Diritto costituzionale

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Testo

DIRITTO COSTITUZIONALE

21.09.’04 Prof. Loiodice

L’attività del giurista consiste nell’interpretazione.
Il diritto non coincide con l’etica, ma è sensibile a questa; il positivismo ha tentato di distaccare il diritto dalla morale. Il diritto fa giustizia, la giustizia è un concetto morale; bisogna perciò vivere la realtà giuridica con senso etico.
Il diritto è il mondo, la realtà, vista sotto un particolare punto di vista.
La biblioteca giuridica è la concettualizzazione scritta di qualcosa che vive e cambia.
Il diritto non vive da solo.
Vi è la tendenza a collocare il diritto dalla parte del proprio interesse.
Ogni azione ha una dimensione equilibrata e una eccessiva.
La società è in movimento. Il giurista ha il compito di rendere leggibile questo movimento.
Il suo compito è modificare la realtà, farla crescere.
Cicerone disse “I giuristi ragionano in catene”, ma queste catene sono elastiche: bisogna però rendersi conto dei limiti e rispettarli.
La strada dell’interpretazione va trovata con l’esperienza. Il diritto è realtà, esperienza.
Ti accorgi dell’importanza del diritto quando questo viene a mancare (come l’aria).
L’ordinamento giuridico è un corpo sociale organizzato (comunità organizzata) – oppure – secondo “Kelsen”, è un sistema normativo unitario – oppure – secondo “Santi Romano”, è un istituzione (i francesi sono prevalentemente istituzionalisti).
Le norme sono il prodotto dell’attività dei giuristi.
L’ordinamento giuridico è fatto di tre momenti: 1) momento comunitario: le persone; 2) momento organizzativo: la materialità; 3) momento normativo: non è materializzabile, è il giurista che lo tira fuori, non è scritto.
Le norme sono dei “riflettori” che illuminano l’episodio.
La disposizione è il testo scritto di qualsiasi atto normativo, una formula letteraria, un enunciato, è l’articolo. Non è altro che la formalizzazione esterna di una “volontà normativa”. Il giurista deve cogliere questa volontà normativa e desumere la norma.
La norma è una regola che si desume dalla disposizione; può coincidere e non con il testo scritto. Essa si desume dalla disposizione messa a confronto con tutte le altre disposizioni concernenti lo stesso caso, e con la costituzione.
Atto normativo è sinonimo di fonte del diritto.
Sono fonti del diritto atti o fatti idonei a produrre diritto o norme. Essi hanno una vigenza: devono essere vigenti nel momento storico.
La norma si trae dalla sua fonte (la disposizione), purchè essa sia vigente nel momento storico. Essa è il risultato della conoscenza di tutte le disposizioni applicabili ad un determinato caso.
Nel passaggio conoscitivo dalla disposizione alla norma c’è: ricerca delle disposizioni (testo normativo); ricerca della vigenza delle disposizioni; conoscenza preliminare (lettura); conoscenza approfondita (il senso della disposizione); collocazione della disposizione tra le altre disposizioni (conoscenza finale).

22.09.’04 Prof. Loiodice

Ogni volta che c’è un ordinamento giuridico, c’è un gruppo di persone organizzato secondo norme. Ubi societas ibi ius.
ORDINAMENTO GIURIDICO = DIRITTO OGGETTIVO (norma agendi)
L’interpretazione ha bisogno di termini specifici: tutto il lavoro è giocato sulle parole.
Status = complessi di diritti collegati a una qualità della persona (es. status di cittadino, di genitore)
Il principio “UNIQUIQUE SUM” (a ciascuno il suo) ha 2 interpretazioni.
1) in senso restrittivo, applica una giustizia commutativa: attribuisce un minimo che non può essere tolto (concetto statico).
2) Ha un senso distributivo e applica una giustizia di tipo distributivo; arricchisce il concetto statico: ad ognuno il suo non solo nell’essere ma anche nel divenire. È giusto dare quello che uno non ha e che gli consenta di crescere e sopravvivere (concetto dinamico).
Lo stato interviene quando l’uomo non ha i mezzi per crescere (es. borse di studio…) come
dice l’art.3 della Costituzione. È un concetto ideale e come tale deve confrontarsi ed essere filtrato dalla storia e dalla natura degli uomini. Se il diritto dovesse imporre la distribuzione delle ricchezze in maniera uguale, questa uguaglianza sparirebbe subito, perché ci sono persone più attive e altre più passive, chi fa fruttare e chi no.
Il diritto può divenire strumento di un’ideologia se conquista la maggioranza.
Il giurista deve tener conto di precetti che tendono alla giustizia, ma non sono giustizia poiché il diritto stesso tende alla giustizia. Esso passa attraverso una serie di decisioni che danno una certezza, il diritto dà certezza. Noi abbiamo bisogno di essere certi delle conseguenze giuridiche delle nostre azioni (se uno ruba viene arrestato).
La giustizia è al di sopra della nostra natura, è una qualità di Dio.
Gli abusi si compiono facendo del diritto un insieme di parole.
Il diritto sono parole che hanno un senso nel rapporto tra i soggetti. L’interpretazione parte dalle parole.
La costituzione ci dà il vantaggio della sensibilità del giurista davanti alla legge: non far andare un handicappato a scuola è un’ingiustizia non solo morale, ma anche giuridica; la Costituzione italiana racchiude molteplici concetti etici e morali.
Il diritto si avvale della forza, così le parole divengono realtà.
Il giurista è peritus peritorum (esperto tra gli esperti).
I diritti soggettivi sono la prima parte della Costituzione (Art.13… … …)
I DIRITTI sono situazioni giuridicamente soggettive di vantaggio
I DOVERI sono situazioni giuridicamente soggettive di svantaggio.
Gli atti che provengono da un’organizzazione sono espressione di un POTERE.
I componenti di un’organizzazione non devono MAI comportarsi come se fossero dei privati. L’atto di un’organizzazione segue un percorso: un procedimento amministrativo.
Gli atti che provengono da una comunità sono espressione di un DIRITTO SOGGETTIVO.
Il diritto è in perenne movimento e non lo si può “fotografare”. Il compito del giurista non è quello di inseguire una realtà, ma consiste nella sua sensibilità nel riuscire ad adattare l’universalità del diritto alla particolarità dell’episodio attuale. Non si può fare del diritto una perenne attualità. L’attualità non è l’occasione migliore per studiare il diritto.

27.09.’04 Prof. Giocoli Nacci

L’organizzazione dello Stato tende ad assicurare la libertà dei cittadini: essa concerne gli organi che detengono il potere.
Il diritto costituzionale si è arricchito delle fonti del diritto (o normative). Lo studio delle fonti è affidato all’insegnamento del diritto costituzionale.
“Fonte normativa è tutto ciò che introduce un nuovo diritto”: tale definizione è generale, imprecisa ed incompleta. Le fonti hanno diverse specificazioni: vi sono atti che creano diritto ma non sono fonti, poiché non integrano l’ordinamento giuridico (es. contratti, testamenti… …); essi creano diritti soggettivi, non diritti della collettività.
Una sentenza non è fonte di diritto poiché si riferisce al particolare; riguarda solo i soggetti del processo.
Le fonti normative invece, sono atti o fatti che integrano l’ordinamento giuridico con riferimenti a gruppi di persone, o a collettività.
Esse si distinguono in: fonti di cognizione, di produzione e sulla produzione.
Secondo due interpretazioni differenti la fonte di cognizione può essere: 1) atto o fatto che contiene la disposizione normativa; 2) strumento che divulga la disposizione (es. la gazzetta ufficiale); in realtà la prima interpretazione è forse più rispondente alla realtà in quanto la gazzetta non produce la legge, ma la divulga.
Seguendo le due interpretazioni precedenti la fonte di produzione può essere intesa rispettivamente come: 1) ente o organo che emana la legge (es. parlamento); 2) la legge.
La fonte sulla produzione è all’unanimità riconosciuta come un concetto eminentemente costituzionalistico: essa è tutti quegli atti che attribuiscono il potere normativo (prima fra tutti la Costituzione), come le disposizioni generali che antecedono il I libro del codice civile.
Tra queste preleggi, l’art. 1 cita le fonti del diritto e tra queste non compare la Costituzione, prima tra le fonti; questo perché all’epoca non vi era una Costituzione rigida, ma lo Statuto Albertino che era una Costituzione flessibile, modificabile cioè da altre leggi. Oggi la legge è condizionata dalla Costituzione.
L’art. 1 delle preleggi (disposizioni generali) indica che vi è una gerarchia tra le fonti. Ogni fonte deve la sua legittimità alla fonte di grado superiore (es. la Costituzione dice che il Parlamento ha il potere di emanare le leggi, ma queste non possono risultare in contrasto con la Costituzione stessa; inoltre il Parlamento deve la legittimità di produrre leggi proprio alla Costituzione).
La legge è condizionata e legittimata dalla Costituzione, ma la Costituzione da dove ricava la sua legittimità?
La Costituzione ricava la sua legittimità da un fatto e non da un atto. La Costituzione, anche quando è rigida, prevede delle norme per la sua modifica: una Costituzione precedente può legittimare una Costituzione successiva, se questa è emanata secondo il rispetto della prima.
La Costituzione può essere il risultato di una rivoluzione che travolge il precedente sistema, senza il rispetto delle sue regole. Quando questa avviene ad opera di un singolo o di un’oligarchia, si parla di colpo di Stato; quando questa avviene ad opera di una collettività si dice rivoluzione popolare.
La legittimità o illegittimità dell’atto rivoluzionario dipende dal suo esito e può essere valutata solo ex post: se riesce, la rivoluzione introduce nuove regole che le conferiscono legittimità; se non riesce, essa risulta essere in netto contrasto con l’ordinamento che mirava a distruggere e perciò è chiaramente illegittima.
Che succede quando una legge urta contro i principi della Costituzione? Prevale la Costituzione; in questo caso, il giudice deve sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale l’illegittimità della legge; la Corte Costituzionale deve essere sollecitata dal giudice a prendere in esame la legge in questione.
Alcune leggi possono trovarsi in contrasto (antinomia); se le leggi in contrasto si pongono su diversi piani gerarchici, la norma superiore prevale sulla inferiore.
L’antinomia tra norme può verificarsi anche quando esse appartengono allo stesso livello gerarchico.
Per esempio, nell’art.71 della Costituzione vi è un’apertura: non si può creare una legge ordinaria che possa attribuire potestà legislativa a un ordine diverso da quelli citati; si tratta di una riserva costituzionale (possibilità d’intervento solo da parte di una norma costituzionale, art.138)
La riserva di legge ordinaria invece, può essere ASSOLUTA quando la disciplina deve essere dettata con legge per intero; RELATIVA quando deve intervenire la legge, ma è possibile che essa indichi solo principi generali e quindi intervenga insieme al regolamento; RINFORZATA quando la Costituzione affida la disciplina alla legge, ma dà indicazioni precise: il legislatore non è libero.
Alcune antinomie si risolvono mediante la ripartizione delle competenze e non tramite gerarchia.
L’art.15 delle preleggi fissa il procedimento per l’abrogazione di una legge, che avviene secondo un criterio temporale: la legge posteriore prevale sempre su quella anteriore, la abroga.
L’abrogazione può essere: espressa: quando sono citate le norme abrogati dalla tale legge; tacita: quando la legge posteriore è incompatibile con quella anteriore e non è perciò possibile applicarle entrambe; implicita: quando la legge successiva regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
La legge generale abroga tutte le precedenti leggi (anche quelle speciali). Qui il compito dell’interprete è delicatissimo: egli deve appurare che la legge speciale sia in effetti attratta, interessata da quella generale.
La norma posteriore può essere speciale; essa deroga quella di carattere generale precedente: diverge con la precedente disciplina che rimane.

