Il Governo Italiano: descrizione, struttura e funzioni

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Testo

IL GOVERNO
IL GOVERNO NEL SISTEMA POLITICO E COSTITUZIONALE
Il governo è il più “forte” degli organi costituzionali.
Dispone direttamente del comando sulla pubblica amministrazione e quindi dell'uso della forza pubblica e delle risorse finanziarie dello Stato.
Tiene i rapporti con gli altri Stati.
È in grado di prendere decisioni rapide perché è un organo ristretto e politicamente omogeneo ed è in grado di metterle in pratica.
Rappresenta quindi il motore dell'intera macchina statale.
Proprio perché nel governo si realizza la massima concentrazione di potere all'interno dello Stato, nel corso dell'evoluzione storica dei regimi costituzionali dell'Occidente ci si è preoccupati di limitare i poteri del governo, in modo da evitare l'esercizio di un potere incontrollato, e di garantire che il governo usasse il suo potere in modo democratico, ossia in modo corrispondente alla volontà della maggioranza della popolazione.
Il primo problema, quello dei limiti, è stato risolto sottoponendo il governo alla sovranità della legge (principio di legalità): in base a questo principio il governo può dire esclusivamente nei limiti fissati preventivamente dalle leggi i suoi dati possono essere sottoposti al giudizio dell'autorità giudiziaria che può annullarli si risultano illegittimi.
Il secondo problema, quello della legittimazione democratica del governo, è stato risolto in modo diverso, nelle forme di governo presidenziali che nelle forme di governo parlamentari.
Nelle forme di governo presidenziali, il governo gode di una legittimazione democratica propria al pari del Parlamento poiché esso, o meglio il suo capo, è eletto direttamente dal popolo.
Nelle forme di governo parlamentari, il governo gode di una legittimazione democratica derivata: è infatti espressione della maggioranza politica che si costituisce in seno al Parlamento; per governare deve ottenere la sua fiducia ed è obbligato e dimettersi quando tale fiducia viene mancare.
Anche all'interno delle forme di governo parlamentari esistono notevoli differenze nella fisionomia del governo.
Essi dipendono da 2 circostanze principali:
• La coesione e la stabilità della maggioranza parlamentare di cui governo espressione;
• il grado di autonomia della figura del capo di governo nella scelta dei ministri e dei suoi rapporti con il Parlamento.
GOVERNI “ELETTI” E GOVERNI “CONTRATTATI”
Nei paesi in cui esiste un sistema bipartitico o comunque di tipo bipolare, i risultati delle elezioni per il Parlamento determinano automaticamente la formazione del governo.
Infatti il partito che vince le elezioni va al governo e il suo leader diventa il presidente.
Si può dire che in questi casi il governo è eletto dagli elettori.
E’ inoltre assai probabile che il governo, così formato, resta in carica fino alle elezioni successive perché può contare su una maggioranza parlamentare stabile.
Nei paesi in cui esistono numerosi partiti in cui nessuno di essi è in grado di conquistare da solo la maggioranza dei seggi in Parlamento, per formare un governo è necessario un accordo tra più partiti, che insieme dispongano almeno della maggioranza dei seggi in Parlamento.
In tale situazione e governi sono sempre governi di coalizione.
Il risultato delle elezioni non determinano direttamente quale coalizione di maggioranza formerà il governo: infatti in seno al Parlamento è quasi sempre possibile formare più coalizioni di maggioranza, risultanti da diversi raggruppamenti di partiti.
La scelta tra le possibili coalizioni è il risultato della contrattazione tra i partiti.
Nel corso di una stessa legislatura, e quindi sulla base degli stessi risultati elettorali, possono succedersi governi formati da coalizioni diverse.
I governi di coalizione sono in genere meno stabili, il loro programma è frutto di un compromesso tra partiti che hanno linee politiche interessi da difendere non del tutto coincidenti.
Vi è quindi una notevole probabilità che, nel corso della vita di un governo, sorgano divergenze tra i partiti tali da rompere l'accordo di maggioranza e da portare a una crisi di governo.
GOVERNI DEL PREMIER E GOVERNI DEI PARTITI
La seconda differenza nell'ambito delle forme di governo parlamentari è la posizione del premier, ossia del capo di governo.
