione. A talune norme costituzionali è stata però riconosciuta diretta applicabilità. Anche all’art. 53 la giurisprudenza ha talora riconosciuto diretta applicabilità, come norma imperativa in materia di autonomia privata, traendone la conseguenza che un negozio tra privati è nullo se si pone in contrasto con il principio di capacità contributiva. La prevalente dottrina, però ritiene (giustamente) che l’art. 53 non riguardi i rapporti tra i privati.
11. Capacità contributiva e rimborso.
Il principio costituzionale, se da un lato impone che non vi siano prelievi non collegati ad un fatto espressivo di capacità contributiva, dall’altro richiede che il fisco non trattenga prelievi avvenuti in difetto del presupposto d’imposta, e quindi in assenza di capacità contributiva. Ciò significa, in definitiva, che viola l’art. 53 Cost. un meccanismo legislativo che impedisce il rimborso dei tributi indebitamente pagati.
12. Capacità contributiva e tributi “commutativi”.
Secondo la lettera dell’art. 53 deve essere giustificato dalla capacità contributiva ogni concorso alle spese pubbliche, senza distinzioni né rispetto ai modi del concorso, né rispetto alle spese pubbliche. Secondo la Corte l’art. 53 non è criterio di riparto di tutte le spese pubbliche, ma soltanto di quelle indivisibili. Questo orientamento restrittivo contrasta, però, sia con la lettera dell’art. 53, sia con una visione d’insieme del testo costituzionale. Perciò anche le entrate collegate a servizi divisibili possono essere addossate a chi ne fruisce, solo se il fruirne è segno di capacità contributiva.
13. Il principio di progressività.
L’art. 53, secondo comma, della Cost. recita: il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Nella giurisprudenza della Corte cost. viene sottolineato che il principio di progressività non riguarda i singoli tributi ma il sistema nel suo complesso; non è quindi vietato che singoli tributi siano ispirati a criteri diversi. Il principio di progressività, che, inteso nel senso dell’aumento di aliquota col crescere del reddito, presuppone un rapporto diretto tra imposizioni e reddito individuale di ogni contribuente.
14. Principi di diritto comunitario.
Si è visto che, tra le fonti del diritto tributario, vanno annoverate le fonti comunitarie; queste vanno distinte in due gruppi: a) disposizioni fiscali del Trattato istitutivo della CEE; b) norme di diritto comunitario derivato (norme create dagli organi della comunità sulla base del Trattato). I più importanti tra i principi del Trattato sono i seguenti: Il Trattato impone agli Stati membri l’obbligo di non applicare, ai prodotti provenienti dagli stati membri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali, ed il divieto di sovvenzionare le esportazioni con rimborsi superiori alle imposizioni subite all’interno dello stato dai prodotti che vengono esportati; l’obbligo degli stati membri di istituire un’imposta sulla cifra d’affari con il sistema dell’imposizione del valore aggiunto; l’armonizzazione delle legislazioni fiscali degli stati membri, al fine di realizzare un mercato europeo comune.
Sul versante del diritto derivato, molti settori del diritto tributario interno sono regolati da norme contenute in direttive comunitarie, o da norme interne che si ispirano a norme di direttive comunitarie. Va in primo luogo segnalato il corpus di direttive emanate in materia di imposta sul valore aggiunto ed in materia di accise. In secondo luogo, vanno ricordate le direttive intese ad armonizzare le imposte sulla raccolta dei capitali cui si conformano le norme dell’imposta di registro sugli aumenti di capitale e sui finanziamenti delle società. In terzo luogo, in materia di imposte dirette, va ricordata una direttiva che istituisce un sistema di assistenza reciproca fra le amministrazioni finanziarie al fine di reprimere l’evasione mediante scambio di informazioni fra gli Stati membri.

Capitolo quinto
Le fattispecie
1. Sistematica dell’imposta.
La dottrina tributaristica tradizionale ordinava le varie norme che disciplinano l’imposta adottando il concetto di rapporto d’imposta, inteso come rapporto complesso; in questo rapporto confluiscono, da un lato, le norme sostanziali dell’imposta ( quelle che stabiliscono chi, in presenza di quali presupposti, in quale misura, deve pagare l’imposta) e, dall’altro le norme formali sul procedimento d’accertamento, sulla riscossione, sul processo, sul rimborso: tutte queste norme e le vicende da esse disciplinate sono viste come svolgimento o attuazione del rapporto complesso d’imposta nascente dal presupposto. La sistematica del rapporto complesso d’imposta è stata abbandonata dalla dottrina tributaristica più recente, che preferisce ordinare la materia intorno ai concetti di potestà di imposizione e di procedimento: le norme tributarie sono viste tutte come norme procedimentali, regolanti l’esercizio della potestà d’imposizione. In conclusione, mentre la teoria del rapporto d’imposta usa un concetto di diritto sostanziale inglobandovi le norme procedimentali, la teoria della potestà d’imposizione ingloba le norme sostanziali in quelle procedimentali. La prima pone l'enfasi sulla statica, la seconda sulla dinamica ed entrambe sono unilaterali. Occorre invece distinguere tra statica e dinamica: l’aspetto statico è dato dalle norme sostanziali che stabiliscono le fattispecie e gli effetti d’imposta; l’aspetto dinamico del fenomeno è quello che considera gli atti e i procedimenti attraverso i quali avviene l’attuazione dell’imposta.
2. Il presupposto.
Ogni figura giuridica si compone di due elementi: la fattispecie e l’effetto. La fattispecie che dà vita all’imposta è variamente denominata: fatto imponibile, fatto generatore, presupposto. Preferire l’uno o l’altro termine è questione puramente lessicale: qui si preferisce il termine presupposto perché d’uso più comune. In relazione all’effetto principale, il presupposto è quell’evento che determina, direttamente o indirettamente, il sorgere dell’obbligazione tributaria. Qui il presupposto deve essere esaminato dal punto di vista strutturale. Caratteri oggettivi del presupposto:
A) il presupposto d’imposta va tenuto distinto dall’oggetto; l’uno è nozione giuridica, l’altro nozione economica;
B) la distinzione tra presupposto e oggetto dell’imposta rende ragione delle divergenze di classificazione che si riscontrano a proposito di taluni tributi che vengono considerati indiretti da chi tiene conto del profilo giuridico formale, ed imposte dirette da chi ne considera l’oggetto economico;
C) le classificazioni più correnti dell’imposta hanno come riferimento il presupposto. La tassonomia più in uso è quella che distingue le imposte in dirette ed indirette; le prime sono quelle che colpiscono il reddito o il patrimonio, le seconde tutte le altre (imposte sui consumi, affari). Le imposte sul reddito poi, sono ulteriormente distinte in personali e reali, a seconda che, nella loro disciplina, abbia o no rilievo qualche elemento che attiene alla persona del soggetto passivo.
3. Esenzioni ed esclusioni.
Nella disciplina di un tributo, con gli enunciati legislativi che definiscono la fattispecie tipica ( il presupposto), possono coesistere delle disposizioni che ne ampliano o ne restringono l’area di applicabilità. Tra queste disposizioni, va innanzitutto considerato il caso delle esenzioni che sono costituite da enunciati normativi che sottraggono all’applicazione del tributo ipotesi che dovrebbero esservi soggette in base alla definizione generale del presupposto. Secondo la dottrina tradizionale, le norme esentative presentano le seguenti caratteristiche: a) sono norme distinte rispetto a quelle che definiscono il presupposto, ed hanno un autonomo effetto giuridico (effetto impeditivo); b) sono norme eccezionali, come tali non suscettibili di integrazione analogica; c) sono norme che conferiscono al soggetto esentato un diritto soggettivo (il diritto d'esenzione). L’impostazione della dottrina tradizionale è criticata nella letteratura più recente. Si ritiene, che l’esenzione non sia il portato di una norma distinta ed autonoma, ma che l’enunciato legislativo che indica il caso esentato concorra, con la disposizione che definisce il presupposto, a definire l’area di applicabilità del tributo. Cade , quindi, anche la possibilità di ravvisare nell’esenzione la fattispecie d’un effetto impeditivo, ovvero la fattispecie di un particolare diritto soggettivo. Anche la eccezionalità delle norme esentative è contestata dalla moderna dottrina. Dal punto di vista delle conseguenze si ha esenzione quando è escluso il sorgere del debito d’imposta; ma ciò non necessariamente implica esclusione di obblighi strumentali di varia natura (di presentare la dichiarazione). Rispetto alle imposte periodiche, le esenzioni possono essere temporanee oppure permanenti. Altra distinzione è tra esenzioni oggettive e soggettive. Diverso può essere il modo di operare delle esenzioni: vi sono infatti esenzioni operanti ex lege, ed esenzioni operanti solo a seguito di istanza di parte, o di apposito provvedimento esonerativo. Le esenzioni si differenziano dalle esclusioni perché le prime costituiscono una deroga rispetto alla disciplina generale del tributo, mentre le esclusioni risultano da enunciati con cui il legislatore chiarisce i limiti di applicabilità del tributo, senza derogare a quanto risulta dagli enunciati generali.
4. Fattispecie sostitutive.
Il legislatore può sottrarre una certa categoria di ipotesi al genere di quelle che costituiscono il presupposto dell’imposta non solo esentandola, ma anche disponendo che, in via di deroga, quella categoria sia sottoposta ad altra imposta. Si ha, in tal caso, una fattispecie sostitutiva e correttamente si dice che si ha un regime fiscale sostitutivo. La ragion d’essere d’un simile regime derogatorio può risiedere sia in scopi di agevolazione, sia in motivi di tecnica impositiva. Ecco alcuni casi notevoli di tributi sostitutivi: a) le imposte sulle assicurazioni e sui contratti di rendita vitalizia sostituiscono le imposte di registro e di bollo; b) le tasse sui contratti di borsa sostituiscono le imposte di registro e di bollo.
Pongono in essere dei regimi sostitutivi le norme che sottopongono determinati redditi a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Rispetto al regime normale, in tali ipotesi si hanno le seguenti differenze: soggetto passivo del tributo non è il reddituario ma il sostituto; il reddito è tassato in via autonoma con aliquota fissa, non è quindi componente del reddito complessivo ed è sottratto alla progressività; la tassazione alla fonte in via definitiva sostituisce ogni imposta diretta (IRPEF ed IRPEG da un lato, ILOR dall’altro).
5. Fattispecie equiparate.
Con le esenzioni e con le fattispecie sostitutive il legislatore pone delle deroghe alla fattispecie tipica sottraendo certe ipotesi alla sua sfera di applicazione: ma deroghe possono esservi anche in direzione inversa, ossia mediante la previsione di altre ipotesi diverse da quelle tipiche cui pure si applica l’imposta. Il legislatore può prevedere che siano sottoposti ad un certo tributo anche casi diversi dal presupposto tipico, semplicemente perché vuole che certi fatti economici siano sottoposti a quella imposta. Si ha quindi una equiparazione di queste fattispecie a quella tipica. In altri casi, l’ampliamento della sfera di applicazione del tributo risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si può parlare, nel primo caso, di fattispecie equiparate o assimilate, e, nel secondo, di fattispecie surrogatorie o supplementari.
6. Fattispecie supplementari (o antielusive).
L’elusione può essere ostacolata dal legislatore o con l’introduzione di una clausola generale o con la previsione di norme ad hoc. Tra gli strumenti antielusivi di carattere specifico hanno un rilievo preminente le fattispecie supplementari; le previsioni di tassabilità, accanto alle ipotesi tipiche, di altre ipotesi che il legislatore aggiunge a quelle tipiche al solo fine di distogliere i soggetti dal ricorso ad esse per fini di elusione.
7. Fattispecie sovrapposte ( le sovraimposte).
La sovrapposizione di fattispecie tributarie si ha quando più imposte colpiscono un medesimo rapporto della vita, ossia un medesimo presupposto. La dottrina parla di imposta madre e imposta figlia quando una fattispecie, già perfetta ed esattamente accertata ( viene usata) per applicarla, mutata od invariata, come fattispecie di un’altra imposta. Di regola dunque, il fatto che un medesimo evento integri la fattispecie di più imposte comporta il cumulo delle imposte, senza che ciò possa essere escluso invocando il divieto della doppia imposizione. Prossimo al fenomeno descritto è quello della sovrimposta e dell’addizionale. Nel caso della sovraimposta si assume la base imponibile di un’imposta come base imponibile di un’altra imposta. Nel caso dell’addizionale si impone il pagamento di un quantum, ragguagliato ad una frazione o multiplo di quanto dovuto per un certo tributo.
8. Fattispecie alternative.
Si hanno fattispecie alternative quando un certo fatto od evento, normalmente soggetto ad una certa imposta, cessa di esserlo (o lo è in misura ridotta), se è soggetto anche ad un’altra imposta. Può darsi, cioè, che la sovrapposizione di fattispecie non determini l’applicazione di più imposte, ma l’applicazione d’una sola imposta e la non applicazione dell’altro tributo.
9. Fattispecie condizionali.
L’efficacia della fattispecie tributaria può essere sottoposta a condizione, sospensiva o risolutiva. Nel primo caso (cond. sospensiva) l’avveramento della condizione determina il sorgere del debito d’imposta; nel secondo la condizione estingue il debito. Se l’evento cui è subordinata l’efficacia non è incertus an, ma certus an ed incertus quando, sarà tecnicamente più appropriato dire che l’efficacia è soggetta ad un termine ( con valore sospensivo o risolutivo).
10. Le fattispecie nello spazio (principio di territorialità).
Può essere rilevante, ai fini tributari, la localizzazione del presupposto d’imposta; per lo più, è determinante il fatto che il presupposto si verifichi nel territorio dello Stato (applicazione del principio di territorialità), ma certe imposte prescindono dalla territorialità, dando rilievo determinante ad altri elementi (di natura personale). La dimensione spaziale della fattispecie dell’imposta non risponde dunque ad un principio generale, ma varia da imposta ad imposta. Le imposte personali sui redditi sono informate al principio per cui, nei confronti dei residenti, si tassa il complesso dei redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di produzione; nei confronti degli stranieri invece, si tassano soltanto i redditi prodotti nello Stato. La territorialità svolge un ruolo assai rilevante nell’IVA, ove peraltro si combina con criteri personali: è principio fondamentale dell’imposta quello della imponibilità delle operazioni effettuate nello Stato, e quindi quello della non imponibilità delle operazioni non effettuate nello Stato. L’imposta di registro si applica, in via di principio, agli atti formati nello Stato; si applica agli atti formati all’estero solo quando esplicano effetti di natura reale o locatizia su beni situati nello Stato; l’imposta sulle successioni si applica, nel caso di residenti, su tutti i beni, anche se situati all’estero; si applica solo sui beni situati in Italia, nel caso di defunto non residente.
11. La fattispecie nel tempo; imposte istantanee e periodiche.
La fattispecie d’imposta può essere costituita da un fatto istantaneo o da un fatto di durata; di qui la distinzione tra imposte istantanee e periodiche. Le imposte istantanee hanno la seguente caratteristica: che per ogni singolo avvenimento, che ne forma il presupposto, sorge una distinta ed unica obbligazione; nel caso delle imposte periodiche, il legislatore segmenta il fatto di durata assunto a presupposto, suddividendolo in periodi d’imposta, ed attribuendo rilevanza autonoma all’insieme dei fatti che si verificano nel periodo. Tipiche imposte periodiche sono quelle sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto.
12. L’imputazione soggettiva.
La fattispecie dell’imposta non può non essere riferita, o imputata ad un soggetto. Il criterio di imputazione varia a seconda della natura e dell’oggetto dell’imposta; e diverse sono le tecniche, cui il legislatore ricorre, per stabilire l’imputazione soggettiva del presupposto. In certi casi il legislatore dapprima indica i soggetti passivi, quindi il fatto che li rende obbligati; in altri casi viene dapprima indicato il presupposto, quindi i soggetti cui è riferibile.
Capitolo sesto
Gli effetti
1. Rapporto d’imposta e obbligazione tributaria.
Esaminata la fattispecie dell’imposta, ne vanno ora indagati gli effetti. La dottrina tradizionale, come già sappiamo, ordinava la materia in termini di rapporto d’imposta, inteso come rapporto complesso, comprendente tutte le situazioni soggettive facenti capo sia al contribuente che all’ente impositore. La dottrina moderna ha abbandonato tale impostazione teorica che aveva il duplice difetto di unificare in uno schema unitario situazioni giuridiche eterogenee (sostanziali e formali, finali e strumentali) e di trascurare l’aspetto dinamico del fenomeno, dando esclusivo rilievo al profilo statico. Sotto il profilo oggettivo, effetto principale della fattispecie dell’imposta è l’obbligazione tributaria.
2. La base imponibile.
La misura del debito d’imposta risulta dall’applicazione del tasso d’imposta fissato dalla legge, ad una grandezza, denominata base imponibile. Non bisogna confondere presupposto e base imponibile, anche quando lo stesso evento viene assunto dalla legge sia come presupposto, sia come base imponibile. Concettualmente, presupposto è ciò che provoca l’applicabilità di un tributo; base imponibile ciò che ne determina la misura; il primo determina l’an debeatur, la seconda il quantum, Può darsi peraltro identificazione o sovrapposizione di concetti; il reddito, ad esempio, è al tempo stesso presupposto e base imponibile. La base imponibile è costituita prevalentemente da una grandezza monetaria: l’ammontare del reddito, il valore di un bene, un corrispettivo contrattuale. Ma può essere anche costituita da cose misurate secondo le loro caratteristiche di misura e peso, o considerate nella loro unità.
3. Segue: composizione e stima.
Il legislatore non si limita ad indicare quale sia la base imponibile di un tributo (reddito, patrimonio ereditario), ma detta anche le norme che, da un lato, stabiliscono la composizione della base imponibile, dall’altro ne regolano i criteri di valutazione.
A) le norme sulla composizione della base imponibile possono riguardare, da un lato, gli elementi attivi, dall’altro gli elementi passivi.
B) Rilevata la composizione della base imponibile, subentra poi la stima della stessa: stima o valutazione che è regolata di solito anch’essa dalla legge. Il valore imponibile può essere configurato in più modi. Secondo una classificazione possono distinguersi: 1) il valore effettivo, cioè il valore che la base imponibile ha assunto nel caso concreto, sottoposto all’imposta; 2) il valore normale o corrente: ai fini dell’imposta di registro, si pensi al valore del bene negoziato; ai fini dell’imposta sul reddito, si ricordi il valore dei corrispettivi dei contratti tra società di un medesimo gruppo; 3) il valore ordinario, cioè il valore che si ricava dalla media di una serie di osservazioni operata su casi tipici; 4) il valore medio, cioè il valore che si ottiene dalla media dai valori assunti dal bene imponibile in un dato periodo di tempo; 5) il valore presunto, cioè quello forfettizzato dalla legge con la predeterminazione di indici o parametri.
4. Il tasso.
Il tasso può essere fisso o variabile. Si ha il primo quando l’imposta è predeterminata in una somma fissa. Il sistema prevalente è però quello del tasso variabile, costituito, quando la base imponibile è una grandezza monetaria, da una aliquota. L’aliquota può essere fissa o progressiva. Nel caso di imposta proporzionale, l’aliquota non muta con il variare della base imponibile. Nel caso di imposta progressiva, possono aversi diverse soluzioni matematiche che determinano il variare dell’aliquota in relazione al variare della base imponibile. Nell’IRPEF, la progressività è per scaglioni: ad ogni scaglione di reddito corrisponde un’aliquota via via crescente. Possono aversi imposte regressive, quando l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile; o graduali quando la base imponibile è divisa in più gradi , a ciascuno dei quali corrisponde un’imposta fissa in misura diversa.
5. Imposta principale, complementare e suppletiva.
Il legislatore, nella disciplina dell’imposta di registro definisce come principale l’imposta liquidata all’atto della registrazione; suppletiva l’imposta successivamente applicata quando è diretta a correggere errori od omissioni commessi dall’ufficio in sede di liquidazione dell’imposta principale; complementare l’imposta richiesta successivamente a quella principale, in ogni caso diverso da quello in cui l’imposta è suppletiva.
6. Obbligazioni d’acconto.
Il verificarsi del presupposto rende definitivamente dovuto il tributo. L’obbligazione tributaria che si ricollega al presupposto può essere preceduta da altre obbligazioni, che possono essere definite provvisorie. Si tratta di obbligazioni che sorgono prima del perfezionarsi del presupposto; esse realizzano, dunque, un’anticipazione della riscossione rispetto al presupposto e sono soprattutto presenti nella disciplina delle imposte periodiche (imposte sui redditi e IVA).
A) si consideri, nel campo delle imposte dirette, il sistema dei versamenti d’acconto. Nel corso del periodo d’imposta, ciascun soggetto passivo deve versare un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per quel periodo: l’acconto deve essere versato in due rate; la prima con la presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente, la seconda entro il 30 novembre.
B) Pure nell’ambito delle imposte sui redditi, si consideri il sistema delle ritenute d’acconto. Nell’IRPEF le somme costituenti reddito di capitale, i compensi dei lavoratori dipendenti, i compensi percepiti dai lavoratori autonomi, sono soggetti a ritenuta. Si ha qui il fenomeno della sostituzione: colui che eroga la somma deve effettuare una ritenuta e versarne l’importo allo Stato. Chi subisce la ritenuta acquista nei confronti dell’erario il diritto di decurtarne gli importi delle ritenute stabilite.
C) Nell’Iva ogni soggetto passivo deve, mensilmente o trimestralmente, liquidare e versare la differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta sulle operazioni attive e l’ammontare dell’imposta detraibile relativa agli acquisti. Se dal calcolo risulta una differenza a favore del contribuente, il relativo importo è computato in detrazione del mese o nel trimestre successivo. A chiusura del periodo d’imposta, con la dichiarazione annuale, viene calcolata l’imposta globalmente dovuta, ed il globale delle detrazioni.
7. Obbligazioni dipendenti.
All’obbligazione d’imposta possono accompagnarsi obbligazioni accessorie, legate alla prima da un nesso di pregiudizialità-dipendenza. Ecco le principali obbligazioni accessorie: a) obbligazioni relative all’indennità di mora, se decorre inutilmente il termine utile per il pagamento delle imposte iscritte a ruolo, il contribuente è obbligato a corrispondere un’indennità di mora nella misura del 2% del debito, se il pagamento è eseguito entro i 3 gg. successivi alla scadenza, e del 6% se il pagamento è effettuato oltre detto termine; b) obbligazioni relative agli interessi: per le imposte sui redditi la legge stabilisce che , decorso un semestre dalla data di presentazione della dichiarazione, sono dovuti interessi sulle imposte o maggiori imposte dovute in base a rettifica od accertamento d’ufficio, per ogni semestre successivo fino alla consegna dei ruoli all’esattore; nella stessa misura sono dovuti gli interessi nel caso di prolungata rateazione.
8. Effetti connessi.
In connessione con l’obbligazione tributaria, possono sorgere degli altri rapporti intercorrenti tra il soggetto passivo del debito d’imposta ed un terzo diverso dall’ente pubblico creditore. E’ il caso del rapporto di rivalsa del credito, cioè, attribuito al soggetto passivo del tributo, nei confronti di un altro soggetto. Le ragioni del rapporto di rivalsa possono essere molto varie nei diversi tributi.
A) vi sono innanzitutto tributi posti a carico di un soggetto che il legislatore intende far gravare economicamente su di un altro. Ciò avviene, per lo più, nelle imposte sui consumi, nelle quali il soggetto passivo è un imprenditore, cui la legge consente di trasferire su altri (i consumatori) il peso economico del tributo. Non bisogna però confondere il fenomeno puramente economico della traslazione d’imposta che si ha quando il contribuente di un’imposta trasferisce su altri l’onere del tributo inglobandone l’ammontare nel prezzo di trasferimento ad altri di un bene o di un servizio, con il fenomeno giuridico della rivalsa che si verifica quando il contribuente c.d. di diritto ha un credito nei confronti del contribuente di fatto, credito che si aggiunge al corrispettivo contrattuale.
B) Ma vi sono anche dei casi in cui il soggetto passivo dell’imposta è un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto; tali soggetti sono denominati sostituto d’imposta e responsabile d’imposta. Essi hanno diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in essere il presupposto; le leggi tributarie prevedono espressamente tale diritto di rivalsa. In generale, ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il presupposto dell’imposta, ogni terzo che sia tenuto a corrispondere il tributo. Fonte del diritto di rivalsa può essere non solo la legge ma anche una clausola contrattuale. La rivalsa del sostituto d’imposta che si esercita mediante ritenuta è infatti normalmente obbligatoria, e sono previste sanzioni per la mancata effettuazione della rivalsa. Ma vi sono, anche, dei casi in cui il legislatore vieta la rivalsa; nell’INVIM ad esempio che grava sul venditore è vietato pattuire che il compratore si accolli l’onere dell’imposta.
9. Le garanzie: i privilegi.
Il credito d’imposta può essere ed è per lo più assistito da garanzie di vario tipo, un esame sommario delle quali deve dare particolare rilievo ai privilegi, che assicurano al fisco di essere soddisfatto a preferenza di altri creditori in caso di espropriazione. Sono previsti privilegi generali e speciali, sui mobili e sugli immobili. Una indicazione sommaria delle norme che prevedono privilegi può raggruppare tali norme in 4 classi: a) privilegio generale sui mobili del debitore: tale garanzia è prevista per l’IRPEF, l’IRPEG e l’ILOR; identico privilegio è accordato per i crediti IVA; b) privilegio speciale sui mobili: i crediti dello Stato per i tributi indiretti hanno privilegio sui mobili ai quali i tributi si riferiscono. Uguale privilegio hanno i crediti di rivalsa IVA; c) privilegio generale immobiliare: i crediti per l’IRPEF, IRPEG e ILOR, limitatamente alla quota imputabile ai redditi immobiliari o fondiari non determinabili esattamente, hanno privilegi sugli immobili del debitore situati nel comune in cui il tributo si riscuote; d) privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste crediti per tributi indiretti (compresa l’INVIM), in relazione agli immobili cui il tributo si riferisce.
10. Segue: l’ipoteca
Il credito d’imposta può essere garantito da ipoteca; l’intendente di finanza, quando vi sia pericolo nel ritardo può chiedere al presidente del tribunale competente l’iscrizione di ipoteca legale sui beni del trasgressore, ed anche l’autorizzazione a procedere a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo. Ipoteca e sequestro possono essere impugnati da chiunque vi abbia interesse, innanzi al giudice civile quando non vi sia reato, o innanzi al giudice penale secondo le norme del codice di procedura penale.
11. Altre garanzie.
Esaminati i privilegi e l’ipoteca, vediamo ora le altre forme di garanzia. Talune garanzie sono richieste per la concessione di dilazioni o rateizzazioni. La dilazione del pagamento dell’imposta sulle successioni può essere concessa a condizione che il contribuente presti garanzia mediante ipoteca o cauzione in titoli di Stato, o garantiti dallo Stato al valore di borsa, o fideiussione rilasciata da un istituto o azienda di credito. La stessa norma vale anche per l’INVIM. Per ottenere in via anticipata il rimborso dell’IVA è previsto che il contribuente presti delle garanzie, ossia: cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato; oppure fideiussione rilasciata da un istituto o azienda di credito; oppure polizza fideiussoria rilasciata da un’impresa di assicurazioni.
12. Decadenza e prescrizione.
L’istituto della prescrizione non è estraneo al diritto tributario, poiché anche il credito d’imposta può estinguersi per prescrizione. Quando il credito presuppone un procedimento, diretto alla costituzione o alla riscossione del credito, le relative potestà amministrative sono sottoposte a termini di decadenza. Il potere di emettere l’avviso di accertamento è soggetto a decadenza rispetto a tutte le imposte. E’ pure soggetto a decadenza il potere di iscrivere a ruolo. Bisogna tenere distinto il fenomeno della prescrizione, che afferisce il credito d’imposta che ha già costituito oggetto di avviso di accertamento o di iscrizione a ruolo, dalla decadenza, che riguarda le potestà impositive o esattive. La legge tributaria non prevede alcuna prescrizione in materia di imposte sui redditi: la relativa obbligazione, una volta iscritta a ruolo, può certo estinguersi secondo le norme civilistiche in tema di prescrizione (ma in pratica è difficile che ciò si avveri, in quanto l’esattore tenuto all’obbligo del non riscosso per il riscosso, non rimarrà certo inattivo). In materia di imposte indirette, invece, sono previsti termini di prestazione dell’imposta definitivamente accertata: il termine è decennale per l’imposta del registro e per l’imposta sulle successioni. In materia doganale il termine è quinquennale.