28.09.04 Prof. Giocoli Nacci

Le fonti sono scritte (fonti atto) o non scritte (fonti fatto); non tutte le fonti non scritte sono fonti fatto.
La forma repubblicana dello Stato non può essere modificata (art.139) neanche da una revisione Costituzionale; ci sono norme “speciali” che costituiscono l’ossatura della Costituzione.
Esse sono dette immodificabili ma è possibile travolgerle, stravolgendo l’intero sistema Costituzionale.
Lo Stato si costituisce attraverso la sua Costituzione.
Le Costituzioni sono di 2 tipi: rigide (es. la nostra): non possono essere modificate attraverso l’emanazione di una legge ordinaria; flessibili: possono essere modificate attraverso l’emanazione di una legge ordinaria.
Lo Statuto albertino era un esempio di Costituzione flessibile: la Costituzione condizionava la legge (nessuna legge poteva contrastare lo Statuto), ma la legge poteva modificare il sistema, innovando le norme dello Statuto (Costituzione); questa flessibilità ha facilitato l’avvento del fascismo.
In ogni caso (rigida o flessibile che sia), la Costituzione si pone al vertice della gerarchia.
Il diritto comparato riconosce due tipi di costituzioni rigide: 1) costituzioni rigide che non possono essere modificate da organi per l’emanazione delle leggi ma necessitano, per questo, di organi speciali; 2) costituzioni rigide che possono essere modificate dall’organo per l’emanazione delle leggi ordinarie, mediante procedimento aggravato (es. la nostra).
La rigidità della nostra Costituzione è fissata nell’art.138. La costituzione rigida è necessariamente una Costituzione scritta; ma non tutte le Costituzioni sono scritte. In Inghilterra, vige il principio della Common Law: il diritto si afferma per tradizione, attraverso leggi non scritte e l’interpretazione giurisprudenziale.
La Costituzione consuetudinaria si adatta meglio alle evoluzioni, ma anche quella rigida lo fa: tutte le Costituzioni sono caratterizzate dall’elasticità; esse dettano principi e regole generali ed elastiche, capaci di adattarsi ai tempi.
Le Costituzioni “brevi” contengono principi generali dell’organizzazione dello Stato, e qualche diritto e libertà personali; le Costituzioni “lunghe” (es. la nostra), contengono in più alcuni elementi di materia economica.
La Costituzione scritta può essere opera di un’assemblea, può essere cioè determinata da una volontà popolare; oppure può essere concessa dal sovrano (es. Statuto albertino); in questo caso si dice ottriata.
Le norme precettive si dirigono alla generalità del cittadino, sono di immediata applicazione; le norme programmatiche (il cui aggettivo contraddice il sostantivo) sono norme che si dirigono a un legislatore futuro: esse non sono di immediata applicazione, poiché deve intervenire il legislatore.
In realtà anche queste leggi, sebbene abbiano delle limitazioni, sono comunque di immediata applicazione.
La dottrina è costituita dagli studi dei giuristi, degli scienziati; è formata dal complesso degli studi;
la giurisprudenza è formata dalle sentenze dei giudici, dal complesso delle decisioni.
Sia la dottrina che la giurisprudenza hanno convenuto che l’opera del giurista consiste nell’interpretazione e la prima opera del giudice è l’interpretazione della norma, precedente alla sua applicazione. L’interpretazione ha comunque delle limitazioni: il giudice deve accogliere l’interpretazione conforme alla Costituzione.
Quando era in vigore lo Statuto albertino, una legge poteva modificare la Costituzione; eppure, se essa si poneva in contrasto con la Costituzione, senza tuttavia modificarla, era dichiarata dal giudice illegittima e incostituzionale. La corte Costituzionale non esisteva.
Quasi tutte le Costituzioni rigide prevedono l’esistenza di una Corte Costituzionale. Il giudice ha il potere di sospendere il procedimento che contiene la norma che egli non riesce a conformare alla Costituzione e che considera incostituzionale, e di sottoporla all’attenzione della Corte Costituzionale.
- La distinzione tra Costituzione formale e Costituzione materiale è stata ideata da Costantino Mortati, il quale intendeva per Costituzione formale quella inserita nel testo giuridico e per Costituzione materiale quella formata dal comportamento dei soggetti (quest’ultima poteva essere in contrasto con la Costituzione formale); questa distinzione non ha rilevanza giuridica –
Le leggi costituzionali contengono norme che hanno la stessa forza della Costituzione; se
non l’avessero, non potrebbero integrare, modificare e revisionare la Costituzione. Art.138: le leggi di revisione costituzionale sono leggi Costituzionali.
Il processo di revisione costituzionale è un processo aggravato poiché ha alcune peculiarità.
A riguardo dell’intervallo di 3 mesi tra le due successive deliberazioni delle Camere, previsto dall’art.138 vi sono 2 interpretazioni: la prima dice che la prima camera si pronuncia una volta, dopodichè passano 3 mesi, si pronuncia una seconda volta; si pronuncia la seconda camera, passano altri 3 mesi e la seconda camera si pronuncia una seconda volta; la seconda interpretazione è divenuta di uso comune dal 1971 e dice che si pronuncia la prima camera, poi la seconda, segue un intervallo di 3 mesi, dopodichè si pronunciano nuovamente la prima e la seconda camera. Questo procedimento non è corretto poiché l’art.138 recita che le leggi Costituzionali sono adottate da ciascuna camera con due successive deliberazioni e non a intervalli.
Pur non essendo corretto, questo procedimento snellisce di molto i tempi e risulta sicuramente più funzionale del primo.
La maggioranza semplice consiste nella metà più 1 dei votanti.
La maggioranza assoluta consiste nella metà più 1 dei componenti l’assemblea.
La maggioranza qualificata è i 2/3, i 3/4, i 3/5 … e così via, dei componenti l’assemblea

29.09.04 Prof. Loiodice

L’interpretazione è propria del giurista, ma tutti interpretano, nei loro limiti, il diritto.
Il Diritto è il prodotto dell’attività dell’uomo (è l’uomo che vive con gli altri).
Giuvenzio Celso descrisse il diritto come “ars boni et equi”.
L’interpretazione costituzionale richiede una maggiore raffinatezza.
C’è una distinzione tra i paesi che hanno una common law e quelli che hanno una civil law.
Nei paesi a common law, il diritto non è scritto, ma è radicato nei precedenti giurisprudenziali; il ragionamento è prima induttivo, poi deduttivo, e il precedente assume un valore vincolante.
Ai processi, i giudici arrivano forniti di sentenze; il lavoro induttivo consiste nell’estrarre da queste sentenze la regola da applicare; dopodichè si deve decidere se il fatto è rispondente o no ai precedenti esaminati.
Nei paesi a civil law vi è un testo scritto e il precedente giurisprudenziale non ha valore vincolante; il ragionamento è prettamente deduttivo: il giudice è soggetto solo alla legge (Artt. 101, 102, 103…); il precedente può essere o no condiviso dal giudice.
Il procedimento che porta alla conclusione di un caso è composto di: premessa maggiore: la legge, cioè l’interpretazione; premessa minore: il fatto, nella sua ricostruzione processuale mediante prove, la quale può corrispondere o no al fatto vero (gioca anche qui l’interpretazione); la conclusione.
L’interpretazione parte da elementi semplici: i testi scritti; i vari tipi di interpretazione si dicono: dichiarativa: “in claris non fit interpretatio”; restrittiva: la norma “plus dixit quam voluit”; estensiva: la norma “minus dixit quam voluit”. (Art. 12 delle preleggi)

