Ulisse nella Divina Commedia, canto XXVI

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Testo

Relazione sul personaggio di Ulisse nella Divina Commedia, Inferno, canto
XXVI
Il personaggio di Ulisse, punito insieme a Diomede nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, si distingue nettamente dalle anime precedentemente incontrate da Dante: esse infatti appaiono consapevoli, in modo più o meno esplicito, del male compiuto. Nell’episodio di Ulisse tuttavia l’elemento tragico non è rappresentato dal peccato. Le colpe che l’eroe sconta – l’inganno che costrinse Achille a partecipare alla guerra di Troia, il ratto del Palladio, lo stratagemma del cavallo di legno che causò la rovina del regno di Priamo – sono presentate in modo generico, ad esse Dante dedica appena un cenno al quale mancano riferimenti persino nel successivo discorso dello stesso peccatore. La tragedia di Ulisse è nel suo naufragio, incidente ai suoi occhi fortuito, nel quale egli identifica il compiersi del volere di un’entità decisa a negargli quella conoscenza cui mai era stato permesso ad alcun uomo di avvicinarsi. Da questo episodio si può dedurre chiaramente la natura della mentalità medievale, secondo la quale nessun uomo può superare i limiti ad esso imposti dalla volontà di Dio, per non sfociare nell’arroganza verso Dio stesso. Per un cristiano, allora come nel nostro secolo, non c’è evento, per quanto ingiusto appaia, che non faccia parte di un progetto divino incomprensibile all’uomo, nel quale è necessario avere fede. Ulisse non ha questa fede. Dio gli appare unicamente come una forza che gli è contemporaneamente estranea e contraria, e che causa la sua morte e quella dei suoi compagni; non riesce a scorgere nell’atto della divinità una sapienza ed una giustizia insondabili, ma solo un brutale divieto opposto all’ardore di conoscenza che lo ha portato tanto lontano dal mondo allora conosciuto. Dio, secondo il punto di vista di Ulisse, assume, per così dire, le sembianze del Destino.
L’eroe greco è un personaggio psicologicamente molto vicino all’uomo del Rinascimento, oltre che alla mentalità

moderna: egli vuole conoscere, scoprire le cose del mondo e non accetta che gli vengano imposti limiti poiché non ne comprende il motivo: come nel pensiero prevalente nella
nostra società, ritiene che l’uomo debba spingersi fino ai confini delle proprie possibilità e l’idea di offendere Dio o di volersi elevare troppo non lo sfiora. Ovviamente Dante, le cui idee erano permeate da una forte religiosità, non poteva approvare questo atteggiamento, interpretato come un atto di vera e propria arroganza. Nel complesso l’episodio di Ulisse pare voler essere un monito verso tutti coloro che abusano dei propri poteri o nutrono eccessiva fiducia nelle proprie capacità.

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