Capitolo settimo
I soggetti
1. Il creditore.
L’imposta si concreta in un rapporto obbligatorio, esaminare i profili soggettivi significa studiare la figura del creditore e quella del debitore. Creditore d’imposta è, nella maggior parte dei casi, lo Stato che agisce per tramite dell’amministrazione delle finanze ed, in particolare, di una molteplicità di uffici preposti alla gestione delle diverse imposte. Creditore d’imposta è lo Stato anche per talune imposte denominate locali o comunali, in quanto gestite da organi statali ed in quanto il rapporto d’imposta s’instaura tra Stato e soggetto passivo. Creditori d’imposta possono essere anche enti diversi dallo Stato ( regioni, provincie, comuni) o addirittura dei privati, investiti di pubbliche funzioni (appaltatori delle imposte).
2. L’amministrazione finanziaria.
Dobbiamo ora occuparci della struttura dell’amministrazione finanziaria.
A) al vertice vi è il Ministro delle finanze, le sue direttive sono attuate dal consiglio di amministrazione, che ha anche compiti di coordinamento complessivo dell’attività del Ministero e di gestione del personale. Il Ministro delle finanze è coadiuvato dal Segretario generale, il cui compito specifico è quello di coordinare le attività degli uffici. Altri uffici centrali sono il Servizio centrale degli ispettori tributari (Secit) e il servizio centrale della riscossione.
B) Il Secit ha fondamentalmente tre compiti: 1) controllare l’attività di accertamento degli uffici e le verifiche eseguite dalla Guardia di finanza; 2) provvedere, in via straordinaria, a verifiche e controlli nei confronti di contribuenti sospettati di evasioni di grandi proporzioni; 3) formulare proposte al Ministro per la predisposizione e l'attuazione dei programmi di accertamento.
C) Il Ministero è strutturato in tre dipartimenti: uno si occupa delle entrate, uno delle dogane ed uno del territorio; ai tre dipartimenti si affianca la direzione generale del personale. I dipartimenti hanno funzioni di indirizzo, programmazione e coordinamento degli uffici periferici.
D) L’organizzazione periferica del Ministero delle finanze è articolata in direzioni regionali. Dalla direzione regionale delle entrate dipendono: 1) i centri di servizio, la cui funzione è quella di effettuare il controllo formale delle dichiarazioni dei redditi e di quelle dell’imposta sul valore aggiunto; essi curano la riscossione delle imposte ( dovute in base alle dichiarazioni) e i rimborsi (spettanti in base alle dichiarazioni); 2) gli uffici delle entrate, cui spettano il controllo sostanziale delle dichiarazioni, emanazione di avvisi di accertamento, e riscossione dei tributi dovuti in base agli accertamenti.
E) La riscossione delle imposte dirette, e la riscossione coattiva della maggior parte delle imposte indirette, è demandata al Servizio della riscossione che ha un ufficio centrale e uffici periferici.
F) La cura degli affari doganali è affidata, nell’ambito del Ministero delle finanze, al dipartimento delle dogane e delle imposte indirette; tale dipartimento è articolato in uffici centrali e periferici.
3. Il contribuente.
Il contribuente viene usato in due accezioni: una assai lata, per cui esso designa ogni soggetto, che sia o possa diventare termine passivo di riferimento di obbligazioni verso il fisco; in un significato più ristretto indica quello che, nella varietà dei soggetti passivi è da denominare obbligato principale. Nel primo significato il termine ricorre nel decreto istitutivo dell’anagrafe tributaria; l’iscrizione all’anagrafe implica attribuzione di un n° di codice fiscale; contribuente è dunque ogni soggetto iscritto o iscrivibile all’anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza è fiscalmente rilevante.
4. L’obbligato principale.
Normalmente, soggetto di un’imposta è colui che ne realizza il presupposto. La normale identità tra autore del presupposto e soggetto passivo dell’imposta risponde ad un requisito di costituzionalità del tributo; sarebbe violato l’art. 53 Cost. se il gravame fiscale ricadesse su un soggetto che, non avendo realizzato il presupposto, non ha posto in essere il fatto espressivo di capacità contributiva che il legislatore ha avuto di mira. Vi sono infatti dei casi in cui il tributo è posto a carico di soggetti diversi da colui che ne realizza il presupposto di fatto ( in aggiunta o in sostituzione di colui che realizza il presupposto), ma in tali casi occorre che il soggetto obbligato sia posto in condizione di riversare l’onere economico del tributo stesso su colui che realizza il fatto espressivo di capacità contributiva. Chi realizza il presupposto di fatto di un tributo può essere definito obbligato principale, per distinguerlo dagli altri obbligati. Ma è d'uso definirlo contribuente.
5. La solidarietà: a) le fattispecie.
Le diverse situazioni passive che scaturiscono dalle fattispecie tributarie, possono far capo a più soggetti in solido.
A) in proposito, va innanzitutto affrontato il tema della fonte della solidarietà. Parte della dottrina ritiene applicabile, in materia tributaria, l’art. 1294 c.c., a norma del quale i debitori sono tenuti in solido se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente. Non solo non esiste una legge tributaria che escluda la solidarietà, ma molte ve ne sono che espressamente la sanciscono. Perciò tutte le volte che più persone si trovano rispetto ad un medesimo presupposto, nella situazione di soggetti passivi del tributo, essi sarebbero solidamente obbligati verso il fisco. La legge tributaria si preoccupa sempre, nel disciplinare le varie imposte, di indicare i soggetti passivi e di stabilire quando sono tenuti in solido, sicché, in definitiva, il problema dell’applicabilità dell’art. 1294 c.c. sembra privo di rilevanza pratica.
B) I casi nei quali si ha solidarietà tributaria sono caratterizzati dal fatto che il presupposto del tributo è riferibile a più soggetti. Il reddito, quale arricchimento di un soggetto, è per sua natura riferibile ad un soggetto soltanto, e quindi debbono considerarsi eccezionali le norme delle imposte sui redditi che stabiliscono la solidarietà. Ricorderemo: la solidarietà tra cedente e cessionario di un immobile per l’ILOR relativa al periodo di tempo successivo al titolo che serve da base per la voltura catastale; La solidarietà tra coniugi può scaturire dalla circostanza che essi presentino una dichiarazione congiunta; è questa una singolare ipotesi di solidarietà voluta dagli obbligati. La sostituzione d’imposta si trasforma in solidarietà nel caso in cui il sostituto a titolo d’imposta viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse, e interessi relativi a redditi per i quali non ha effettuato ne le ritenute ne i versamenti. Più frequentemente s’incontra la solidarietà nel campo delle imposte indirette: obbligati al pagamento dell’imposta di registro sono, di solito, pluralità di soggetti; le imposte ipotecarie sono dovute, oltre che da coloro nel cui interesse è stata fatta la richiesta di trascrizione, anche dai debitori contro cui è stata iscritta o rinnovata l’ipoteca; l’imposta sulle successioni è dovuta agli eredi in solido. La solidarietà ricorre anche per il pagamento di sanzioni amministrative. Di particolare rilievo è la norma, di portata generale, secondo cui, quando la violazione sia imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al pagamento della pena pecuniaria o soprattassa.
6. La solidarietà: b) gli effetti.
Occorre esaminare le conseguenze della solidarietà, tenendo presente che il diritto tributario presenta una varietà di situazioni.
A) innanzitutto va notato che il soggetto passivo del tributo non è soltanto obbligato all’adempimento di una prestazione pecuniaria, ma è tenuto all’adempimento di obblighi formali, come la presentazione della dichiarazione. Ora, anche nei riguardi di tali obblighi, vale il concetto per cui l’adempimento di un soggetto libera tutti gli altri. Se la dichiarazione è presentata e sottoscritta da uno solo, anche gli altri sono liberati, ma se la dichiarazione comporta sanzioni, queste sono applicabili nei confronti di tutti.
B) Rispetto al potere impositivo, vi sono più soggetti nei confronti dei quali può essere esercitato il potere; solidarietà equivale quindi a cosoggezione. Così l’amministrazione finanziaria può a sua scelta emettere l’avviso di accertamento nei confronti di uno solo o di tutti i coobbligati. Con la conseguenza, però, che l’avviso se non è notificato a tutti, vale solo nei confronti dei soggetti cui è notificato. La giurisprudenza ed una parte minoritaria della dottrina ritenevano infatti che l’avviso di accertamento sebbene notificato ad uno soltanto dei condebitori, esplicasse i suoi effetti anche nei confronti degli altri. Questa dottrina è stata contraddistinta con il termine di superdsolidarietà tributaria, solidarietà formale o solidarietà processuale. Questa concezione è stata avversata per lungo tempo dalla migliore dottrina: in sede pratica, essa ha avuto fine quando la Corte cost. ne ha dichiarata l’illegittimità costituzionale. Molti dei problemi sorti in materia di solidarietà tributaria sono quindi risolti richiamando norme civilistiche. 1) La giurisprudenza ha innanzitutto posto il principio che l’avviso di accertamento notificato ad un soggetto, non estende i suoi effetti agli altri soggetti. 2)La giurisprudenza ha ritenuto che, se uno dei condebitori nova, il debito d’imposta mediante presentazione di istanza di condono e lo estingue pagando l’imposta ex condono, di questi effetti beneficiano anche gli altri condebitori. 3) sono poi ritenuti applicabili, in materia tributaria, alcuni principi posti dall’art. 1306 c.c., secondo il quale “la sentenza pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori..” perciò la sentenza che abbia respinto il ricorso proposto da un coobbligato non esplica effetti nei processi promossi da altri coobbligati. L’estensione degli effetti della sentenza favorevole ad un coobbligato è pacificamente ammessa quando gli altri coobbligati abbiano impugnato l’accertamento, mentre è discussa nel caso in cui un coobbligato abbia impugnato l’accertamento e l’altro non lo abbia impugnato.
4) applicando in materia tributaria un principio pacifico in materia civilistica, la giurisprudenza ritiene che l’impugnazione della sentenza da parte di un condebitore non giova al condebitore solidale che, pur avendo partecipato al relativo giudizio, non abbia impugnato.
5) la giurisprudenza ritiene applicabile in materia tributaria l’art. 1310, secondo cui gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche nei riguardi degli altri debitori.
C) per quel che riguarda la riscossione, quando vi sono più soggetti obbligati in solido, e cointestatari di una medesima partita di ruolo, il concessionario non è tenuto a notificare la cartella esattoriale a tutti, ma può notificarla solo al primo intestatario della partita. Agli altri può inviare una comunicazione.
7. Il responsabile d’imposta.
Viene denominato responsabile d’imposta una particolare figura di debitore del tributo, al quale le legge addossa l’obbligazione tributaria in solido con l’obbligato principale; ciò che distingue il responsabile d’imposta, dall’ordinaria figura di coobbligato in solido, è la circostanza che la fattispecie della sua responsabilità non è la sua partecipazione al presupposto dell’imposta, ma la realizzazione di una fattispecie ulteriore e diversa. L’obbligazione del responsabile, in tanto esiste, in quanto esiste quella principale; si dice, perciò, che il responsabile è un coobbligato dipendente in contrapposizione all’istituto della solidarietà ordinaria o paritaria. Ecco due esempi di questa particolare figura: a) i nuovi possessori di immobili, divenuti proprietari o titolari di altri diritti reali, sono responsabili d’imposta; rispondono cioè in solido con i precedenti possessori dell’ILOR; b) le aziende di credito che rilascino fideiussione ai soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto che conseguono rimborsi d’imposta, rispondono insieme con il garantito, dell’obbligo di restituire al fisco le somme indebitamente rimborsate.
8. Il responsabile limitato ed i terzi.
Vi sono casi, nei quali risponde del debito d’imposta un soggetto diverso da colui che ne realizza il presupposto e ne risponde non con tutto il suo patrimonio, ma soltanto con un determinato bene; lo si è denominato perciò responsabile limitato.
A) in un primo gruppo di casi la posizione del terzo è un riflesso della disciplina dei privilegi speciali. Quando il credito d’imposta è garantito da privilegio speciale sui beni ai quali il tributo si riferisce, il privilegio importa il diritto di seguito; il bene continua ad essere gravato dal privilegio anche se viene trasferito a terzi; i terzi assumono così la veste di responsabile (limitatamente a quel bene che può essere espropriato per soddisfare il credito d’imposta). Secondo la giurisprudenza l’azione del fisco nei confronti del terzo può essere esercitata solo dopo che è stata infruttuosamente esperita l’azione esecutiva nei confronti dell’obbligato principale; la responsabilità del terzo quindi viene detta sussidiaria.
B) in un altro gruppo di ipotesi, la responsabilità del terzo è un riflesso di norme in materia di pignoramento; una prima ipotesi si ha in caso di cessione d’azienda; avviata l’esecuzione nei confronti di chi sia stato titolare di azienda, e l’abbia ceduta, l’esattore può sottoporre a pignoramento i beni mobili e le merci dell’azienda ceduta. Un’altra concerne i beni mobili rinvenuti nella casa di abitazione del contribuente; contro il pignoramento di tali beni non possono proporre opposizione di terzo il coniuge, i parenti e gli affini entro il terzo grado del contribuente e dei coobbligati. Infine, i frutti degli immobili del debitore, soggetti a privilegio, possono essere espropriati, nelle forme dell’espropriazione presso il debitore, anche se l’immobile è affittato (quindi anche se i frutti appartengono all’affittuario). In questo secondo gruppo di ipotesi, l’esecuzione si svolge sulla base dell’atto di imposizione e dell’iscrizione a ruolo del debitore d’imposta, il terzo, quindi, subisce l’esecuzione forzata per l’attuazione d’un debito altrui senza essere soggetto passivo del processo esecutivo.
9. Il sostituto a titolo d’imposta.
La figura del responsabile d’imposta è contraddistinta da ciò che l’obbligazione tributaria ricade, non solo su chi realizza il presupposto, ma anche solidalmente, su di un altro soggetto, detto appunto responsabile. Nella c.d. sostituzione invece il soggetto che realizza il presupposto non è soggetto passivo; soggetto passivo è un altro soggetto denominato sostituto (mentre sostituito è colui che pur realizzando il presupposto non è debitore). La ragione di questa deviazione rispetto al normale congegno della norma tributaria, che imputa l’obbligazione a chi realizza la fattispecie imponibile, non ad un terzo, sta in ciò, che questo terzo è debitore verso il sostituto di somme, la cui corresponsione realizza, presso il creditore, un fatto fiscalmente rilevante; si tratta nella quasi generalità dei casi, di redditi o di componenti reddituali; il coinvolgimento del terzo, nell’attuazione di un tributo, mediante imputazione ad esso di particolari doveri, è per il fisco notevole garanzia che non vi sarà evasione, essendo il terzo non interessato a violare la norma. Esso infatti è si obbligato in proprio verso il fisco, ma ha il diritto che è anche un dovere di trattenere dalla somma che corrisponde al reddituario, un importo pari a quello di cui è debitore verso il fisco. Il sostituto d’imposta è unico debitore, verso il fisco, dell’imposta dovuta sul presupposto che altri realizza ( il sostituito). Il rapporto tra fisco e sostituto è dunque un rapporto d’imposta; tra fisco e sostituito non v’è alcun rapporto a titolo d’imposta. Tra sostituto e sostituito v’è un rapporto privatistico v’è il rapporto di base che vede il sostituto in posizione debitrice verso il sostituito (es: debito di lavoro del datore di lavoro verso il dipendente). La norma tributaria influisce su questo rapporto, in quanto il sostituto estingue il suo debito verso il sostituito versandogli, non quanto dovuto secondo il rapporto che corre tra di essi, ma una minor somma; ciò è una conseguenza del diritto di rivalsa ossia del diritto del sostituto di operare una ritenuta sulle somme che corrisponde al sostituito ( es. di sostituzione a titolo d’imposta: le ritenute sui dividendi percepiti per le azioni di risparmio e sui dividendi spettanti alle persone residenti all’estero; le ritenute sulle vincite;).
10. Il sostituto a titolo d’acconto.
Va tenuta distinta dalla sostituzione d’imposta o sostituzione in senso proprio, la sostituzione a titolo di acconto o sostituzione impropria. L'analisi dei rapporti tra i 3 soggetti implicati nel fenomeno porta ai seguenti rilievi: a) il sostituto è obbligato verso il fisco non per l’obbligazione d’imposta vera e propria, commisurata al presupposto, ma per un versamento commisurato alle ritenute che viene fatto coincidere in certi casi (lavoro dipendente), con l’imposta che sarebbe dovuta su quei redditi se fossero gli unici del sostituito; b) tra sostituto e sostituito vi è un rapporto di rivalsa, ossia il sostituto, nel momento in cui corrisponde le somme soggette a ritenuta, ha diritto di trattenerne una quota; c) il sostituito, nei confronti del fisco, non ha alcun obbligo od obbligazione, ma per il fatto di subire la ritenuta acquista il diritto di dedurre, dall’imposta globalmente dovuta, l’importo delle ritenute subite. Tale diritto viene acquisito per il solo fatto di aver subito le ritenute, indipendentemente dal fatto che il sostituto adempia o no l’obbligo di versamento.
Se il sostituto opera la ritenuta, ma non versa, il sostituito acquista ugualmente una sorta di credito verso il fisco; questo rapporto sostituito-fisco è indipendente dal rapporto sostituto-fisco; se il fisco non riceve il versamento, esso può agire solo nei confronti del sostituto.
11. Il successore.
La successine ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche (trasmissibili) che facevano capo al defunto, implica anche il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura tributaria.
A) per le imposte sui redditi gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa. L’importanza della norma non sta nel fatto che sancisce la successione nelle obbligazioni, ma in quanto sancisce la solidarietà degli eredi. Gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti e pesi ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria. Gli eredi subentrano nella stessa posizione del dante causa anche per quel che riguarda gli obblighi formali e le situazioni procedimentali. Per le imposte sui redditi, la legge dispone che tutti i termini pendenti alla data della morte del dante causa o scadenti entro 4 mesi da essa sono prorogati di 6 mesi a favore degli eredi. Gli eredi devono comunicare all’ufficio delle imposte dell’ultimo domicilio fiscale del de cuius le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.
B) In materia di Iva è previsto che gli obblighi fiscali derivanti da operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi entro tre mesi dalla morte
C) Per quel che riguarda le altre imposte, non vi sono disposizioni specifiche, per cui si applicano i principi civilistici
D) Discusso è il problema se gli eredi subentrino al de cuius anche per quel che riguarda le sanzioni pecuniarie. La giurisprudenza è orientata in senso affermativo.
E) Se vi è processo pendente, questo non si interrompe, ma i termini pendenti sono prorogati di 6 mesi a decorrere dalla morte.
12. Il rappresentante fiscale.
Per le imposte sui redditi è previsto che le società e gli enti che non hanno la sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato, devono indicare (al fisco) le generalità e l’indirizzo in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari. Per l’Iva i non residenti che effettuino operazioni rilevanti ai fini del tributo nell’ambito del territorio dello Stato, possono nominare un rappresentante che provveda ad adempiere gli obblighi e ad esercitare i diritti derivanti dall’applicazione dell’imposta. Se non è nominato un rappresentante, i soggetti residenti che acquistino beni o servizi da non residenti debbono provvedere essi stessi agli adempimenti IVA (c.d. autofatturazione).

Parte terza
Dinamica dell’imposta
Capitolo ottavo
Profili generali
1. I modelli.
Abbiamo, sin qui, dato un immagine statica dell’imposta; ne abbiamo cioè descritto le fattispecie e gli effetti. Dobbiamo ora vederne la dinamica; dobbiamo cioè indagare in qual modo la norma astratta e generale, che racchiude fattispecie ed effetti dell’imposta, trova attuazione ed individuazione. Possono darsi nelle leggi d’imposta, più modelli di individuazione delle norme astratte e generali, ma tre sono gli schemi paradigmatici.
A) il modello più semplice è quello dei tributi c.d. immediati o senza imposizione. Al verificarsi della fattispecie, l’obbligato deve senz’altro versare una somma all’ente pubblico: non sono previsti adempimenti che s’inseriscono nel meccanismo genetico dell’obbligazione dell’imposta; l’obbligazione nasce direttamente dalla legge, al verificarsi del presupposto di fatto . Tosto che si verifichi la situazione base del tributo.. si determina subito l’obbligazione tributaria, che di solito viene spontaneamente adempiuta senza bisogno d’una qualsiasi manifestazione finanziaria. L’attività della finanza suole intervenire successivamente, a scopo di revisione, per controllare se l’obbligazione sia stata soddisfatta.
B) Ai tributi senza imposizione la dottrina affianca i tributi con imposizione; imposizione che può essere eventuale o necessaria. Nel modello dell’imposizione eventuale al soggetto passivo del tributo non si richiede soltanto il versamento di una somma di danaro, ma anche un’attività formale ( presentare una dichiarazione). L’omissione della dichiarazione, o la presentazione di una dichiarazione imperfetta implicano l’emissione di un atto amministrativo, che viene denominato avviso di accertamento; l’omissione del versamento provoca l’emissione da parte dell’ente pubblico, d’un fatto di riscossione coattiva.
C) Il terzo modello è quello dell’imposizione necessaria; la riscossione implica un atto dell’amministrazione, che determina l’imposta e ne rende dovuto il pagamento.
2. La potestà d’imposizione.
L’amministrazione finanziaria è dotata di potestà intesa a statuire sull’obbligazione tributaria; questa potestà o potere si esprime in provvedimenti. Esaminiamo alcuni caratteri di questo potere.
A) L’esercizio del potere impositivo non è libero ne discrezionale, ma vincolato. Ciò è un riflesso del principio di legalità (art. 23): la legge pone norme materiali che disciplinano compiutamente l’obbligazione d’imposta, per cui l’individualizzazione amministrativa della norma generale ed astratta avviene in presenza dei presupposti predeterminati dalla legge, senza esercizio di discrezionalità. Una certa discrezionalità può riconoscersi all’amministrazione nella selezione dei soggetti da sottoporre a controllo.
B) La particolare potestà cui ci riferiamo, è quella che ha per oggetto la sussistenza dell’obbligazione tributaria e che viene di solito denominato potestà di imposizione o potestà accertativa. Essa non è da confondere con il potere governativo di emanare norme astratte e generali, ne con i poteri che l’amministrazione esercita per riscuotere coattivamente i crediti d’imposta. E’ anch’essa un potestà normativa: attua la individualizzazione di norme generali ed astratte mediante la produzione di norme individuali e concrete.
3. Il procedimento d’imposizione.
L’attuazione dell’imposta da parte dell’amministrazione avviene con una serie di attività di varia natura coordinate all’emanazione di un atto conclusivo. Nel diritto amministrativo generale il procedimento ha trovato riconoscimento e disciplina nella l. 7/8/90 n° 241. Tale legge si applica anche ai procedimenti tributari con la sole eccezione del capo dedicato alla partecipazione (del cittadino al provvedimento). Il procedimento amministrativo in generale si articola in più fasi: le principali sono a) la fase iniziale, b) la fase istruttoria, c) la fase conclusiva. Il procedimento d’imposizione inizia sempre d’ufficio sia quando è mancata la dichiarazione, sia quando questa è presentata, e quindi l’azione dell’ufficio è rivolta a controllare e rettificare la dichiarazione. Inoltre, nel criterio tributario d’imposizione non abbiamo una serie prestabilita di atti da porre in essere prima dell’emanazione dell’atto finale. Ai procedimenti tributari non si applicano come si è detto le norme generali in tema di partecipazione del cittadino al procedimento. Solo in alcuni casi la legge obbliga l’ufficio ad interpellare il contribuente ad a consentirgli una qualche forma di difesa; è quindi rimesso alla discrezionalità dell’ufficio dar vita ad un contraddittorio nel corso del procedimento. Nella fase istruttoria , l’ufficio esperisce le indagini del caso per ricercare e verificare i fatti fiscalmente rilevanti con l’uso dei poteri d’indagine che la legge gli conferisce. Infine, si ha la fase conclusiva, ossia l’emanazione del provvedimento d’imposizione. Il procedimento può concludersi però anche senza emanazione di provvedimenti: ciò avviene quando l'ufficio constata che non vi sono i presupposti per la emanazione di provvedimenti.
4. Cinque problemi teorici.
a) problema della natura o struttura della norma tributaria
b) problema della natura della posizione soggettiva del singolo a fronte dell’imposizione
c) problema della natura giuridica dell’atto d’imposizione
d) problema degli effetti dell’atto di imposizione
e) problema della natura del giudizio tributario.
5. La teoria dichiarativa.
Il complesso di problemi teorici ora indicati sono risolti in dottrina secondo due orientamenti dei quali quello tradizionale è di tipo dichiarativo. Secondo tale orientamento le leggi tributarie fanno scaturire direttamente dal presupposto gli effetti obbligatori in cui si risolve il tributo. Di conseguenza, tutti gli atti posti in essere dal contribuente o dall’amministrazione finanziaria, non fanno parte del meccanismo costitutivo del rapporto d’imposta, ma sono rivolti a dargli esecuzione o ad accettarlo. Dal fatto che la legge tributaria descrive compiutamente il fatto cui si collega l’imposta, alcuni deducono che il potere impositivo dell’amministrazione ha natura di potere di mero accertamento, altri che non esiste alcun potere amministrativo in senso proprio (mero atto). Per la formulazione più nota della teoria dichiarativa, l’avviso di accertamento ( l’atto in cui si esprime il potere d’imposizione) è una manifestazione del potere d’impero. Esso non produrrebbe una situazione giuridica nuova, ma si limiterebbe a dichiarare ed accertare una situazione giuridica preesistente ( il rapporto d’imposta sorto ex lege). Inoltre per questi orientamenti dottrinali, il contribuente è titolare di un diritto soggettivo; di conseguenza il contribuente cui è notificato un atto di accertamento che non rispecchia esattamente la situazione di fatto o che non è conforme alla legge, agisce in giudizio a tutela del diritto soggettivo leso dall’atto amministrativo.
a) le norme tributarie sono norme materiali che danno vita direttamente al verificarsi del presupposto d’imposta di un rapporto complesso
b) il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione è titolare d’un diritto soggettivo
c) l’atto di imposizione è, per alcuni, un provvedimento amministrativo ( autoritativo ed imperativo); per altri, invece, è un mero atto
d) effetto dell’atto di imposizione è quello di accertare il rapporto già sorto ex lege; si ha dunque un effetto formale di accertamento, non una modificazione sostanziale
e) il processo ha il compito di reintegrare il diritto soggettivo leso dall’attività amministrativa, e di accertare il rapporto d’imposta sorto ex lege, disapplicando l’atto impositivo.
6. La teoria costitutiva.
Alla teoria dichiarativa si contrappone la teoria costitutiva. Essa muove dalla premessa che le norme tributarie non sono norme materiali, ma norme strumentali norme, cioè che hanno per oggetto dei poteri: nell’esercizio di questi poteri, l’amministrazione finanziaria emana atti di imposizione, i quali hanno l’effetto, non già di accertare una preesistente situazione giuridica, ma di costituire tale situazione. Situazione giuridica del contribuente, di fronte al potere e all’atto di imposizione, come posizione di interesse legittimo. Le dottrine costitutivistiche rispondono ai problemi sopraindicati nel modo seguente:
a) considerano le norme tributarie come norme strumentali attributive all’amministrazione finanziaria di un potere autoritativo
b) considerano il contribuente, nello stadio che precede l’imposizione, in posizione di interesse legittimo
c) risolvono il problema della natura dell’atto di imposizione considerandolo come un provvedimento autoritativo
d) assegnano a tale provvedimento ( definito atto di imposizione) effetti costitutivi del rapporto obbligatorio d’imposta
e) ritengono che il processo tributario abbia per destinazione ( e per oggetto) la verifica della legittimità degli atti di imposizione in funzione del loro annullamento.
7. Considerazioni critiche e ricostruttive.
Vanno ora sviluppati alcuni rilievi critici:
a) è una stabile conquista dell’elaborazione kelseniana l’assunto che da norme astratte generali, non scaturiscono, sul piano normativo, norme individuali e concrete, se non interviene un atto normativo ( con effetto) individuale e concreto. Ciò che da esistenza ad una norma è soltanto l’essere enunciata da un atto normativo, non la deducibilità logica della norma da norme preesistenti
b) la disputa se il contribuente, prima dell’imposizione, sia in posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, sembra priva di senso perché, prima dell’imposizione, il privato non è titolare di alcuna situazione giuridica soggettiva, ne di diritto soggettivo, ne di interesse legittimo.
Prima dell’imposizione, c’è soltanto la norma tributaria che determina se e quanto si deve pagare: ci sono norme indirizzate al fisco, circa il suo potere d’imposizione; la situazione di diritto soggettivo, o di interesse legittimo, del contribuente, quindi non è altro che un modo di vedere tali norme dal punto di vista del contribuente. Concludendo: prima dell’imposizione, non vi sono situazioni soggettive del privato, ma vi è soltanto la situazione soggettiva di potere attribuita all’amministrazione finanziaria. Non vi sono situazioni soggettive di diritto soggettivo del privato, perché un simile diritto soggettivo non è altro che il riflesso, dal punto di vista del privato, del dovere dell’amministrazione di esercitare il potere impositivo nei modi, nella misura, in presenza dei presupposti legislativamente previsti. Non vi sono situazioni soggettive di interesse legittimo, perché le varie definizioni di interesse legittimo, che descrivono la posizione del privato prima dell’imposizione, non denotano alcuna effettiva posizione giuridica del privato: esse connotano una futura situazione soggettiva del privato, legata all’eventualità che l’imposizione sia illegittima.
c) l’atto d’imposizione è un atto normativo, esercizio di una situazione soggettiva di potere, ed è un atto autoritativo. Esso ha effetti costitutivi, in quanto costituisce, una norma individuale e concreta, non esistente in precedenza. Esso non ha, quindi, effetti di accertamento di un preesistente effetto giuridico. Sul piano descrittivo, nulla ci impedisce di indicare il potere dell’amministrazione, che scaturisce dall’atto di imposizione, in termini di credito dell’amministrazione; nulla ci impedisce di denotare la posizione del privato, cui quel credito si rivolge, in termini di obbligazione, è nulla ci impedisce di sintetizzare il tutto in termini di rapporto giuridico, purché, però, risulti ben chiaro, sul piano della teoria generale, che non vi sono due situazioni giuridiche ( credito da un lato, obbligazione dall’altro), ma ve ne è una soltanto ( la seconda essendo soltanto il riflesso della prima).