In alcuni Paesi il premier ha una posizione di assoluta preminenza sul ministri; è lui personalmente a ricevere l'investitura del Parlamento e ha il potere di scegliere ministri e di revocarli.
Si ha in questo caso una forma di governo molto personalizzata che possiamo chiamare governo del premier.
Nei paesi in cui governi sono formati da coalizioni contattate tra i partiti, accade più spesso che il governo sia composto da esponenti designati da ciascun partito della coalizione si ha questo caso un tipo di governo più collegiale, dove il premier ha il ruolo, più debole, di primis inter paris (primo fra pari ): la sua funzione principale è quella di mediare tra le posizioni dei diversi partiti della coalizione, dal cui accordo scaturisce in sostanza l'azione di governo.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Il governo è composto dal presidente del consiglio e dai ministri che insieme formano il consiglio dei ministri (art. 92 c. 1 Cost.).
La costituzione stabilisce in termini molto generali le attribuzioni del presidente del consiglio (art. 95 c. 1), ma non quelle dei ministri e del consiglio dei ministri e rinvia alla legge il compito di fissare con più precisione le regole per il funzionamento del governo (art. 95 c. 3).
Sono però stati necessari 40 anni perché questa disposizione venisse attuata.
Soltanto nel 1988 è stata infatti approvata la legge 400/1988 intitolata “Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della presidenza del consiglio dei ministri” che regola in modo completo la composizione del governo e le attribuzioni dei suoi organi.
I membri del governo non devono essere necessariamente membri del Parlamento; in tempi recenti, in seguito alla crisi dei partiti, è accaduto più di una volta che fossero chiamate a far parte dei governo persone estranee alla politica: professionisti, esperti, professori universitari (ministri tecnici).
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
Il presidente del consiglio ha una posizione di preminenza sugli altri membri del governo.
Innanzitutto egli ha il compito di formare il governo, una volta ricevuto l'incarico da parte del capo dello Stato, e di scegliere i ministri (art. 92 c. 2 Cost.).
Le sue dimissioni provocano la caduta dell'impero governo.
Inoltre egli “dirige la politica generale del governo”, “mantiene l'unità dell'indirizzo politico, amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri” (art. 95 c. 1 Cost.).
Convoca le riunioni del consiglio dei ministri, ne stabilisce l'ordine del giorno e lo presiede.
Egli non può dare ordine ai ministri nei settori di loro competenza, ma può impartire loro direttive in attuazione delle decisioni del consiglio, o sospendere l'adozione di atti da parte dei ministri e può chiedere loro di concordare con le dichiarazioni pubbliche che essi intendono rilasciare.
Queste ultime disposizioni sono state introdotte dalla legge 400/1988 con l'intento di rafforzare la posizione del presidente e di conferirgli una maggiore autorità nei confronti dei singoli ministri e quindi nei confronti dei diversi partiti che fanno parte della coalizione.
La presidenza del consiglio ha sede a Roma a Palazzo Chigi. Nella stessa sede si svolgono le riunioni del consiglio dei ministri.
Per svolgere i suoi compiti di indirizzo e coordinamento il presidente del consiglio dispone di una serie di uffici che sono stati organizzati dalla legge 400/1988.
Tale apparato è diretto da un segretario generale scelto discrezionalmente dal presidente del consiglio, e provvede a raccogliere e a elaborare le informazioni necessarie per mettere in pratica il programma di governo e per aggiornarlo.
All'interno del governo, uno o più ministri possono ricoprire l'incarico di vicepresidente del consiglio su designazione del consiglio dei ministri, con il compito di sostituire il presidente in caso di assenza o impedimento temporaneo di questi.
I MINISTRI
Ciascun ministro è a capo di un particolare ramo della pubblica amministrazione che viene chiamato ministero.
Il numero e le competenze dei ministeri sono stabiliti per legge (art. 95 c. 3 Cost.).
Attualmente i ministeri sono 14.
Può capitare che un ministro o lo stesso presidente del consiglio assuma la titolarità di più ministeri.
I ministri hanno una doppia funzione:
• come capi dei rispettivi ministeri sono collocati al vertice di un ramo della pubblica amministrazione e sono quindi organi amministrativi;
• come membri del consiglio dei ministri essi contribuiscono a definire l'indirizzo politico e sono quindi organi costituzionali.