04.10.04 Prof. Giocoli Nacci

Le norme di revisione costituzionale appartengono allo stesso piano della Costituzione.
Al di sotto di questo piano c’è la legge (atto tipo della manifestazione della volontà legislativa dello Stato).
Nelle preleggi la legge è vista come fonte primaria poiché lo statuto albertino era una costituzione flessibile, innovabile tramite leggi: la legge era fonte di vertice.
Oggi la legge non è più quell’atto fondamentale, ma deve rispettare le regole della Costituzione sotto l’aspetto formale e sostanziale.
L’emanazione di una legge è un procedimento complesso (parte dall’iniziativa e si conclude con la pubblicazione)
Essa deve essere proposta (disegno di legge) da alcuni organi, alcuni soggetti (Art.71) ben definiti, ma vi sono delle eccezioni.
Per esempio, nell’art.133 l’iniziativa è riservata ai comuni ed è esclusiva, poiché essi soli legiferano su questo tipo di leggi).
L’iniziativa parlamentare spetta a ciascun membro del Parlamento; se la proposta è di un deputato, la legge sarà proposta prima alla camera dei deputati, se è di un senatore, prima al Senato.
L’iniziativa governativa è affidata al governo che, essendo un organo che agisce amministrativamente, si rende conto delle esigenze, delle situazioni, delle necessità e della utilità di una norma.
L’iniziativa del governo è l’iniziativa più rilevante, perché è il risultato delle esigenze che il governo avverte, ed è espressione della volontà della maggioranza parlamentare (il governo).
Il governo parlamentare si definisce tale poiché non è nominato liberamente dal capo dello stato (come avviene negli Stati Uniti), ma è nominato dal capo dello stato, e presentato alle due camere; esso deve ottenere la fiducia parlamentare tramite maggioranza.
Le proposte che partono dal governo hanno la massima probabilità di successo.
L’iniziativa non deve essere del singolo ministro, ma del consiglio dei ministri.
Se la commissione è una, perché si parla di una o più relazioni? Le commissioni sono formate in modo da rispecchiare la composizione della Camera. È difficile, se non impossibile, che vi sia una conclusione unanime. L’opposizione (in Italia) è sempre contraria e fa da ostacolo: si formano più relazioni.
La sede si dice deliberante (il termine legislativa non è corretto poiché le commissioni si riuniscono sempre in sede legislativa, ma cambiano i compiti che esse hanno).

05.10.04 Prof. Giocoli Nacci

I procedimenti per l’approvazione delle leggi costituzionali e delle leggi ordinarie, a volte
sono arricchiti da elementi in più. (Es. Art.132 comma I Costit.: maggioranza popolazioni province e comuni, sentiti i consigli regionali…; artt.7 e 8 Costit….).
Tali leggi sono definite dal Prof. Ferrari leggi rinforzate: si pongono in un gradino intermedio tra le leggi costituzionali e quelle ordinarie, in quanto sono ordinarie, ma hanno un rinforzo che le rende speciali.
Non siamo d’accordo: non esistono leggi rinforzate, ma solo leggi con procedimento rinforzato: leggi atipiche. Inoltre, non si può fare un confronto tra norme, che determini una gerarchia, perché una sola norma regola il singolo caso; le leggi atipiche si dicono tali in quanto hanno un procedimento rinforzato ma sono tutte di tipo diverso! Si dice che siano in un piano intermedio, ma non sono tutte sullo stesso piano. Si pongono su un piano paritario: ci sono materie che vanno disciplinate con un certo tipo di legge.
Si dice che la legge rinforzata può abrogare una legge ordinaria, dove una legge ordinaria non può abrogare una legge rinforzata.
Cosa differenzia una legge costituzionale da una ordinaria? La legge costituzionale non può essere abrogata né da legge ordinaria né da referendum, ha una maggiore resistenza e prevale su quella ordinaria.
L’abrogazione riguarda entrambe i tipi di legge.
Una legge ordinaria può essere abrogata dalla Corte Costituzionale, ma in realtà non è un’abrogazione (la Corte non è un legislatore), è una dichiarazione di illegittimità (Art.136)
Una norma costituzionale non può essere incostituzionale, ma vi è ugualmente una possibilità che la Corte intervenga: le leggi costituzionali devono essere varate secondo un determinato iter formativo; se esso non è rispettato provoca l’illegittimità della legge.
Montesquie affermò: “vi può essere libertà del cittadino solo se il potere è diviso in una pluralità di organi”.
In Italia, il potere legislativo è affidato alle due camere del Parlamento; il potere esecutivo è affidato al governo; quello giudiziario è affidato ai giudici.
Negli U.S.A. vi è una netta distinzione tra il potere esecutivo (il presidente) e quello legislativo (governo): non vi è alcun collegamento. In Italia, invece, il governo non è del tutto distaccato dal Parlamento (si parla di governo parlamentare), in quanto il governo è espressione della maggioranza parlamentare.
Il governo può emanare atti aventi forza di legge, i quali ripetono la loro legittimazione da due fonti: 1) decreti legge: sono emanati dal governo di sua iniziativa in condizioni di necessità e urgenza; il governo non è titolare del potere legislativo, ma vi sono condizioni che non rendono possibile il lavoro delle camere in quanto troppo lento. L’art.77 Costit. Sembrerebbe contrastare con l’art.76 Costit., ma lo stato di necessità è fonte di diritto; 2) decreti legislativi: le camere delegano il governo, stabilendo la materia e i criteri e i principi direttivi, poi stabilisce un tempo limitato; si tratta di materie tecniche (es. redigere il Codice).

06.10.04 Prof. Giocoli Nacci

Gli atti del governo aventi forza di legge seguono il principio della collaborazione dei poteri
il quale attenua quello della divisione dei poteri, ideato da Montesquie.
Dopo l’emanazione del decreto legge, il parlamanto “dovrebbe” giudicare se il governo si trovava realmente nella condizione di necessità e urgenza indispensabile per esercitare la sua funzione legislativa, ma la maggioranza parlamentare è a favore del governo…
Riguardo al decreto legislativo, si riconosce al Parlamento la possibilità di delegare la legge al governo su una materia definita; questo perché il Parlamento non è in grado, per esempio, di formulare un codice (i parlamentari non sono necessariamente tecnici competenti nelle materie giuridiche, ma possono essere architetti, ingegneri ecc…), mentre il governo può nominare dei tecnici in grado di farlo.
Il governo deve rispettare i limiti della delega (Art.76 Costit.) che consistono in 3 elementi: oggetto della delega, principi e criteri direttivi, tempo limitato.
Un atto emanato a delega scaduta, ha lo stesso valore di uno emanato senza delega; è un atto emanato dal governo senza il potere necessario per farlo (la delega); è quindi un atto non legislativo. Ma finchè la Corte non si pronuncia sul suo non valore, esso vale o no? Si tratta di un atto legislativo emanato da un organo esecutivo, perciò è senza valore.
Esistono raccolte di leggi fatte da privati (es. Codice sui trasporti…) e chiamati “codici”, ma non si tratta di veri e propri codici.
Esistono poi testi unici emanati dal governo su proposta del Parlamento; essi sono compilativi o innovativi. I testi unici sono decreti legislativi, ma vi è un aggravamento della procedura: vi è la necessità di una fase istruttoria, bisogna chiedere al Consiglio di Stato.
Ci sono poi testi unici spontanei: il governo ritiene di dover raccogliere in un unico testo le leggi sparse qua e là.
Le regioni si dividono in regioni a statuto ordinario e a statuto speciale. Gli statuti furono dati dal Parlamento con legge costituzionale; essi contengono norme diverse da quelle costituzionali; gli statuti speciali sono propri di 5 regioni e sono stati dati per vari motivi (es. vi erano regioni che necessitavano di norme particolari per regolare la convivenza di cittadini di più nazioni, oppure furono dati per attenuare la volontà di separazione delle regioni).