Capitolo nono
Gli obblighi dei contribuenti
Sezione prima – gli obblighi contabili –
1. Considerazioni preliminari.
Dei tre modelli di attuazione delle leggi d’imposta, indicati in via astratta, quello accolto dal nostro ordinamento per la più parte dei tributi è il modello della imposizione eventuale. Le ragioni della scelta legislativa sono evidenti: la massa enorme di adempimenti richiesti da tali imposta non possono che essere affidate, innanzitutto agli stessi contribuenti, i quali devono adempiere una serie assai vasta di obblighi c.d. formali o strumentali.
2. La contabilità degli imprenditori ( norme civilistiche).
Le norme fiscali in materia di contabilità presuppongono e integrano le norme del codice civile ed i canoni della ragioneria.
A) Ai sensi dell’art. 2214 c.c., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e i libro degli inventari. Il libro giornale è una scrittura contabile che ripete il suo contenuto dal brogliaccio o prima nota. Nella prima nota i fatti di gestione sono rilevati in ordine cronologico; essa è il presupposto dal quale i fatti di gestione sono poi riportati nel libro giornale (ord. Cronologico) e nel mastro (ord. Sistematico). Nel libro giornale sono registrate, giorno per giorno, in articoli separati, le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Esso è dunque una scrittura la cui caratteristica principale è data dal fatto che i fatti di gestione sono annotati in ordine cronologico, giorno per giorno. Nel diritto tributario è previsto che le annotazioni siano compiute entro 60 gg.
B) Il c.c. non menziona il libro di mastro, ma l’obbligo di tenerlo deriva da ragioni sistematiche. Nei conti di mastro, i fatti di gestione sono rilevati in ordine sistematico, ossia in relazione all’oggetto della rilevazione. Nel libro mastro confluiscono i conti: ogni conto si compone di due sezioni , quella del dare e quella dell’avere.
C) La natura e la dimensione dell’impresa possono rendere necessarie altre scritture ( obbligatorie ausiliarie). La normativa del c.c. tiene in considerazione, principalmente, le imprese industriali e mercantili.
D) Il libro giornale ripete il suo contenuto dalla prima nota; a sua volta gli inventari derivano dal libro giornale e dai conti di mastro. Nel libro degli inventari sono riportati annualmente i bilanci, ossia lo S.P. ed il C.E.. Il bilancio d’esercizio delle società deve essere accompagnato dalla relazione del consiglio di amministrazione e da quella dei sindaci.
3. La contabilità fiscale ordinaria.
All’interno della categoria (fiscale) degli imprenditori commerciali, bisogna distinguere gli imprenditori soggetti al regime della contabilità ordinaria e gli imprenditori (imprese minori) il cui regime di contabilità è semplificato. Sono soggetti al regime della contabilità ordinaria i seguenti soggetti:1) le società e gli enti commerciali soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche; 2) gli imprenditori individuali e le società di persone con ricavi superiori a 360 ml. annui; 3) gli imprenditori minori che optano per il regime di contabilità ordinaria.
A) ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i soggetti passivi debbono emettere fattura per ogni operazione fiscalmente rilevante. Le fatture devono essere annotate, entro 15 gg. dalla loro emissione, secondo l’ordine della loro numerazione, nel registro delle fatture. I commercianti al minuto, non obbligati ad emettere le fatture, devono tenere ( in luogo del registro delle fatture), il registro dei corrispettivi. Soggetti passivi dell’imposta sul valore aggiunto devono numerare in ordine progressivo le fatture e le bollette doganali relative ai beni e servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, ed annotarla in apposito registro (reg. degli acquisti) entro il mese successivo a quello in cui le hanno ricevute.
B) Agli effetti delle imposizioni sui redditi, gli imprenditori commerciali devono tenere le seguenti scritture contabili: 1) i libro giornale e il libro degli inventari; 2) i registri prescritti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto; 3) le scritture ausiliarie in cui registrare gli elementi patrimoniali e reddituali che concorrono alla formazione del reddito; 4) le scritture ausiliarie di magazzino; 5) il registro dei beni ammortizzabili; 6) il registro riepilogativo di magazzino; 7) il registro della lettura dei codici. Le scritture di magazzino devono essere tenute soltanto dalle imprese che abbiano superato i limiti di 2 mld. di ricavi e di 500 ml. di rimanenze. Tali scritture indicano le quantità, non il valore, dei beni da valutare con il criterio delle rimanenze (così detti beni merce). Il libro dei cespiti ammortizzabili registra i beni per i quali è ammesso l’ammortamento: in esso sono annotati i costi di acquisto, gli ammortamenti, eventuali rivalutazioni, le cessioni ed altri eventi che comportano l’eliminazione del bene dal processo produttivo. Le irregolarità contabili sono punite con sanzioni amministrative e penali e legittimano l’ufficio ad accertare il reddito in via induttiva.
C) La tenuta della contabilità con sistemi meccanografici è considerata regolare se il contribuente è in grado di procedere alla stampa non appena richiesto dagli organi verificatori.
4. Le imprese minori e la contabilità semplificata.
Alla regole della contabilità ordinaria non sono soggetti tutti gli imprenditori perché, per le imprese minori, è previsto un regime semplificato di contabilità. Va messo in rilievo, da un lato, che la nozione di impresa minore ai fini tributari non coincide con la nozione civilistica di piccolo imprenditore e, dall’altro, che lo statuto fiscale dell’impresa minore ha rilievo, non soltanto ai fini degli obblighi contabili, ma anche ad altri fini. La nozione fiscale di impresa minore è legata alle dimensioni del fatturato; sono imprese minori le imprese individuali e società di persone il cui fatturato non supera una determinata soglia (360 ml. per periodo d’imposta). La contabilità fiscale semplificata è composta, essenzialmente, dai registri IVA, cioè da registri dove sono annotati acquisti e vendite. Le imprese minori non sono obbligate a tenere, le scritture contabili di cui consta la contabilità ordinaria (giornale, inventari, scritture ausiliarie) e la dichiarazione dei redditi sarà elaborata sulla base dei dati desunti dai registri IVA. Data la sua rudimentalità la contabilità semplificata è poco attendibile quindi il controllo del fisco nei confronti delle imprese minori, è fondato, non sulla contabilità, ma su standards medi di redditività di coefficienti presuntivi.
5. La contabilità dei lavoratori autonomi.
Anche i lavoratori autonomi sono gravati da obblighi contabili ed anche tra i lavoratori autonomi dobbiamo distinguere quelli in contabilità ordinaria dai minori. I lavoratori autonomi che percepiscono compensi superiori ad un dato ammontare, sono soggetti al regime di contabilità ordinaria, tale regime comporta: 1) la tenuta dei registri degli incassi e dei pagamenti; nel primo registro devono essere indicate le somme percepite; 2) le indicazioni degli incassi e delle spese devono essere integrate dall’annotazione delle movimentazioni finanziarie inerenti all’esercizio dell’arte o della professione, collegate alle movimentazioni di un apposito c/c bancario, utilizzato soltanto per i movimenti finanziari relativi all’attività di lavoro autonomo, e i movimenti di tale conto devono essere annotati nei registri; 3) la tenuta dei registri obbligatori ai fini dell’imposta sul valore aggiunto; 4) la tenuta del registro dei beni ammortizzabili; 5) la tenuta del registro dei compensi a terzi, cioè a lavoratori non dipendenti, che collaborano in veste di lavoratori autonomi.
I lavoratori autonomi che realizzano entrate inferiori ad una certa soglia sono anch’essi soggetti ad obblighi contabili semplificati. Essi possono optare tra contabilità ordinaria o semplificata. I contribuenti in regime di contabilità semplificata possono limitarsi a tenere un unico registro per gli incassi e i pagamenti, valido sia ai fini IVA che ai fini delle imposte dirette. Non sono obbligati ad istituire il conto bancario utilizzato solo per la professione. Non devono tenere il libro dei cespiti ammortizzabili e dei compensi a terzi. Anche per loro come per le imprese minori, vi sono coefficienti presuntivi per il controllo delle dichiarazioni.
6. Fatture, ricevute, bolle, scontrini.
Va ricordato che i contribuenti sono obbligati ad emettere taluni particolari documenti:
a) i soggetti passivi dell’IVA devono emettere fattura per le operazioni comunque rilevanti ai fini di tale tributo
b) i soggetti passivi dell’IVA che effettuino operazioni al dettaglio, possono emettere in luogo della fattura una ricevuta fiscale
c) alcuni soggetti passivi dell’IVA, che effettuano operazioni al dettaglio devono tenere un registratore di cassa e rilasciare lo scontrino fiscale
d) per i beni viaggianti, deve essere emessa una bolla di accompagnamento
7. La contabilità dei sostituti.
Le scritture contabili che devono tenere i sostituti sono: i libri paga; i libri matricola; le schede dei compensi a terzi. Nelle prime due scritture sono annotate le somme corrisposte ai dipendenti, con le ritenute effettuate, mentre la terza concerne le somme erogate ad altri soggetti da sottoporre a ritenuta. Come vedremo, i dipendenti possono omettere la presentazione al fisco della dichiarazione dei redditi presentando al sostituto una speciale dichiarazione nella quale sono indicati gli altri redditi posseduti e gli oneri deducibili.
8. I centri autorizzati di assistenza fiscale.
La tenuta della contabilità può essere affidata ai centri autorizzati di assistenza fiscale. Si tratta di enti privati, aventi forma di S.p.A. e costituiti previa autorizzazione del Ministero delle finanze. Essi possono: tenere e conservare le scritture contabili controllando la regolarità formale della documentazione contabile prodotta dagli utenti; predisporre le dichiarazioni annuali e i relativi allegati cui sono tenuti i titolari di reddito di imprese e di redditi dei terreni; apporre il visto di conformità formale; inoltrare le dichiarazioni dei redditi da essi predisposte e le relative registrazioni su floppy disk. Le attività dei centri possono essere svolte anche da professionisti abilitati (dottori commercialisti, ragionieri) i quali possono anche apporre sulle dichiarazioni d essi predisposte il visto di conformità.

Capitolo nono
Sezione seconda – gli obblighi di dichiarazione –
9. La dichiarazione dei redditi.
A) La regola generale, in materia di soggetti obbligati, è che ogni persona fisica che nel periodo d’imposta di riferimento abbia posseduto redditi, è obbligata a presentare la dichiarazione anche se da tali redditi non consegue alcun debito d’imposta; inoltre i soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili ( imprenditori e lavoratori autonomi) devono presentare annualmente la dichiarazione anche se non hanno prodotto redditi.
B) La principale ipotesi di esonero dall’obbligo di dichiarazione riguarda i lavoratori dipendenti. Essi sono esonerati dall’obbligo di dichiarazione se hanno percepito redditi da un solo datore di lavoro e non hanno altri redditi da dichiarare. Se hanno altri redditi da dichiarare, o oneri deducibili da far valere possono presentare una speciale dichiarazione al sostituto d’imposta, il quale a sua volta riprenderà tali dati nella propria dichiarazione. Sono inoltre esonerati dall’obbligo di dichiarazione i soggetti che possiedono soltanto redditi esenti o redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
C) La dichiarazione dei redditi è un atto il cui contenuto è molto vario e complesso. La indicazione dei redditi è comunque il contenuto tipico e caratteristico di tale atto. Nella dichiarazione devono essere indicati gli elementi attivi e passivi rilevanti per l’applicazione delle imposta sui redditi; è questo il contenuto necessario dell’atto. La dichiarazione si compone di vari quadri, corrispondente ciascuno ad una categoria reddituale. Vi sono poi dei quadri riassuntivi nei quali devono essere indicati il reddito complessivo, gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le detrazioni d’imposta, l’imposta netta, le ritenute e i versamenti d’acconto, i crediti d’imposta ed infine il saldo finale (somma da versare o credito)
D) Se il contenuto tipico e caratteristico della dichiarazione dei redditi è la indicazione di elementi reddituali la legge impone anche la dichiarazione di altri dati ed elementi. Ecco l’elenco: 1) aeromobili da turismo, navi, imbarcazioni da riporto, altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 centimetri e roulotte per cavalli da equitazione e da corsa; 2) residenze principali e secondarie; 3) collaboratori familiari e altri lavoratori addetti alla casa e alla famiglia; 4) riserve di caccia e di pesca; 5) assicurazioni; 6) utenze telefoniche. Il Ministro delle finanze può con suo decreto modificare e integrare tali dati o escludere l’obbligo di indicare dati e notizie che l’amm. è in grado di acquisire direttamente.
E) Vi sono diverse voci della dichiarazione che il contribuente deve essere in grado di comprovare documentalmente. Il contribuente non deve allegare i documenti, ma è obbligato a conservarli e, se richiesto, a esibirli all’ufficio delle entrate che voglia controllarli.
F) La dichiarazione può essere presentata in due luoghi: o presso il comune di domicilio fiscale, o all’amministrazione finanziaria. La dichiarazione deve essere redatta su stampati conformi ai modelli approvati con decreto ministeriale; le persone fisiche ne devono presentare anche una copia per il comune di domicilio fiscale. Dal punto di vista dei termini le legge pone termini iniziali e finali. La dichiarazione delle persone fisiche deve essere presentata entro il 1° maggio e il 30 giugno; le società devono presentarla entro un mese dall’approvazione del bilancio; i sostituti tra il 1° e il 30 aprile. Le dichiarazioni presentate entro un mese dalla scadenza sono valide ma il dichiarante è punito con una pena pecuniaria. Invece le dichiarazioni presentate con ritardo superiore al mese si considerano omesse a tutti gli effetti, ma sono titolo per la riscossione degli imponibili in esse dichiarate
G) Presentare la dichiarazione è di regola, un obbligo dei soggetti passivi delle imposte sul reddito; ma non tutti i contenuti della dichiarazione sono oggetto di un obbligo. Vi sono dati che è obbligatorio indicare, dati che è facoltativo indicare. E’ obbligatorio indicare ciò che risponde all’interesse del fisco ed è facoltativo indicare gli elementi che hanno rilievo a favore del contribuente.
H) Gli obblighi relativi alla dichiarazione sono presidiati da sanzioni amministrative e penali. Ai fini delle sanzioni amministrative la dichiarazione può essere omessa, nulla, incompleta e infedele. Si parla di omissione non solo quando la dichiarazione non è stata presentata affatto, ma anche quando è stata presentata oltre un mese dalla scadenza. La legge qualifica come nulla la dichiarazione non redatta su stampati conformi al modello ministeriale e quella non sottoscritta. Si parla di dichiarazione infedele quando un reddito netto non è indicato nel suo esatto ammontare, e di dichiarazione incompleta quando è completamente omessa l’indicazione di una fonte reddituale; l’infedeltà è punita con pena pecuniaria da una a due volte l’imposta non dichiarata; l’incompletezza e l’omissione sono punite con pena pecuniaria da due a quattro volte.
10. Fattispecie particolari.
Passiamo ora ad esaminare alcune fattispecie particolari.
A) La dichiarazione delle società semplici, delle altre società di persone e degli enti equiparati, vale sia agli effetti dell’ILOR, sia agli effetti dell’imposta sui redditi dovuta dal socio.
B) Per le persone fisiche legalmente incapaci (minori non emancipati, interdetti), l’obbligo della dichiarazione è imposto al rappresentante legale; abbiamo in questo caso, dissociazione tra titolarità del reddito e obbligo di dichiarazione, perché il rappresentante legale è obbligato alla dichiarazione ma non è soggetto passivo del tributo.
C) In caso di liquidazione di società o enti soggetto all’IRPEG, o di società di persone ed enti equiparati, il periodo d’imposta in corso al momento della messa in liquidazione si interrompe; l’obbligo di dichiarare redditi relativi a tale particolare periodo spetta al liquidatore, che deve presentare la dichiarazione entro 4 mesi dalla messa in liquidazione.
D) In caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, curatore e commissario liquidatore devono presentare due dichiarazioni: una relativa al periodo intercorrente tra l’inizio del periodo d’imposta in corso alla data del fallimento o della liquidazione e l’inizio del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa; una successiva alla chiusura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa.
E) In caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali e viceversa, si ha interruzione del periodo d’imposta e quindi l’obbligo di presentazione della dichiarazione entro 4 mesi dalla trasformazione. Analogo obbligo si ha in caso di incorporazione o di fusione.
F) Gli eredi di un soggetto obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi succedono al de cuius nel relativo obbligo: si ha però a favore degli eredi, una proroga del termine per la presentazione della dichiarazione stessa.
G) Nel caso di impresa familiare la dichiarazione dell’imprenditore deve recare l’indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa nel periodo d’imposta.
11. Natura giuridica della dichiarazione dei redditi.
Il contribuente non deve soltanto enunciare una serie di fatti, dati e notizie, ma deve anche qualificarli giuridicamente; ad esempio, non basta indicare di aver conseguito un dato reddito, ma occorre anche inserirlo nel quadro appropriato. Gli effetti giuridici che derivano dalla dichiarazione non sono comunque, effetti voluti dal dichiarante; la dichiarazione, perciò, non è un atto negoziale, ma un mero atto. In passato la dichiarazione dei redditi era assimilata ad una confessione, e quindi si riteneva applicabile ad essa l’art. 2732 del c.c. secondo cui la confessione non può essere revocata se non si prova che è stata determinata da un errore di fatto o da violenza. Oggi tale impostazione deve considerarsi superata, si ammette infatti la rettificabilità dei dati dichiarati.
12. Effetti della dichiarazione dei redditi.
A) La dichiarazione è innanzitutto ,un atto che assume rilievo nelle attività amministrative rivolte al controllo degli adempimenti cui sono tenuti i contribuenti e all’emissione di avvisi di accertamento. La dichiarazione ha , insomma, rilevanza procedimentale. Essa condiziona l’attività di controllo dell’amministrazione, i metodi di rettifica del reddito dichiarato, il tipo di avviso di accertamento. Nel quadro del rilievo procedimentale della dichiarazione, ne va considerato anche il rilievo probatorio. Tutto ciò che non emerge dalla dichiarazione deve essere motivato e provato dall’amministrazione.
B) Rispetto all’obbligazione tributaria, la dichiarazione è da considerare diversamente a seconda che si segua la teoria costitutiva o quella dichiarativa. Secondo la teoria costitutiva, la dichiarazione è elemento della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, mentre, secondo la teoria dichiarativa, la fattispecie costitutiva dell’obbligazione è integrata ( soltanto) dal presupposto, e quindi la dichiarazione è estranea al congegno che genera l’obbligazione.
C) La dichiarazione è titolo per la riscossione delle somme in essa indicate come somme da versare.
D) Ove dal saldo finale della dichiarazione risulti un credito del dichiarante, la dichiarazione è titolo che obbliga l’amministrazione a provvedere al rimborso; la dichiarazione, quindi, è , alternativamente, titolo di riscossione o titolo di rimborso.
13. Rettificabilità della dichiarazione dei redditi.
Può accadere che la dichiarazione sia errata, a danno del fisco o a danno del contribuente. La dichiarazione, una volta presentata è acquisita in modo definitivo dal fisco. Scaduto il termine la dichiarazione presentata non è sostituibile ma ne è possibile entro certi limiti la rettifica.
A) La legge disciplina espressamente la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa la cui funzione è quella di porre rimedio ad infedeltà o incompletezze della dichiarazione originaria. Ciò può essere fatto al più tardi entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo. Uno dei vantaggi derivanti da questo ravvedimento operoso attiene alle sanzioni; per effetto della dichiarazione integrativa, non si applicano le pene pecuniarie previste per la incompletezza e infedeltà della dichiarazione originaria, ma si applica una soprattassa, graduata in ragione del momento in cui viene presentata la nuova dichiarazione.
B) La legge non disciplina espressamente il caso in cui il dichiarante abbia errato a suo danno ( es: abbia dichiarato redditi inesistenti). Qui, se in conseguenza di tale errore, il contribuente ha quantificato e versato una somma maggiore di quella dovuta, il rimedio è dato, non dalla presentazione di una nuova dichiarazione, ma dall’istanza di rimborso. Gli errori della dichiarazione possono essere fatti valere mediante ricorso contro il ruolo. Sulla base della dichiarazione, se non sono state versate le somme dovute in base alla stessa dichiarazione, l’amministrazione può procedere ad iscrizione a ruolo; in sede di ricorso contro il ruolo, possono essere fatti valere gli errori commessi in sede di dichiarazione. Errori rettificabili sono soltanto quelli che attengono alle dichiarazioni di scienza; le opzioni non sono rettificabili.
14. Le dichiarazioni dei sostituti.
Anche i sostituti d’imposta sono gravati da obblighi di dichiarazione. Vanno distinti due tipi di obblighi.
A) I sostituti d’imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla quale risultino le somme ed i valori corrisposti e le ritenute effettuate; nel caso di ritenute d’acconto, debbono essere indicate le generalità dei percipienti, mentre tale indicazione non è richiesta per le ritenute a titolo d’imposta.
B) Un secondo ordine di obblighi concerne i sostituti che corrispondono redditi di lavoro dipendente. Coloro che possiedono redditi di lavoro dipendente possono non presentare la dichiarazione dei redditi al fisco, ma presentare al sostituto, una speciale dichiarazione nella quale devono indicare gli altri redditi posseduti, gli oneri deducibili e gli altri elementi necessari per la determinazione dell’imponibile e la liquidazione dell’imposta. Il sostituto d’imposta ha l’obbligo di ricevere le dichiarazioni ( e di controllarne la regolarità formale); esso deve, inoltre, liquidare le imposte ed effettuare i conguagli in relazione alle ritenute effettuate ed ai versamenti d’acconto. Il sostituto deve, infine, presentare la propria dichiarazione, indicando in essa anche gli elementi risultanti dalle dichiarazioni che gli sono state rese dai sostituti.
15. Le dichiarazioni di imposte indirette.
A) Nel procedimento applicativo dell’imposta di registro, la dichiarazione occupa un’importanza ridotta, poiché gli elementi da portare a conoscenza del fisco sono generalmente racchiusi nello stesso atto da registrare: la dichiarazione, quindi, non è un atto autonomo e dotato di autonoma rilevanza giuridica, ma è piuttosto un dato soltanto logico ed implicato nell’atto da registrare. Lo sviluppo del procedimento applicativo dell’imposta di registro è il seguente: sulla base dei soli elementi risultanti dall’atto da registrare e comunque denunciati dalle parti, il fisco liquida l’imposta c.d. principale, che va assolta senza indugio; successivamente potrà aversi un’imposta supplementare ( per rimediare ad eventuali errori commessi nella liquidazione dell’imposta principale) o un’imposta supplementare ( in ogni caso in cui l’imposta principale non esaurisca la tassazione).
B) Per l’imposta sulle successioni abbiamo una disciplina piuttosto articolata. La dichiarazione deve essere presentata dai chiamati all’eredità e legatari. La dichiarazione deve essere redatta in conformità al modello approvato dal Ministro delle finanze e deve indicare, tra l’altro, le generalità del defunto e degli eredi e legatari, i beni compresi nell’asse ereditario, con il loro valore; gli atti compiuti dal defunto negli ultimi 6 mesi, con i corrispettivi relativi; le passività con l’indicazione delle prove. Alla dichiarazione devono essere allegati vari documenti tra cui: certificato di morte e stato di famiglia del defunto. Il termine per la presentazione della dichiarazione è di 6 mesi dall’apertura della successione.
C) Per l’imposta sull’incremento di valore degli immobili bisogna distinguere l’imposta dovuta in caso di alienazione, dall’imposta dovuta per decorso del possesso decennale. Nel primo caso, occorre presentare una dichiarazione indicante valore iniziale, valore finale e spese incrementative. Nel caso di possesso decennale, va presentata apposita dichiarazione entro il 31/1 o il 31/7 successivo al semestre in cui si è compiuto il decennio.
D) Per l’imposta sul valore aggiunto, vi è obbligo di presentare una dichiarazione tra il 1/2 e il 15/3 di ciascun anno, indicando in essa: l’ammontare delle operazioni imponibili e delle relative imposte; l’ammontare degli acquisti e delle importazioni, con le relative imposte, l’ammontare delle somme versate, ed il saldo finale. La dichiarazione deve essere presentata da tutti i soggetti passivi IVA, anche se, nell’anno, non sono state compiute operazioni imponibili.

Capitolo decimo
L’istruttoria
1. L’istruttoria ai fini delle imposte sui redditi e Iva.
Passiamo ora ad esaminare l’attività dell’amministrazione, volta al controllo degli adempimenti dei contribuenti, e quindi, all’eventuale emanazione di un atto di imposizione (c.d. avviso di accertamento) o di riscossione ( avviso di liquidazione, iscrizione a ruolo). Mentre l’emanazione dell’avviso di accertamento è una prerogativa esclusiva degli uffici, l’attività investigativa è svolta anche da altri organi (g.d.f., secit). In materia di imposte dirette ed Iva, il controllo non è generale; non ha cioè per oggetto la generalità delle dichiarazioni e dei contribuenti, ma si rivolge nei confronti di soggetti selezionati secondo particolari criteri. Il Ministro delle finanze programma annualmente l’attività istruttoria degli uffici, emanando decreti, nei quali sono stabiliti i criteri selettivi in base ai quali deve essere operata la scelta dei contribuenti da controllare.
2. La partecipazione del privato.
La partecipazione del contribuente all’attività di controllo è assai ridotta; l’ufficio non è obbligato ad avvertirlo dell’indagine avviata nei suoi confronti, ne vi è un generale riconoscimento legislativo del diritto del privato a partecipare al procedimento ed a difendersi, prima che sia emesso a suo carico un fatto impositivo. Non è infatti previsto in modo sistematico e vincolante un contraddittorio tra uffici e contribuenti. In generale è una facoltà non un obbligo dell’ufficio, interpellare il contribuente nello svolgimento delle indagini e consentirgli di difendersi prima dell’emanazione di atti di accertamento a suo carico; solo in alcuni casi, la partecipazione del privato è obbligatoria. Il coinvolgimento del contribuente è invece obbligatorio, ad esempio, quando l’ufficio intenda emettere un accertamento sulla base dei coefficienti presuntivi, o quando si procede ad accessi, ispezioni o verifiche.
3. Controllo formale della dichiarazione.
Il primo dei controlli cui è sottoposta la dichiarazione è di tipo formale, e si inserisce, non nel processo di imposizione, ma in quelli rivolti alla riscossione a ai rimborsi.
A) La dichiarazione dei redditi è infatti sottoposta ad un controllo formale effettuato dai Centri di servizio; tali centri hanno compiti limitati, finalizzati alla liquidazione dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione, ovvero all’effettuazione dei rimborsi. In sede di controllo formale essi: correggono gli errori materiali e di calcolo; escludono le ritenute non comprovate dai certificati dei sostituti d’imposta; escludono le detrazioni d’imposta non previste dalla legge; escludono le deduzioni dal reddito complessivo delle persone fisiche di oneri non previsti dalla legge o non comprovati da documenti idonei; controllano i crediti d’imposta e i versamenti. L’esito di tale controllo può comportare la riliquidazione dell’imposta dovuta; la maggiore imposta sarà riscossa mediante iscrizione a ruolo. Poiché le rettifiche effettuate in sede di controllo formale danno luogo ad una iscrizione a ruolo diretta ( e non all’emanazione di un avviso di accertamento), le ipotesi di rettifiche qui considerate sono tassative; ogni altra rettifica della dichiarazione deve essere effettuata con avviso di accertamento.
B) Nell’imposta sulle successioni, di registro, e nell’INVIM, la dichiarazione del contribuente costituisce il dato istruttorio sulla cui base l’ufficio opera la liquidazione dell’imposta principale. La liquidazione dell’imposta viene comunicata al contribuente oralmente o con apposito avviso ( avv. di liquidazione). Nella disciplina dell’imposta sulle successioni, vi è una norma che regola il controllo formale delle denunce di successione simile alla norma in materia di imposte dirette. Nella denuncia di successione, deve essere indicata la base imponibile, non l’imposta; correlativamente, il controllo formale si esercita sulla determinazione della base imponibile fatta dal dichiarante. Gli uffici preposti ad amministrare tale imposta possono: correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile; escludere le passività non deducibili o non documentate; disconoscere le riduzioni o detrazioni non previste dalla legge o non documentate. L’imposta dovuta in base a questo controllo, ed a queste rettifiche, è richiesta al contribuente mediante avviso di liquidazione; ogni altra rettifica della dichiarazione deve essere effettuata con avviso di accertamento.
4. Accessi, ispezioni e verifiche.
Il controllo sostanziale è affidato agli uffici delle imposta ad alla g.d.f.; per lo svolgimento di tali indagini, uno degli strumenti più efficaci è l’effettuazione di accessi, ispezioni e verifiche.
A) Per quel che riguarda l’accesso, gli impiegati dell’amministrazione finanziaria che eseguono l’accesso devono essere muniti, in ogni caso, di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. In alcuni casi è richiesta anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Per l’accesso nei locali adibiti ad attività commerciali e per l’accesso in locali adibiti ad attività di lavoro autonomo è sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio. Però, nel caso di accesso nei locali destinati all’esercizio di arti e professioni, è richiesta la presenza del titolare dello studio (o di un suo delegato). Nel caso di accessi in studi professionali, vi è da contemperare la tutela dell’interesse fiscale con quella del segreto professionale. Per l’esame di documenti e la richiesta di notizie cui venga eccepito il segreto professionale si esige l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Per l’accesso nelle abitazioni, si richiede (oltre all’autorizzazione del capo dell’ufficio) anche l’autorizzazione del P. Della Rep., che può essere concessa soltanto in presenza di gravi indizi di violazioni della norme fiscali, ed allo scopo di reperire libri, registri, documenti ed altre prove delle violazioni. La norma contempera due esigenze: da un lato la tutela del domicilio, dall'altro la tutela degli interessi fiscali. Art. 14: il domicilio è inviolabile. E’ quindi in ossequio ad una esigenza costituzionalmente prevista che l’accesso nelle abitazioni per motivi fiscali è consentito solo in presenza di due presupposti, uno sostanziale ( gravi indizi di violazioni) ed una formale ( autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria). L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica è necessaria anche per procedere a perquisizioni personali e all’apertura di plichi, casseforti, ecc.
B) L’ispezione documentale ha per oggetto i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatori.
C) Le verificazioni infine, sono i controlli sugli impianti, sul personale dipendente, sull’impiego di materie prime ed altri acquisti.
D) Di ogni accesso deve essere redatto un processo verbale da cui risultino le ispezioni e rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente, e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente, che ha diritto di averne copia. Viene redatto, inoltre, un processo verbale di constatazione, che sintetizza i dati rilevati. Nel processo verbale di constatazione sono anche quantificate le sanzioni pecuniarie irrogabili, al fine di consentire al contribuente la c.d. definizione in via breve.
5. Indagini bancarie.
A) Gli uffici delle imposte e la G.d.f. hanno il potere di richiedere alla aziende ed istituti di credito copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti e connessi a tali conti. Dal punto di vista procedurale, vi è da notare che gli uffici delle imposte e la G.d.f., prima di svolgere indagini bancarie, debbono essere autorizzati, rispettivamente dall’ispettore compartimentale delle imposte dirette e dal comandante di zona; e che l’azienda di credito deve dare immediatamente notizia al contribuente delle richieste ricevute. Acquisiti i dati bancari, l’ufficio può chiedere dati e notizie al contribuente, invitandolo a comparire di persona o inviandogli questionari. Il motivo di questa ulteriore fase istruttoria è in ciò che, se i dati rilevati dai conti non trovano riscontro nella contabilità, operano delle presunzioni legali relative di evasione. Più esattamente, se vi sono incassi non registrati, si presume che ad essi corrispondano ricavi non registrati; quando vi sono prelevamenti non registrati, si presume che ai prelevamenti corrispondano costi non registrati, e che a tali costi corrispondano ricavi ugualmente non registrati; il contribuente può vincere tali presunzioni offrendo la prova contraria, ed indicando il beneficiario dei prelevamenti.
B) La G.d.f. che scopra, in sede di indagini preliminari, documenti, dati e notizie relativi alle situazioni e movimentazioni bancarie, può trasmettere tali dati agli uffici delle imposte, ma occorre un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto delle indagini penali.
6. Inviti e richieste.
Meno penetranti e perciò non subordinati a particolari presupposti, sono altri poteri di cui il fisco dispone, sia nei confronti del soggetto controllato, sia nei confronti di terzi. Esaminiamo, tali poteri, distinguendo tra quelli che riguardano il contribuente e quelli che riguardano i terzi.
A) L’ufficio può innanzitutto, invitare i contribuenti a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti. In secondo luogo l’ufficio può invitare il contribuente ad esibire o trasmettere atti e documenti. In terzo luogo, l’ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti.
B) Per quanto riguarda i terzi, bisogna ulteriormente distinguere i terzi che hanno veste pubblica, dai terzi che sono soggetti di diritto privato. L’ufficio può richiedere agli organi e alle amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società di assicurazioni, agli enti che effettuano pagamenti e riscossioni per conto terzi o che svolgono attività di intermediazione e gestione finanziaria, la comunicazione di dati e notizie relativi a determinati soggetti o categorie di soggetti. Inoltre, l’ufficio può richiedere ai notai, ai procuratori del registro, ai conservatori dei registri immobiliari e ad ogni altro pubblico ufficio copia di atti depositati presso di essi. Per quanto riguarda gli altri terzi, il fisco può chiedere ai soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili dati e documenti relativi ad attività svolte nei confronti di clienti, fornitori e prestatori di lavoro autonomo.
7. Anagrafe tributaria e codice fiscale.
Un potente ausilio può essere fornito agli uffici da i sistemi informatici; a tale scopo esiste l’anagrafe tributaria, che è una struttura che raccoglie ed ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fatti fiscali. Ogni cittadino od ente deve essere iscritto all’anagrafe, ed avere un numero di codice fiscale, la cui indicazione è obbligatoria in una vasta serie di atti destinati ad essere memorizzati presso l’anagrafe.
8. Collaborazione dei comuni.
Per l’accertamento dei redditi delle persone fisiche e per l’accertamento dell’INVIM, gli uffici fiscali sono coadiuvati, nella loro attività istruttoria, dai comuni. Per l’IRPEF, la collaborazione dei comuni si esplica in due modi e fenomeni diversi.
A) La prima forma di collaborazione si concreta nella segnalazione all’ufficio, da parte del comune, di dati, fatti, ed elementi idonei ad integrare la dichiarazione dei redditi; a tal fine una copia delle dichiarazioni deve essere inviata ai comuni.
B) Altra forma di collaborazione si ha quando l’ufficio sta per emettere un accertamento. Stabilisce la legge che gli uffici devono trasmettere ai comuni, entro il 1° luglio dell’anno in cui scade il termine per l’accertamento, le proposte di accertamento. Il comune, dal canto suo, può proporre l’aumento degli imponibili (entro 90 gg. da quando ha ricevuto la proposta dall’ufficio). Decorso il termine di 90 gg., l’ufficio provvede alla notificazione degli accertamenti per i quali non siano intervenute proposte da parte dei comuni o accogli le proposte di aumento. Le proposte di aumento non condivise dall’ufficio devono essere trasmesse alla Commissione per l’esame delle proposte del comune, operante presso ciascun ufficio delle imposte, la quale determina gli imponibili da accertare. Se la commissione non delibera entro 45 gg. dalla trasmissione della proposta, l’ufficio provvede all’accertamento dell’imposta nella misura da esso determinata. La commissione è presieduta dal capo dell’ufficio delle imposte ed è composta per metà da impiegati dell’ufficio, e per l’altra metà da persone designate dal consiglio comunale di ciascuno dei comuni compresi nel distretto. Va rilevato che la partecipazione del comune all’accertamento è suscettibile di due distinti inquadramenti teorici: per un primo indirizzo, che valorizza al massimo tale partecipazione, il comune partecipa al procedimento di formazione dell’atto; perciò mancando la partecipazione, l’avviso di accertamento è privo di un requisito strutturale ed è invalido; per l’altro indirizzo, che è quello qui seguito, la partecipazione del comune ha valore soltanto istruttorio; donde la irrilevanza, ai fini della completezza strutturale dell’atto, della mancanza o del vizio di tale partecipazione. IN ogni caso, è da negare che la viziata o mancata partecipazione del comune possa comportare l’annullamento dell’avviso di accertamento.
9. I poteri istruttori dell’ufficio del registro.
A) Per l’applicazione dell’imposta di registro i poteri istruttori dell’ufficio sono piuttosto limitati; ciò dipende dal fatto che gli elementi da acquisire per l’applicazione di tale imposta si rilevano dall’atto sottoposto alla registrazione. La necessità di svolgere indagini si pone per l’ufficio quando occorre determinare il valore venale in comune commercio dei beni o diritti cui si riferisce l’atto registrato. L’acquisizione di atti non registrati è assicurata da una serie di norme a tutela del fisco. Le norme in materia di registro valgono anche per l’imposta ipotecaria e per l’imposta sull’incremento di valore degli immobili.
B) Più estesi sono i poteri dell’ufficio ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni. L’ufficio può invitare i contribuenti a produrre documenti a comparire di persona per fornire dati, notizie rilevanti, ed inviare questionari.

Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
Sezione prima – disciplina generale –
1. Natura giuridica.
Il procedimento amministrativo di applicazione delle imposte sfocia in un atto che le leggi denominano avviso di accertamento. Tale atto è ben più che un avviso e non è affatto sicuro che il suo effetto sia di mero accertamento. L’avviso di accertamento viene denominato, da molti autori, come atto d’imposizione: espressione questa, che vuol mettere in rilievo che, con questo provvedimento, l’ufficio impone qualcosa.
2. Le statuizioni.
Esaminiamo il contenuto dispositivo dell’atto d’imposizione.
A) In materia di imposte sui redditi, la legge prescrive che l’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate.... Ciò che sembra essenziale è soltanto la determinazione dell’imponibile; vi sono infatti ipotesi in cui l’atto non va oltre tale determinazione. Una prima ipotesi è data dall’accertamento dei redditi delle società di persone; con esso viene determinata l’imposta dovuta dalla società ILOR ma , agli effetti dell’imposta dovuta dal socio, rileva soltanto la determinazione dell’imponibile della società, da imputare poi, pro quota, a ciascun socio, agli effetti dell’imposta dovuta al socio. Un’altra ipotesi si ha quando l’imponibile è di segno negativo oppure costituito dal c.d. pareggio fiscale; l’avviso che accerta delle perdite o accerta il pareggio non comporta, evidentemente, statuizioni circa l’imposta; si può dire, anche, che comporta la statuizione che non è dovuta alcuna imposta per quel periodo.
B) Nella disciplina dell’Iva, il contenuto dell’avviso di accertamento non è specificato dal legislatore, che si limita a stabilire che “l’ufficio imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante”.
C) Le imposte indirette si differenziano da quelle dirette in quanto la loro applicazione avviene attraverso una sequenza di atti in parte diversa. All’avviso di accertamento delle imposte sui redditi corrisponde nelle imposte indirette, l’avviso di accertamento di valore così denominabile in quanto di regola, in tali imposte, occorre stabilire il valore venale del bene su cui incide l'imposta. L’essenziale caratteristica che differenzia tale avviso da quello delle imposte dirette non è però tanto il fatto che esso implichi la valutazione del valore venale di un bene, quanto al fatto che il suo contenuto riguarda soltanto tale valore, senza estendersi alla determinazione dell’imposta. La determinazione dell’imposta è infatti affidata ad un altro atto, avente una sua specifica individualità e funzione: l’avviso di liquidazione. La determinazione dell’imponibile può assumere articolazioni differenziate nelle tre imposte cui ci si riferisce: registro, successione ed INVIM. Agli effetti dell’imposta di registro l’avviso di accertamento stabilisce il valore venale degli immobili o delle aziende. Agli effetti dell'imposta sulle successioni, l'avviso contiene la determinazione del valore dei beni caduti in successione, ma esso può riguardare anche le passività ereditarie. Per l’INVIM, quando il tributo viene applicato su beni il cui trasferimento sia soggetto all’imposta di registro o sulle successioni, o sul valore aggiunto, i valori accertati o i corrispettivi assunti ai fini di tali imposte valgono anche per l’INVIM. Peraltro, ai fini di quest’ultima imposta, l’accertamento imponibile assume un contenuto più articolato, riguardando non solo il valore finale ma anche quello iniziale e le spese incrementative detraibili.
3. La motivazione.
A) Che gli atti di disposizione debbano essere sempre motivati è un principio alla cui affermazione generale si è pervenuti solo di recente. Sono due i dati normativi nei quali trova sicuro fondamento il principio generale dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti dell’amministrazione finanziaria. Il primo è nella legge che regola in generale ogni provvedimento amministrativo; ci si riferisce all’art. 3 della l. 7/8/ 90 n° 241, ove è stabilito, con formula di portata generale, che ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato. Il secondo dato normativo è nell’art. 21 del d.p.r. n° 636, il quale stabilisce che la commissione tributaria non può disporre la rinnovazione dell’atto impugnato quando sia fatto valere il vizio di motivazione: il che implica, da un lato, l’obbligo dell’amministrazione di motivare i provvedimenti impugnabili e dall'altro il carattere invalidante del vizio di motivazione.
B) Motivazione, negli atti discrezionali, è l’esternazione dei motivi di opportunità, di convenienza amministrativa, ecc, che stanno a fondamento dell’atto. Per gli atti d’imposizione, sembra valida la formula giurisprudenziale: motivazione è l’indicazione dell’iter logico giuridico seguito dall’organo nella formazione dell’atto. Il lettore del provvedimento deve essere posto in grado di ripercorrere l’itinerario logico seguito dall’autorità nella formazione del provvedimento. Questa idoneità del provvedimento a rendere noto l’itinerario logico che sorregge il dispositivo sussiste o non sussiste: il provvedimento, cioè, è motivato o non lo è.
C) Un provvedimento con motivazione insufficiente, omessa, contraddittoria, ecc; un provvedimento, cioè viziato nella motivazione è invalido; esso è destinato ad essere annullato dall’autorità giurisdizionale; il giudice, a fronte di un atto invalido, può soltanto annullarlo; non può mai sostituirlo.
4. Invalidità.
I civilisti distinguono tra negozio nullo e negozio annullabile. Negozio nullo è quello che nullum producit effectum; annullabile è il negozio precariamente efficace. Nel diritto amministrativo, il provvedimento viziato si dice illegittimo; provvedimento nullo è espressione impropria per designare il provvedimento precariamente efficace, suscettibile di eliminazione ( ossia annullabile). Nel diritto tributario, valgono gli schemi del diritto amministrativo, con questa sola particolarità: non essendovi, almeno di regola, atti discrezionali, e non essendo configurabile un merito dell’atto, non si danno vizi di merito, ne vizi di eccesso di potere; ogni possibile vizio dell’atto d’imposizione è un vizio di violazione di legge. Si può distinguere, per gli atti d’imposizione, tra vizi di contenuto e vizi di forma. I primi riguardano la parte dispositiva dell’atto, e sono costituiti da violazioni delle norme tributarie sostanziali; vizi formali sono tutti gli altri ( di motivazione, incompetenza). Nel diritto amministrativo, in generale, ed in quello tributario in particolare, non è positivamente stabilito un criterio preciso per discernere i vizi innocui (che generano solamente la irregolarità dell’atto) dai vizi invalidanti. La giurisprudenza segue un criterio empirico; giudica cioè di volta in volta se il vizio è tanto grave da essere invalidante.
5. Inesistenza.
L’atto invalido è un atto esistente; il provvedimento amministrativo illegittimo è efficace, finché non invalidato. E’ inesistente l’atto emanato dall’autorità finanziaria, non provvista del potere impositivo; si può esemplificare indicando un atto che applica un’imposta abrogata o dichiarata incostituzionale. E’ inesistente un atto d’imposizione, che manca dei requisiti minimi, senza i quali l’atto non può dirsi venuto ad esistenza: atto non notificato, atto privo di dispositivo.
6. La notificazione.
L’atto di imposizione è recettizio: in tanto esiste, ed esplica effetti giuridici, in quanto sia notificato al destinatario; l’imposizione viene ad esistenza, cioè, solo qualora sia compiuto un cero rito, denominato notificazione, che ha per scopo di portare l’atto a conoscenza del destinatario. La notificazione degli avvisi di accertamento in materia di imposte sui redditi è eseguita secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile: a) la notificazione è eseguita dai messi comunali;
b) il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario
c) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto fiscale del destinatario
d) la notificazione deve essere fatta nel domicilio eletto dal contribuente nel comune di domicilio fiscale
e) nel caso di irreperibilità del destinatario, il messo deposita copia dell’atto presso la casa del comune, ne affigge l’avviso presso l’albo del comune e ne da notizia al destinatario con raccomandata
Tale disciplina vale anche per la notificazione degli atti d’imposizione in materia di IVA.
7. Il termine.
L’atto d’imposizione deve essere notificato entro un certo termine, previsto dalla legge a pena di decadenza; se l’amministrazione non esercita il potere d’imporre entro quel termine, essa ne decade. Per le imposte sui redditi, l’amministrazione deve notificare l’avviso entro il 31/12/ del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, o di presentazione di dichiarazione nulla, il termine è quello del 31/12 del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Per l’IVA il termine è il 31/12 del quarto, o del quinto anno successivo a quello in cui è stata rispettivamente presentata, o avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione; per l’imposta di registro vi è un termine di 5 anni per gli atti non registrati e di 3 anni per quelli registrati; analogamente, per l’imposta sulle successioni vi è un termine di 5 anni per le successioni non denunciate e di tre per quelle denunciate.
8. Effetti soggettivi.
Consideriamo l’efficacia soggettiva dell’atto d’imposizione: esso esplica effetti soltanto nei confronti dei soggetti contemplati come suoi destinatari ( ossia come soggetti passivi dei suoi effetti) ed, ai quali sia notificato. In linea di principio, non vi sono altri soggetti investiti dall’atto. La posizione dei terzi implica la soluzione di due quesiti: a) se vi siano casi in cui l’atto vincoli, oltre che il suo destinatario anche dei terzi; b) se l’atto, emesso nei confronti di un soggetto, legittimi l’amministrazione a procedere all’esazione nei confronti di altri soggetti. Il problema sorge nei casi in cui più soggetti siano implicati nella vicenda di attuazione del tributo. Conviene perciò precisare che l’atto non ha effetti verso i terzi, nei casi seguenti:
a) quando vi sia sostituzione d’imposta, l’atto d’imposizione, ha come possibile destinatario il c.d. sostituto; l’imposizione, emessa nei confronti del sostituto, non esplica effetti verso il sostituito;
b) nel caso di sostituzione d’acconto, l’atto d’imposizione, emesso nei confronti del sostituto, non esplica effetti verso il sostituto
c) quando vi sia solidarietà paritaria, l’atto emesso nei confronti di un soggetto ( che diviene, così, obbligato, non esplica effetti nei confronti di altri; è l’emissione dell’atto a carico di più soggetti che crea la solidarietà
d) quando vi sia solidarietà dipendente ( responsabile d’imposta) ,vale la stessa regola; l’atto emesso nei confronti di un soggetto vincola soltanto il destinatario dell’atto, cui l’atto sia notificato.
I soli casi nei quali l’atto esplica effetti verso soggetti diversi da quelli in esso contemplati, sembrano essere i seguenti: 1) quando un soggetto subentri ad un altro nell’obbligazione; quando cioè vi sia successione nel debito d’imposta; 2) quando vi sia coobbligazione dipendente limitata; quando, cioè, l’amministrazione sia titolare del privilegio speciale, perché in tal caso l’atto emesso nei confronti del soggetto passivo legittima l’esecuzione sul bene, indipendentemente dalla proprietà del bene stesso; 3) nei confronti della moglie, che ha presentato dichiarazione dei redditi congiunta con il marito.
9. La definitività.
L’atto di imposizione si dice definitivo quando sono decorsi i termini d’impugnazione, e non è impugnato, ovvero quando l’impugnazione viene respinta. La definitività non è un quid che si aggiunge agli effetti dell’atto; è solo il riflesso della vicenda estintiva, ovvero dell’esaurimento, del potere d’impugnare.

Capitolo undicesimo
L’avviso di accertamento
Sezione seconda – tipologia –
10. L’accertamento analitico del reddito complessivo.
L’atto di imposizione ( o avviso di accertamento) assume denominazioni diverse, a seconda del metodo con cui viene determinato l’imponibile. In via di prima approssimazione, accertamento analitico è quello che ricostruisce l’imponibile considerandone le singole componenti: più precisamente, per le persone fisiche, si ha accertamento analitico quando il reddito complessivo imponibile viene determinato con riferimento alle singole categorie reddituali; essendo note le fonti dei redditi, distinte per categorie, si quantificano i redditi delle varie categorie. Per i redditi d’impresa, l’accertamento analitico è quello effettuato determinando o rettificando singole componenti (attive o passive) del reddito; esso presuppone che la contabilità, nel suo complesso, non venga considerata inattendibile, e che se ne rettifichino singole risultanze. Anche nell’Iva si ha accertamento analitico quando la rettifica investe singole componenti dell’imponibile. Il fatto che un accertamento sia analitico non significa nulla più di ciò che si è detto, ossia riferimento alle singole categorie per i redditi delle persone fisiche, e alle singole componenti dell’imponibile, per i redditi d’impresa o per l’IVA; quando si ricorre a presunzioni, si dice che l’accertamento è analitico induttivo.
11. L’accertamento sintetico del reddito complessivo.
Di accertamento sintetico si parla a proposito del reddito complessivo delle persone fisiche. Mentre l’accertamento analitico ha per oggetto redditi appartenenti a determinate categorie, con l’accertamento sintetico si ottiene direttamente la determinazione del reddito complessivo. Con il metodo analitico, l’iter conoscitivo ha come punto di partenza l’individuazione di determinate fonti reddituali e come esito la quantificazione del reddito attribuibile a tali fonti; il metodo sintetico, invece, ha come punto di partenza l’individuazione di elementi e fatti economici diversi dalle fonti di reddito ( spese per consumi, investimenti, ecc). Perciò l’accertamento sintetico viene da taluni definito come accertamento basato sulla spesa. Partendo da tali indici indiretti di reddito viene calcolato, in via presuntiva, il reddito globale.
1) l’ufficio non è obbligato a tentare la determinazione del reddito complessivo con metodo analitico, prima di adottare il metodo sintetico; al metodo sintetico l’ufficio, quindi, può ricorrere tutte le volte che ne sussistono i presupposti, indipendentemente dalla possibilità di determinazione analitica.
2) L’ufficio può procedere all’accertamento sintetico in base ad elementi e circostanze di fatti certi in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze.
3) L’accertamento sintetico è legittimo quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato; l’ufficio, quindi, deve astenersi dall’emettere l’avviso di accertamento quando il divario tra reddito dichiarato e reddito accertabile sinteticamente non supera il quarto del dichiarato.
4) Il reddito determinato sinteticamente è qualificato dalla legge, con presunzione relativa, reddito di capitale, ed è quindi assoggettato, non solo ad IRPEF, ma anche ad ILOR; la presunzione legale circa la provenienza del reddito non riflette una massima di esperienza ma risponde alla necessità di dare imperativamente una qualificazione reddituale ad un reddito che è, per definizione, di provenienza ignota; essendo consentita la prova contraria, il contribuente ammettendo di aver conseguito un reddito non dichiarato potrà rivelarne la fonte e vincere la presunzione legale;
5) Il risultato dell’accertamento sintetico è la determinazione del reddito complessivo netto; perciò, dal reddito così determinato, non sono deducibili gli oneri;
6) L’ufficio ha l’onere di dimostrare la sussistenza dei fatti indice sui quali basa l’accertamento sintetico; il contribuente, per contro, può dimostrare che il maggiore reddito, determinabile o determinato sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi non tassabili (redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta); ovvero può opporre di aver utilizzato disponibilità economiche di natura non reddituale.
12. I parametri dell’accertamento sintetico.
Dobbiamo ora vedere in qual modo l’ufficio, dall’accertamento dei fatti – indice perviene alla quantificazione del reddito. Schematicamente, possiamo enucleare tre criteri di quantificazione del reddito sintetico, che si basano, sul redditometro, sugli investimenti e sulla spesa globale.
A) Innanzitutto, occorre dire del redditometro. La legge attribuisce al Ministro delle finanze il potere di individuare dei fatti – indice, in base ai quali ( con l’applicazione di coefficienti) gli uffici possono determinare induttivamente il reddito globale, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto a tale determinazione per due o più periodi d’imposta. Il decreto ministeriale considera, come indici, la disponibilità di aerei, navi e imbarcazioni da diporto, automobili a altri mezzi di trasporto, residenze principali e secondarie, la spesa per collaboratori familiari, ma l’ufficio può considerare anche altri indici. Tale decreto ha natura regolamentare; pertanto, ne è possibile il sindacato giurisdizionale, sia da parte del giudice amministrativo ( che ha potere di annullarlo, sia da parte del giudice tributario (che può disapplicarlo). E’ ovvia la possibilità di contestare la sussistenza dei fatti – indice; è invece assi limitata la possibilità di contestare che, dati certi fatti indice, il reddito che se ne può inferire è inferiore a quello calcolato in base ai coefficienti redditometrici.
B) L’accertamento sintetico, oltre che in base ai fatti indice tipici presi a base del redditometro, può essere effettuato anche in base ad altri fatti, tra cui ha rilievo preminente la spesa per incrementi patrimoniali ( acquisto di titoli, di immobili). Quando l’esborso effettuato è molto elevato in rapporto ai redditi dichiarati dal contribuente nell’anno in cui viene effettuata la spesa e negli anni precedenti, è legittimo presumere che siano stati utilizzati redditi non dichiarati. Per delimitare la discrezionalità degli uffici, la legge stabilisce che la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei 5 anni precedenti. L’ufficio deve tenere conto della somma effettivamente sborsata. Se la somma sborsata è di 120 ml., l’importo accertabile è di 20 ml. per 6 anni. L’ufficio deve valutare se il reddito dichiarato nell’anno della spesa e nei 5 anni precedenti è tale da permettere un accantonamento annuo ( c.d. quota risparmio) di lire 20 ml.. La quota risparmio si aggiunge al reddito determinabile in base agli altri indici e coefficienti redditometrici.
C) Mentre con il redditometro si mira a ricostruire il reddito globale muovendo solo da determinate spese, il metodo cui ci riferiamo muove dalla ricostruzione della spesa globale per inferire, da questa, il reddito globale. In sostanza, viene quantificata presuntivamente la somma spesa dal singolo contribuente e dal suo nucleo familiare nel periodo d’imposta; a questa si aggiunge la c.d. quota risparmio; e così il reddito complessivamente prodotto viene considerato pari alla somma di quanto speso per vivere e della quota risparmio.
13. L’accertamento analitico – contabile dei redditi d’impresa.
L’accertamento analitico – contabile dei redditi d’impresa è quello che consta di rettifiche di singole componenti del reddito imponibile. La rettifica può essere giustificata da sole ragioni di diritto, quando ,ad esempio, risulta violata una delle norme in materia di reddito d’impresa. In pratica la rettifica può scaturire:
a) dal confronto tra dichiarazione ed allegati
b) dal confronto tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili;
c) dall’esame della documentazione che sta a base della contabilità
d) dalle circostanze estranee alla contabilità o alla sfera dell’impresa
Nella prassi si usa distinguere tra accertamento analitico tout court e accertamento analitico – induttivo. Accertamento analitico tout court è quello che deduce la incompletezza, la falsità o la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione o nei relativi allegati in modo certo e diretto da una delle risultanze probatorie acquisite dall’ufficio attraverso i verbali, le risposte ai questionari, l’esame di atti o documenti del contribuente o di altri soggetti. Accertamento analitico induttivo è invece quello che rettifica la dichiarazione sulla base di presunzioni. L’accertamento analitico induttivo può dunque essere fondato: su presunzioni gravi, precise e concordanti;
su gravi incongruenze, ad es. discordanze tra prezzo di vendita di un bene e suo valore corrente; su studi di settore ( non ancora elaborati).
14. L’accertamento induttivo – extracontabile dei redditi d’impresa.
L’accertamento analitico presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità. Molto diverso è invece il metodo d’accertamento quando la contabilità è complessivamente inattendibile, o quando si verificano altre circostanze che possono legittimare l’ufficio ad operare un accertamento induttivo che non riguarda singole componenti reddituali ma il reddito nel suo complesso. L’ufficio può procedere ad accertamento induttivo – extracontabile solo nei casi tassativamente indicati dalle legge, e cioè: a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
b) quando alla dichiarazione non è stato allegato il bilancio con il C.E.;
c) quando, dal verbale d’ispezione, risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte ai fini fiscali o quando le scritture non sono disponibili per causa di forza maggiore;
e) quando le omissioni e le false indicazioni riscontrate nella dichiarazione e quando le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi, numerose e ripetute da rendere nel complesso inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Altra è invece la situazione che si verifica quando l’accertamento non può essere ancorato alla contabilità perché, per causa di forza maggiore, la contabilità non è disponibile ( es. distrutta da un disastro naturale). Altra ancora, infine, è la situazione di chi ha omesso di redigere una scrittura contabile o ha tenuto la contabilità con irregolarità formali o sostanziali. In presenza di tali situazioni, l’ufficio può procedere ad una forma particolare di accertamento, che è caratterizzata da 3 facoltà: a) l’ufficio può avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; b) l’ufficio può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili; c) l’ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Nell’iter che l’ufficio deve seguire occorre distinguere l’accertamento dei presupposti che legittimano l’adozione del metodo induttivo dalla determinazione (induttiva) del reddito. L’ufficio può ritenere inattendibile la contabilità solo in base a prove circostanziate circa le irregolarità contabili; a questi fini, quindi, l’ufficio non può servirsi di dati astratti ( la redditività media del settore), ma deve basarsi su prove concrete, riguardanti il singolo contribuente. Una volta appurata, in modo concreto, l’inattendibilità della contabilità, si apre una seconda fase, rivolta a costruire il reddito; in questa seconda fase, l’ufficio può prescindere dalla contabilità e servirsi di dati ed elementi comunque raccolti e di presunzioni non assistite dai requisiti di gravità, precisione e concordanza. E’ solo in questa seconda fase che l’ufficio può servirsi di studi di settore, medie statistiche, non desunti in modo diretto dalla situazione del singolo contribuente.
15. L’accertamento mediante coefficienti presuntivi dei redditi delle imprese minori.
Nei confronti dei soggetti con contabilità semplificata, l’accertamento può essere fatto, oltre che in base alle norme ordinarie, con l’uso di coefficienti presuntivi, sia ai fini dell’imposta sul reddito sia ai fini dell’Iva. Poiché vi è analogia tra questi coefficienti e quelli del redditometro, è opportuno notare che i coefficienti contenuti nel redditometro concernono il reddito complessivo delle persone fisiche; i coefficienti di cui passiamo ora ad occuparci riguardano invece i componenti positivi di reddito e il volume di affari dell’attività d’impresa e dell’attività di lavoro autonomo dei contribuenti c.d. minori.
A) Rileviamo che i coefficienti sono determinati annualmente con decreto del Pres. del Cons. Dei ministri, su proposta del Min. Delle finanze e sentito il consiglio dei ministri, entro il 30/9 dell’anno cui si riferiscono.
B) In base a quali elementi vengono determinati i coefficienti? L’amministrazione si avvale di 3 ordini di dati: - dati desunti dalle dichiarazioni dei redditi, dagli accertamenti degli uffici, e altri dati ed elementi in possesso dell’amministrazione; - di informazioni richieste agli enti locali, alle organizzazioni economiche di categoria; - del c.d. contributo diretto lavorativo.
C) A che scopo servono i coefficienti? Quale ne è il contenuto e l’oggetto? I coefficienti hanno per oggetto, non la determinazione presuntiva del reddito, ma la determinazione presuntiva dei ricavi e dei compensi, e del volume d’affari ( ai fini dell’IVA). Il redditometro si basa su elementi che, indicando una certa spesa, fanno presumere un certo reddito; gli indici del redditometro sono quindi costituiti da spese di erogazione del reddito; nel caso dei coefficienti presuntivi, invece, gli indici sono costituiti da spese di produzione del reddito. Determinati, in base ai coefficienti, i ricavi (delle imprese) i compensi (dei lavoratori autonomi), da essi si deducono soltanto le spese e gli altri componenti negativi dichiarati dal contribuente o presi a base dei coefficienti. Da tale sottrazione risulta, alla fine, il reddito imponibile.
D) Sulla base del reddito determinato mediante i coefficienti, e di altri elementi eventualmente in possesso dell’ufficio specificatamente relativi al singolo contribuente, l’amministrazione è legittimata a rettificare il reddito dichiarato dalle imprese minori e dai lavoratori autonomi che hanno conseguito compensi inferiori ad una data soglia. Nei confronti di tali soggetti, quindi, gli uffici possono utilizzare sia la procedura ordinaria, sia la procedura prevista per i coefficienti.
E) Vi sono particolari regole procedurali che l’ufficio deve seguire quando si avvale dei coefficienti. L’ufficio deve inviare al contribuente, a pena di nullità dell’accertamento, con lettera raccomandata, una richiesta di chiarimenti; il contribuente deve rispondere entro 60 gg.; nella risposta devono essere indicati i motivi per cui, in relazione alle specifiche condizioni di esercizio dell’attività , i ricavi, i compensi o i corrispettivi dichiarati sono inferiori a quelli risultanti dall’applicazione dei coefficienti; i motivi non addotti in risposta alla richiesta di chiarimenti non possono essere fatti valere in sede di impugnazione dell’atto di accertamento. I coefficienti presuntivi non hanno lo stesso valore per tutte le imprese; per le imprese c.d. minori, possono essere utilizzati in ogni caso; per le imprese minori, che hanno optato per la contabilità ordinaria, i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati in due casi: 1) il primo caso si ha quando sono state violate regole relative al bilancio e alla contabilità; 2) in secondo luogo, i coefficienti presuntivi possono essere utilizzati quando il reddito dichiarato è inferiore a quello determinato in basa ai coefficienti.
16. L’accertamento d’ufficio.
Per le imposte sui redditi, e per l’Iva, l’accertamento d’ufficio viene emesso quando non è stata presentata, o è nulla, la dichiarazione. Anche in tale caso, vale la regola che l’accertamento deve essere analitico, e può essere sintetico o induttivo solo se l’ufficio non ha potuto raccogliere elementi idonei per una determinazione analitica dell’imponibile.
17. L’accertamento parziale.
L’ufficio, dopo che ha svolto le sue indagini sui redditi di un soggetto, ne utilizza i risultati emettendo, se ne ricorrono i presupposti, un avviso di accertamento. Di regola, l’accertamento riflette tutti i dati ed elementi probatori acquisiti d’ufficio; l’accertamento, insomma, è unico e globale; l’ufficio non può in altri termini, emettere un primo accertamento, utilizzando solo una parte dei dati acquisiti, per poi emetterne altri sulla base di altri dati già acquisiti. Questa regola subisce due deroghe, costituite dall’accertamento parziale e dall’accertamento integrativo. L’accertamento parziale è quello che si basa su segnalazioni provenienti dal Centro informativo delle imposte dirette, dalla G.d.f., da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici, o dall’anagrafe tributaria. In base a tali segnalazioni, l’ufficio può rettificare la dichiarazione accertando un reddito non dichiarato, il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, o la non spettanza di deduzioni, esenzioni o agevolazioni. L’accertamento parziale si caratterizza dunque sotto due profili: per la provenienza e per l’oggetto delle segnalazioni. L’oggetto delle segnalazioni è costituito da dati concernenti un dato reddito o elementi che incidono sulle deduzioni, sulle esenzioni o agevolazioni; di regola, quindi, l’accertamento parziale è un accertamento analitico. Oggetto di segnalazione possono però essere anche i nominativi di soggetti ai quali sono applicabili i coefficienti presuntivi; in tal caso, l’accertamento parziale avrà natura induttiva, ma potrà essere effettuato unicamente utilizzando il coefficiente basato sul contributo diretto lavorativo.
18. L’accertamento integrativo.
Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti, l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o i fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposta. Tale disposizione consente l’emanazione di nuovi accertamenti solo in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Va rilevato che il limite posto da tale disposizione all'azione accertatrice degli uffici concerne soltanto gli accertamenti integrativi o modificativi, ma non impedisce all’ufficio l’esercizio del potere di ridurre o annullare il precedente accertamento perché, ad es., l’ufficio si avvede di aver errato a danno del contribuente. Questo è il potere di autocorrezione.
19. L’accertamento catastale.
L’accertamento catastale ha per oggetto i redditi fondiari (dei terreni e fabbricati). Il catasto dei terreni è un inventario che descrive la proprietà terriera suddivisa in particelle, con l'indicazione dell'appartenenza, della qualità, della classe e del relativo reddito medio ordinario. La formazione del catasto implica in primo luogo il rilevamento delle proprietà e delle particelle; quindi la qualificazione, ossia la determinazione dei tipi di coltivazione e, infine, la classificazione (ossia la distinzione dei terreni per classi, in base al grado di produttività). Vi è poi la tariffa (reddito medio imponibile di un ettaro in relazione a ciascuna qualità e classe), con conseguente attribuzione, a ciascuna particella, in relazione alla qualità, classe ed estensione, del reddito medio ordinario ad essa riferibile. Analogo il contenuto ed il procedimento di formazione del catasto urbano. Le singole unità immobiliari sono contraddistinte non per qualità e classe, ma per categoria e classe. I catasti contengono la determinazione del reddito agli effetti dell’applicazione delle relative imposte: quindi la loro pubblicazione può essere equiparata alla notificazione degli avvisi di accertamento. Utilizzato per imposte globali come IRPEF e l’IRPEG, il catasto appare come una sorta di accertamento parziale; esso determina infatti, solo una delle componenti del reddito complessivo; ma lo stesso vale per l’ILOR, che non colpisce solo i redditi fondiari.
20. L’avviso di liquidazione.
La liquidazione delle imposte indirette è operazione distinta dalla determinazione dell’imponibile, in molte ipotesi, tali operazioni sfociano in atti distinti.
A) Nell’imposta di registro, la determinazione del valore imponibile è effettuata con l’avviso di accertamento; la determinazione dell’imposta, invece, è effettuata con un atto distinto, denominato avviso di liquidazione, con cui viene anche richiesto il pagamento. La liquidazione dell’imposta, quindi, presuppone che sia stata già determinata (in via provvisoria o definitiva) la base imponibile. Avviso di liquidazione, quindi, è l’atto con cui l’ufficio, essendo già stata determinata la base imponibile, determina l’imposta e ne richiede il pagamento. In quanto atto determinativo dell’imposta, l’avviso di liquidazione è atto impositivo; se il contribuente intende contestare la liquidazione dell’imposta, deve impugnare l’avviso di liquidazione. In quanto atto con cui viene richiesto il pagamento dell’imposta, l’avviso di liquidazione è atto della procedura di riscossione. Se l’avviso di liquidazione non segue il pagamento del tribunale, l’amministrazione procede alla riscossione coattiva mediante iscrizione a ruolo.
B) Nell’imposta sulle successioni, l’ufficio emette avviso di liquidazione per riscuotere l’imposta dovuta in base alla dichiarazione. Analogamente a quanto previsto in materia di controllo formale della dichiarazione dei redditi e di riscossione di quanto dichiarato, l’ufficio, in sede di controllo della dichiarazione di successione, corregge gli errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile ed esclude dalla base imponibile le passività non deducibili. Tali correzioni ed esclusioni sono riportate nell’avviso di liquidazione; con tale atto, quindi, l’ufficio liquida l’imposta previa correzione dell’imponibile dichiarato. Quando invece le rettifiche da apportare alla dichiarazione abbiano un oggetto diverso da quello indicato, l’ufficio emette un atto che la legge denomina avviso di rettifica (della dichiarazione) e di liquidazione della maggiore imposta. Con tale atto, l’ufficio rettifica la dichiarazione giudicata incompleta o infedele, e, in relazione alla maggior base imponibile così determinata, liquida la maggiore imposta dovuta e ne richiede il pagamento. L’imposta deve essere pagata entro 90 gg dalla notificazione dell’avviso di liquidazione; decorso tale termine, l’imposta insoluta viene iscritta a ruolo.
21. Il concordato.
Nel procedimento di accertamento possono intervenire anche degli accordi tra ufficio e contribuente. Con termine consolidato dall’uso si parla correntemente di concordato. La disciplina di questo atto è caratterizzata dai seguenti tratti: l’accertamento con adesione è un atto di rettifica della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche che esercitano, anche in forma associata, attività di impresa o di lavoro autonomo ( il concordato, quindi, riguarda le persone fisiche e non le società; l’IRPEF e non l’IRPEG); L’istituto riguarda, in pratica, la sola categoria dei c.d. contribuenti minori. Il concordato può essere stipulato quando non sono stati commessi reati (quando non vi sono fatti che costituiscono frode e quando i ricavi omessi non superano i 50 ml.). L’accertamento concordato è definitivo; perciò, non è impugnabile dal contribuente e non può essere modificato o integrato dall’ufficio; esso comporta una riduzione delle sanzioni amministrative ( ridotte ad un terzo del minimo: da rapportare al fatto che se il contribuente non impugna l’accertamento beneficia di una riduzione pari alla metà del minimo). L’efficacia del concordato è subordinata al pagamento di quanto risulta dovuto in base ad esso.