Accanto ai ministri responsabili di un ministero, possono esservene altri, chiamati ministri senza portafoglio, che non hanno alle loro dipendenze un ministero, ma svolgono un incarico particolare e spesso sono chiamati dirigere speciali dipartimenti organizzati in seno alla presidenza del consiglio.
Essi fanno comunque parte a pieno titolo del consiglio dei ministri.
Il loro numero e la natura delle loro incarichi variano da un governo all'altro.
Nelle ultime compagini governative sono stati assegnati abbastanza stabilmente a ministri senza portafoglio i seguenti incarichi: “pari opportunità”, “affari regionali”, “funzione politica”, “rapporti con il Parlamento”, “politiche comunitarie”.
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Il consiglio dei ministri è un organo collegiale composto dal presidente del consiglio e dai ministri.
Le sue riunioni non sono pubbliche, non sono ammessi giornalisti, non ne vengono pubblicati i resoconti.
Il consiglio dei ministri è la sede in cui viene definita la politica generale del governo.
Tutte le decisioni più importanti del governo devono essere discusse approvata nel consiglio dei ministri.
Tra di esse:
• il programma da presentare al Parlamento al momento della formazione del governo;
• i disegni di legge da sottoporre all'approvazione del Parlamento;
• i decreti-legge;
• i decreti legislativi;
• i regolamenti governativi;
• le nomine dei più alti funzionari dello Stato.
Poiché consiglio dei ministri è un organo relativamente ampio si è da tempo sviluppata la tendenza ad affidare alcuni tipi di decisioni a organi collegiali più ristretti, costituiti nell'ambito del governo.
In particolare i comitati interministeriali sono organi ristretti che hanno il potere di pronunciarsi su specifiche materie stabilite dalla legge.
Ne fanno parte i soli ministri direttamente competenti in quelle materie.
Il più importante tra questi e il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) che delibera i principali interventi pubblici in materia economica.
I SOTTOSEGRETARI
Del governo fanno anche parte, ma in modo subordinato, i sottosegretari.
Essi vengono designati dal consiglio dei ministri e decadono con le dimissioni del governo.
A differenza dei ministri, essi non partecipano alle riunioni del consiglio; il loro compito è quello di coadiuvare il ministro a cui fanno capo nelle funzioni che egli delega loro e di rappresentarlo nelle sedute del Parlamento.
Alcuni sottosegretari, cui viene assegnata la responsabilità del dipartimento all'interno di un ministero, assumono la carica di vice-ministri.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Si procede alla formazione del nuovo governo quando il presidente ha rassegnato le dimissioni, quando cioè si è aperta una crisi di governo.
Si ha comunque la formazione di un nuovo governo all'inizio di ogni legislatura: infatti quando si insediano le nuove camere, subito dopo le elezioni, il governo in carica ha l'obbligo di rassegnare le dimissioni.
La costituzione affida la nomina del nuovo governo al presidente della Repubblica, per garantire la presenza di una figura istituzionalmente al di sopra delle parti in un momento così delicato della vita politica del paese, e ha previsto l'intervento del Parlamento in un momento successivo, mediante il voto di fiducia.
Per la formazione del governo ha costituzione si limita a stabilire che “il presidente della Repubblica nomina il presidente del consiglio e, su proposta di questo, i ministri” (art. 92 c. 2), ma non indica attraverso quale procedimento.
LE CONSULTAZIONI E L’INCARICO
appena il presidente del consiglio uscente comunica le sue dimissioni al presidente della Repubblica (aprendo formalmente la crisi di governo), quest'ultimo da inizio alle consultazioni: riceve cioè quelle personalità politiche (in pratica in linea di tutti partiti presenti in Parlamento) che possono offrire indicazioni sulla soluzione della crisi.
Terminate le consultazioni, egli sceglie un esponente politico a cui affida l'incarico di formare il governo.
In tale scelta il presidente della Repubblica non ha una discrezionalità assoluta.
Se dalle elezioni è emersa con chiarezza una coalizione vincente e se la coalizione ha un proprio leader riconosciuto, il presidente della Repubblica non ha scelta: deve designarlo come presidente del consiglio.
In caso contrario il presidente della Repubblica ha una maggiore libertà, ma deve comunque individuare una persona che possa raccogliere attorno al suo nome una maggioranza parlamentare.