11.10.04 Prof. Giocoli Nacci

Stato ed enti minori.
Secondo l’Art.1 II comma: la sovranità appartiene al popolo.
L’Art.5: parla delle autonomie locali (di tutti gli enti locali: regioni, province, comuni).
La sovranità è un requisito innato dello Stato: non esiste uno Stato che non sia sovrano.
L’autonomia è il potere che lo Stato riconosce agli enti locali. Perciò la regione non sarà mai Stato, poiché lo Stato ha una sovranità innata.
Art.115: le regioni sono costituite in enti autonomi……secondo i principi fissati nella Costituzione. – differenza con – art.128: le province e i comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali.
Attualmente, le province e i comuni hanno un proprio statuto (potestà statutaria); l’autonomia di questi enti è così esercitata in modo diverso, a seconda delle necessità e dei bisogni propri di ogni ente.
L’autonomia delle Regioni si esercita in modo diverso da quella delle Province e dei Comuni.
Si riteneva che l’autonomia consistesse solo nel potere legislativo; ma autonomia non è potere di emanare leggi, bensì potere di emanare norme giuridiche.
Oggi le Regioni hanno la potestà statutaria, hanno cioè potere legislativo (emanano leggi regionali) mentre le province e i comuni hanno potere normativo (norme, regolamenti……).
Si distingue tra Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale.
- Le regioni a statuto ordinario avevano solo una competenza legislativa concorrente: le leggi concorrenti sono di competenza sia dello Stato che della Regione e sono costituite da due elementi: 1) leggi cornice o quadro (principi generali dettati dallo Stato); 2) norme specifiche, in dettaglio, emanate dalla Regione. Prima le regioni non avevano potestà esclusiva su niente; oggi l’autonomia è cresciuta molto: sono state stabilite materie di competenza dello Stato, altre di competenza concorrente, altre di competenza esclusiva della Regione: tutto ciò arieggia la regola del federalismo.
- Le regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta) hanno un trattamento speciale: erano titolari di una potestà legislativa esclusiva (alcune materie erano di competenza esclusiva della Regione).
Oggi le regioni a statuto ordinario hanno un’autonomia superiore a quelle a statuto speciale:
hanno una potestà statutaria piena (vi è solo un controllo postumo della Corte Costituzionale), una potestà legislativa forte, una potestà concorrente limitata solo ad alcune materie.
Le leggi statali sono considerate superiori a quelle regionali, ma noi non siamo d’accordo. Si tratta di competenze diverse. Le leggi statali e quelle regionali non sono sullo stesso piano; anche dove vi è una competenza concorrente, non vi è mai una sovrapposizione di norme perché la legge dello stato deve dare i principi generali, la legge della Regione i dettagli normativi. Se lo Stato disciplinasse per intero una legge concorrente, essa risulterebbe illegittima, incostituzionale, e suscettibile di impugnazione da parte della Regione.
Non c’è un rapporto gerarchico tra leggi statali e leggi regionali: esse intervengono su settori diversi. Le norme di dettaglio non possono contrastare le leggi dello Stato, ma non sono subordinate a queste.
Nella scala gerarchica, i regolamenti si trovano sotto gli atti aventi fonte di legge; ne parlava già lo Statuto albertino nell’art.6, il quale prevedeva che i regolamenti fossero solo quelli emanati dal capo dello Stato (potere esecutivo = Re), e fossero relativi unicamente all’esecuzione delle leggi.
Solo nel 1926 si decise che i regolamenti non dovevano limitarsi all’esecuzione delle leggi.
La nostra Costituzione vuole che sia il Presidente a emanare i regolamenti.
Regolamenti d’esecuzione: la legge dà i principi generali (regolamenti secundum legem)
Regolamenti indipendenti: si riferiscono a materie non contemplate dalla legge (non c’è una riserva di legge: regolamenti extra legem).
Regolamenti d’organizzazione: vi è una riserva di legge relativa (la legge occorre, ma può, se vuole, limitarsi a dare principi di carattere generale).
Il regolamento riceve il suo valore dalla legge: è subordinato alla legge e non può porsi in contrasto con essa.
Il regolamento è un Atto normativo di carattere amministrativo, non avente forza di legge (e quindi non impugnabile di fronte alla Corte Costituzionale).
Se esso contiene una norma in contrasto con la legge, esso è impugnabile di fronte all’Autorità Amministrativa, cioè di fronte all’organo di giustizia amministrativa (T.A.R., e Consiglio di Stato in 2° istanza).
Le decisioni della Corte Costituzionale hanno efficacia Erga Omnes; è un’efficacia estensiva, in quanto la norma dichiarata illegittima perde efficacia dal giorno dopo la pubblicazione della decisione della Corte.
Le sentenze del giudice hanno un’efficacia limitata al giudizio; sono efficaci nei confronti delle parti che hanno occasionato il giudizio. La sentenza ha un’efficacia limitata alla risoluzione di quella controversia, non ha un’efficacia estensiva.
La declamazione del T.A.R., riguardo all’illegittimità di un regolamento ha efficacia solo nei confronti di quel regolamento. Si tratta di un’eccezione alla regola precedente.
I regolamenti Parlamentari sono 2 (Camera dei Deputati e Senato), e vengono approvati a maggioranza assoluta.
Vi è una riserva di regolamento parlamentare: a legge non può fissare i regolamenti delle Camere (riguardo ad alcune materie); le norme del regolamento non sono impugnabili di fronte alla Corte Costituzionale perché sono Interna Corporis. L’autonomia delle Camere è garantita costituzionalmente, perciò la Corte non può intervenire.
I regolamenti degli organi costituzionali servono per organizzare il proprio lavoro.

12.10.04 Prof. Loiodice

La nostra Costituzione adotta il principio dell’elasticità, coprendo argomenti di politica con
norme molto generali. Se così non fosse, essa sarebbe travolta dagli eventi.
Le parti politiche votarono insieme gli articoli della Costituzione. Molti articoli sono quindi il risultato di votazioni di parti opposte.
Nel 1948 vi era una logica di unione, vi era incertezza su quello che sarebbe avvenuto.
Le forze politiche opposte trovarono una base comune nella dottrina della chiesa.
Nell’assemblea costituente, il principio religioso si traduce in principio giuridico in quanto esso risulta il più garantista; erano principi forti: nella logica cristiana l’uomo in sé è importante e degno di rispetto.
Non esiste una definizione di libertà: però possiamo desumere il significato di tale parola dal testo dell’art.13.
Ma ci sono complicazioni notevoli: è un problema che investe molteplici materie.
La libertà è o scelta o condizione.
La scelta è un principio dinamico e consiste nel decidere se rimanere libero o divenire prigioniero.
La condizione è un principio statico e consiste nello stare bene (stare in una situazione idonea a fare del bene).
La libertà è la condizione in cui si trova l’uomo quando sta bene, è una tensione verso il bene (bene protetto giuridicamente).
Si tratta di concetti morali incardinati nel sistema giuridico.
L’art.3 contiene un principio di giustizia morale difficilmente applicabile, trova un fermo nella realtà delle cose.
L’art.13 è un principio statico, di condizione, di status.
Si tratta di una libertà sia psichica che fisica.
La libertà si perde o per intervento esterno violento o persuasivo, oppure per volontario assoggettamento a una situazione di schiavitù.

13.10.04 Prof. Giocoli Nacci

La legge non si identifica con la norma e viceversa: ci sono norme che non sono leggi.
La norma è il contenuto dell’atto normativo, perciò va desunto dalla disposizione, tramite l’interpretazione.
Nell’art.136 si parla di “norma di legge”: la Corte non si pronuncia sulla base dell’atto in sè, bensì su come esso è stato interpretato dal giudice.
Talvolta la Corte si pronuncia sulla legge in senso stretto, ad esempio quando il procedimento d’emanazione non ha rispettato l’iter costituzionale; in questo caso la Corte si pronuncia sull’atto vero e proprio.
La Costituzione vigente consiste nell’insieme delle norme vigenti;
la Costituzione vivente è una Costituzione che vive sulla base dell’interpretazione delle leggi.
Non tutte le norme vigenti sono tratte da atti emanati da organi di Stato.
Ci sono Atti Internazionali.
Per recepire i risultati dei trattati c’è bisogno di una legge precisa, perciò la fonte del diritto rimane la legge, non il trattato: esso è una fonte-atto come le altre.
Secondo l’art.10, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; ma quali sono queste norme?
Si tratta di norme consuetudinarie.
L’ordinamento italiano si conforma alle norme internazionali tramite il rinvio.
Il rinvio può essere recettizio, cioè materiale, fisso, praticamente trascritto.
È tale quando una norma emanata dai nostri organi fa riferimento a una norma straniera. È un rinvio fisso in quanto la norma dai nostri organi emanata, non è soggetta alle modificazioni che interessano la norma straniera.
Il rinvio può anche essere non recettizio, cioè formale, mobile: in questo caso si fa riferimento generalmente a una norma straniera; a qualsiasi atto che abbia una certa qualificazione legittima. La norma viene introdotta, ma non recepita: è condizionata dalla modificazione della norma originaria.
La presupposizione si ha quando vi sono ordinamenti stranieri presupposti per la risoluzione di problemi nel nostro ordinamento. Anche le pre-leggi hanno un carattere di presupposizione (ad esempio, facendo riferimento all’art.16, le leggi sulla cittadinanza sono diverse in ogni ordinamento).
La consuetudine è la fonte-fatto (non scritta) più comune.

26.10.04 Prof. Loiodice

La Costituzione fa propri principi morali ed etici della dottrina sociale della chiesa.
La libertà è un concetto etico limitato. Lo status di libertà va conservato; nella morale
la libertà è corrispondenza al bene assoluto, nel diritto essa è corrispondenza al bene giuridicamente protetto.
La libertà si articola nelle varie libertà (artt.13 e ss.).
Il concetto di persona giuridica è un’astrazione del diritto. La persona giuridica non è una persona, ma un soggetto giuridico.
Il concetto di soggetto di diritto è cambiato spesso nel corso della storia.
Si possono utilizzare concetti astratti del diritto, ma sempre in relazione con la natura dell’uomo; la persona giuridica è estensione di quella fisica.
La natura viene considerata dal diritto in tutte le sue espansioni: prima o poi il diritto formalizza tutte le espansioni della personalità dell’uomo.
Con un’interpretazione sistematica si può comprendere che l’art.13 prende in considerazione la persona fisica.
Infatti basta considerare il II comma, quando tratta della “detenzione”, applicabile unicamente alla persona fisica.
Il concetto di persona è un concetto extragiudiziario. La persona essere umano, si trasforma in soggetto di diritto.

03.11.04 Prof. Loiodice

Anche la persona fisica diviene astrattezza quando è considerata come personalità giuridica.
La libertà personale è sia status che scelta. Il più delle volte viene tutelata la libertà di scelta,
ma, una volta operata la scelta (che deve essere una scelta di libertà), si ottiene la libertà status. La scelta appartiene anche agli animali, ma la scelta effettiva, come conforme allo status di libertà è propria dell’uomo.
Inviolabilità (domanda d’esame): l’inviolabilità si ritrova anche nell’art.2. esso è un concetto fisico, un concetto antico. Esso sorge e viene collegato alla proprietà.
Ci sono beni che vengono offerti alle divinità e sono intoccabili (i concetti di sacro e di inviolabile spesso viaggiano insieme); l’inviolabilità si trasforma poco a poco e perde i connotati di concetto fisico (Romolo e Remo tracciarono sulla terra un confine sacro, inviolabile).
Il concetto fisico di inviolabilità è presente nell’art.13 quando si parla di ispezione, detenzione, perquisizione (concetti fisici); l’inviolabilità viene affidata a poteri giuridici (giudice e legge insieme).