L’avviso di accertamento
Sezione terza – Misure antielusive –
1. Nozione di elusione.
A) Cerchiamo innanzitutto di definire l’elusione, che solitamente viene confrontata con l’evasione. L’evasione è sinonimo di violazione delle norme fiscali; l’elusione, invece, indica un atto o un comportamento che non è direttamente contrario alla legge, ma che, tuttavia, non la rispetta: potremmo dire che, chi elude, rispetta la legge ma ne viola lo spirito. I tratti che identificano il comportamento elusivo sono:
a) il contribuente si propone di raggiungere un dato risultato economico, ma viene adoperato uno strumento giuridico insolito, anormale, diverso da quello che normalmente si usa per raggiungere quel risultato;
b) la scelta di quel percorso viene fatta per conseguire determinati vantaggi fiscali;
c) lo strumento giuridico anormale viene prescelto con il fine di eludere l’imposta.
B) L’elusione a differenza dell’evasione viene posta in essere alla luce del sole, ossia con atti palesi, senza occultamenti della materia imponibile. Con l’elusione viene posto in essere un risultato pratico identico a quello considerato dalla norma elusa; nel c.d. risparmio lecito d’imposta, viene posto in essere un risultato pratico diverso, senza aggirare alcuna norma. Una forma di risparmio lecito è quella che viene detta erosione. Una persona che, in sede di dichiarazione dei redditi, deduce molti oneri, fruisce di redditi esenti o agevolati, paga alla fine un’imposta minore.
C) L’elusione si distingue dall’evasione per il fatto che l’evasione è sinonimo di illecito ed è realizzata occultando il presupposto dell’imposta.
D) L’elusione viene distinta dalla frode alla legge, intesa come contratto in frode alla legge. E’ nullo per illiceità della causa il contratto che costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa.
2. Norme antielusive specifiche.
Nel nostro ordinamento non esiste una norma antielusiva generale. Le norme antielusive specifiche possono essere della più diversa specie e natura. Talvolta le norme antielusive riguardano il quantum dell’imponibile, come nel caso della norma relativa al transfer price, in base al quale, nei trasferimenti infragruppo, si sottopone a tassazione il valore normale non il prezzo pattuito. Altro tipo di norma è quello che prevede presunzioni, assolute o relative. Per evitare che tra parenti vengano poste in essere vendite dirette ad eludere l’imposta sulle successioni, è previsto che tali vendite si presumono donazioni, con esclusione della prova contraria, se le imposte dovute per il trasferimento a titolo oneroso sono inferiori a quelle dovute per il trasferimento a titolo gratuito. Le norme antielusive possono limitare determinati benefici; si pensi ad esempio alla norma che limita il riporto delle perdite.
3. L’interpretazione antielusiva.
Un altro strumento antielusivo può essere dato dall’interpretazione antielusiva, che può essere adottata quando il contribuente che elude si avvale di strumenti che possono essere considerati, o che apparentemente sono , estranei alla fattispecie della norma impositiva, ma che, in realtà, vi rientrano, o vi possono rientrare, ove le regole sull’interpretazione permettano di tener conto in modo prevalente del risultato economico avuto di mira dal legislatore. Una duplice possibile interpretazione della disposizione fiscale: una letterale, formalistica, in base alla quale il comportamento elusivo non è tassabile; ed una interpretazione non letterale, non rigida, in base alla quale il comportamento elusivo è tassabile.
4. Il superamento delle forme negoziali.
Una tecnica con la quale si può pervenire a tassare le fattispecie elusive consiste nel qualificare i negozi giuridici elusivi in modo da far emergere, di la dall’apparenza formale ed esteriore, il vero affare ed il vero negozio posto in essere dalle parti. In questo caso viene operata una riqualificazione del negozio, ovvero un superamento della forma che i contraenti hanno dato al contratto. Uno degli artifici elusivi più diffusi è la costituzione di società di comodo; di società, cioè, costituite non tanto per svolgere un’attività economica, quanto per un fine di elusione fiscale. Un’altra fattispecie da richiamare è quella dei contratti a gradini. Con tale espressione si indica un’operazione realizzata con una pluralità di contratti, tutti finalizzati ad una dato risultato.
5. I casi di elusione positivamente previsti.
A) Secondo la definizione legislativa. L’elusione è data da atti , fatti o negozi privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti. L’elusione consiste dunque: 1) nel porre in essere un atto, fatto o negozio che aggira un obbligo o un divieto; 2) nell’ottenimento di una riduzione di imposta o di un rimborso, che, se non fosse stata aggirata la norma tributaria, sarebbero indebiti.
B) Le disposizioni ora citate si applicano quando, nell’ambito del comportamento elusivo, vi sia una delle seguenti operazioni: 1) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili; 2) conferimenti in società, nonché negozi aventi ad oggetto il trasferimento o il godimento di aziende; 3) cessione di crediti; 4) cessioni di eccedenze di imposta; 5) operazioni aventi per oggetto partecipazioni sociali.
6. Applicazione della norma elusa.
Quali sono le conseguenze del comportamento elusivo? Gli atti, fatti o negozi elusivi non sono colpiti da alcuna sanzione sul piano civilistico, ma sono in opponibili all’amministrazione finanziaria, la quale disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante l’operazione elusiva. Per l’applicazione della norma elusa l’amministrazione finanziaria deve prima di emettere l’avviso di accertamento, chiedere chiarimenti al contribuente, il quale ha l’onere di rispondere entro 60 gg.
7. Elusione mediante interposizione.
Dove vi è un titolare apparente di reddito, la fattispecie imponibile deve essere imputata al titolare effettivo. In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti, quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona. Secondo la dottrina maggioritaria, la norma in esame vale solo nel caso di interposizione fittizia; per L’amm. Finanziaria, la norma va applicata anche nel caso di interposizione reale, altrimenti sarebbe inutile. Un medesimo reddito non può appartenere contemporaneamente a più soggetti: perciò il legislatore ha espressamente previsto che le persone interposte possono richiedere il rimborso di quanto versato, dopo che è divenuto definitivo l’accertamento emesso nei confronti dell’interponente.
8. L’interpello dell’amministrazione.
Per ovviare allo stato di incertezza in cui possono trovarsi gli operatori economici, i contribuenti possono interpellare l’amm. Finanziaria e conoscerne preventivamente il giudizio. I casi sono predeterminati: operazione che potrebbe essere considerata elusiva, ed inquadrata in uno dei casi di elusione espressamente stabiliti; operazione alla quale potrebbe essere applicata la norma in tema di interposizione di persona. La procedura di interpello è così articolata:
- il contribuente, quando sta per porre in essere uno dei comportamenti sopra indicati può richiedere preventivo parere alla competente direzione generale del Ministero delle finanze
- in caso di mancata risposta della Dir. generale, o di risposta alla quale non si intende uniformarsi, è dato al contribuente il diritto di richiedere il parere del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive.
- La mancata risposta del Comitato entro 60 gg. dalla richiesta del contribuente, e dopo ulteriori 60 gg. da una formale diffida ad adempiere, equivale a silenzio assenso.

Capitolo dodicesimo
La riscossione
Sezione prima – Profili generali –
1. Riscossione ed estinzione dell’imposta.
L’obbligazione tributaria, non si differenzia concettualmente dalle altre obbligazioni pubbliche o private. L’obbligazione tributaria, però, presenta dei tratti caratteristici. Ecco i principali tratti caratteristici (sotto il profilo dell’estinzione) dell’obbligazione tributaria.
A)Il diritto comune ci ha assuefatti a pensare all’obbligazione come una figura di qualificazione giuridica che segue una vicenda scandita in momenti che si succedono in un ordine prestabilito ( nascita dell’obbligazione, eventuali modificazioni, estinzione). Nel diritto tributario, invece, vi sono fenomeni di anticipazione della riscossione rispetto al sorgere dell’obbligazione( c.d. riscossione anticipata). In altri termini, mentre nel diritto comune non si ha, di regola, pagamento senza obbligazione, nel diritto tributario possiamo avere una riscossione senza obbligazione.
B) Nel diritto comune, il titolo che attribuisce ad un soggetto la qualifica di creditore (ad es. un contratto), è anche il titolo che gli consente di ricevere la prestazione e di agire in giudizio. Nel diritto tributario, non sempre il titolo dell’obbligazione tributaria ( ad es. dichiarazione, avviso di accertamento) è anche il titolo della riscossione; in altri termini, talvolta la riscossione avviene in base al titolo costitutivo dell’obbligazione, altre volte occorre un atto ulteriore (iscrizione a ruolo).
C) Infine, non tutti i modi di estinzione dell’obbligazione civilistica trovano riscontro nel diritto tributario: nel diritto tributario, infatti, non troviamo quelle forme di estinzione, che sono espressione del potere di disporre del rapporto. Non vi troviamo la novazione e la remissione del debito.
2. Il conto fiscale, la compensazione e i rimborsi.
Vediamo la disciplina del conto fiscale.
A) Ciascun imprenditore o lavoratore autonomo deve essere titolare di un conto fiscale, sul quale sono registrati i versamenti ed i rimborsi relativi alle imposte sui redditi e all’Iva. Il conto è tenuto presso il concessionario della riscossione; su tale conto sono accreditati i versamenti del contribuente fatti direttamente al concessionario o fatti mediante delega ad un istituto o azienda di credito.
B) La compensazione è un modo di estinzione dell’obbligazione tributaria; la compensazione è ammessa solo in casi previsti in via tassativa ( imposte sui redditi ed Iva). Nel campo delle imposte dirette, in sede di dichiarazione dal debito di imposta liquidato nella stessa dichiarazione si deducono i crediti ( relativi allo stesso periodo d’imposta). Se la dichiarazione reca un saldo attivo il contribuente ha diritto a sua scelta a computare l’eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo di imposta successivo o di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi. L’ammontare complessivo delle eccedenze di imposte risultanti dalla dichiarazione può essere computato in diminuzione anche dell’ammontare degli acconti e del saldo dovuti per il periodo d’imposta successivo. Quest’ultima previsione è più ampia per due ragioni; perché consente la compensazione, non solo con i saldi, ma anche con gli acconti (c.d. compensazione verticale); perché la compensazione può investire anche imposte diverse ( c.d. comp. orizzontale).
C) Nell’Iva il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo... ovvero di chiedere il rimborso.
D) Il conto fiscale non solo consente la compensazione tra crediti e debiti fiscali dello stesso contribuente, ma consente anche la effettuazione di rimborsi (in materia di imposte dirette e di Iva).
3. Modalità della riscossione.
Le forme della riscossione sono diverse, a seconda del tipo di tributo a cui si riferisce; vi è però una fondamentale bipartizione, tra imposte sui redditi ed imposte indirette e tasse. Con riguardo alle imposte sui redditi:
a) Le imposte sui redditi non sono mai riscosse dagli uffici accertatori, ma da altri organi o soggetti;
b) Nella riscossione delle imposte dirette troviamo tipizzate tre forme di riscossione (ritenuta diretta, versamento diretto e riscossione mediante ruolo)
c) La riscossione ad iniziativa dell’amministrazione finanziaria avviene sempre mediante ruolo
Con riguardo alle imposte indirette:
a) tali imposte sono riscosse dagli uffici accertatori
b) la riscossione avviene sempre mediante versamento all’ufficio accertatore
c) la riscossione coattiva è affidata anche qui, nella maggior parte dei casi, al “Servizio della riscossione”.
4. Il “Servizio” e i “concessionari della riscossione”.
La riscossione quando non è svolta dagli stessi uffici accertatori è affidata ad un’apposita struttura organizzativa, denominata “Servizio di riscossione dei tributi”. Tale servizio è costituito da un ufficio centrale, denominato servizio centrale, e da uffici periferici (gli agenti della riscossione). Il servizio di “agente della riscossione” è affidato, nei singoli ambiti territoriali, in concessione amministrativa. Il concessionario della riscossione, quindi, è un privato concessionario di un pubblico servizio. Ecco in sintesi i compiti del concessionario. Esso provvede alla riscossione delle entrate iscritte a ruolo; provvede, inoltre, alla riscossione dei versamenti diretti. Il concessionario promuove l’esecuzione forzata delle somme iscritte a ruolo e provvede agli sgravi ed ai rimborsi. Il concessionario del servizio di riscossione può svolgere anche funzione di tesoriere degli enti locali. Tra lo Stato e il concessionario vi è un rapporto contrattuale, che è stipulato in seguito ad un’asta pubblica, cui possono partecipare soltanto determinati soggetti (aziende ed istituti di credito, casse rurali ed artigiane). Il concessionario non è titolare dei crediti da riscuotere, ma è soltanto incaricato della riscossione; pertanto, le controversie sui crediti da riscuotere non vanno promosse nei confronti del concessionario, ma nei confronti dell’ente impositore (salva l’azione di risarcimento danni).
Capitolo dodicesimo – La riscossione –
Sezione seconda - La riscossione delle imposte sui redditi –
5. Tempi e titoli della riscossione.
Per illustrare la riscossione delle imposte sui redditi adottiamo la seguente tripartizione:- riscossione anticipata; - riscossione provvisoria; - riscossione definitiva
A) La riscossione anticipata avviene nel corso del periodo d’imposta, in due forme: mediante ritenuta e mediante versamento di acconti. Questa riscossione precede sia il perfezionarsi del presupposto (che si realizza con il decorso dell’intero periodo d’imposta) sia il sorgere dell’obbligazione ( che si ha con la dichiarazione e con l’avviso). Le ritenute d’acconto sono una decurtazione di somme che per il percipiente costituiscono componente attiva del reddito: esse decurtano stipendi (dei lavoratori dipendenti), ricavi (di alcuni imprenditori), compensi (dei lavoratori autonomi). Sono definite dalla legge “acconti”; rappresentano, per chi subisce le ritenute, un’anticipazione o acconto, dell’imposta che sarà dovuta per quel periodo d’imposta. Il parametro di riferimento della “ritenuta d’acconto” è la somma corrisposta al reddituario. Sotto il profilo in esame, la ritenuta d’imposta assume tutt’altra configurazione; il sostituto deve versare all’erario una certa somma, che non costituisce sotto alcun profilo anticipazione dell’imposta dovuta dal sostituito; qui obbligato è il sostituto, il quale, versando, estingue l’obbligazione d’imposta di cui esso è soggetto passivo; la ritenuta, subita dal sostituito, è esercizio della rivalsa del sostituto, ma non vale come acconto dell’imposta perché egli non è debitore. V’è poi un’altra forma di anticipazione della riscossione, rappresentata dai versamenti che ciascun contribuente deve effettuare nel corso del periodo d’imposta ( a maggio e novembre); tali versamenti hanno come parametro l’imposta dovuta per il precedente periodo d’imposta, e valgono come acconti dell’imposta che risulterà dovuta per il periodo in corso.
B) La riscossione provvisoria è quella che si fonda sopra titoli non definitivi: ossia quella che avviene in corso di causa, sulla base di accertamenti che, in quanto sub iudice, non sono definitivi.
C) Riscossione definitiva è quella che avviene in base a titoli definitivi; dichiarazione ed avviso di accertamento (divenuto) definitivo.
6. Autonomia della riscossione.
L’autonomia della riscossione, rispetto alle vicende dell’obbligazione tributaria, consente di vedere in esse una funzione amministrativa autonoma, dotata di suoi caratteri specifici; essa si svolge in modi tipici; l’ente pubblico può agire e riscuotere solo con gli atti e le procedure previste dalla legge; il contribuente può liberarsi solo adempiendo nei modi e forme previste dalla legge.
7. La ritenuta diretta.
Il decreto sulla riscossione delle imposte sui redditi esordisce con l’affermazione che tali imposte sono riscosse mediante:
a) ritenuta diretta;
b) versamenti diretti al concessionario della riscossione;
c) iscrizione a ruoli.
Ritenuta diretta è una forma di riscossione che si ha quando le amministrazioni statali corrispondono compensi od altre somme, con il diritto di decurtarle d’un certo importo ; la ritenuta viene detta diretta perché effettuata direttamente dell’ente impositore. L’amministrazione statale, pertanto nel corrispondere somme soggette a ritenuta: a) è debitrice verso il contribuente d’una certa somma; b) può, anzi, deve operare una ritenuta; c) deve, infine, trasferire le ritenute alla tesoreria, secondo le norme della contabilità di Stato. La ritenuta diretta può essere a titolo d’acconto o a titolo d’imposta.
8. Il versamento diretto.
E’ denominato versamento diretto il versamento di somme effettuato dal contribuente, in base ad autonoma liquidazione della somma da versare (c.d autoliquidazione o autotassazione); viene detto diretto per distinguerlo da quello effettuato in base al ruolo. Nel campo delle imposte sui redditi, si ha versamento diretto nelle seguenti ipotesi:
a) versamenti delle ritenute operate dai sostituti d’imposta;
b) versamenti a titolo d’acconto dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR; tali versamenti costituiscono un acconto dell’imposta che risulterà dovuta per l’anno in cui sono versati gli acconti, e sono commisurati all’imposta dichiarata per l’anno precedente;
c) versamenti a saldo dell’IRPEF, dell’IRPEG e dell’ILOR: tali versamenti debbono essere effettuati entro il termine entro il quale deve essere presentata la dichiarazione annuale. Le somme predette debbono essere versate al concessionario della riscossione territorialmente competente da individuare in base al luogo di domicilio fiscale del contribuente. Il versamento si effettua o presso gli sportelli del concessionario o mediante delega bancaria. La banca, ricevuta dal contribuente la somma da versare all’erario, rilascia al contribuente una quietanza che libera il contribuente nei confronti del fisco. Secondo la giurisprudenza, l’accettazione della delega da parte dell’azienda di credito comporta la novazione dell’obbligazione preesistente: all’obbligazione tributaria (del contribuente) subentra quella della banca; l’obbligazione della banca verso il fisco ha natura privatistica.
9. I ruoli.
A) I casi nei quali la riscossione delle imposte sui redditi avviene mediante ruolo possono essere indicati, innanzitutto, in via residuale, cioè come l’insieme dei casi nei quali non è prevista la riscossione mediante ritenuta diretta o versamento diretto. Ricevuta la dichiarazione, non corredata dalla quietanza del versamento diretto delle imposte dovute in base all dichiarazione stessa, l’amministrazione finanziaria iscrive a ruolo le somme non versate. Vi sono tre ipotesi di iscrizioni a ruolo in base all dichiarazione: 1) presentazione della dichiarazione senza previo versamento diretto ( o con insufficiente versamento) delle somme liquidate ( nella stessa dichiarazione); 2) maggiori somme liquidate in base all dichiarazione per effetto del controllo formale e documentale della dichiarazione; 3) dichiarazione dei redditi soggetti a tassazione separata ( per tali somme non è previsto il versamento diretto).
Sono poi riscosse mediante ruolo le somme dovute in base agli accertamenti; nel campo delle imposte dirette, la riscossione tramite ruolo è l’unica prevista per gli importi dovuti in base agli accertamenti .
B) La legge distingue diverse specie di ruoli: - ruoli principali, nei quali sono iscritte le imposte liquidate in base alla dichiarazione; - r. suppletivi, nei quali sono iscritte le imposte dovute in base agli accertamenti; - r. speciali, nei quali sono iscritte le somme dovute dai sostituti; - r. straordinari, nei quali sono iscritte in via anticipata rispetto ai tempi ordinari, le somme per le quali vi sia fondato pericolo per la riscossione. Le imposte iscritte nei ruoli speciali e straordinari sono riscossi in unica soluzione, mentre sono riscosse in più rate quelle iscritte negli altri ruoli.
C) La formazione dei ruoli è di competenza degli uffici delle imposte ( per le riscossioni che hanno per titolo l’avviso di accertamento) e dei centri di servizio ( per le riscossioni che hanno per titolo la dichiarazione); nella formazione materiale dei ruoli, l’amministrazione è coadiuvata dal Consorzio obbligatorio dei concessionari della riscossione: i ruoli sono quindi trasmessi all direzione regionale che, a sua volta, dopo avervi apposto il visto di esecutorietà, li consegna al concessionario.
D) La consegna del ruolo al concessionario lo rende esigibile; il concessionario deve rendere note ai singoli soggetti iscritti le iscrizioni che li riguardano, mediante notificazione della cartella esattoriale; la cartella riproduce, in sostanza, i dati della singola partita di ruolo; dalla sua notificazione decorre il termine per ricorrere.
E) Dal punto di vista del contenuto, il ruolo si presenta come un elenco dei contribuenti con l’indicazione del tributo, nel periodo d’imposta, dell’imponibile, dell’imposta, delle somme dovute, ecc.. Il punto critico concerne la motivazione. A tal fine, può essere utile la distinzione tra ruolo meramente riproduttivo di un atto precedente ( nel qual caso non si ravvisa alcuna esigenza di motivazione) e ruolo innovativo, per il quale invece si pone l’esigenza di rendere edotto il contribuente delle ragioni dell’iscrizione.
10. Riscossione provvisoria e definitiva.
Le iscrizioni nei ruoli presuppongono un titolo che le giustifichi. Due sono i titoli che legittimano la riscossione mediante ruoli: la dichiarazione e l’avviso di accertamento. La legge distingue poi, in relazione al grado di stabilità del titolo, iscrizioni a ruolo a titolo definitivo e iscrizioni in base ad accertamenti non definitivi (o iscrizioni provvisorie). Le iscrizioni a titolo definitivo sono quelle che hanno per titolo la dichiarazione, gli accertamenti definitivi, le risultanze catastali e quelle che hanno per oggetto gli interessi, le soprattasse e le pene pecuniarie. Va precisato che iscrizione a titolo definitivo non significa iscrizione d’una somma irreversibilmente dovuta, in quanto i titoli delle iscrizioni in esame non sono definitivi in ogni caso. Infatti: a) la dichiarazione può essere contestata dal contribuente, mediante impugnazione del ruolo; b) l’accertamento definitivo potrebbe essere annullato in tutto o in parte dall’ufficio; c) anche le risultanze catastali potrebbero essere contestate; d)le soprattasse e le pene pecuniarie sono irripetibili solo quando l’atto che le ha irrogate è divenuto definitivo.
Le iscrizioni provvisorie sono quelle che hanno come titolo un avviso di accertamento non definitivo, ossia impugnato. Il nostro legislatore ha adottato un criterio intermedio, in base al quale: - se è proposto ricorso, diviene iscrivibile nei ruoli un terzo dell’imposta o della maggiore imposta accertata; - dopo la decisione di primo grado, è riscuotibile un importo pari a due terzi dell’imposta giudicata dovuta da tale decisione; - dopo la decisione di secondo grado, è iscrivibile una somma pari a tre quarti dell’imposta giudicata dovuta; - dopo la decisione di terzo grado, è riscuotibile l’intera imposta giudicata dovuta (con le pene pecuniarie).
11. Il pagamento delle somme iscritte a ruolo.
A) Circa il tempo del pagamento delle somme iscritte a ruolo, assume rilevanza la distinzione tra le diverse specie di ruoli.
B) Le imposte iscritte nei ruoli principali e suppletivi possono essere riscosse in dieci rate, se l’amministrazione lo consente. Il Ministro delle finanze può consentire la rateazione in 5 rate per le imposte iscritte nei ruoli speciali e straordinari nei confronti dei soggetti per i quali sussiste la necessità di mantenere i livelli occupazionali e di assicurare il proseguimento delle attività produttive, nonché nei confronti di soggetti che svolgono un servizio pubblico essenziale e nei confronti di enti territoriali.
C) Il giorno effettivo di scadenza non è il giorno 10 del mese, ma il 18, perché alla norma che fissa la scadenza al giorno 10 si sovrappone quella per cui il pagamento deve essere effettuato presso la sede dell’esattoria entro 8 gg. dalla scadenza. Decorso il termine utile per il pagamento, si rende dovuta una indennità do mora pari al 2% della somma non pagata, se il pagamento avviene nei 3 giorni successivi alla scadenza ( entro il 21); l’indennità sale al 6% se il pagamento è successivo al giorno 21.
D) Il pagamento può essere parziale e deve avvenire in contanti o con cedole del debito pubblico ovvero con altri titoli di credito bancari o postali a copertura garantita. Una singolare forma di datio in solutum è l’assolvimento del tributo mediante cessione allo Stato dei beni d’interesse storico od artistico, sottoposti a speciale tutela.
12. Gli effetti del ruolo.
Il ruolo è atto collettivo: contiene una molteplicità di “partite”, o iscrizioni. Interessa l’effetto della singola iscrizione, che è duplice: concerne, da un lato, l’obbligo di pagare, dall’altro l’esecuzione forzata. Nel caso di ruolo fondato su dichiarazione, non pare corretto affermare che il ruolo determina l’esigibilità del debito; questo debito, già in precedenza, doveva essere soddisfatto; il ruolo reitera l’obbligo, e l’inadempimento di questo obbligo apre la via all’esecuzione forzata. L’effetto del ruolo è invece definibile in termini di esigibilità quando il ruolo si fonda sull’avviso di accertamento; in tale ipotesi, l’iscritto non avrebbe potuto adempiere, prima del ruolo. Qui dunque il ruolo produce un effetto definibile in termini di esigibilità; inoltre, pone un obbligo di adempimento, la cui omissione permette anche qui l’esecuzione forzata. Poiché è stabilito che, se il ruolo non è impugnato, non è permesso agire per ripetere (ciò che è stato corrisposto in base all’iscrizione divenuta definitiva), è parso di doverne desumere che il ruolo abbia, in generale, valore di atto d’imposizione. Il ruolo non è atto costitutivo dell’obbligazione tributaria; esso è mero strumento di riscossione (ossia atto che se non viene pagata la somma iscritta, abilita l’amministrazione all’esecuzione forzata); posto tutto ciò, la mancata impugnazione del ruolo non dovrebbe consolidare altro che gli effetti del ruolo (azione esecutiva), e non dovrebbe impedire il rimborso delle somme riscosse mediante ruolo. L’art. 16 del d.p.r. n° 636 sembra peraltro contraddire questo svolgimento logico, in quanto stabilisce che l’istanza di rimborso è proponibile solo in assenza di atti impugnabili; quindi quando vi è l’iscrizione a ruolo, l’impugnazione del ruolo è la via obbligata da percorrere per ottenere l’annullamento del ruolo, il rimborso di ciò che è stato versato in base a ruolo. Tale norma però non riguarda tutte le iscrizioni a ruolo.
A) Essa riguarda in primo luogo, le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio; tali iscrizioni implicano un conguaglio, per cui, se in sede di iscrizione provvisoria viene riscosso più di quello che era riscuotibile per tale via, in sede di iscrizione definitiva sarà detratto tutto l’importo provvisoriamente riscosso, iscrivibile o no che fosse.
B) Il problema no riguarda il ruolo affetto da vizi propri, ossia il ruolo che, dovendo riprodurre un atto precedente, illegittimamente se ne discosti, per cui il rimborso deve essere effettuato d’ufficio a prescindere da istanze di parte.
C) Il problema non riguarda il ruolo che non sia stato preceduto da avviso di accertamento o di liquidazione; l’unico caso in cui si ha preclusione del rimborso è dunque quello in cui il ruolo sia stato formato in base alla dichiarazione, e si assuma che la dichiarazione è dichiarazione di un’imposta non dovuta.
13. Gli effetti riflessi del ruolo.
Si discute se il ruolo esplichi effetti, non solo sul soggetto iscritto, ma anche nei confronti di altri soggetti. In linea di principio , il ruolo – come ogni altro atto giuridico – esplica effetti solo nei confronti del soggetto, a cui si rivolge. Il titolo esecutivo non ha efficacia contro terzi, eccettuati gli eredi (l’eccezione è apparente; gli eredi non sono terzi, ma prendono su di sé le posizioni giuridiche del de cuius). Il titolo esecutivo, in conclusione, non ha efficacia verso i terzi; unica eccezione, a tale principio, se di eccezione si tratta, è costituita dai coobbligati dipendenti limitati; tali soggetti rimangono estranei al processo di esecuzione, ma il particolare diritto di garanzia che insiste sui loro beni ne consente il pignoramento e la vendita in virtù del titolo esecutivo riguardante l’obbligato principale; il caso della moglie, che abbia presentato dichiarazione congiunta con il marito.
Capitolo dodicesimo
Sezione terza – La riscossione delle imposte indirette –
14. Quadro generale.
La riscossione non coattiva delle imposte indirette si differenzia da quella delle imposte dirette perché è effettuata presso gli stessi uffici impositori; la riscossione coattiva è invece effettuata, sia per le imposte dirette, sia per le imposte indirette, mediante ruoli.
15. Riscossione in base alla dichiarazione.
Cominciamo ad esaminare i casi di iniziativa spontanea del contribuente. Dobbiamo allora distinguere tre gruppi: a) casi nei quali vi è l’obbligo di presentare una dichiarazione; b) casi nei quali vi è l’obbligo di una attività equivalente alla dichiarazione; c) casi in cui l’obbligo di pagamento sorge senza dichiarazione.
La dichiarazione è prevista per l’imposta sulle assicurazioni, imposta sul valore aggiunto, imposta sulle successioni, sulla pubblicità, gli spettacoli e sugli incrementi di valore degli immobili. Per l’imposta di registro, e per le imposte ipotecarie e catastali, in luogo della dichiarazione, vi è la richiesta di registrazione o di effettuazione della formalità. Infine, pagamento senza dichiarazione si ha per le tasse sulle concessioni governative e per talune forme di adempimento dell’imposta di bollo.
16. Riscossione in base all’avviso di accertamento.
Di questo atto, dobbiamo rilevarne due specie: a) l’avviso che determina sia l’imponibile, sia l’imposta, generando l’obbligo immediato di pagamento; b) l’avviso che, limitandosi a determinare l’imponibile, non determina l’obbligo immediato di pagamento. Nell’Iva l’avviso stabilisce imponibile ed imposta; dalla sua notificazione, sorge l’obbligo di pagamento. L’avviso di accertamento determina imponibile ed imposta anche nell’imposta sulla pubblicità e nell’imposta sugli spettacoli. In tutti questi casi, l’avviso è anche atto della riscossione; il mancato pagamento legittima l’iscrizione a ruolo. In altre imposte (registro, successioni ed imposte connesse), l’avviso determina solo la base imponibile, onde lo si denomina avviso di accertamento del maggior valore; ad esso segue l’avviso di liquidazione.
17. Riscossione in base all’avviso di liquidazione.
L’avviso di liquidazione è previsto per l’imposta di registro, imposta sulle successioni e per le altre imposte indirette. In tali imposte, la base della prima liquidazione è la stessa denuncia del contribuente; in seguito la liquidazione avverrà in relazione agli avvisi di accertamento ( i quali, in tali imposta indicano il valore dei beni, ma non l’imposta). L’avviso di liquidazione contiene la determinazione imperativa dell’imposta; in quanto atto della riscossione, esso racchiude un invito al pagamento dell’imposta. L’imposta deve infatti essere pagata entro un certo termine dalla notificazione dell’avviso (60 o 90 gg.). Se il pagamento non avviene nel predetto termine, si rende dovuta un soprattassa pari al 20% dell’imposta.
18. La riscossione provvisoria.
La distinzione tra riscossione definitiva e riscossione provvisoria, opera anche nelle imposte indirette. Solo per alcune imposte indirette è previsto un frazionamento del prelievo, in relazione all’andamento del processo; in altre imposte, l’amministrazione può riscuotere anche se vi è processo pendente. La riscossione provvisoria è prevista per l’imposta di registro, per l’imposta sulle successioni e donazioni, per l’INVIM e per l’Iva. La riscossione dell’imposta di registro è informata al principio per cui il ricorso del contribuente non sospende la riscossione, con due eccezioni: - le imposte complementari si riscuotono per un terzo dopo il ricorso, due terzi dopo il primo grado, l’intero dopo il secondo grado; - le imposte suppletive sono riscosse dopo il terzo grado.
Capitolo dodicesimo
Sezione quarta – Esecuzione forzata –
19. Il processo esecutivo.
Il ruolo non è soltanto strumento di legittimazione della riscossione spontanea, ma anche titolo esecutivo, ossia in base ad esso il concessionario può sottoporre ad esecuzione forzata i beni del debitore. L’esecuzione forzata fiscale è disciplinata dalle norme del diritto comune. L’avviso di mora deve contenere l’indicazione del debito e l’invito a pagare entro 5 gg.. L’avviso non preceduto da iscrizione a ruolo è atto impugnabile dinanzi alle commissioni. L’esecuzione immobiliare non può aver luogo se non è stata previamente esperita quella immobiliare. L’esecuzione si articola in tre momenti: pignoramento, vendita e assegnazione del ricavato. Il pignoramento dei beni mobili avviene nelle forme del diritto processuale comune, ad opera dell’ufficiale esattoriale, che deve redigere un verbale da consegnare e notificare al debitore esecutato. Per addivenire all vendita, il concessionario deve far affiggere un avviso per 5 gg. consecutivi nella casa comunale, nel quale deve essere indicata la data del primo e quella del secondo incanto. Se i beni non sono venduti al secondo incanto provvede a venderli il sindaco per trattativa privata. Il pignoramento dei beni immobili si esegue mediante trascrizione di un avviso di vendita. La vendita è presieduta dal pretore. Se dopo un primo ed un secondo incanto il bene non è venduto, l’intendente può autorizzare un terzo incanto. Se il terzo incanto ha esito negativo l’immobile è devoluto allo Stato. Epilogo della procedura è la distribuzione del ricavato.
20. Le opposizioni all’esecuzione.
Secondo il codice di procedura civile, vi sono tre forme di opposizione: - opposizione all’esecuzione, con cui si contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata; - opposizione agli atti esecutivi, con cui si contesta la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto o dei singoli atti esecutivi: - opposizione di terzo, promossa da un terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. In relazione all’esecuzione esattoriale, la legge non ammette né l’opposizione all’esecuzione, né l’opposizione agli atti esecutivi, ma solo l’opposizione di terzo. In luogo dell’opposizione all’esecuzione, il diritto tributario conosce un rimedio amministrativo; è il ricorso all’intendente.
21. La sospensione dell’esecuzione.
La legge stabilisce che il ricorso contro il ruolo non sospende la riscossione e che, tuttavia, l’intendente di finanza, sentito l’ufficio delle imposte, ha facoltà di disporla (cioè di disporre la sospensione non la riscossione). La sospensione può essere revocata ove sopravvenga fondato pericolo per la riscossione. Esiste dunque un potere dell’Amministrazione di sospendere la riscossione; l’esercizio del potere è subordinato alla presentazione d’un ricorso contro il ruolo, ed in mancanza di pericoli per la riscossione. Contro i provvedimenti dell’amministrazione è ammesso ricorso al giudice amministrativo, che potrebbe disporre la sospensione rifiutata.
22. L’ingiunzione.
L’ingiunzione era lo strumento della riscossione di tutte le tasse e imposte indirette: ora continua ad essere usata come atto di accertamento, mentre per la riscossione occorre il ruolo. Con atto di ingiunzione, la pubblica amministrazione ordina il pagamento dell’imposta; se il pagamento non avviene entro 30 gg., la pubblica amministrazione ha il diritto di dar corso all’esecuzione forzata. Quanto alla natura giuridica e agli effetti dell’ingiunzione, essa: se segue un atto d’imposizione ha natura di atto esattivo; se non è stata preceduta da avviso di accertamento, cumula le funzioni di atto impositivo e di atto esattivo.