Una volta ricevuto l'incarico di formare il governo, il presidente del consiglio incaricato dovrebbe procedere alla scelta dei ministri.
In realtà, nell'esperienza italiana, è accaduto normalmente che a questo punto si aprissero le trattative tra i partiti, sotto la direzione del presidente incaricato, con lo scopo di definire la forma della coalizione, di stabilire un programma politico comune e di indicare i nomi dei ministri che di fatto venivano designati dei singoli partiti della coalizione.
Può anche accadere che il presidente incaricato non riesca a raggiungere l'accordo per formare il governo e rinunci all'incarico.
In questo caso il presidente della Repubblica procede a nuove consultazioni e all'assegnazione di un nuovo incarico.
Si è anche questo tentativo fallisce, il presidente della Repubblica può compiere altri, a sua discrezione, ma se la formazione del nuovo governo dovesse risultare impossibile il presidente della Repubblica può sciogliere le camere e indire elezioni anticipate.
LE NOMINE
Se il presidente incaricato ritiene di essere in grado di formare un governo che possa godere della fiducia del Parlamento, egli dichiara di accettare l'incarico che gli è stato conferito e viene nominato “presidente del consiglio” con decreto del capo dello Stato.
Subito dopo il presidente del consiglio sceglie i ministri che vengono a loro volta nominati dal capo dello Stato con proprio decreto.
Una volta nominati, tutti i membri del governo prestano giuramento nelle mani del capo dello Stato (art. 93 Cost.).
Da questo momento il nuovo governo entra in carica e sostituisce il governo precedente che, per tutto il periodo della crisi, aveva continuato a esercitare le sue funzioni, sia pure limitate all'ordinaria amministrazione.
IL VOTO DI FIDUCIA
Per ottenere la pienezza dei suoi poteri il governo deve però compiere un passo ulteriore e cioè ottenere la fiducia del Parlamento.
A questo fine, entro 10 giorni dalla sua formazione, il governo deve presentarsi davanti a ognuna delle due camere (art. 94 c. 3 Cost.).
In queste sedi il presidente del consiglio espone il programma del suo governo; sulle sue dichiarazioni si svolge una discussione che si conclude con una votazione della mozione di fiducia, che avviene con voto palese (art. 94 c. 2 Cost.).
La mozione di fiducia è un documento, presentato dai parlamentari della maggioranza, in cui si afferma che la camera approva le dichiarazioni programmatiche del presidente del consiglio e accorda la fiducia al governo.
In genere l'esito del voto di fiducia a favore del governo è scontato perché il presidente del consiglio, prima di accettare l'incarico, ha già provveduto ad accertare l'esistenza di una maggioranza parlamentare a sostegno del suo governo.
Può accadere che il Parlamento neghi fiducia al governo.
In questo caso il governo è costretto a dimettersi e si riapre una crisi di governo; con una conseguenza paradossale però: poiché il governo era già entrato in carica al momento del giuramento, esso continua ad esercitare le sue funzioni sino all'insediamento del governo successivo.
Può così accadere che per un periodo di tempo il paese sia retto da un governo che non ha mai avuto la fiducia del Parlamento.
LA COMPOSIZIONE DEL GOVERNO
Il governo è obbligato a dimettersi quando il Parlamento gli da la sfiducia.
La costituzione, nel tentativo di evitare crisi di governo troppo frequenti, ha stabilito due regole:
• “il voto contrario di una o di entrambe le camere su una proposta del governo non importa obbligo di dimissioni” (art. 94 c. 4 Cost.): se dunque il Parlamento respinge un disegno di legge con decreto-legge voluto dal governo, ciò non va inteso automaticamente come espressione di sfiducia e il governo può pertanto restare in carica;
• viceversa il governo è giuridicamente obbligato a dimettersi soltanto in un caso: quando il Parlamento approva una mozione di sfiducia, ossia un documento che esplicitamente esprime il disaccordo del Parlamento sulla linea politica seguita dal governo: “La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno 1/10 dei componenti della camera e non può essere messi in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione” (art. 94 c. 5 Cost.).
IL CARATTERE EXTRAPARLAMENTARE DELLE CRISI DI GOVERNO
In genere, quando il governo si rende conto che non esiste più una maggioranza parlamentare che lo sostiene, preferisce dimettersi prima che le camere abbiano discusso e approvato la mozione di sfiducia.