08.11.04 Prof. Loiodice

L’art.13 (relativo alla libertà personale) è collegato a molti altri articoli (ad es. art.2: diritti
inviolabili).
Art.111 penultimo comma: il giudice “parla” attraverso le sentenze che sono la massima espressione della funzione giurisdizionale; ma ci sono anche i provvedimenti (di carattere amministrativo o di sicurezza).
VII comma: prima vi erano vere e proprie dichiarazioni di guerra, oggi queste non esistono più in senso stretto, ma vi è comunque la guerra (terroristica), una guerra continua e imprevedibile. Come tempo di guerra, si potrebbe considerare anche quello odierno.
Le sentenze del Tribunale militare riguardano i militari, ma in tempo di guerra, ogni cittadino è militare. Ma a chi spetta la decisione, al Parlamento o al Governo? Al parlamento.
Art.13, I comma: parla di inviolabilità, ma anche qualcosa di inviolabile può essere violato (vedi il confine posto da Romolo e Remo);
II comma: espone ciò che garantisce l’inviolabilità; vi sono due concetti tecnici: la riserva giurisdizionale e la riserva di legge che lavorano insieme.
III comma: i provvedimenti provvisori, se non sono convalidati dall’autorità giudiziaria sono illegittimi e costituiscono reato. I provvedimenti non sono suscettibili di ricorso.
Cos’è un’autorità di pubblica sicurezza? Anche un professore nell’esercizio della sua funzione può essere un’autorità di pubblica sicurezza…
Il codice di procedura penale prevede che la pubblica sicurezza sia composta di organi di polizia, di sicurezza; ci sono due tipi di arresto: uno facoltativo, relativo a reati abbastanza forti, sui quali l’autorità decide se arrestare o no; e uno obbligatorio, relativo ai casi di reati più gravi (rapina, omicidio, oltraggio a pubblico ufficiale…).
Solo nel caso in cui non vi sia nessun rappresentante della pubblica sicurezza, ogni cittadino ha il potere di arrestare il criminale. Nell’aula universitaria, il professore ha un potere d’assemblea, ma anche un potere di polizia interna; in realtà questo potere non è stato mai usato: anche se viene oltraggiato, un professore non arresta mai uno studente, per non rompere l’unità che corre tra studenti e insegnanti. Sostanzialmente questo potere di arresto è come se non esistesse.
L’art.13 induce a considerare con molta parsimonia il potere d’arresto, riducendo la sua applicabilità ai soli casi eccezionali.
L’articolo in questione rende impossibile l’intervento sulla persona con due grandi riserve: la riserva giurisdizionale e la riserva di legge. Ogni eccezione alla regola va intesa in modo restrittivo.
Le due riserve sono una doppia garanzia contro gli abusi: la riserva giurisdizionale attribuisce alla competenza dei giudici quegli atti che, un tempo, erano riservati al potere esecutivo; la riserva di legge attribuisce al potere legislativo atti che anch’essi erano, un tempo, riservati all’esecutivo.
Vi è una differenza tra “eccezionale” e “speciale”:
eccezionale è una norma che non può avere né interpretazione estensiva, né analogica;
speciale è una norma che può avere un’interpretazione estensiva ma non analogica (in quanto fa riferimento a particolari settori; es. università).

10.11.04 Prof. Giocoli Nacci

Il legislatore ha dato, inconsciamente, un ordine alla trattazione degli organi costituzionali.
L’ordine risponde alla maggiore vicinanza dei vari organi al concetto di democrazia: potere del popolo.
Il primo organo preso in considerazione è il parlamento.
Il Parlamento (art.55) si compone della Camera dei Deputati e del Senato: è un organo composito.
Il sistema bicamerale era abbastanza diffuso all’epoca dell’instaurazione della Repubblica, ma in seno all’assemblea costituente si voleva ottenere dalla sinistra, un sistema monocamerale; così, la nostra Costituzione ha assegnato alle due camere le medesime funzioni e la medesima dignità. Entrambe le camere devono varare le leggi, entrambe devono dare fiducia al governo; è un bicameralismo perfetto.
Proprio questa identità di contenuti delle due assemblee ha indotto dottrina e parti politiche a considerare negativo il bicameralismo, in quanto rallenterebbe l’azione legislativa (spesso la legge “viaggia” tra le due camere per molto tempo), l’azione governativa (la fiducia deve essere assegnata da entrambe le camere), l’azione statale.
Si sostiene, quindi, da più parti, non giustificabile l’esistenza di due organi che esprimono la stessa volontà e nello stesso tempo, si sostiene non giustificabile la perdita di tempo causata dalla difformità di volontà in caso di contrasto tra le due camere.
Ma queste considerazioni si basano su aspetti non totalmente condivisibili; non tengono infatti conto che i sistemi moderni sono sistemi partitici, che assicurano l’uniformità di vedute tra le due camere; inoltre esse non tengono conto che nel caso si verificassero difformità di opinioni e vedute, sarebbe un bene metterle in evidenza, piuttosto che sopprimerle.
Il sistema bicamerale risponde a precise esigenze politiche e tecniche. Le esigenze politiche emergono negli stati federali dove questo sistema è fondamentale; in quelli regionali esso è invece necessario in quanto in una camera potrebbero emergere i rappresentanti dell’unità nazionale, nell’altra quelli delle Regioni. Forse l’art.57 voleva dire proprio questo.
Il presidente del Senato supplisce il Capo dello Stato quando è necessario; bisognava dare una medesima dignità al Presidente della Camera, perciò si è deciso che il Presidente della Camera presiede le assemblee riunite in seduta comune.
Il sistema bicamerale dovrebbe impedire l’emanazione di una legge per impulso (ad esempio sotto pressione dell’opinione pubblica). La seconda camera dovrebbe essere una camera di riflessione, utile a rallentare l’azione legislativa, ai fini di un vaglio razionale e critico della legge in esame.
Bisogna differenziare le due camere in base a:
1) l’elettorato attivo e passivo: alla Camera dei Deputati votano tutti i cittadini maggiorenni, al Senato votano le persone di almeno 25 anni. È da sottolineare che, mentre per l’elezione dei deputati, si parla di “maggiore età”, definita con una legge dello Stato, per l’elezione dei Senatori si fa riferimento ad un’”età precisa”: 25 anni. L’elettorato passivo si ottiene, per la Camera dei Deputati, a 25 anni, per il Senato, al 40°anno di età.
2) Questa norma è stata abrogata, ma prima le camere si differenziavano per la rispettiva durata in carica, in quanto la camera durava in carica 5 anni, il Senato 6 anni. Questa distinzione teneva presente l’esigenza di cogliere le emergenze del corpo elettorale in momenti diversi, assicurando una non brusca, ma graduale trasformazione degli orientamenti politici. La differenziazione è stata eliminata per ragioni di opportunità, sotto pressione dei partiti. Le elezioni comportano spese enormi per lo Stato e per i partiti. Inoltre, il Capo dello Stato ha più volte sciolto il Senato prima della fine della carica per raggiungere lo stesso effetto che la revisione costituzionale ha poi sancito: l’equiparazione della durata in carica delle due assemblee).
L’idea di tornare al monocameralismo è abbandonata in tutto il mondo.
La legislatura è la durata in carica delle assemblee legislative.
La legislazione è l’insieme delle leggi in vigore.
Il periodo quinquennale non è un periodo fisso. Vi sono due norme costituzionali che prevedono la durata in carica delle due camere oltre il tempo stabilito. Si tratta dell’art.60 e dell’art.61.
L’art.60 dice che solo con un atto legislativo, e in caso di guerra, il Parlamento può prorogare i suoi poteri come vuole. Un compito delicatissimo è affidato alle due camere: durante la guerra non si possono svolgere elezioni. È un istituto di carattere straordinario, eccezionale; è una proroga.
L’art.61, invece, è una prorogatio. A differenza della proroga, i poteri delle camere sono prorogati finche non siano riunite le nuove camere. A riguardo del termine della prorogatio esistono diverse interpretazioni.
1) C. Mortati diceva che la prorogatio termina nel momento stesso in cui sono elette le assemblee, ma bisogna aspettare che esse si siano riunite, altrimenti si avrebbe uno strano fenomeno: assemblee in vigore che non rappresentano più il corpo elettorale, e assemblee non ancora in funzione, che sono il risultato della volontà degli elettori. Ma non siamo d’accordo: al termine dei cinque anni, infatti, le assemblee non perdono la loro capacità rappresentativa, ma la continuano (come recita l’art.61), finche le nuove camere non sono in grado di funzionare.
2) Moroph propone una seconda interpretazione: la prorogatio termina con la convocazione del nuovo Parlamento. Se egli però, si riferisce all’effetto della convocazione, dice la stessa cosa dell’art.61, se invece si riferisce all’atto del convocare, la sua tesi diviene inaccettabile: la convocazione avviene ad opera del Presidente della Repubblica, nel momento in cui indice le elezioni. Si assisterebbe in questo caso a un vuoto di potere, che proprio con la prorogatio si vuole evitare.
3) La tesi più corretta è quella che prevede che la prorogatio termini quando siano elette le nuove assemblee, ma noi non siamo d’accordo: non esiste l’elezione delle Camere, ma l’elezione dei singoli deputati. Le elezioni hanno termine in luoghi diversi in tempi diversi. Se si dovesse far riferimento all’ultima elezione, esso sarebbe un termine incerto. L’unico momento certo è quello della riunione delle Camere. Solo questo assicura veramente la continuità delle due assemblee. Il momento è certo perché il Presidente fissa il giorno della riunione nello stesso momento in cui indice le elezioni.
La normale durata in carica della legislatura non è di cinque anni, ma di cinque anni più la prorogatio, non in individuabile in astratto, ma solo nel momento in cui il Presidente indice le elezioni.
Nell’ambito di ogni organo parlamentare (Camera e Senato) si formano organi interni.
Il Presidente convoca l’assemblea e dirige i lavori. Vi sono poi i vicepresidenti e i questori, i quali ultimi curano il regolare svolgimento delle riunioni e tengono i bilanci; infine vi sono i segretari che hanno funzioni di verbalizzazione.
Esistono poi organi particolari: le commissioni, competenti per materia, previste dalla Costituzione, la quale sancisce che quando le camere si riuniscono in sede deliberante, le commissioni devono essere formate in modo proporzionale rispetto ai gruppi che formano il Parlamento. Le commissioni hanno carattere permanente e sono formate stabilmente. Sono le stesse per tutte le funzioni.
La Costituzione, che ha previsto l’importanza delle commissioni, ha ben presente l’essenzialità dei gruppi parlamentari.
I gruppi rappresentano i partiti all’interno delle Camere. I deputati di uno stesso partito si riuniscono in gruppi. Quando si formano le Camere, si formano anche i gruppi.
Quando vengono eletti, i deputati devono indicare in quale gruppo vogliono essere inseriti. La scelta è libera, ma la dichiarazione è necessaria. Chi non indica la preferenza viene inserito nel cosiddetto “gruppo misto”, che consta non solo di chi non ha fatto una scelta, ma anche di quei deputati che non sono in un numero tale da poter formare un gruppo. Il numero minimo di parlamentari per formare un gruppo è di venti per la Camera, e di dieci per il Senato.
Il gruppo assolve una rilevante funzione: dà le indicazioni per la formazione delle commissioni competenti per materia.
Lo stesso discorso vale per le commissioni d’inchiesta che devono rispecchiare anch’esse la proporzione dei gruppi. Queste commissioni hanno un potere particolare, analogo a quello dell’Autorità giudiziaria: esse possono raccogliere testimonianze; se il testimone non si presenta, hanno la possibilità di invocare l’accompagnamento coattivo; se il testimone giura il falso, possono denunciarlo per spergiuro.
Altri organi interni sono le giunte. La giunta per le elezioni è fondata nell’immediatezza della formazione delle Camere. È formata dai parlamentari delle vecchie camere e ha la funzione di controllare i singoli parlamentari, per vedere se sono stati eletti regolarmente e, soprattutto di controllare se ricorrono o non, condizioni di incompatibilità o ineleggibilità. Questo controllo può comportare anche un procedimento pseudo – giudiziario. In altri ordinamenti, questo accertamento è compiuto da organi giudiziari. Si nutre il sospetto, nel caso del nostro ordinamento, di ingerenze politiche da parte dei partiti che spingerebbero i membri della giunta a convalidare le elezioni.