Capitolo tredicesimo
Il rimborso
Sezione prima – Le fattispecie –
1. Credito d’imposta e rimborso da indebito.
Svariati sono i rapporti nei quali i privati sono in posizione di credito verso l’amministrazione finanziaria; simili posizioni possono essere denominate, in senso ampio, crediti d’imposta o diritti di rimborso. Il credito d’imposta si distingue dai rimborsi: il primo designa un credito estinguibile mediante compensazione, il secondo indica corresponsione della somma oggetto del credito. Dal punto di vista delle modalità di esercizio vi sono crediti che debbono essere esercitati mediante la loro inclusione nella dichiarazione dei redditi o nella dichiarazione Iva; e crediti da indebito, che implicano un’apposita istanza. Si ha dunque un tripartizione così articolata: a) crediti di rimborso la cui fattispecie costitutiva è un pagamento indebito
b) crediti di restituzione la cui fattispecie non è un pagamento indebito; e le cui modalità di esercizio non sono caratterizzate in termini di compensazione necessaria con il debito d’imposta;
c) crediti d’imposta in senso stretto che, non derivano da un pagamento indebito, e la cui modalità di esercizio è caratterizzata dalla compensazione con il debito d’imposta.
2. Genetica dell’indebito: a) carenza della legge.
Un pagamento è dovuto se oggetto di obbligazione; il pagamento non è vero e proprio pagamento, ma dazione indebita, quando manca ab origine, o viene meno in seguito il rapporto obbligatorio. Tra le cause della mancanza del rapporto, dobbiamo innanzitutto annoverare le ipotesi in cui manca, o viene ex post a mancare la norma di legge istitutiva dell’obbligazione. Le ipotesi prospettabili sono le seguenti:
a) inesistenza della norma di legge istitutiva del tributo: ossia applicazione amministrativa d’un tributo non previsto da alcuna legge vigente;
b) mancata conversione in legge di un decreto legge;
c) abrogazione retroattiva della norma impositiva, o introduzione retroattiva di una norma di favore;
d) interpretazione autentica contra fiscum;
e) dichiarazione di incostituzionalità.
3. Segue: b) dichiarazione inesatta.
Un’altra causa di pagamento non dovuto può essere una dichiarazione erronea: si ipotizzi, ad esempio, che la dichiarazione contenga redditi non percepiti o non tassabili. Ove una simile dichiarazione sia accompagnata dal versamento della somma liquidata nella dichiarazione stessa, tale versamento appare parzialmente indebito. Se si concepisce la dichiarazione come atto di per se sufficiente a costituire il debito, riesce arduo ammettere che l’indebito possa essere ripetuto, in assenza d’un contrarius actus che ponga nel nulla gli effetti della dichiarazione. Seguendo, invece, la tesi secondo cui la dichiarazione è un mero atto, costitutivo di una obbligazione ex lege quale componente, con il presupposto, d’una fattispecie complessa, nel caso dianzi prospettato, l’obbligazione nasce solo nella misura in cui, con la dichiarazione, coesiste il presupposto. Il plus erroneamente dichiarato e versato, quindi, è un plus indebito, che la finanza è tenuta a restituire.
4. Segue: c) accertamento illegittimo.
Se, con l’avviso di accertamento, l’ufficio accerta un debito superiore a quello risultante dalla corretta applicazione della legge alla situazione di fatto, l’obbligazione sorge ugualmente, nella misura in cui è determinata dall’avviso. L’indebito si profila solo se, e nella misura in cui l’avviso è annullato, in tutto o in parte, dal giudice: in tal caso, solo a seguito di annullamento dell’avviso diviene indebito ciò che è stato pagato in osservanza dell’atto.
5. Segue: d) riscossione indebita.
Un’altra serie di ipotesi, nelle quali può aversi indebito, attiene alla riscossione. Nel campo delle imposte sui redditi può darsi:
a) liquidazione erronea di somme direttamente versate;
b) vizio proprio del ruolo (es. viene iscritta a ruolo una somma superiore a quella dovuta in base al titolo che legittima la riscossione).
Capitolo tredicesimo
Sezione seconda – Il procedimento –
6. Articolazione generale.
Esiste tutto un complesso di regole, intese a disciplinare il procedimento di rimborso: ossia il complesso di attività che verificano ed attuano il credito di rimborso. La disciplina generale, applicabile nei casi in cui non vi siano norme specifiche è così riassumibile: - atto iniziale del procedimento di rimborso è una istanza dell’interessato;
- l’istanza è proponibile in caso di versamento diretto o qualora manchino o non siano stati notificati atti impugnabili;
- l’istanza è proponibile nei termini previsti dalle singole leggi d’imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro 2 anni dal pagamento, ovvero se posteriore, da quando sia sorto il diritto alla restituzione;
- all’istanza segue l’accoglimento (atto di rimborso), o il rigetto della stessa ( provvedimento di diniego), ovvero l’inerzia dell’ufficio;
- in caso di provvedimento di diniego l’interessato può proporre ricorso alla commissione entro 60 gg.; se il ricorso è omesso non può essere riproposta l’istanza;
- in caso di silenzio, l’interessato può ricorrere quando siano trascorsi almeno 90 gg. dalla presentazione dell’istanza e fino a quando il rimborso non è prescritto.
7. Imposte sui redditi.
In materia di rimborso di imposte sui redditi, la disciplina del procedimento varia in funzione della modalità con cui è stata riscossa la somma di cui si chiede il rimborso.
A) Per le ritenute dirette, è previsto che il contribuente possa chiederne il rimborso con ricorso rivolto all Direzione regionale competente per il luogo in cui ha il domicilio fiscale, entro il termine decennale di prescrizione previsto dal codice civile.
B) Per il rimborso dei versamenti diretti, il soggetto che li ha effettuati può presentare, alla Direzione regionale, istanza di rimborso entro 18 mesi dalla data del versamento. Il rimborso può essere chiesto anche dal soggetto che sia stato indebitamente assoggettato a ritenuta, o che sia stato assoggettato a ritenuta superiore a quella dovuta, entro 18 mesi, dalla data in cui è stata operata la ritenuta. Tale soggetto può tutelarsi in due modi: può esporre, in sede di dichiarazione, le ritenute subite, e può inoltre presentare domanda di rimborso, in base alla norma in esame. Secondo la giurisprudenza, tale soggetto non può rivolgersi contro il sostituto, che ha operato una ritenuta indebita, ma può agire solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
C) Per le somme corrisposte in base ad iscrizione a ruolo, la legge non disciplina espressamente l’istanza di rimborso; la ragione sta nel fatto che, in tale ipotesi, la procedura muove, non tanto da un’istanza di rimborso rivolta all’autorità amministrativa, ma dal ricorso contro il ruolo; il rimborso, infatti, presuppone l’annullamento del ruolo; annullato il ruolo il rimborso deve essere disposto d’ufficio. Vanno ora indicate le norme concernenti l’esercizio dei crediti d’imposta; dei crediti, cioè da far valere mediante dichiarazione. Conclusivamente può dirsi che, in sede di dichiarazione, il contribuente deve indicare l’imposta netta ( ossia l’imposta lorda meno le detrazioni); l’imposta netta si compensa con i crediti d’imposta, con le ritenute e con i versamenti d’acconto. Quando l’ammontare dei crediti d’imposta, delle ritenute e degli acconti è superiore all’imposta netta, il dichiarante ha un diritto di opzione sull’eccedenza; può domandarne il rimborso oppure compensarla con l’imposta dovuta per il periodo successivo.
8. Imposte indirette.
Esaminiamo ora, le norme che disciplinano l’istanza di rimborso di imposte indirette. In tale settore, ha un certo carattere di generalità la regola per cui il rimborso deve essere richiesto, a pena decadenza, entro 3 anni dal pagamento. Tale termine vale per l’imposta di registro, per l’INVIM, per l’imposta sulle successioni e donazioni, per le imposte ipotecarie e catastali, per l’imposta sugli spettacoli, per le tasse sulle concessioni governative e per il bollo pagato in modo virtuale. Per quel che concerne l'imposta sul valore aggiunto, occorre distinguere il rimborso di somme indebitamente versate dal credito d’imposta derivante dall’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa. La legge regola minutamente l’esercizio del credito d’imposta, stabilendo: a) che le detrazioni vanno computate nel mese di competenza e che quelle non computate tempestivamente non possono essere computate nei mesi successivi ma solo nella dichiarazione annuale; b) che il contribuente perde il diritto alle detrazioni non computate per i mesi di competenza ne in sede di dichiarazione annuale.
9. Il rimborso d’ufficio.
E’ importante distinguere i casi in cui il procedimento di rimborso inizia per impulso dell’interessato, dai casi di rimborso d’ufficio. In caso di rimborso d’ufficio non essendo previsto alcun termine, opera solo quello prescrizionale previsto dal codice civile.
A) Un primo ordine di fattispecie, in cui il rimborso deve essere disposto d’ufficio, riguarda i crediti risultanti dalla dichiarazione dei redditi ( per i quali il dichiarante non abbia optato per il riporto a nuovo, nella dichiarazione d’imposta dell’anno successivo).
B) Un secondo ordine di casi riguarda i rimborsi da effettuare a seguito di decisioni delle commissioni; se l’imposta iscrivibile a ruolo in base ad una decisione è inferiore a quella iscritta, l’ufficio deve disporre lo sgravio.
C) Infine, tutti i casi in cui la riscossione indebita dipende da errori materiali o duplicazioni imputabili allo stesso ufficio (es. Iscrizione a ruolo di una somma superiore a quella accertata), il rimborso deve essere disposto d’ufficio.
10. Il diniego.
Le norme che prevedono istanze di rimborso o che il fisco provveda al rimborso di sua iniziativa, non sono norme che fondano il credito di rimborso, ma norme che disciplinano l’attuazione: sono, cioè, norme di natura procedimentale, non norme sostanziali. Bisogna dunque distinguere il rapporto sostanziale di rimborso dal fenomeno procedimentale che serve ad attuarlo; le norme passate in rassegna non sono una duplicazione o una esplicitazione del principio generale dell’indebito, ma norme regolatrici delle attività preordinate a verificare ed attuare il diritto al rimborso. Dall’istanza di rimborso non nasce il diritto al rimborso, ed il debito di rimborso, ma una situazione giuridica procedimentale; l’istanza obbliga l’amministrazione ad attivarsi, per verificare la fondatezza della domanda, ed a pronunciarsi su di essa, accogliendola o rigettandola. Dall’istanza, cioè, sorge l’obbligo di procedere e l’obbligo di pronuncia. Il provvedimento di diniego dispone il rigetto dell’istanza, ed estingue il dovere di pronuncia.
11. Il silenzio.
Quando l’amministrazione rimane inerte e non provvede sull’istanza, l’interessato può presentare ricorso alla commissione, purché siano decorsi 90 gg. dalla precedente istanza, e fino a quando il diritto al rimborso non è prescritto. E’ invece da ritenere che il silenzio non abbia valore di provvedimento e che, in particolare, non equivalga ad un provvedimento di diniego. E’ dunque un silenzio privo di effetti sul piano sostanziale ( esso non estingue il credito, come il diniego) ed ha valore solo processuale, come presupposto del ricorso. Quando viene presentato ricorso a seguito di silenzio, non viene proposta un’azione di impugnazione, ma un’azione di accertamento; insieme con l’accertamento del credito, l’interessato può altresì chiedere la condanna dell’amministrazione al rimborso.
12. L’atto di rimborso.
La competenza a disporre il rimborso spetta, in materia di imposte dirette, alla Direzione regionale. E’ invece l’ufficio delle entrate che dispone il rimborso dei versamenti diretti e delle ritenute non computati nel ruolo, delle imposte riscosse in via provvisoria. Nel settore delle imposte indirette, i rimborsi sono disposti dagli stessi uffici, che sono competenti ad accertare e riscuotere le imposte.

Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Sezione prima – introduzione –
1. Nozione di illecito e di sanzione.
Strutturalmente, sanzione è una norma che impone ad un organo dello Stato l’applicazione di certe misure; siamo in presenza, dunque, di poteri (e doveri) statali; la cui specificità deriva: - dai caratteri delle situazioni, in presenza delle quali debbono essere esercitati; si tratta, come si usa dire, di trasgressioni, di violazioni di norme; in una parola, di illeciti; - dall’oggetto del potere, in altri termini dalla tipologia degli effetti, che scaturiscono dall’esercizio di questo potere; le specie più notevoli di questi effetti consistono in pene detentive o in pene pecuniarie. Il diritto tributario pullula di sanzioni; difficile concepire dei consociati che adempirebbero spontaneamente obblighi tributari non sanzionati; negli ultimi tempi, il legislatore ha mostrato una predilezione particolare per le misure penali.
2. Tipologie degli illeciti e delle sanzioni.
La tipologia degli illeciti dipende da quella delle sanzioni; dove è prescritta una sanzione penale, amministrativa, civile, disciplinare, ivi è un illecito penale, amministrativo, ecc.. Un comportamento, o una omissione, non sono illeciti ontologicamente, ma in quanto costituiscano l’antecedente di una sanzione. Abbiamo dunque un illecito penale, ossia un reato, quando ad esso è collegata una sanzione penale. Le sanzioni amministrative tributarie, secondo la legge del 1929, sono di tre specie: a) pena pecuniaria; b) soprattassa; c) chiusura di un esercizio pubblico o negozio, o di uno stabilimento commerciale od industriale. Pena pecuniaria (sanzione amministrativa) e sanzioni penali, dunque, sono in rapporto di alternatività ; la legge può stabilire in aggiunta alla sanzione penale o amministrativa, l’obbligo del pagamento di una soprattassa. La soprattassa, vista come misura aggiuntiva rispetto alle sanzioni, sembra non essere una sanzione, ma una misura riparatoria o risarcitoria. La legislazione attuale non rispecchia quel modello; pena pecuniaria (sanzione amministrativa) e sanzioni penali possono cumularsi; può esservi cumulo anche tra sanzione penale e soprattassa; l’alternativa sembra correre, piuttosto, tra pena pecuniaria e soprattassa; inoltre la funzione risarcitoria sembra affidata agli interessi per ritardato pagamento, che sono dovuti indipendentemente dalle sanzioni. Il cumulo tra sanzioni penali e amministrative è previsto espressamente dalla legge.
Capitolo quattordicesimo
Le sanzioni
Sezione seconda – Le misure amministrative –
4. Le fattispecie.
Iniziamo l’esame degli illeciti amministrativi cui è collegata una pena pecuniaria o una soprattassa.
A) In materia di Iva, le violazioni degli obblighi formali (fatturazione, registrazione, dichiarazione, contabilità, compilazione di elenchi, mancata risposta a questionari) sono punite con pena pecuniaria; l’omesso o tardivo versamento è punito con soprattassa.
B) In materia di imposte sui redditi, seguendo analogo criterio, il legislatore punisce con pena pecuniaria le violazioni relative alla dichiarazione e ad altri obblighi; le violazioni in materia di riscossione, invece, sono punite prevalentemente con soprattassa.
C) In materia di imposte di successione e di registro il legislatore, seguendo lo stesso criterio, punisce con pena pecuniaria le violazioni relative alla dichiarazione e ad altri obblighi formali, e punisce con soprattassa l’omesso o tardivo versamento.
5. La pena pecuniaria.
A) La pena pecuniaria consiste nell’obbligazione di pagare una somma di denaro.
B) La misura della pena pecuniaria varia tra un minimo ed un massimo; nell’applicazione si ha riguardo alla gravità della violazione e alla personalità di chi l’ha commessa; la personalità del trasgressore è desunta dai precedenti penali e giudiziari e, in genere dalla sua condotta. Esistono peraltro dei casi nei quali la pena pecuniaria è stabilita in misura fissa: es. È punita in misura fissa l’omessa presentazione della copia della dichiarazione dei redditi destinata al comune.
C) Gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.
D) La giurisprudenza ha sempre fatto leve sul carattere civile della obbligazione, in cui consiste l pena pecuniaria, per affermarne la trasmissibilità agli eredi; la dottrina ha insistito sul carattere sanzionatorio dell’istituto per escludere la trasmissibilità.
E) Se la violazione della norma finanziaria è commessa da più persone, queste sono obbligate in solido.
F) E’ prevista un’attenuazione del principio del cumulo delle pene in caso di continuazione.
6. La soprattassa.
La soprattassa si distingue dalla pena pecuniaria per la misura; essa non varia da un minimo ad un massimo, ma è stabilita dalla legge in una somma fissa, corrispondente all’ammontare del tributo, ovvero ad una frazione o ad un multiplo di esso. Anche in materia di soprattasse le commissioni hanno il potere di dichiararne la non applicabilità per motivi di incertezza sulla portata della norma da applicare. Accentuandone il carattere risarcitorio, la giurisprudenza tende a considerarla un accessorio del tributo, e quindi ad estendere all soprattassa la disciplina prevista, ad esempio, in materia di privilegi e di interessi moratori.
7. Altre sanzioni.
Gli illeciti amministrativi sono puniti, oltre che con le sanzioni già esaminate, con altre sanzioni, c.d. accessorie: - lo scioglimento degli organi amministrativi e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio del credito, per gli enti di credito che violino le norme in tema di certificazioni di passività bancarie e in tema di deroghe al segreto bancario; - la decadenza dal diritto di fruire di contributi o altre provvidenze dello Stato; - la sospensione dall’esercizio della professione; - la sospensione dall’esercizio di un’attività commerciale.
8. Il procedimento applicativo della pena pecuniaria.
La legge del 11929 attribuisce la competenza ad applicare la pena pecuniaria all’intendente (Direzione regionale) nella cui circoscrizione sia stata accertata la violazione; i decreti di attuazione della riforma tributaria hanno conferito tale competenza agli uffici delle imposte, per le pene pecuniarie relative ai tributi le cui controversie appartengono alla giurisdizione delle commissioni. Occorre dunque distinguere tra pene pecuniarie irrogate dall’intendente e pene pecuniarie irrogate dall’ufficio.
A) La competenza dell’intendente (Dir. regionale) in materia di pena pecuniaria, venuta meno per i tributi di maggiore rilievo (imposta sul reddito, Iva, imposte di registro, ecc..), permane per le imposte di bollo, concessione governativa, pubblici spettacoli, tasse di circolazione, imposte di fabbricazione, imposte doganali, ecc.. Secondo la legge del 1929, la Dir. regionale, prima di applicare la pena pecuniaria, deve notificare al trasgressore il verbale di accertamento, invitandolo a presentare le sue deduzioni entro il termine di 15 gg.. Decorso tale termine, l’amministrazione può irrogare la pena pecuniaria con ordinanza motivata. L’ordinanza acquista valore esecutivo se nel termine di 30 gg. non è impugnata con ricorso al Ministro delle finanze. Contro il decreto del Ministro è consentito agire dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.
B) Quando la pena pecuniaria è applicata dallo stesso ufficio che accerta il tributo, esso irroga la pena pecuniaria con l’avviso di accertamento relativo al tributo; se la pena non discende da fatti di evasione, ma dalla violazione di prescrizioni meramente formali, l’ufficio irroga la pena con apposito avviso. Il provvedimento è impugnabile con ricorso alle commissioni tributarie.
9. Estinzione della pena pecuniaria.
Le sanzioni amministrative (pena pecuniaria e soprattassa) si estinguono con l’adempimento, ma vi sono altre ipotesi di adempimento.
A) Vediamo, innanzitutto, la c.d. definizione in via breve “per le violazioni delle norme delle leggi finanziarie, per cui sia stabilita la pena pecuniaria, è consentito al trasgressore di pagare all’atto della contestazione della violazione una somma pari al sesto del massimo della pena, oltre l’ammontare del tributo”. Pagando e rinunciando implicitamente a sollevare contestazioni, il trasgressore ottiene unno sconto. In materia di imposte sui redditi, per le violazioni che non danno luogo ad accertamenti, la pena pecuniaria non può essere irrogata qualora, nel termine di 30 gg. dalla data del verbale, sia eseguito il pagamento di un sesto del massimo della pena pecuniaria. In questa ipotesi il pagamento del sesto del massimo della pena non si accompagna al pagamento del tributo; la finanza non può irrogare la sanzione ma resta indenne il potere di imporre il tributo. Una norma analoga è presente in materia di Iva, anche qui non è richiesto il pagamento del tributo.
B) Secondo la legge del 1929, si ha estinzione della pena pecuniaria, per prescrizione con il decorso di 5 anni dal giorno della violazione; per la soprattassa con il decorso del termine per la prescrizione del tributo.
C) Le sanzioni amministrative possono estinguersi per effetto di condono. L’istituto non è previsto in via generale da alcuna legge, ma concesso volta a volta con provvedimenti ad hoc. Il legislatore consente, a coloro che abbiano commesso violazioni di leggi tributarie di ravvedersi, ossia di provvedere, ora per allora, all’adempimento omesso; le sanzioni sono condonate a chi si avvede.
D) Infine, vi può essere estinzione dell’illecito amministrativo per effetto dell’esonero. In base ad un decreto ministeriale del 1931 l’autorità amministrativa può con valutazione discrezionale, ridurre o abbandonare le pene pecuniarie. La riduzione è ammessa per le imposte indirette, quando ricorrano particolari circostanze che giustificano un benevolo trattamento (mancato o insufficiente pagamento, ovvero irregolarità di semplice forma). L’abbandono (o esonero dal pagamento della sanzione) è consentito in tre casi: a) per le violazioni che si riferiscono a casi di dubbia applicazione del tributo; b) per le violazioni bagatellari dell’imposta di bollo; c) per le violazioni anteriori ad una legge di condono, quando gli atti non siano stati regolarizzati in tempo perché non in possesso del trasgressore.
Capitolo quattordicesimo
Sezione terza – Le misure penali –
10. La riforma.
Consideriamo le norme penali riguardanti le imposte dirette e l’imposta sul valore aggiunto.
A) La legge del 1929 conteneva il c.d. principio di fissità, non potevano essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa dal legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate. La riforma del 1982 lo ha soppresso.
B) Altro importante principio della legge del 1929 abolito nel 1982 è la c.d. pregiudiziale tributaria; il principio, cioè, previsto per le imposte dirette dalla legge del 1929 ed esteso all’Iva dal decreto istitutivo di tale ultima imposta, per cui l’azione penale non può aver corso se non quando è divenuto definitivo l’accertamento del tributo. Si constatò che tale principio aveva reso praticamente inoperante l’efficacia intimidatoria delle sanzioni penali poiché, data la lungaggine del processo tributario, l’azione penale poteva avere inizio solo a distanza di molto tempo dalla comunicazione del fatto illecito. Per abolire la pregiudiziale sono state infatti modificate le norme incriminatrici, le quali ora, prevalentemente non puniscono l’evasione ( ossia l’omessa, incompleta o infedele dichiarazione) ma la commissione di fatti prodromici o strumentali all’evasione o altri fatti il cui accertamento non implica la risoluzione di questioni estimative.
11. Principi generali.
Il diritto penale tributario segue le regole generali del diritto penale comune. Vi sono però principi e norme particolari che vanno qui ricordati:
A) Una prima deroga alle norme penali comuni concerne la successione di leggi penali finanziarie. Secondo il codice penale in caso di successione di leggi penali nel tempo si applica la legge successiva se più favorevole al reo; tale legge, cioè è retroattiva, se più favorevole di quella vigente quando fu commesso il fatto. La retroattività della legge più favorevole al reo non vale in materia penale tributaria.
B) Secondo un principio generale del diritto penale, nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. Accogliendo gli auspici di larga parte della dottrina, la Corte cost. Ha limitato la portata dell’art. 5 c.p., statuendone l’incostituzionalità nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della legge penale l’ignoranza inevitabile. Dopo la sentenza della Corte cost., l’art. 5 c.p. va letto così: “l’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti di ignoranza inevitabile”. L’errore per escludere la punibilità dev’essere un errore sulla norma e deve aver cagionato un errore sul fatto.
C) In materia di concorso di reati, la legge penaltributaria del 1929 reca una norma particolare, che diverge dalla disciplina del codice penale. Tale norma dispone innanzitutto che “per ogni violazione di legge si applica la relativa sanzione”; il che significa che le pene si sommano (cumulo materiale), in presenza di concorso omogeneo (violazione della stessa disposizione); il codice penale, invece, prevede il cumulo giuridico delle pene. La legge penaltributaria prevede, poi, delle attenuazioni “nel caso di violazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione può essere applicata una sola volta”.
D) In materia di prescrizione, la legge del 1982 deroga al codice penale prevedendo una prescrizione di 7 anni per la contravvenzione di omessa dichiarazione e di 6 anni per gli altri reati contravvenzionali; pure di 6 anni è la prescrizione per i delitti.
12. La contravvenzione di omessa dichiarazione.
E’ innanzitutto sanzionata penalmente l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e della dichiarazione Iva, quando l’ammontare dei redditi fondiari, corrispettivi, ricavi, compensi o altri proventi non dichiarati è superiore a 50 ml. di lire. E’ da notare che viene dato rilievo penale all’omissione della dichiarazione, non quando l’ammontare dell’imponibile supera una data soglia, ma quando i valori attivi non dichiarati superano la soglia minima. Due sono pertanto gli elementi costitutivi del reato: l’omessa presentazione della dichiarazione e il fatto che gli elementi non dichiarati superino un certa entità. Ora nel caso di omessa dichiarazione abbiamo che: - se l’importo non dichiarato è superiore a 100 ml. si applicano congiuntamente la pena dell’arresto e dell’ammenda; il reato quindi non è oblazionabile (l’arresto va da tre mesi a due anni e l’ammenda da 10 a 20 ml.)
- se l’ammontare non dichiarato è superiore a 50, ma non a 100 ml., la pena è disgiuntamente, l’arresto o l’ammenda (arresto fino a 2 anni a ammenda fino a 5 ml.); il reato quindi è oblazionabile.
Non si considera omessa:
- la dichiarazione presentata entro 90 gg. dalla scadenza del termine prescritto;
- la dichiarazione presentata ad un ufficio incompetente;
- la dichiarazione non sottoscritta;
- la dichiarazione non redatta su uno stampato conforme al modello ministeriale.
13. La contravvenzione di infedele dichiarazione.
La legge punisce, da un lato l’omessa dichiarazione (quale che sia il soggetto che la ometta , ed eccettuati soltanto i lavoratori dipendenti, in taluni casi), e dall’altro l’infedele dichiarazione: quest’ultima fattispecie, però, concerne soltanto i titolari di redditi diversi da quelli di lavoro autonomo e d’impresa. La legge distingue, infatti, i lavoratori autonomi e gli imprenditori (nei cui confronti punisce l’omessa contabilizzazione) dai soggetti non obbligati alla tenuta della contabilità: per questi ultimi, è criminalizzato il comportamento di infedele dichiarazione che, in assenza di obblighi di contabilizzazione, si presenta come l’unico comportamento suscettibile di sanzione. Come per il reato di omessa dichiarazione, vi è da distinguere un’ipotesi standard (non oblazionabile) e un’ipotesi minore, che è invece oblazionabile. Infatti:
- quando l’ammontare dichiarato è inferiore a quello effettivo di oltre 100 ml., si ha congiuntamente, la pena dell’arresto e quella dell’ammenda (arresto da tre mesi a due anni e ammenda da dieci a 20 ml.); il reato quindi non è oblazionabile;
- quando l’ammontare dichiarato è inferiore a quello effettivo di oltre un quarto di quest’ultimo e di oltre 50 ml. (ma non di oltre 100 ml.), il reato è oblazionabile perché è applicabile, disgiuntamente, l’arresto fino a due anni o l’ammenda fino a 4 ml..
14. La contravvenzione di omessa fatturazione o annotazione di corrispettivi.
Questo reato contravvenzionale è uno dei più caratteristici della riforma del 1982; con tale legge, viene punita l’infedele dichiarazione per i redditi per i quali non vi è l’obbligo di contabilità; dove invece vi è l’obbligo di emettere fatture o di compiere annotazioni contabili, si puniscono le violazioni di tali obblighi. Il reato è commesso quando non vengono fatturati e non vengono annotati corrispettivi superiori a determinati importi. Più precisamente si ha l’ipotesi base (non oblazionabile) quando:
- è omessa l’annotazione di corrispettivi nelle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi, per un ammontare superiore a 150 ml. e allo 0,25 % dei corrispettivi indicati nell’ultima dichiarazione o, comunque superiore a 500 ml.;
- è omessa la fatturazione o l’annotazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini Iva, per un ammontare superiore a 150 ml. e allo 0,25 % dei corrispettivi dell’ultima dichiarazione o superiore a 500 ml..
In tali ipotesi, il trattamento sanzionatorio è identico a quello previsto per l’ipotesi base del reato di infedele dichiarazione: si applicano congiuntamente, la pena dell’arresto e quella dell’ammenda ( arresto da tre mesi a due anni e ammenda da dieci a venti ml.) Si ha invece ipotesi attenuata, con possibilità di oblazione, quando l’ammontare complessivo dei corrispettivi non fatturati o non annotati è superiore a 50 ml. e al 2 % dei corrispettivi indicati nell’ultima dichiarazione o comunque superiore a 100 ml.; in questa ipotesi si applica la pena dell’arresto fino a due anni o dell’ammenda fino a 4 ml..
Vediamo ora, le esimenti. Non si considerano omesse le annotazioni e le fatturazioni di corrispettivi, quando ricorra una delle seguenti ipotesi:
a) le annotazioni siano state effettuate in taluna delle scritture contabili la cui mancata tenuta o conservazione è punita come reato; i dati delle operazioni risultino da documenti la cui emissione e conservazione è obbligatoria, i relativi corrispettivi siano compresi nella dichiarazione annuale e sia versata l’imposta dovuta;
b) i corrispettivi non annotati o non fatturati risultino compresi nelle dichiarazioni e sia versata l’imposta dovuta,
c) si tratti di operazioni che non danno luogo all’applicazione delle relative imposte;
d) le annotazioni risultino da scritture contabili obbligatorie del periodo d’imposta precedente o successivo a quello di competenza.
15. La contravvenzione di omessa tenuta o conservazione di talune scritture contabili.
Questo reato è integrato all condotta di chi non tiene, o non osserva per il periodo necessario taluna delle seguenti scritture contabili: libro giornale; libro degli inventari; registro delle fatture; registro dei corrispettivi; registro degli acquisti. Si considerano non tenute le scritture contabili non regolarmente bollate e non vidimate, nonché quelle inattendibili nel loro complesso a causa di irregolarità gravi, numerose e ripetute.
16. I reati del sostituto.
Sono tre le figure di reato che hanno come soggetto attivo il sostituto. Una figura sanziona obbligo di dichiarazione, due obbligo di versamenti.
A) Il sostituto che omette di presentare la dichiarazione annuale è punito a titolo contravvenzionale, quando l’ammontare delle somme pagate e non dichiarate è superiore, nel periodo d’imposta, a 50 ml.. La pena comminata è quella dell’arresto fino a 2 anni o quella dell’ammenda fino a 5 ml.;
B) Il sostituto che omette di versare, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale ritenute per un ammontare complessivo superiore, in un periodo d’imposta, a lire 50 ml., è punito con l’arresto fino a 3 anni oppure con l’ammenda fino a 6 ml.;
C) Il sostituto che omette di versare, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un ammontare complessivo superiore, in un periodo d’imposta, a 25 ml, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire tre ml. a lire 5 ml..
Il secondo reato è contravvenzionale, il terzo è un delitto; le differenze tra i due reati stanno in ciò che: - la soglia minima è di 50 ml. in un caso, di 25 nell’altro; - nel terzo reato si richiede il rilascio ai sostituti della certificazione delle ritenute.
17. I delitti di frode fiscale: generalità.
Frode fiscale torna utile per classificare una serie di ipotesi delittuose, che il legislatore tratta unitariamente.
A) Le condotte.
Le sei ipotesi delittuose sono le seguenti:
a) rilascio o utilizzazione di scritture o documenti contraffatti o alterati;
b) distruzione o occultamento di scritture o documenti contabili;
c) indicazione di nomi diversi da quelli veri in elenchi allegati alla dichiarazione;
d) rilascio o utilizzazione di fatture false o di altri documenti falsi;
e) indicazione nei certificati rilasciati dal sostituto al sostituito di somme diverse da quelle effettivamente corrisposte;
f) indicazione nelle scritture contabili, o nel bilancio, o nella dichiarazione, di elementi positivi o negativi di reddito, in misura falsa;
Abbiamo quindi accanto al reato di distruzione od occultamento della contabilità, che viene indicata come “frode fiscale per soppressione” (sub b), un’ipotesi di reato di “falso materiale” (sub a); le rimanenti 4 ipotesi sono tutte inquadrabili come reati di falso ideologico.
B) Il dolo.
Per tutte le ipotesi di reato, il legislatore esige che il dolo sia specifico; occorre, cioè, che il fatto sia commesso alfine di evadere le imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto o di conseguire un indebito rimborso ovvero di consentire l’evasione o l’indebito rimborso a terzi.
C) La pena.
La legge prevede, come sanzioni, la reclusione da sei mesi a 5 anni e la multa da 5 a 10 ml.. Se i fatti previsti alle lettere a, b, c, e, f, sono di lieve entità, abbiamo un’attenuante: la sanzione detentiva e quella patrimoniale sono alternative e la loro misura è minore. Non si ha lieve entità quando gli importi sono superiori a 50ml..
18. La frode mediante falso materiale.
Commette questo reato chiunque allega alla dichiarazione annuale dei redditi dell’imposta sul valore aggiunto o di sostituto d’imposta, comunque, rilascia o utilizza documenti contraffatti o alterati. I penalisti distinguono il falso materiale dal falso ideologico: il primo riguarda il documento come res, il secondo il documento come segno. Il documento materialmente falso è non genuino, quello ideologicamente falso è non veridico. La falsità materiale può aversi in due forme: a) con alterazione, che si ha quando il documento, dopo la sua formazione, subisce modificazioni (aggiunte, cancellature, ecc.); b) con la contraffazione, che si ha quando il documento è formato da persona diversa da quella da cui appare, provenire.
19. La frode per soppressione.
Commette questo reato chiunque distrugge od occulta in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione del volume d’affari o dei redditi. Il reato previsto dal codice penale ha per oggetto qualsiasi atto pubblico o scrittura privata, quello fiscale ha per oggetto le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione. Inoltre ai fini della realizzazione del reato fiscale, non basta il fatto in se della distruzione o dell’occultamento, ma occorre che il fatto sia concretamente lesivo; occorre; cioè, che, a causa di quel fatto, risulti impedita la ricostruzione del reddito o del volume d’affari su basi contabili.
20. Le frodi mediante falso ideologico.
In questa classe di reati rientrano 4 fattispecie, tutte caratterizzate dal fatto che la condotta si riferisce a documenti, fiscalmente rilevanti, nei quali è scritto il falso.
1) Commette reato chi, negli elenchi nominativi allegati alla dichiarazione annuale o nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto d’imposta indica nomi immaginari o comunque diversi da quelli veri in modo che ne risulti impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferiscono. Sono qui previste due figure criminose: quella di chi indica nomi immaginari e quella di chi indica nomi diversi da quelli veri. In relazione alla seconda ipotesi, si richiede che il fatto sia concretamente lesivo e cioè che la indicazione di nomi falsi impedisca l’individuazione dei nomi veri.
2) Commette reato chi emette o utilizza fatture o altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti o recanti l’indicazione dei corrispettivi o dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale; ovvero emette o utilizza fatture o altri documenti recanti l’indicazione di nomi diversi da quelli veri in modo che ne risulti impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferiscono. I tipi di condotta penalmente rilevanti sono tre:- emissione o utilizzazione di fatture aventi ad oggetto operazioni in tutto o in parte inesistenti; - emissione o utilizzazione di fatture recanti la indicazione di corrispettivi o dell’Iva in misura superiore a quella reale (c.d. sovrafatturazione); - emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti recanti la indicazione di nomi diversi da quelli veri in modo che ne risulti impedita la identificazione dei nomi veri.
3) Commette reato chi nei certificati rilasciati ai soggetti ai quali ha corrisposto compensi o altre somme soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di acconto indica somme al lordo delle ritenute, diverse da quelle effettivamente corrisposte e chi fa uso di essi.
21. Falsità della dichiarazione o del bilancio.
La norma in esame punisce colui che indica nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall’art. 1, ricavi, proventi o altri componenti positivi del reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento dei fatti materiali.
A) Soggetti attivi del reato.
Nel caso di persone fisiche, vi è coincidenza tra soggetto dichiarante e autore del reato; nel caso delle società invece autori del reato sono coloro che agiscono per la società. E’ penalmente responsabile il soggetto che sottoscrive la dichiarazione dei redditi della società; i singoli consiglieri di amministrazione e i sindaci rispondono penalmente quando abbiano partecipato al reato commesso, ad esempio, dall’amministratore delegato.
B) La condotta
Nella condotta che integra questo reato vanno distinti due momenti: l’indicazione dei componenti reddituali falsi e il comportamento fraudolento. Commette reato infatti chi espone dati falsi nella dichiarazione ovvero nel bilancio; il mendacio nella dichiarazione o nel bilancio deve però essere accompagnato da un altro elemento, di tipo fraudolento: o l’utilizzo di documenti falsi o in generale un altro comportamento fraudolento.
C) L’oggetto della condotta.
Altro punto dubbio è se, per integrare il reato occorra che la condotta investa congiuntamente bilancio e dichiarazione. Data la lettera della legge (dichiarazione ovvero bilancio) sembra sufficiente che la condotta investa uno soltanto di tali documenti. In pratica comunque sembra improbabile che la falsità vi sia nel bilancio e non nella dichiarazione o viceversa.
D) Assenza di soglia minima.
Ai fini di questo reato non vi è una soglia minima; la ragione di ciò è evidente; chi pone in essere un comportamento fraudolento va punito per il fatto che il comportamento è fraudolento, astraendo da valutazioni quantitative; la quantità rileva solo come attenuante; se l’importo è inferiore a 50 ml. si ha una circostanza di attenuazione della pena edittale.
E) Alternatività tra contravvenzioni ex art. 1 e delitto ex art. 4 lett. f).

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Capitolo Sedicesimo – Il processo tributario –
Sezione prima – Le commissioni e le parti –
1. Cenno storico.
Con la legge del 1865 furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e la tutela dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, anche in materia tributaria, fu affidata al giudice ordinario. Non furono abolite, però, le commissioni tributarie, che in seguito assunsero veste di organi contenziosi, articolati in tre gradi. Si aveva così un sistema di tutela molto complesso, che si componeva di tre gradi di giudizio dinanzi alle commissioni, e di tre gradi dinanzi al giudice ordinario. Il d.p.r. n° 636 del 72 è stato sostituito con la riforma dal d.lgs. n° 546 del 92. Con tale riforma vi erano due gradi di giudizio dinanzi a commissioni di primo e secondo grado; vi era poi un terzo grado di giudizio, che poteva svolgersi, alternativamente, dinanzi alla commissione tributaria centrale o dinanzi alla corte d’appello. La sentenza di terzo grado poteva essere impugnata per cassazione. La disciplina del processo tributario contenuta nel d.p.r. 636 presentava difetti e lacune, sia per quanto riguardava la composizione delle commissioni, sia per quanto riguardava il processo.
2. La riforma del 1991-1992: luci ed ombre.
La riforma del 92 ha come base la l. N° 413 del 1991, con cui il parlamento delegò il governo a riformare le commissioni ed il processo tributario. Da tale delega sono scaturiti i decreti legislativi 545 e 546 del 1992, concernenti rispettivamente, l’ordinamento delle commissioni ed il processo tributario. Con tale riforma sono state istituite commissioni tributarie provinciali e regionali; si ha così un giudizio su due gradi di merito, cui segue il giudizio dinanzi alla Corte di cassazione. Vi è un adeguamento del processo tributario alle norme del processo civile. Inoltre vi è una norma generale di rinvio al c.p.c.. Il rinvio opera: a) quando nessuna norma del decreto lgs. 546 del 92 disciplina una certa fattispecie; b) se la norma del codice di p.c. risulta compatibile con i caratteri del processo tributario. Aspetti positivi sono la riduzione dei gradi di giudizio e l’istituzione della tutela cautelare; aspetti criticabili:
- la mancata introduzione di strumenti idonei a ridurre la massa contenziosa
- la mancata istituzione dei giudici tributari e la scarsa preparazione professionale di alcune categorie di membri delle commissioni
- il c.d. adeguamento al c.p.c. cioè ad un testo ideologicamente superato.
3. L’ordinamento delle commissioni e i giudici tributari.
Le commissioni tributarie si articolano in commissioni provinciali e regionali. La commissione tributaria provinciale è formata da 2 o più sezioni, a ciascuna delle quali è assegnato un presidente, un vicepresidente e 4 membri; il collegio giudicante è formato da 3 componenti: due membri e il presidente. Il presidente della commissione è sempre un magistrato. I giudici delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del P. Della Repubblica, su proposta del Ministro delle Finanze, a seguito di deliberazione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. A proposito dei requisiti: La delega imponeva la qualificazione professionale dei giudici tributari in modo che venga assicurata adeguata preparazione nelle discipline giuridiche o economiche, acquisita con l’esercizio di almeno 10 anni di attività professionali; ma le norme delegate non sono conformi alla delega. Il decreto delegato non richiede per alcune categorie i 10 anni di attività, e possono far parte delle commissioni anche ingegneri, architetti, geometri, periti edili.
3.1 Competenza territoriale.
Nel processo tributario non vi è una distribuzione delle competenze per materia o valore: il ricorso introduttivo della lite è da proporre sempre ad una commissione tributaria provinciale. Unico criterio da seguire è quello territoriale; lo stesso criterio si segue per individuare la commissione tributaria regionale competente per l’appello. Se il ricorso è presentato ad una commissione non competente, il ricorrente può riassumere la causa dinanzi a quella competente.
4. Le parti e la difesa tecnica.
Il ricorso può essere proposto solo da chi è legittimato a farlo, ossia dal destinatario dell’atto che viene impugnato. Per le azioni di rimborso è legittimato colui che ha presentato istanza di rimborso. Il ricorrente deve farsi assistere in giudizio da un difensore tecnico. Il difensore non è necessario quando:
- controversie di valore inferiore a 5 ml.
- ricorsi contro i ruoli formati dai centri di servizio
- controversie promosse da soggetti che sono abilitati all’assistenza tecnica.
Difensori tecnici possono essere: avvocati, procuratori legali, commercialisti, ragionieri. La difesa può essere svolta anche da altri soggetti, ma con capacità limitata:
- i consulenti del lavoro, per cause concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati
- ingegneri, architetti, geometri, per le cause in materia catastale
- i dipendenti delle associazioni di categoria, per le cause riguardanti gli associati.
4.1. La parte resistente.
E’ parte necessaria al processo tributario il soggetto che ha emesso l’atto che si impugna. Tenuto conto degli atti che possono essere impugnati, si constata che la legittimazione passiva è attribuita a tre categorie di soggetti:
- uffici del ministero delle finanze
- enti locali
- concessionari della riscossione.
Le prime due categorie stanno in giudizio senza difensore tecnico.
4.2. Il litisconsorzio necessario.
Al processo tributario possono partecipare, oltre al ricorrente e al resistente, anche altri soggetti: si parla di litisconsorzio. Si ritiene che si ha litisconsorzio necessario quando l’oggetto del contendere è una situazione giuridica plurilaterale, tale per cui la decisione deve essere pronunciata nei confronti di tutti, ossia quando sarebbe inefficace se fosse pronunciata nei confronti di uno soltanto. Il caso più ricorrente è l’atto di accertamento di obbligazioni solidali. Non si ha, però una situazione di inscindibilità; la sentenza che dovesse accogliere l’impugnazione proposta da uno soltanto dei coobbligati non sarebbe inutiliter data, perché comunque essa produrrebbe effetti tra creditore e ricorrente. La giurisprudenza, in materia di liti per il rimborso di ritenute, esige, che al processo partecipino sostituto e sostituito; il sostituito non può agire dinanzi al giudice ordinario contro il sostituto, ma deve agire dinanzi alle commissioni, in contraddittorio sia del sostituto, sia dell’amministrazione. Se vi è litisconsorzio necessario, il ricorso deve essere proposto congiuntamente dai colegittimati necessari; se ciò non avviene il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio e il ricorrente deve chiamare in causa il litisconsorte. Altrimenti il processo si estingue.
4.3. L’intervento.
Il litisconsorzio può essere anche facoltativo. Esso può sorgere dal fatto che altri soggetti intervengono in un processo già instaurato, o sono chiamati in giudizio. Il d. lgs. 546 limita fortemente la possibilità di intervento a due categorie di soggetti: a) a chi è destinatario dell’atto impugnato; b) a chi è parte del rapporto controverso. Infatti, l’intervento c.d. principale non è configurabile nei processi d’impugnazione, ma soltanto nei processi di rimborso, nei quali si può ammettere l’intervento di chi assume essere titolare del diritto di rimborso, in luogo di chi ha già instaurato il processo, contrapponendosi all’originario ricorrente. L’intervento nei processi d’impugnazione è limitato a chi assume come titolo di legittimazione di essere destinatario dell’atto impugnato. Se è già avvenuta la notifica dell’atto, il destinatario che lo ha già impugnato non ha motivo di intervenire nel processo instaurato dal co- destinatario; duplicherebbe il processo avviato come ricorrente; inoltre non ha motivo di intervenire invece che proporre ricorso. Resta possibile l’intervento del destinatario di un atto, che non ha ricevuto la notifica (il condebitore in solido che interviene nel processo instaurato da altro coobbligato); egli può intervenire per sostenere le ragioni del ricorrente, ove si ritenga che sia legittimato da un interesse, non meramente di fatto, ma giuridicamente rilevante.

Sezione seconda – Il giudizio di primo grado –
5. Contenuto del ricorso.
L’atto iniziale del processo tributario è il ricorso, che un atto il cui contenuto è una domanda motivata rivolta al giudice. Il ricorso deve contenere l’indicazione:
1) della commissione adita
2) del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza, e del codice fiscale
3) dell’ufficio del ministero o dell’ente locale o concessionario contro cui il ricorso è proposto
4) dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda
5) dei motivi
Tranne l’indicazione del codice fiscale, tutte le altre indicazioni previste dalle legge sono prescritte a pena di inammissibilità.
5.1. La notificazione del ricorso: modi e termini.
Il ricorso deve essere innanzitutto notificato al soggetto contro cui è proposto. La notifica può essere fatta in tre modi: la prima modalità è quella prevista dal c.p.c. ( ufficiale giudiziario). Gli altri due modi sono: la spedizione postale e la consegna dell’atto alla controparte. La notificazione del ricorso deve essere fatta entro 60 gg. dalla notificazione dell’atto contro cui si ricorre. Per i ricorsi proposti contro il rifiuto tacito non è previsto alcun termine decadenziale. Il termine per impugnare è sospeso quando il contribuente, che riceve avviso di accertamento, presenta all’ufficio istanza di concordato. Tale periodo di sospensione è di 90 gg..
5.2. Il ricorso contro il ruolo formato dai Centri di Servizio.
Il ricorso è indirizzato anche qui alla commissione, ma va presentato al centro di servizio, che può accoglierlo prevenendo così la lite. Decorsi 6 mesi (non oltre i 2 anni) dalla presentazione del ricorso al C.d.S., se non vi è stata accoglimento da parte del Centro, il ricorrente, deve presentare copia del ricorso presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale. Tale segreteria richiede l’originale del ricorso al C.d.S..
5.3. Gli atti impugnabili.
Il processo tributario può essere instaurato solo con la impugnazione di uno degli atti indicati dal legislatore. Tali atti si dividono in: autonomamente impugnabili e non autonomamente impugnabili. I primi sono i seguenti:
1) avviso di accertamento
2) avviso di liquidazione
3) provvedimento che irroga sanzioni
4) iscrizione a ruolo e cartella di pagamento
5) avviso di mora
6) rifiuto espresso o tacito di restituzione
7) atti delle operazioni catastali
Gli atti non inclusi nell’elenco sono impugnabili non autonomamente ma insieme con quelli impugnabili.
5.4. I motivi del ricorso.
Ogni atto può essere impugnato per i vizi che lo concernono (vizi propri) e non per i vizi che riguardano altri atti; un atto non può essere impugnato per vizi di atti precedenti. Per i ricorsi contro l’avviso di accertamento non vi sono limitazioni; tutti i vizi dell’avviso, di forma o di sostanza, che possono determinare l’annullamento, sono deducibili come motivi del ricorso. Nell’impugnazione dell’avviso di liquidazione, può essere fatto valere ogni vizio che attenga alla liquidazione. L’iscrizione a ruolo con la cartella di pagamento, presuppone un avviso di accertamento o una dichiarazione; i vizi dell’accertamento debbono essere fatti valere impugnando tale atto, e quindi non possono essere fatti valere impugnando il ruolo. L’avviso di mora è atto del Concessionario della riscossione e non dell’ufficio delle entrate. Se l’avviso di mora non è stato preceduto dalla cartella di pagamento, lo si potrà impugnare per tale motivo. Se invece è stato preceduto dalla notificazione della cartella potrà essere impugnato contestando che vi sia mora. Circa il provvedimento sanzionatorio, è da ricordare che la applicazione delle sanzioni amministrative, nelle imposte le cui controversie sono attribuite alle commissioni, è di competenza dello stesso ufficio che amministra l’imposta. Pertanto l’impugnazione dell’atto amministrativo che applica una sanzione, è diretta all’annullamento dell’atto sanzionatorio.
5.5. Azioni esperibili. Le azioni di impugnazione; critiche alla teoria dichiarativa.
Per una parte della dottrina, l’impugnazione mira all’annullamento dell’atto. Per un’altra parte della dottrina, invece, il giudizio avrebbe natura impugnatoria, perché avrebbe come esito una sentenza di natura dichiarativa. La giurisprudenza segue un orientamento sincretistico. Essa è infatti legata agli assunti secondo cui il rapporto tributario nasce, per legge, al verificarsi del presupposto, sicché gli atti dell’amministrazione finanziaria hanno effetti dichiarativi. Da tali premesse le conseguenze sono:
- quando l’impugnazione verte su vizi formali dell’atto, e il giudice riconosce fondato il ricorso, si ha l’annullamento dell’atto impugnato; il giudice riconosce fondato il ricorso, si ha l'annullamento dell'atto impugnato; il giudizio ha quindi i caratteri del giudizio di annullamento, ed in tale annullamento si esaurisce;
- quando non sono sollevate questioni di vizio formale, o queste sono superate, il giudizio verte sull’an o sul quantum dell’imposta; in tali casi il giudizio assume i caratteri di un giudizio di accertamento
- infine, hanno carattere impugnatorio anche le azioni di rimborso, sia quando esercitate con ricorso avverso il provvedimento di rifiuto, sia quando esercitate a seguito di silenzio dell’amministrazione.
Critica alla teoria dichiarativa.
5.6. Le azioni di condanna.
Il ricorso può essere proposto, non solo dopo che l’amministrazione ha rifiutato il rimborso, ma anche quando si impugna un provvedimento d’imposizione, e si chiede il rimborso di ciò che sarà pagato in via provvisoria nelle more del giudizio. L’atto con cui l’amministrazione respinge un’istanza di rimborso è inserito espressamente tra gli atti impugnabili. Con il ricorso il contribuente chiede: che venga accertato il suo credito; che venga annullato il rifiuto del rimborso; che l’amministrazione venga condannata a pagare. La domanda di rimborso va presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta. Se le singole leggi non dispongono nulla, il termine è di due anni. Il termine per la presentazione del ricorso è invece collegato al rifiuto: se è espresso entro 60 gg. dalla notificazione dell’atto; se è tacito non vi è alcun termine processuale, ed opera il termine di prescrizione del diritto al rimborso.
6. La costituzione in giudizio.
Il ricorrente, dopo aver notificato il ricorso, deve costituirsi in giudizio; deve, cioè, formare un fascicolo e depositarlo presso la segreteria della commissione. La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso.
7. Esame preliminare del presidente della sezione.
Alla costituzione in giudizio segue: la segreteria forma il fascicolo del processo e lo sottopone al presidente della commissione , che assegna il ricorso ad una delle sezioni. Il presidente della sezione lo esamina e può dichiararne l’inammissibilità :
se ricorre uno dei casi di inammissibilità previsti espressamente; se l’inammissibilità è manifesta.
8. Le attività preparatorie dell’udienza di trattazione.
Il passo successivo del processo è la fissazione dell’udienza di trattazione, di cui deve essere dato avviso alle parti costituite almeno 30 gg. prima.
9. L’udienza di trattazione e la decisione della controversia.
La trattazione della controversia può avvenire in pubblica udienza o in camera di consiglio. La prima deve essere chiesta da una delle parti. L’udienza si svolge nel modo seguente: le parti sono ammesse alla discussione; quindi il collegio giudicante delibera in camera di consiglio, ma la sentenza è resa pubblica con il deposito. Non sono ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande. Il deposito della sentenza avviene presso la segreteria della commissione.
10 La sospensione del processo.
Ogni giudice di regola può assolvere non solo la questione principale della lite ma ogni altra questione logicamente prioritaria. Vi sono quindi dei casi in cui il giudice deve sospendere il processo e attendere che la questione sia risolta da altro giudice. Per il giudice tributario le regole di sospensione sono diverse rispetto al giudice civile. Infatti si ha sospensione in soli due casi: quando viene presentata querela di falso e quando debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o sulla capacità delle persone. Il processo deve essere sospeso anche quando viene presentato regolamento preventivo di giurisdizione, e quando viene sollevata questione di costituzionalità o di interpretazione di norme comunitarie.
11. L’interruzione del processo.
Quando muore la parte privata o il suo legale rappresentante o il suo difensore. Le conseguenze dell’interruzione sono analoghe al quelle della sospensione, non possono essere compiuti atti del processo.
12. Estinzione del processo.
La conclusione naturale del processo è la sentenza, ma si può anche estinguere per:
1) rinuncia al ricorso
2) inattività delle parti
3) cessazione della materia del contendere
La rinuncia non ha effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo. Per inattività delle parti il processo si può estinguere nei casi in cui l’impulso di parte è previsto come necessario per la prosecuzione del giudizio. Si ha cessazione della materia del contendere quando viene meno l’oggetto del processo: ad esempio quando vi è conciliazione.