Queste crisi di governo vengono chiamate crisi extraparlamentari perché non nascono da una discussione complessiva del Parlamento sull'operato del governo nè da una mozione di sfiducia, ma da valutazioni politiche compiute all'esterno del Parlamento stesso.
Spesso si è dato un giudizio negativo su questa procedura; infatti in questo modo il governo non è obbligato a confrontarsi pubblicamente in Parlamento sulla sua politica e sulle ragioni della crisi.
Molto spesso i veri motivi della crisi restano poco chiari di fronte all'opinione pubblica e allo stesso Parlamento.
Il governo dimissionario rimane in carica fino alla nomina del governo successivo per evitare un “vuoto di potere”.
Tuttavia le funzioni del governo dimissionario sono limitate all'ordinaria amministrazione.
LA QUESTIONE DI FIDUCIA
Il governo può provocare un voto di fiducia da parte del Parlamento.
Quando presso le camere e in discussione un provvedimento che il governo considera di grande importanza per la realizzazione del suo programma politico, esso può porre, su quel provvedimento, la questione di fiducia: ossia annunciare che considererà una prova di sfiducia la mancata approvazione di quel provvedimento in quel caso si dimetterà.
Una volta posto la questione di fiducia, il provvedimento viene messo i voti con le stesse modalità del voto di fiducia, cioè con voto palese, e decadono automaticamente tutti gli emendamenti presentati.
Lo scopo del governo, nel porre la questione di fiducia, è quello di mettere in Parlamento di fronte a una secca alternativa: o accettare la volontà del governo o provocare la crisi, e quindi di facilitare l'approvazione del provvedimento.
Con il voto palese il parlamentari della maggioranza sono ricondotti alla disciplina di partito.
Si tratta di una prova di debolezza: se un governo pone spesso una questione di fiducia, vuol dire che dispone di una maggioranza poco sicura e poco unita e che è costretto a minacciare la crisi per riuscire a far aderire il Parlamento alle sue proposte.
LA RESPONSABILITA’ POLITICA E PENALE
Il governo è responsabile di fronte al Parlamento e si tratta in questo caso di responsabilità politica, cioè legata all'indirizzo politico per seguita dal governo.
In caso di disaccordo politico tra Parlamento e governo, il secondo è costretto a dimettersi.
In questo senso la costituzione dice che “il presidente del consiglio è responsabile della politica generale del governo e che i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri”.
Lo stesso articolo 95 aggiunge che “i ministri sono responsabili individualmente degli atti dei loro ministeri”.
I REATI MINISTERIALI
Altra cosa è la responsabilità penale, ossia la responsabilità dei membri del governo per i reati da loro eventualmente commessi.
È evidente che tale responsabilità non può riguardare l'intero governo, ma soltanto singoli membri di esso: responsabilità penale è infatti sempre personale (art. 27 Cost.).
In base al nuovo testo dell'art. 96 della costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 1/1989, i ministri, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, sono sottoposti alla giustizia ordinaria previa autorizzazione della camera cui appartengono, o del senato se non sono membri del Parlamento.
È stato scelto in sostanza di riservare ai ministri un trattamento simile a quello dei parlamentari.
Con due differenze principali però:
• quando un giudice, nel corso dell'indagine, scopre che un ministro potrebbe essere coinvolto in un reato, deve trasmettere gli atti a un collegio di 3 magistrati (il tribunale dei ministri) appositamente costituito presso il tribunale, che svolge le indagini preliminari a carico del ministro e alla fine può decidere se chiedere l'autorizzazione a procedere al Parlamento oppure archiviare il caso;
• la camera competente può negare l'autorizzazione “ove reputi con giudizio insindacabile che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo”. La camera conserva in sostanza il potere di negare l'autorizzazione in base a valutazioni di tipo politico.
Se l'autorizzazione viene concessa, il processo contro il ministro ha luogo davanti al giudice ordinario.
Il sistema precedente che affidava i ministri a una speciale giustizia politica, aveva finito per attribuire un ingiustificato privilegio ai membri del governo.
La spinta decisiva per il cambiamento è venuta da un referendum che, nel 1988, si è espresso contro alcuni aspetti del vecchio sistema, inducendo il Parlamento a modificare il testo della costituzione.