15.11.04 Prof. Giocoli Nacci

Il Parlamento in seduta comune è un organo a sé, con competenze diverse.
Nell’art.64 comma III, sono presenti due “quorum” (la maggioranza richiesta per la valida deliberazione).
Il quorum strutturale è la maggioranza necessaria affinché l’organo sia in grado di lavorare.
Il quorum funzionale è la maggioranza necessaria affinché le deliberazioni siano valide.
Il comma III dell’art.64 prevede entrambi i quorum.
La maggioranza dei presenti si presume: non vi è un appello; anche se la maggioranza non è realmente presente, il Presidente va avanti lo stesso.
Quando però vi sono questioni delicate o contrasti, si può chiedere il controllo della maggioranza: la cosiddetta “verifica”. Anche un singolo parlamentare può chiedere la verifica.
Se la maggioranza non sussiste, la riunione deve annullarsi. Nella successiva riunione la maggioranza è nuovamente presunta. Si tratta comunque di presunzioni relative: “iuris tantum”, in quanto possono essere appurate da una verifica.
Maggiori problemi pone la questione del quorum funzionale, che in questo articolo consiste nella metà più uno dei presenti.
Nell’articolo si fa riferimento ai presenti (anche al loro numero presunto), ma questo non ha impedito che si verificassero divergenze di opinioni riguardo alla considerazione o meno dei voti degli astenuti: nel Senato essi vengono calcolati; nella Camera non vengono calcolati.
In realtà, i voti possono essere espressi anche con l’astensione, con la scheda nulla o la scheda bianca.
Secondo il Senato gli astenuti vanno calcolati nella maggioranza; invece nel regolamento del Parlamento essi sono ignorati, come se fossero assenti.
La norma regolamentare della Camera è certamente in contrasto con la Costituzione, in quanto l’articolo citato parla della maggioranza dei presenti e non della maggioranza dei votanti. Gli astenuti sono certamente presenti.
È quindi più corretta l’applicazione della norma da parte del regolamento del Senato (come accade spesso).
La questione è stata portata davanti alla Corte Costituzionale, ma questa non ha voluto assumere decisioni. Si tratta di questioni riservate all’autonomia delle Camere; i regolamenti non sono leggi e la Corte non può intervenire.
L’espressione “Parlamento” evidenzia la necessità della “discussione”.
Si è reso necessario regolare la possibilità di discutere, di prendere la parola; ma la rigorosa applicazione di questa regola ha manifestato inconvenienti.
Esiste un istituto non disciplinato, si tratta dell’ostruzionismo, o filibustering (termine U.S.A. del 1840).
Una norma fondamentale è che la richiesta di parola per fatto proprio ha sempre la precedenza.
L’ostruzionismo consiste certamente in un’azione diretta a ritardare l’espressione del voto.
Esso può manifestarsi in modo lecito, attraverso la rigorosa applicazione delle regole parlamentari: la parte interessata cerca di rallentare l’azione facendo interventi fiume, o iscrivendo tutti i suoi membri a chiedere la parola.
A questo tipo di ostruzionismo hanno posto rimedio i regolamenti parlamentari, stabilendo che non è permesso prendere la parola più di una volta per parlamentare; inoltre è stato stabilito un termine entro il quale il discorso deve avere fine.
Non si può impedire che il parlamentare prenda la parola per la cosiddetta azione di voto, anche se ha già parlato. Si è cercato però di ridurre i tempi degli interventi e di lavoro dell’assemblea.
In ogni caso, l’ostruzionismo descritto, è un ostruzionismo tecnico, rispettoso delle norme.
Ma esiste anche un ostruzionismo fisico, illecito. Esso si ha quando l’opposizione, dopo aver utilizzato tutti i mezzi disponibili del regolamento, comincia a far brusio, chiasso, pur di impedire l’attività parlamentare. Questo non è consentito.
L’azione di ostruzionismo è quasi sempre posta in essere dalla minoranza che vi ricorre quando vuole impedire o ritardare il voto.
Un grandissimo giurista individuò anche un ostruzionismo di maggioranza. Esso si ha in alcuni casi, quando si pone in essere un atteggiamento politico contrastante con quello che la maggioranza stessa ha approvato. La maggioranza stessa, in questo caso, ritarda ilo venir in essere delle decisioni che essa stessa ha adottato.
La discussione in seno alle Camere si ha attraverso un ordine. Una volta chiusa la discussione, bisogna passare alla votazione.
La votazione su una sola proposta non crea problemi (si risolve in un “si” o un “no”). Ma ci può essere una pluralità di proposte e si può quindi presentare la necessità che se ne scelga una dalla quale partire (non è una disposizione, si tratta di una regola di carattere generale).
Questo ordine risponde a precise esigenze. Nel caso vi siano più emendamenti su una stessa disposizione, si discutono prima gli emendamenti più lontani dal testo, per finire con la votazione del testo stesso.
Inizialmente, il voto era prevalentemente segreto: esso prevaleva perché assicurava una maggiore libertà. Se il voto è palese, non vi è un’assoluta libertà.
Da molto tempo è stata modificata la norma e si è data prevalenza al voto palese. La motivazione formale è che in questa maniera si dà cognizione ai partiti e alla collettività, degli orientamenti dei singoli parlamentari; la motivazione reale, politica è che, in questo modo, si evita il fenomeno dei “franchi tiratori”, o “cecchini”, cioè parlamentari che votano contro il proprio partito politico.
Anche se i parlamentari sono liberi (art.67), i partiti esercitano pressioni.
Quando si vota su persone, il voto è necessariamente segreto; in tutti gli altri casi è preferito il voto palese.
I metodi di votazione sono vari: per alzata di mano; per alzata e seduta; per divisione, per appello nominale; l’ultimo di questi sistemi, accerta non solo i voti favorevoli e contrari, i soggetti che hanno votato (anche se il voto può essere segreto), ma anche il numero dei votanti. Con questo sistema si estrae a sorte una lettera dell’alfabeto e si comincia a chiamare i singoli parlamentari.
Il sistema per alzata e seduta non è più applicato (anche se rimane nel regolamento); quello per divisione è poco usato.
L’esito della votazione viene verbalizzato e proclamato dal Presidente. Da questo momento la decisione è incomputabile.
Le camere svolgono una pluralità di funzioni.
L’attività normativa. Infatti il Parlamento è l’organo che emana le leggi e delega il governo a emanare decreti; il Parlamento può convertire in legge i decreti legge. Il Parlamento determina la propria organizzazione mediante il regolamento. Nel Parlamento, la funzione legislativa, o normativa, è fondamentale, principale.
La funzione di controllo. Il Parlamento controlla l’azione del governo sia attraverso l’azione di indirizzo politico, sia con il controllo effettivo dell’operato del governo.
L’azione di indirizzo consiste nella mozione di fiducia che il Parlamento concede al Governo dopo che esso si è presentato al Parlamento e ha esposto il suo programma politico. L’esposizione termina con il voto di fiducia. Questa espressione fa riferimento all’attività di controllo dell’indirizzo politico del governo.
Il Parlamento può non limitarsi a dire “si” o “no”, e può dare indicazioni al Governo; le indicazioni non sono vincolanti, ma il Presidente del Consiglio può accettarle o rifiutarle.
Esiste un atto di controllo politico che si svolge periodicamente (annualmente): si ha attraverso la discussione del bilancio dello Stato. Il bilancio contiene l’orientamento politico del governo, approvato dal Parlamento. In questo modo il Governo espone il programma anno per anno.
Solo il Parlamento può approvare la legge di bilancio, è assolutamente impossibile che lo faccia il Governo stesso con un decreto legge! Altrimenti esso sarebbe in grado di controllarsi da solo.
Se il Parlamento non approva la legge di bilancio, si blocca l’attività dello Stato.
La legge di bilancio è una legge formale in quanto non contiene norme giuridiche. Invece le leggi sostanziali sarebbero leggi che contengono norme giuridiche, ma non emanate dal Parlamento. Questa definizione è errata! Quelle non emanate dal Parlamento non sono leggi. Inoltre anche le leggi formali hanno un valore sostanziale: autorizzano il governo ad agire; senza questa autorizzazione, il governo non potrebbe riscuotere le entrate e fare le spese.
Nel caso il bilancio non sia approvato entro il 31 dicembre, si ha un periodo di 4 mesi di esercizio provvisorio.
Vi sono atti di controllo politico che sono atti di verifica di ciò che è avvenuto, e non di ciò che deve avvenire. Si tratta degli atti di interrogazione: il singolo parlamentare può rivolgere al singolo ministro o al governo, una richiesta di informazione.
È una forma di controllo che concerne prevalentemente l’opposizione, la minoranza. Il controllo si svolge ancora meglio con l’interpellanza, con la quale si chiede anche una motivazione dell’avvenuto. Il membri del Governo hanno il dovere di intervenire quando c’è un’interpellanza, nel Parlamento.
I ministri possono partecipare a tutte le riunioni delle Camere, ma sono obbligati a farlo quando sono interpellati. Nel regolamento del Senato, la discussione a seguito dell’interpellanza può terminare anche con una mozione (che può anche essere una mozione di sfiducia).
La funzione giurisdizionale. Il Parlamento svolge la sua funzione giurisdizionale quando opera la verifica dei poteri (essa c’è in tutti gli organi, ma mentre le decisioni degli altri organi sono impugnabili di fronte alla magistratura, nel Parlamento le decisioni sono definitive, conclusive). Con questo grande potere assegnatogli, si mette in atto, in pieno, l’indipendenza delle Camere, ma in concreto, i parlamentari giudicano sé stessi.
Il Parlamento ha il potere di mettere in stato di accusa il Presidente della Repubblica. Si tratta di una funzione giurisdizionale, non giudiziaria.