Sezione terza – Le prove –
11. Le facoltà e poteri delle parti.
La norma cardine in tema di prove, è quella secondo cui il giudice, salvi i casi previsti dalle legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti. Non sono ammesse prove orali.
12. I poteri del giudice.
Lo stesso giudice può assume iniziative istruttorie. Le commissioni tributarie ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferiti agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta. Pertanto il giudice può: 1) disporre accessi e ispezioni; 2) richiedere dati, informazioni e chiarimenti; 3) ordinare l’esibizione di documenti; 4) richiedere relazioni tecniche ad organi dello Stato; 5) disporre lo svolgimento di una consulenza tecnica. Il giudice non può indagare su fatti che non siano stati indicati dalle parti.
12.1. I singoli poteri istruttori: accesso, richiesta di dati e di documenti.
A) Il potere di accesso è previsto sia ai fini iva, sia ai fini delle imposte sui redditi; esso viene effettuato per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche.
B) Tali poteri sono disciplinati mediante il rinvio alle singole leggi d’imposta. Ai fini delle indagini tributarie non esiste più il segreto bancario.
C) Le commissioni hanno la facoltà di ordinare alla parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia; tale ordine non può invece coinvolgere i terzi.
13. Le relazioni e le consulenze tecniche.
Le commissioni possono nominare un consulente tecnico. Quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, la commissione tributaria può richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici, compreso il corpo della g.d.f..
13.1. Regole in tema di giuramento, testimonianza e confessione.
Sono innanzitutto esclusi il giuramento e la prova testimoniale. Il divieto della prova testimoniale ha come unica ratio la speditezza del processo. La confessione non è né ammessa né esclusa. Può comunque accadere che il contribuente dichiari, nel processo, fatti a se sfavorevoli, e non vi è ragione per ritenere che il giudice non ne debba tenere alcun conto. Sono escluse le prove non esibite in sede di ispezioni e verifiche.
13.2. Le prove assunte nel processo penale e il giudicato penale.
Nel corso di indagini di polizia giudiziaria, siano rinvenuti documenti, o assunte dichiarazioni, che potrebbero essere rilevanti in ambito tributario. In linea di principio , tali prove e notizie non sono utilizzabili, perché coperte dal segreto previsto dall’art. 329 c.p.p.. In deroga a tale principio, il giudice penale, se ritiene che non vi sia pregiudizio per il processo penale, può autorizzarne l’utilizzazione ai fini fiscali. Dal punto di vista dell’efficacia soggettiva, è da notare che il vincolo derivante dal giudicato penale vale soltanto nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale. Dal punto di vista oggettivo, è da precisare che il giudicato penale è circoscritto da numerosi limiti oggettivi:
a) efficacia limitata ai fatti materiali, che siano stati accertati come fatti rilevanti per il giudizio penale
b) deve trattarsi degli stessi fatti materiali, da cui dipende il riconoscimento del diritto o dell’interesse su cui si controverte
c) infine deve trattarsi di fatti rispetto a cui la legge civile non ponga limitazioni di prova.
13.3. Le prove vincolanti; in particolare, i processi verbali.
Di regola il giudice valuta liberamente le prove. Va ricordato che valgono anche per il giudice tributario le norme sull’efficacia probatoria dell’atto pubblico e della scrittura privata. L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
13.4. Le presunzioni legali, assolute e relative. Le presunzioni del redditometro.
Il diritto tributario è ricco di presunzioni legali. Abbiamo presunzione legale, quando, da un fatto noto, il giudice in base ad un vincolo di legge, ne deve inferire un fatto ignoto. In materia di IVA, si presumono venduti i beni acquistati, quando non si rinvengono presso l’azienda dell’imprenditore; e che si presumono acquistati senza fattura i beni rinvenuti presso un imprenditore, di cui non sia giustificato il possesso. Se non è ammessa alcuna prova contraria la presunzione è assoluta, altrimenti è relativa. Un caso di presunzioni incerte tra l’assoluto e il relativo riguarda quelle contenute nel redditometro. Il decreto ministeriale contenente il redditometro prevede però che l’ufficio può escludere, per comprovati motivi, e per non oltre un terzo, che il valore determinato in base ai coefficienti ministeriali costituisca reddito attribuibile al contribuente; quindi le presunzione è assoluta fino a due terzi, per il resto è relativa. La giurisprudenza ritiene che siano presunzioni relative.
13.5. Presunzioni semplici e presunzioni semplicissime.
Le presunzioni semplici sono quelle formulate dal giudice e devono essere basate su elementi gravi, precisi e concordanti. Vi sono però anche dei casi in cui le presunzioni sono ammesse anche in assenza di tali requisiti. Tali norme riguardano casi in cui non si tratta di accertare un fatto ma di determinare un valore. Le presunzioni semplicissime non sono autentiche presunzioni, perché non riguardano l’accertamento di un fatto, ma ad un ragionamento di tipo induttivo ossia ad una valutazione equitativa. Non sempre le presunzioni semplici sono ammesse nel processo tributario; non lo sono quando il legislatore per certe imposte, pone un sistema chiuso di regole probatorie, imponendo determinati mezzi di prova.
14. L’onere della prova.
Il problema dell’onere della prova si presenta al giudice quando, al momento della decisione, di un fatto non esista né la prova che è avvenuto, né la prova che non si è verificato. In altri termini, in sede giudiziale, il fatto non provato equivale a fatto non avvenuto. Nel processo tributario di impugnazione la mancata prova dei fatti, se contestati dal ricorrente, equivale alla prova negativa; il che significa dire che l’amministrazione ha l’obbligo di provare i fatti sui quali si fonda l’atto impugnato. Un fatto assunto come presupposto per l’emanazione di un atto amministrativo, si aveva per processualmente provato, fino a che il ricorrente non avesse fornito la prova negativa. Questo assurdo privilegio del fisco ha cessato di operare. In conclusione l’amministrazione finanziaria, deve provare i presupposti del provvedimento che ha emesso. Quando il contribuente impugna un atto che nega una esenzione, si ritiene che il contribuente sia onerato dalla prova dei presupposti dell’esenzione. Quando il contribuente agisce invece per ottenere un rimborso, deve dimostrare i presupposti del suo diritto.
Sezione quarta – I provvedimenti del giudice –
15. I provvedimenti del collegio: sentenze e ordinanze.
Il giudice tributario, come il giudice civile può emettere tre tipi di atto: sentenze, ordinanza e decreto. Il collegio si pronuncia con sentenza in tutti i casi in cui definisce il giudizio; si ha sentenza quindi, non solo quando il collegio decide il ricorso al merito, ma anche quando dichiara l’estinzione del giudizio o l’inammissibilità del ricorso. La sentenza è l’unico atto di cui è disciplinato il contenuto. Sottoscritta dal presidente e dal relatore deve contenere: 1) l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei difensori; 2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo; 3) le richieste delle parti; 4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto; 5) il dispositivo.
Il collegio pronuncia ordinanza in tutti i casi in cui non definisce il giudizio ( non pronuncia sentenza). Es: sospensione cautelare dell’atto impugnato.
15.1. I decreti.
I decreti, per lo più, regolano lo svolgimento del processo, e sono provvedimenti del presidente. Sono dunque atti generalmente ordinatori. Il presidente della sezione dichiara con decreto l’inammissibilità manifesta del ricorso, la sospensione del processo, e l’estinzione del processo. Contro i provvedimenti del presidente è ammesso reclamo al collegio, da notificare alle altre parti entro 30 gg. dalla comunicazione del provvedimento.
16. Questioni di competenza e giurisdizione.
Prima di decidere il merito, il giudice deve verificare se la causa appartiene alla sua giurisdizione e alla sua competenza. Se la commissione si dichiara incompetente, deve altresì indicare il giudice competente.
16.1. La disapplicazione dei regolamenti e degli atti amministrativi generali.
Dinanzi al giudice tributario si possono impugnare solo provvedimenti individuali; il giudice tributario, non può quindi annullare gli atti amministrativi generali e i regolamenti, ma , se sono legittimi, può disapplicarli. Il vizio della norma generale o regolamentare è conosciuto incidenter tantum, e la norma, disapplicata nel caso singolo, conserva la sua vigenza ed efficacia erga omnes.
Anche nel processo tributario le spese della lite sono a carico del soccombente.
16.2. Le sentenze in materia di annullamento.
Le sentenze con cui sono respinte le domande di impugnazione hanno natura di sentenze di mero accertamento, in quanto esse si limitano a dichiarare l’inesistenza del diritto all’annullamento dell’atto impugnato. Quando l’amministrazione, a seguito della sentenza che respinge l’impugnazione di un avviso di accertamento, iscrive a ruolo la somma da riscuotere, non esegue la sentenza, ma segue l’avviso di accertamento; analogamente, se viene respinto un ricorso contro il ruolo, il ruolo non è sostituito dalla sentenza. Le sentenze, che accolgono le domande di impugnazione hanno come contenuto caratteristico, l’annullamento (totale o parziale) dell’atto impugnato. Con l’impugnazione che da vita al processo tributario, quindi , si mira all’annullamento, non alla sostituzione dell’atto: l’impugnazione è di tipo rescindente, non di tipo rescissorio.
16.3. Le sentenze in materia di rimborso.
Per conseguire una tutela completa, il contribuente non deve limitarsi a impugnare il provvedimento negativo o a censurare il silenzio, ma deve chiedere che venga accertato il suo diritto al rimborso e che l’amministrazione sia condannata a rimborsare. Il ricorrente, dunque, quando agisce per un rimborso, deve chiedere, ed il giudice deve emettere, una decisione dal contenuto complesso, con cui viene statuito, non solo l’annullamento del diniego, ma anche l’accertamento del credito del ricorrente e la condanna dell’amministrazione a rimborsare.
17. La cosa giudicata sostanziale.
Per cosa giudicata sostanziale si intende dunque quel particolare effetto della sentenza, che scaturisce dalla statuizione di esistenza (o di inesistenza) del diritto fatto valere in giudizio. E' invece estraneo al giudicato tutto ciò che precede la pronuncia di accertamento, come pure ciò che la segue.
17.1. La cosa giudicata formale.
Indica la stabilità che una sentenza acquisisce, quando non è più impugnabile in via ordinaria. Si dicono infatti passate in giudicato le sentenze non suscettibili di impugnazione ordinaria.
Sezione quinta – Le impugnazioni –
18. Le impugnazioni in generale; impugnazioni sostitutive vs. impugn. rescindenti.
I mezzi di impugnazione provocano un nuovo giudizio, per porre rimedio ai vizi di una sentenza: essi devono essere distinti in due tipi: impugn. rescindenti e sostitutive. Le prime conducono ad una pronuncia di mero annullamento della sentenza impugnata, le seconde ad una pronuncia che sostituisce a tutti gli effetti quella impugnata. Tipica impugnazione rescindente è il ricorso per cassazione; tipica impugnazione sostitutiva è l’appello. Si ha allora il seguente schema:
1) per quanto riguarda l’oggetto del giudizio di impugnazione, mentre le impugnazioni sostitutive sottopongono, al giudice ad quem, lo stesso oggetto di giudizio del grado precedente, le impugnazioni rescindenti sottopongono, al giudice ad quem, quale oggetto del giudizio, la decisione gravata;
2) per quanto riguarda i motivi, le impugnazioni rescindenti sono proposte solo per motivi specificamente e tassativamente previsti dal legislatore; nelle impugnazioni sostitutive, invece, i motivi non sono predeterminati;
3) per quanto riguarda la cognizione del giudizio di impugnazione, nell’impugnazione rescindente il giudice limita la sua cognizione ai motivi dell’impugnazione; nei giudizi sostitutivi, sono devoluti al nuovo giudice tutti i materiali già acquisiti nel processo
4) infine la decisione rescindente, se giudica fondati i motivi di gravame, elimina la precedente sentenza, aprendo così la strada ad una nuova decisione del merito (giudizio rescissorio); se giudica non fondati i motivi, lascia in vita la pronuncia impugnata; la decisione sostitutiva, invece, prende il posto in ogni caso, della pronuncia impugnata.
18.1. La disciplina generale delle impugnazioni nel processo tributario.
Dal testo del D.lgs. n° 546 desumiamo che i mezzi d’impugnazione, conosciuti dal processo tributario sono: 1) l’appello alla commissione tributaria regionale, contro le sentenze della commissione tributaria provinciale; 2) il ricorso per cassazione, contro la sentenza della commissione tributaria regionale; 3) la revocazione. Sono mezzi di impugnazione ordinaria l’appello, il ricorso per cassazione, e la revocazione c.d. ordinaria, e che le sentenze passano in giudicato quando non sono più suscettibili di impugnazione con uno di tali mezzi; è invece impugnazione straordinaria la revocazione straordinaria, proponibile anche con sentenze passate in giudicato.
19. Appello principale e appello incidentale.
Le sentenze delle commissioni tributarie provinciali possono essere appellate con ricorso alla commissione tributaria regionale. L’atto di appello va proposto entro il termine di 60 gg. dalla notificazione della sentenza di primo grado. L’appello dell’ufficio delle entrate deve essere autorizzato dalla Direzione regionale, altrimenti è inammissibile. L’atto di appello deve essere notificato alla controparte; alla notificazione deve seguire la costituzione in giudizio. La parte appellata, se è anch’essa soccombente, può a sua volta appellare proponendo, nell’atto di controdeduzioni, appello incidentale.
19.1 Il contenuto dell’atto di appello e i motivi specifici dell’impugnazione.
L’oggetto del giudizio di appello è fissato dall’atto di appello; tale atto deve contenere, tra l’altro, a pena di inammissibilità l’esposizione dei fatti, l’oggetto della domanda e i motivi specifici dell’impugnazione. Occorre distinguere i motivi del ricorso di primo grado dai motivi dell’appello, che sono , invece critiche rivolte contro la sentenza di primo grado. L’appellante ha un doppio onere: riproporre i motivi di critica dei provvedimenti, dedotti nel ricorso di primo grado, e censurare la sentenza che non li ha accolti.
19.2. L’oggetto del giudizio di appello: il divieto di nuove domande e l’effetto devolutivo.
L’oggetto del giudizio di appello è delimitato dall’atto di appello, ed, in particolare, dal petitum dell’atto di appello, che, indica quali sono i capi della decisione di primo grado, su cui viene richiesto un nuovo giudizio. Se non viene richiesta la riforma integrale, si avrà una scissione della prima sentenza, perché vi sarà una parte che sarà sostituita dalla pronuncia di appello, ed una parte, non impugnata, che passa in giudicato. Si parla, in tal caso, di giudicato interno o parziale, derivante da acquiescenza impropria. Data la struttura impugnatoria del processo tributario, il divieto di nuove domande in appello riguarda soltanto il ricorrente, non l’amministrazione resistente. Quale è il significato di tale divieto?
Ricordato che la domanda si compone del petitum e della causa petendi, tale divieto, con riguardo al petitum, impedisce la richiesta di cosa diversa o più estesa di quella richiesta in primo grado. Inoltre, non può essere mutato il motivo della domanda, né possono essere introdotti nuovi motivi. A proposito del divieto di nuove eccezioni: le eccezioni sono dunque, nel processo tributario, le deduzioni che la parte resistente contrappone al ricorrente; ma va precisato che le nuove eccezioni, vietate in appello, sono soltanto le eccezioni in senso sostanziale, non le semplici difese, che si collegano a quanto già contenuto nell’atto impugnato.
19.3. Effetto devolutivo limitato ed onere di riproposizione delle questioni ed eccezioni non accolte in primo grado.
In relazione ai capi che hanno formato oggetto di impugnazione, invece, si ha il c.d. effetto devolutivo, per cui le deduzioni ed i materiali acquisiti in primo grado passano automaticamente all’esame del secondo giudice. Quindi la parte vittoriosa in primo grado, che abbia proposto più questioni, e che sia risultata vittoriosa essendo stata accolta una soltanto delle questioni dedotte, ha l’onere di riproporre le questioni non accolte.
20 Le sentenze di appello; sentenze di merito e sentenze di rito.
Anche le decisioni di appello possono avere contenuto soltanto processuale o contenuto di merito. Le decisioni di merito sostituiscono quelle di primo grado, sia quando accolgono, sia quando respingono l’appello. Le decisioni di puro rito sono così classificabili:
1) decisioni dichiarative della inammissibilità dell’appello
2) decisione di estinzione del giudizio di appello
3) decisioni di rimessione al primo giudice.
20.1. La rimessione alla commissione provinciale.
Si ha tale rimessione nei seguenti casi:
1) quando dichiara (il giudice di appello) la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice
2) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato
3) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale
4) quando riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto
5) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado.
21. La cassazione.
Le sentenze delle commissioni tributarie regionali sono impugnabili dinanzi alla Corte di Cassazione che stabilisce: a) la proponibilità del ricorso per tutti i motivi previsti nell’art. 360 c.p.c. b) l’applicabilità al ricorso e al procedimento delle norme del codice di procedura civile. I motivi indicati nell’art. 360 c.p.c. sono:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione;
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza
3) per violazione e falsa applicazione di norme di diritto
4) per nullità della sentenza o del procedimento
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio
E’ da notare che non possono essere riproposte al giudice di cassazione questioni di fatto. Il ricorso per cassazione deve essere sottoscritto a pena di inammissibilità, da un avvocato iscritto in apposito albo (c.d. cassazionista), munito di procura speciale. Quando si ricorre contro l’amministrazione finanziaria dello Stato, il ricorso deve essere notificato a tale amministrazione, in persona del Ministro, presso l’avvocatura generale dello Stato a Roma. Il giudizio di cassazione, se viene accolto il ricorso, si conclude con una sentenza che annulla la sentenza impugnata; all’annullamento della sentenza impugnata può seguire un giudizio di rinvio, dinanzi alla commissione tributaria regionale.
22. Il giudizio di rinvio.
La Corte di Cassazione può rinviare alla commissione tributaria regionale o a quella provinciale. La Cassazione rinvia alla commissione provinciale quando accerta anomalie del giudizio svoltosi davanti alla commissione provinciale e cassa una sentenza della commissione regionale che avrebbe dovuto rinviare, ed erroneamente non ha rinviato, alla commissione provinciale. Altrimenti la Cassazione rinvia alla commissione regionale ed il rinvio si caratterizza in modo diverso a seconda del motivo del rinvio: il prototipo del giudizio di rinvio in senso proprio, o prosecutorio, si ha quando la cassazione rinvia per aver riscontrato nella sentenza impugnata i vizi del n° 3 dell’art. 360 c.p.c.; negli altri casi il rinvio all commissione regionale ha natura restitutoria.
23. La revocazione.
La revocazione è un mezzo di impugnazione che ha scarsissima applicazione pratica.
L’art. 395 del c.p.c. ammette la revocazione per i seguenti motivi:
1) se le sentenze sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;
2) se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza
3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi, che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario
4) se la sentenza è l’effetto di errore di fatto risultante dagli atti della causa
5) se la sentenza è contraria al altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione
6) se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertamento con sentenza passata in giudicato
Viene definita revocazione ordinaria quella che è proposta per i vizi sub 4 e 5 ossia per i vizi che possono essere rilevati dalla stessa sentenza. La revocazione straordinaria è invece quella proposta per i motivi previsti dai numeri 1,2,3,6. L’art. 64 ammette la revocazione per le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate. Da ciò si deduce: - che le sentenze di primo grado non sono soggette a revocazione ordinaria ma solo a revocazione straordinaria in quanto i vizi palesi può porre rimedio l’appello
- che le sentenze di secondo grado, invece, sono sempre impugnabili per revocazione, sia ordinaria che straordinaria, perché sui vizi relativi al giudizio sul fatto non può porre rimedio il ricorso per cassazione.

Sezione sesta – I procedimenti speciali –
24. La sospensione della riscossione.
Il ricorrente può chiedere nel ricorso o con atto separato, la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato; ad es. se viene impugnato un avviso di accertamento, nel ricorso ne può essere chiesta la sospensione per impedire che l’amministrazione proceda ad iscrizioni a ruolo; se viene impugnato il ruolo, il ricorrente ne può chiedere la sospensione per impedire l’esecuzione forzata. La sospensione può riguardare qualunque contenuto dell’atto impugnato: imposta, interessi, sanzioni. Per ottenere la sospensione, debbono sussistere due presupposti: a) il fumus boni iuris (la probabile fondatezza del ricorso); b) il periculum in mora (pericolo di danno irreparabile). Circa la natura del danno, nulla è stabilito: di solito, si tratta di danno patrimoniale, ma non è da escludere che l’azione della finanza possa provocare danni morali. La sospensione è dunque accordata dal collegio, il quale decide in camera di consiglio dopo aver sentito le parti e dopo aver delibato il merito; la pronuncia ha la forma dell’ordinanza, deve essere motivata, e non è impugnabile. La sospensione può essere anche parziale; inoltre, la sospensione può essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia. Gli effetti della sospensione cessano con la pubblicazione della decisione di primo grado; pubblicata la sentenza, diviene operante la norma sulla riscossione collegata ad essa. Il provvedimento che respinge la domanda di sospensione non può essere appellato, ne alla commissione regionale si può chiedere di sospendere l’esecuzione del provvedimento amministrativo, dopo che si è pronunciato il giudice di primo grado. In deroga a ciò, la commissione tributaria regionale può sospendere l’esecuzione delle sanzioni.
25. La conciliazione: natura e oggetto.
Anche nel processo tributario le parti possono trovare un accordo, per cui il processo si chiude, non con sentenza, ma con conciliazione. La conciliazione tributaria equivale ad una transazione, e, poiché la transazione non può avere ad oggetto diritti non disponibili, nella conciliazione viene ravvisata una deroga alla c.d. indisponibilità del rapporto d’imposta. La transazione disciplinata dal codice è realizzata attraverso reciproche concessioni. La conciliazione invece, nel diritto pubblico, si configura come un istituto autonomo, il cui scopo è quello di realizzare la composizione consensuale giusta della lite. Quali controversie possono essere conciliate? Il legislatore non ha esplicato alcun limite, non significa però conciliabilità illimitata. In sostanza la conciliazione deve presentarsi con contenuto accertativo, con effetti di diritto sostanziale e processuale. La conciliazione appare legittima solo nelle liti che riguardano l’avviso di accertamento, e solo per questioni di tipo quantitativo. Non sono conciliabili le questioni che riguardano le sanzioni, pur se si tratta di questione riguardante solo il quantum. Tale ultimo limite si deduce dalla norma che fa seguire alla conciliazione la riduzione delle sanzioni irrogate ad un terzo del minimo edittale.
25.1. Il procedimento della conciliazione.
Può avvenire solo davanti alla commissione tributaria provinciale.
A) La conciliazione da realizzare in sede processuale può essere proposta sia da una delle parti, sia dalla commissione. La conciliazione deve avvenire alla prima udienza, ma se l’accordo non viene raggiunto, la commissione può assegnare alle parti un termine, non superiore a 60 gg., per la formazione di una proposta in via stragiudiziale.
B) La conciliazione può essere però realizzata fuori dal processo; in tal caso, l’ufficio deve depositare in giudizio il documento che formalizza l’accordo. L’atto di conciliazione, se è depositato prima della fissazione della data dell’udienza collegiale, è esaminato dal presidente della sezione. Dopo tale data la conciliazione è esaminata dal collegio.
C) Come accennato, la conciliazione è sottoposta al vaglio del giudice tributario, che ha il potere dovere di valutare la legittimità formale e la sua ammissibilità, in relazione al tipo di controversia.
D) Raggiunta la conciliazione, gli importi concordati devono essere pagati mediante versamento diretto, entro 20 gg. Secondo alcuni il mancato pagamento comporterebbe la risoluzione di diritto dell’accordo conciliativo e farebbe rivivere l’avviso di accertamento, da considerare definitivo: e l’amministrazione potrebbe iscrivere a ruolo in via definitiva tutto l’importo accertato. Ciò non ha nella legge nessun fondamento.
26. Misure cautelari a tutela del credito per sanzioni amministrative.
La concessione di misure cautelari richieste dall’ufficio o ente impositore, a garanzia del credito per il pagamento delle sanzioni. L’istanza è presentata al Presidente della Commissione tributaria provinciale, ed ha per oggetto l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e degli obbligati solidali e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, ivi compresa l’azienda. L’istanza deve essere notificata alle parti interessate, le quali possono, entro 20 gg. dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi. La commissione decide con sentenza. In caso di eccezionale urgenza, il Presidente provvede con decreto motivato. Contro il decreto è ammesso il reclamo al collegio entro 30 gg.. I provvedimenti cautelari perdono efficacia se, nel termine di 120 gg. dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione, ed altresì in esito alla sentenza di primo grado che accoglie il ricorso. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. In caso di accoglimento parziale, su istanza di parte, il giudice d’appello riduce proporzionalmente l’entità dell’iscrizione o del sequestro.
27. Esecuzione delle sentenze tributarie e giudizio di ottemperanza.
Il concetto di esecuzione riguarda solo le sentenze di condanna: alla condanna, infatti, deve seguire l’adempimento dell’obbligazione, cui la condanna si riferisce. Le sentenze delle commissioni sono suscettibili di esecuzione nei modo propri di tutte le sentenze di condanna, a tale forma naturale di esecuzione, la legge del processo tributario affianca il giudizio di ottemperanza. Per le sentenze emesse nei processi di impugnazione, non è invece configurabile una esecuzione in senso stretto. Le sentenze che annullano un atto amministrativo non hanno bisogno di esecuzione perché si eseguono da se. Le sentenze, che invece, respingono l’impugnazione di un atto impositivo sono sentenze puramente dichiarative. L’ottemperanza a differenza dell’esecuzione, bob ha per oggetto soltanto l’adempimento dello specifico obbligo statuito dalla sentenza: ad es. obbligo di restituzione che deriva indirettamente da una sentenza, che abbia annullato un avviso di accertamento.
27.1. Rigetto dell’impugnazione ed esecuzione dell’atto impugnato.
Varie leggi tributarie prevedono che, quando è impugnato un avviso di accertamento, l’amministrazione ha diritto di riscuotere in via provvisoria, una frazione del tributo.
27.2. Esecuzione forzata delle sentenze di condanna.
Se la commissione condanna il Ministero o l’ente locale, il creditore può agire per ottenere l’esecuzione di tale sentenza dopo che è passata in giudicato.
28. Il giudizio di ottemperanza. Ambito di applicazione e procedimento.
L’esecuzione forzata di obblighi pecuniari delle pubbliche amministrazioni sovente non da risultati utili, a causa dei limiti alla pignorabilità dei beni pubblici. Il creditore dell’amministrazione finanziaria può tutelarsi promuovendo il giudizio denominato di ottemperanza, e che più efficace dell’esecuzione forzata, in quanto la commissione, adita per l’ottemperanza, può nominare un commissario ad acta, che emetta i provvedimenti necessari. Ottemperanza è concetto più ampio di esecuzione: ed infatti può riguardare non solo le sentenze di condanna, ma anche altre sentenze, che comportino degli obblighi per l’amministrazione. La competenza spetta alla commissione provinciale, quando la sentenza cui ottemperare è di tale organo, ed alla commissione regionale, in ogni altro caso. La disciplina del procedimento di ottemperanza diverge da quella ordinaria. Infatti, il ricorso non è indirizzato alla commissione ma al presidente; ed il ricorrente non deve notificarlo alla controparte, ma depositarlo in doppio originale presso la segreteria della commissione; sarà poi la segreteria a comunicarlo alla controparte, che può entro 20 gg., presentare memorie e documenti. Le sentenza è impugnabile solo per cassazione e solo per inosservanza delle norme sul procedimento.

1

Esempio



  


  1. davide

    sono a posto grazie lo stesso

  2. nina

    appunti tributario sostengo l'esame alla facolta' di giurisprudenza