LA RESPONSABILITA’ POLITICA E PENALE
LA FUNZIONE DI INDIRIZZO POLITICO
Tocca il governo stabilire fini, obiettivi e strumenti della politica dello Stato.
Esso li definisce, una prima volta in via generale, presentando il proprio programma al Parlamento e poi concretamente, di volta in volta, nell'azione di governo.
L'orientamento politico del governo riguarda sia la politica interna si era politica estera.
I modi con cui il governo manifesta e realizza il proprio indirizzo politico possono essere diversi.
Può agire attraverso decisioni rilevanti sul piano giuridico: le più importanti sono la presentazione dei disegni di legge al Parlamento e l'approvazione di decreti-legge o di provvedimenti amministrativi; o anche agire attraverso dichiarazioni in Parlamento o, in modo meno formale, attraverso i discorsi pubblici, dichiarazioni alla stampa, messaggi televisivi.
Il limite fondamentale che il governo incontra nella formulazione e nell'attuazione del proprio programma politico è costituito dalla responsabilità politica che ha di fronte al Parlamento.
LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA (O ESECUTIVA)
Il governo, sia nel suo insieme sia nell'espressione di singoli ministri per i ministeri di loro competenza, è posto al vertice della pubblica amministrazione.
Poiché l'amministrazione statale è organizzata in modo gerarchico, il governo e i singoli ministri possono impartire ordini ai loro sottoposti.
Nell'ambito di tale funzione il governo può emanare norme giuridiche secondarie sotto forma di regolamenti.
Il limite generale che governo incontra nell'esercizio di questa funzione è costituito dalla necessità di rispettare la legge.
LA FUNZIONE LEGISLATIVA
Benché la funzione legislativa spetti al Parlamento, il governo, nei casi tassativamente indicati dalla costituzione (artt. 76 e 77), può emanare norme aventi forza di legge, capaci quindi di abrogare leggi preesistenti.
I provvedimenti in questione prendono il nome di decreti-legge e di decreti legislativi: si tratta di vere e proprie leggi dal punto di vista della loro efficacia, anche se formalmente non possono assumere il nome di legge.
I DECRETI-LEGGE
Possono presentarsi nei casi in cui è necessario emanare nuove norme di legge con particolare urgenza.
Poiché il normale procedimento legislativo richiede tempo, la costituzione, all'art. 77, da al governo in via eccezionale il potere di adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti che hanno forza di legge e che vengono immediatamente in vigore.
Tali provvedimenti vengono chiamati decreti-legge perché in essi si riuniscono l'elemento formale del decreto (sono infatti decisi dal governo) e l’efficacia sostanziale della legge.
Tali decreti-legge devono però essere approvati dal Parlamento e quindi convertiti in legge entro il termine di 60 giorni.
I PRESUPPOSTI
La costituzione sottolinea la particolare eccezionalità di tale potere legislativo affidato al governo: i decreti legge possono infatti essere adottati “solo in casi straordinari di necessità e urgenza”.
Il decreto legge viene deliberato dal consiglio dei ministri e viene emanato, subito dopo, dal presidente della Repubblica.
Viene quindi immediatamente pubblicato sulla gazzetta ufficiale, ed entra in vigore il giorno stesso della comunicazione.
LA CONVERSIONE
Nello stesso giorno il governo deve presentare il decreto legge alle camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni.
Entrambe le camere, separatamente, devono convertirlo in legge entro 60 giorni, ossia approvare una legge che faccia proprio il contenuto del decreto.
Se il decreto legge viene respinto ossia trascorrono i 60 giorni senza che sia stato approvato, il decreto stesso perde efficacia fin dall'inizio, vengono cioè annullati tutti gli effetti che nel frattempo ha prodotto, come se non fosse mai esistito.
Poiché in certi casi sarebbe impossibile annullare gli effetti del decreto, le camere “possono regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti” (art. 77 c. 3 Cost.), per esempio escludendo, in quel caso specifico, l'annullamento retroattivo degli effetti.
I DECRETI LEGISLATIVI
La costituzione prevede un secondo caso in cui il governo può emanare norme aventi forza di legge: ciò si verifica quando la funzione legislativa gli viene delegata dal Parlamento.
L’atto del governo prende, in questo caso, il nome di decreto legislativo.
Lo scopo di questo istituto è quello di facilitare l'emanazione di leggi che contengono una disciplina particolarmente complessa sul piano tecnico o molto dettagliata.