17.11.04 Prof. Loiodice

Diritti e doveri sono situazioni giuridiche soggettive.
Queste situazioni hanno un loro schema di lettura: si analizzano prima i soggetti, poi
l’oggetto (il bene tutelato), poi il contenuto (le possibilità garantite) ed infine i limiti (la sfera tutelata; a volte vi sono dei controlimiti, cioè dei limiti ai limiti).
Il potere, o potestà, induce soggezione nell’altro soggetto.
Alle situazioni giuridiche di vantaggio quali il diritto soggettivo, l’interesse legittimo, la
facoltà, il potere o potestà, corrispondono rispettivamente situazioni giuridiche di svantaggio: l’obbligo, il dovere, ancora l’obbligo e infine la soggezione.
Le situazioni giuridiche di svantaggio comprendono anche l’onere, che è un peso, condizione da eseguire per ottenere un vantaggio.
Adoperiamo lo schema per analizzare l’art.13, collegabile e riconducibile agli artt.24, 25, 27, 32, 111.
Il soggetto dell’articolo è in questo caso la persona fisica, non essendo suscettibile di perquisizione o detenzione la persona giuridica.
L’oggetto di questa situazione giuridica soggettiva è la libertà. Però in questo concetto non rientra solo la disponibilità dell’essere fisico, ma anche la psiche, cioè la volontarietà, che è qualcosa di più della semplice disponibilità del proprio corpo; è un qualcosa che ha solo l’uomo: un quid pluris. Questo concetto comprende anche la libertà morale (che è solo della persona).
I titolari di questo diritto dovrebbero essere tutti coloro che hanno un corpo, ma il campo d’azione è stato limitato solo all’uomo (non all’animale e all’essere astratto). Questo articolo si riferisce a tutti gli uomini, quindi si parla di diritti inviolabili dell’uomo (art.2): la libertà personale è inviolabile.
Il contenuto della situazione giuridica è l’insieme delle situazioni giuridiche indispensabili per tutelare quei valori. È una situazione giuridica composta, di vantaggio.
I limiti (restrizioni alla libertà personale) dell’art.13 consistono nel II e nel III comma: nel II comma si consente una limitazione ma vi è una doppia riserva, di legge e giurisdizionale; nel III comma si parla di limiti di carattere eccezionale, pubblica sicurezza.
Vi sono poi anche dei controlimiti: chi è stato sottoposto a un limite, cioè ad una restrizione della libertà personale, non può essere ulteriormente limitato nella sua libertà, e contro di lui è punita ogni violenza fisica o morale.

22.11.04 Prof. Loiodice

L’art.21 è il punto di riferimento della libertà sociale che parte dagli artt.17 e 18.
Accanto alla libertà di manifestare il pensiero, tutelata dall’art.21, si affianca il diritto
all’informazione.
I diritti inviolabili e i doveri inderogabili citati nell’art.2 trattano dello sviluppo dell’uomo.
L’art.22 si riferisce ad una concezione che può sembrare ovvia. Ma le frasi utilizzate (“per motivi politici”) mettono in risalto l’atteggiamento di condanna storica nei confronti di quei periodi in cui era possibile privare chiunque della capacità giuridica, della cittadinanza o del nome, per motivi politici.
Anche l’art.23 è un articolo di condanna. Si tratta dell’articolo su cui si basa ogni dovere.
L’art.53 è insieme un dovere morale e giuridico.
L’art.52 contiene una riserva di legge.
L’art.24 non è una libertà, è un diritto civile: infatti fa capo al titolo I dei diritti e doveri dei cittadini, intitolato “rapporti civili”.
L’art.101 dice che i giudici sono soggetti solo alla legge; però se la legge è incostituzionale, i giudici non devono seguirla.
Il concetto di difesa in giudizio comprende sia la prospettiva dell’azione (di colui che attacca), si quella della difesa (di colui che si difende); la difesa comprende in senso ampio, quindi, l’azione e la resistenza, in senso stretto la resistenza solamente.
Il processo (civile, penale o amministrativo) è regolato dall’art.111.

23.11.04 Prof. Giocoli Nacci

Le elezioni per la Camera e per il Senato si svolgono periodicamente, ogni 5 anni (prima
non era così), cosicché ogni 5 anni cambia il corpo elettorale, la composizione delle Camere e l’orientamento politico.
L’elettorato, più che un diritto, è un potere (in quanto non esercita una situazione giuridica soggettiva).
L’elettore svolge il potere di eleggere, ma non ha il potere di revocare l’eletto, in quanto l’eletto è “sganciato” del tutto dal corpo elettorale, nonché da ogni partito (art.67). il membro del Parlamento rappresenta la Nazione. Né il corpo elettorale né il partito di appartenenza possono dare indicazioni precise al parlamentare.
La rappresentanza del parlamentare è di diritto pubblico, a differenza di quella di diritto privato che è rappresentanza di volontà essa si presenta come una rappresentanza di interesse.
Ma non basta. Anche il diritto privato conosce la rappresentanza di interessi (nei confronti dei minori o degli interdetti) e si chiama “rappresentanza legale”.
Bisogna aggiungere che la rappresentanza di diritto pubblico persegue interessi generali, della collettività.
Le parole “senza vincolo di mandato” stanno a significare che né gli elettori né il partito politico possono affidare al candidato un mandato imperativo.
In passato i partiti, per ovviare al problema e rendere più vincolante la loro linea politica, facevano firmare delle dimissioni in bianco, cioè senza data. Nel momento in cui il parlamentare si fosse distaccato dalle direttive del partito esse venivano completate di data e presentate alla Camera, che spesso le accettava.
Quando fu resa pubblica questa prassi, la Camera cominciò a rifiutare queste dimissioni, in quanto non erano spontanee ma preordinate.
Le regole parlamentari sono applicabili anche al di fuori del Parlamento.
Il parlamentare è libero nello svolgimento delle sue funzioni.
Spesso si verificano spostamenti di parlamentari che cambiano gruppo quando non si trovano d’accordo con la linea politica adottata dal proprio gruppo. Non sempre l’appartenenza ad un partito vincola l’appartenenza ad un gruppo.
Il parlamentare gode di una posizione di prerogativa (e non di privilegio): art.68.
I privilegi sono stati eliminati dalla nostra società.
Per il parlamentare, non è possibile rinunciare all’immunità. Questa norma non è dettata nell’interesse del parlamentare, ma nell’interesse della funzionalità della Camera.
Le immunità, o prerogative sono di due tipi. Un tipo di immunità opera nel campo del diritto sostanziale, l’altro tipo opera nel campo del diritto processuale.
Nel campo del diritto sostanziale vi sono reati, compiuti dai parlamentari, non punibili. Essi non rispondono dei voti dati e delle opinioni espresse; tutto questo serve a dare la massima libertà ed autonomia al parlamentare. È una sorta di impunità.
Se un reato è commesso da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, è come se non fosse tale. Si parla comunque, solo di voti ed opinioni e non di atti fisici, come l’ostruzionismo.
Ma l’opinione può essere espressa anche fuori dall’assemblea, ad esempio all’interno delle commissioni d’inchiesta.
Sostanzialmente, lo Statuto albertino e la Costituzione repubblicana dicono la stessa cosa, ma la Costituzione è più precisa, perché contempla anche il caso in cui il parlamentare esprima le sue opinioni fuori dall’assemblea (ma sempre nell’esercizio delle sue funzioni).
L’immunità si manifesta in modo ancora più evidente nel campo del diritto processuale. Il Costituente ha manifestato la necessità di operare in maniera tale da non privilegiare la posizione dei vari poteri dello Stato tramite il sistema dei pesi e contrappesi. Egli aveva reso la magistratura indipendente dal potere politico.
Il Consiglio Superiore della Magistratura è il governo della magistratura.
Allo stesso tempo egli aveva stabilito che neanche il magistrato poteva comprimere la libertà dei deputati: per poter procedere, i magistrati hanno il dovere di chiedere l’autorizzazione alla camera di appartenenza del deputato. Se così non fosse stato, sarebbe stato troppo facile pensare ad una pressione dei magistrati sui deputati.
Ma entrambe le Camere hanno fatto mal uso di questo potere: hanno negato l’autorizzazione a procedere, anche in casi di evidente mal costume politico.
Ma insieme a queste prerogative, i parlamentari devono sottoporsi anche a delle situazioni passive: essi non possono conseguire promozioni nella loro carriera di appartenenza, o “vantaggi” durante la carriera politica. Essi non possono sottoporsi a concorsi (per promozioni o trasferimenti).
Questo non significa che sono pregiudicati per sempre nella loro carriera, ma solo durante la carica parlamentare. Questo per non far abusare loro di quel potere derivante dalla funzione alla quale adempiono. È un limite per la garanzia del legale svolgimento dell’attività amministrativa.
Le prerogative di cui abbiamo parlato operano durante il periodo in cui il parlamentare è in carica. Questa norma ha dato luogo a divergenze interpretative.
Quando un parlamentare diventa tale? Le camere possono essere costituite e funzionanti solo durante la prima riunione. Prima di questo momento abbiamo solo degli “eletti” e non dei deputati. Questo principio vale anche a determinare il momento d’inizio del mandato parlamentare.
Il deputato non è tale quando viene eletto nel suo partito, ma nel momento in cui assume le funzioni che a quella carica competono.
L’essere eletto non significa essere parlamentare, in quanto vi può essere una rinuncia, oppure possono emergere cause di incompatibilità o ineleggibilità. Il parlamentare diviene tale solo nel momento in cui siede in parlamento; da quel momento comincia la sua funzione, operano le sue prerogative, entrano in vigore dei limiti.
Non sempre le cause d’ineleggibilità e di incompatibilità sono rilevabili al momento dell’elezione. È in un momento successivo che si accerta l’esistenza o meno di queste cause.
Vi è un’apposita giunta: la giunta per le elezioni, che opera in due modi: accertando che le elezioni si siano svolte regolarmente e che gli eletti non emergano, in capo agli eletti, cause di incompatibilità o ineleggibilità.
L’ineleggibilità è l’impossibilità di essere eletti. Si vuole evitare la c.d. captatio benevolenti, cioè la posizione di vantaggio di alcuni individui: sindaci, magistrati (nell’ambito della loro circoscrizione), presidenti di provincia, funzionari dello Stato ecc…
L’incompatibilità sorge quando si può essere eletti, ma si occupa un atro ruolo nella società, incompatibile con la carica di parlamentare. L’eletto deve fare una scelta: deve optare tra una carica e l’altra.
Le cause d’ineleggibilità non sono presenti nel testo della Costituzione, quelle d’incompatibilità si. Una causa di incompatibilità era data, prima, dalla posizione di deputati e senatori (se l’opinione non era espressa, essa era intesa a favore della carica di membro del Senato). La nuova normativa, in questo caso prevede una causa d’ineleggibilità e non di incompatibilità (la scelta non c’è in quanto non si può essere eletti in tutte e due le camere).
Nel caso fosse dichiarata la causa d’ineleggibilità o d’incompatibilità, tutti i provvedimenti adottati da quel parlamentare dovrebbero essere nulli, invece c’è una regola che salvaguarda i provvedimenti presi anche da un organo che poi risulti non essere stato regolarmente costituito.
Il momento finale della carica coincide con quella del termine della legislatura, o dello scioglimento delle camere; ma vi sono condizioni particolari che attengono al singolo: le dimissioni, o la presenza delle cause d’ineleggibilità o incompatibilità.
La giunta per le elezioni opera continuamente. Deve sempre accertare che tutti gli elementi della Camera siano in grado di esercitare la propria funzione.
Il funzionamento delle Camere si deve proprio a questo accertamento continuo da parte della giunta per le elezioni.
Cosa succede quando un membro del parlamento viene estromesso?
Secondo il sistema proporzionale era facile ovviare all’estromissione di un membro del parlamento; subentrava infatti il primo dei non eletti.
Con il sistema maggioritario invece, non c’è una lista: non c’è un primo dei non eletti. Bisogna ripetere le elezioni, con un conseguente aggravamento delle spese.
Le leggi elettorali che seguivano il sistema proporzionale, più saggio e democratico, assicuravano la reale rappresentanza dell’orientamento politico del Paese.
La riforma in seno alla magistratura serviva ad accorpare molti partiti in modo da diminuirne il numero; ma la finalità della riforma è fallita: con il sistema maggioritario il numero dei partiti è aumentato ancora.

24.11.04 Prof. Giocoli Nacci

Gli organi costituzionali sono collegati tra loro secondo principi di collaborazione,
funzionalità.
In Italia si attua un principio di “collaborazione” tra i poteri; non vi è fra essi un rapporto gerarchico: sono tutti organi di vertice.
Quale ordine bisognava seguire, nel testo della Costituzione, nella trattazione degli organi costituzionali?
L’ordine seguito nella trattazione degli organi è stato forse inconsciamente dettato dal principio di democrazia enunciato nell’art.1.
Il primo organo trattato è il Parlamento, legato direttamente al corpo elettorale.
Il secondo organo trattato è il Presidente della Repubblica.
La Repubblica si differenzia dalla Monarchia proprio grazie al carattere rappresentativo dell’organo “Capo dello Stato” che in tutti gli ordinamenti repubblicani è di carattere elettivo.
Questa elettività può essere assicurata mediante due procedimenti:
1) elezione diretta da parte del corpo elettorale.
2) elezione indiretta (di 2° grado). Questa si ha attraverso un organo intermedio, creato ad hoc (come negli U.S.A.), oppure già esistente, con altre funzioni.
Il tema delle modalità d’elezione del Capo dello Stato è molto delicato. Una elezione diretta del Capo dello Stato da parte del corpo elettorale, lo avrebbe sganciato del tutto dai partiti politici, lo avrebbe reso autonomo; ma egli avrebbe potuto assumere dei poteri quasi dittatoriali, non conformi ad uno stato moderno. C’era questo rischio. Si pose quindi il problema di quale fosse il criterio da seguire per evitare rischi e avere comunque un Capo dello Stato Super Partes.
Il governo può essere parlamentare o presidenziale.
Il governo parlamentare è espressione della maggioranza parlamentare.
Nel governo presidenziale il Capo dello Stato è Capo del Governo ed è eletto direttamente.
Il nostro è un sistema di governo parlamentare. Qual è il ruolo del Capo dello Stato?
Il nostro sistema parlamentare si fonda sulla presunzione del collegamento tra Parlamento e Governo, ma si tratta di una presunzione relativa che può essere vinta da una prova contraria.
Nella funzione di controllo di questo collegamento tra Parlamento e Governo trova il suo posto il ruolo del Presidente.
Egli deve nominare un governo che sia espressione della maggioranza parlamentare. Quando c’è una frattura insanabile tra governo e parlamento, il Capo dello Stato può procedere allo scioglimento delle Camere. Si tratta di un compito importante e delicatissimo. Il Capo dello Stato ha una funzione alquanto rilevante.
Ma al Costituente si presentava un ulteriore problema: bisognava sganciare il Presidente dai partiti politici, dalla maggioranza; egli non doveva essere espressione della maggioranza parlamentare.
L’elezione doveva essere conseguenza di un voto molto ampio, di una maggioranza qualificata, cioè di 2/3 del Parlamento. Tutto ciò proprio per rendere il Presidente indipendente dalla maggioranza parlamentare; soltanto dopo la terza votazione nella quale non si è raggiunta quella maggioranza qualificata, diviene sufficiente una maggioranza assoluta; non si ricorre MAI alla maggioranza semplice per l’elezione del Capo dello Stato.
Per le elezioni, si individuano due soggetti e i parlamentari votano necessariamente l’uno o l’altro.
Le elezioni presidenziali avvengono ogni 7 anni. Si era previsto che la durata della Camera fosse di 5 anni, quella del Senato di 6, quella del Presidente di 7, in modo tale da sganciare completamente il Presidente da entrambe le Camere. Oggi la durata in carica di entrambe le Camere è di 5 anni, e si potrebbe abbassare il termine di durata della carica del Presidente a 5 anni.
Proprio in ragione di questo termine assai lungo, si è cercato di limitarne l’ulteriore permanenza in carica. Il principio della continuità nella funzione degli organi costituzionali vale per tutti gli organi costituzionali (non vi può essere un “vuoto” costituzionale); essi si dicono organi indefettibili.
Per il Parlamento abbiamo esaminato la prorogatio; per il governo assistiamo ad un fenomeno simile. Il Presidente non accetta immediatamente le dimissioni del governo, ma aspetta di aver formato un nuovo governo.
Per il Presidente della Repubblica si è cercato di evitare la prorogatio. Il Parlamento è convocato per l’elezione del nuovo Capo dello Stato prima della fine della carica del precedente.
Se il Presidente muore, il Parlamento si riunisce immediatamente.
Nonostante questo anticipo, per via della difficoltà nell’ottenere una maggioranza qualificata o anche assoluta, potrebbe non essere eletto un nuovo Capo dello Stato entro il termine della carica precedente: solo in questo caso si ha una prorogatio.

Esempio



  


  1. paolo

    sto cercando appunti di economia politica, sostengo l'esame alla facoltà di scienze politiche di san leucio