Il Parlamento è infatti poco adatto per l'elaborazione di leggi di questo genere, a causa dei tempi lunghi richiesti dal normale procedimento legislativo e della difficoltà di coordinare testi di legge notevolmente lunghi e complessi.
Può quindi delegare questo compito al governo che è in grado di agire in tempi più rapidi e che dispone di uffici che hanno la competenza tecnica necessaria.
Il Parlamento conferisce la delega al governo mediante una legge chiamata legge di delegazione una legge delega.
Essa viene approvata secondo il normale procedimento legislativo ed è efficace solo nei confronti del governo.
Da legge delega deve indicare obbligatoriamente:
• l'oggetto della delega in modo preciso e delimitato (è quindi vietata la delega in bianco);
• i principi e criteri direttivi a cui governo deve attenersi;
• il termine entro cui governo deve emanare il decreto legislativo.
Una volta approvata la legge delega, il governo predispone il testo del decreto legislativo.
La preparazione di tale testo è di regola affidata al singolo ministro che è competente nella materia in questione, ma poi esso deve essere sottoposto alla discussione dell'intero consiglio dei ministri che ha il compito di approvarlo.
Il decreto legislativo viene quindi emanato dal presidente della Repubblica e pubblicato sulla gazzetta ufficiale; entra in vigore, come le leggi, il 15° giorno successivo alla pubblicazione.
I decreti legislativi hanno forza di legge.
Essi possono quindi abrogare leggi preesistenti e sono vincolanti per tutti i cittadini.
Se il governo non rispetta i tempi e i criteri fissati dal Parlamento nella legge delega oppure li interpreta in modo errato, i decreti legislativi sono egualmente efficaci, ma possono essere sottoposti al giudizio della corte costituzionale che può annullarli per incostituzionalità, in particolare per contrasto con l'art. 77 della costituzione.
I REGOLAMENTI
Il governo può adottare anche altri atti normativi, chiamati regolamenti, che però non hanno forza di legge.
Essi sono fonti secondarie del diritto.
Il procedimento per l'emanazione di regolamenti è attualmente disciplinato dalla legge generale sul governo (l. 400/1988).
Nell'ambito del governo possono essere emanati due tipi di regolamenti:
• i regolamenti governativi sono deliberati dal consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato e vengono emanati dal presidente della Repubblica;
• i regolamenti del presidente del consiglio e i regolamenti ministeriali sono adottati, sempre previo parere del Consiglio di Stato, rispettivamente dal presidente del consiglio o da un singolo ministro nell'ambito della propria competenza.
La gazzetta ufficiale. In entrambi i tipi di regolamento.
Il potere di emanare regolamenti è una competenza tipica del governo, a differenza del potere legislativo che spetta al governo solo in casi particolari.
In questo caso infatti il governo è subordinato alla legge del Parlamento: i regolamenti illegittimi sono egualmente efficaci ma, come tutti gli atti amministrativi illegittimi, possono essere disapplicati dal giudice ordinario e annullati dal giudice amministrativo.
I regolamenti sono testi normativi molto più particolareggiati delle leggi.
Possono essere usati per:
• specificare le modalità di attuazione di una legge (regolamenti esecutivi);
• completare la disciplina di leggi recanti norme di principio (regolamenti integrativi);
• trattare argomenti che non sono regolati per legge e su cui quindi il governo ha ampia libertà (regolamenti indipendenti)
• disporre l'organizzazione degli uffici pubblici secondo le disposizioni dettate dalla legge (regolamenti di organizzazione).
Allo scopo di promuovere il processo di delegificazione, da legge 400/1988 ha introdotto un ulteriore tipo di regolamenti: i regolamenti delegati.
Essi sono emanati dal governo sulla base di una specifica delega operata da una legge del Parlamento, la quale autorizza il governo a disciplinare una certa materia con un proprio regolamento e stabilisce che al momento dell'entrata in vigore di tale regolamento saranno abrogate le leggi preesistenti che si occupano di quella materia.
Pertanto, una volta emanato il regolamento delegato, tale materia non è più regolata per legge, ma per regolamento: da quel momento in poi le relative norme possono essere modificate dal governo con un nuovo regolamento, senza dover ricorrere al procedimento legislativo.
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