L'Inferno

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Testo

INFERNO
CANTO V:
Canto più celebre dedicato a Paolo e Francesca che vivevano a Rimini. Siamo nel primo cerchio dell’Inferno, quello dei lussuriosi. Dante dice che questi “hanno perso l’uso dell’intelletto, hanno perso la ragione. Qui ci dirà che costoro sono coloro che sottomettono la ragione al talento. La definizione tiene conto della tesi aristotelica. Paolo all’inizio ci dice che la sua regione non sarebbe mai venuta meno.
V. 4: Minosse →re di Creta, funge da guardiano ed è tra il limbo e l’inferno, deve ascoltare le colpe dei dannati e dopo cinge il corpo del dannato con il numero dei giri dell’inferno dove deve andare. È dunque una sorta di confessore laico.
VV. 16 - 24: la via che porta alla saggezza è piccola e irta, mentre quella che porta alla perdizione è grande. Virgilio implicitamente si raccomanda come la guida autorizzata.
VV. 34 - 52: si fanno sentire le urla lamentose. Per chi si è fatto sopraffare dal talento il luogo in cui si trova è oscuro e si sente uno che MUGGHIA →muggire →cupo rumore delle onde quando il mare è in tempesta: il vento, la bufera li tortura fisicamente, quando giungono allo strapiombo.
V. 35: anticlimax.
Il contrappasso si definisce con queste due similitudini ornitologiche (stornelli, gru). Il primo caso evidenzia il gran numero di anime raccolte e il secondo rappresenta le urla. Il vento trascina queste anime ovunque.
VV. 62 - 143: parole chiave: pietà e lettura. Ci sono poi delle citazioni.
V. 101: Giunizzelli
V. 103: traduzione delle leggi dell’amore di Cappellano (“De amore”) se la donna non risponde all’amore dell’uomo allora viene meno all’attrazione dell’amore (Anastagio degli Onesti).
Dante non è solo il viaggiatore che conosce i vari peccati e tenta di modificare la sua vita. Il suo messaggio non è solo morale. Egli ha letto tutta la letteratura precedente per poi raccogliere una pluralità di argomenti nuovi. Dante è chiamato a esprimere un’opinione sulla letteratura amorosa. Dante in questo canto si misura con una tipica espressione letteraria che è la narrativa amorosa. Dante davanti a questi peccatori carnali usa il termine pietà. Questi peccatori (Diomede, Achille, Tristano, Cleopatra, Elena,...) sono tutti personaggi che provengono da fonti letterarie, tutte persone di cui si legge. La morale e la letteratura si incrociano. Questi personaggi sono stati dei modelli amorosi di cui i poeti parlavano.
Paolo e Francesca:
1) parlano per citazioni letterarie amorose. A Francesca troviamo i canoni dell’amore provenzale;
2) sono due peccatori che sono diventati tali durante la lettura di Lancillotto;
3) la cronaca di Paolo e Francesca fu considerata un tramone giornalistico conosciuto da tutti, diviene dunque una lettura a ampio consumo che Dante non poteva non sentire.
Dante prova pietà per questi, ne sviene anche. Dante personaggio dunque si lascia coinvolgere emotivamente e Dante poeta invece li punisce e condanna dalla la letteratura amorosa che lo precede, dicendoci che il peccato della lussuria è il risultato anche di una depravazione del mondo letterario.
30 anni dopo Boccaccio ci dice che il suo Decameron si chiamava “Principe galeotto” e lo scrive per consolare le pene d’amore delle donne.
• Dante →amore morale →caritas
• Boccaccio →amore terreno →venus
• Petrarca ha presentato la tensione, il contrasto tra la passione terrena e l’amore morale.
VV. 52 - 60: novella →racconto fatto per diletto
favelle →governò con lingue diverse (?)
Acconsentì che si potesse fare l’amore senza farsi problemi perché era una peccatrice perversa.
V. 61: -Didone aveva promesso fedeltà
-Elena moglie di Menelao
-Achille che dovette combattere con l’amore perché si innamorò di Polissena e per un tranello morì
-Tristano e Isotta uccisi dallo zio.
LE DONNE ANTICHE E I CAVALIERI gente raccontata.
V. 81: Altrui = Dio
V. 93: “Perverso” è un termine politico che indica il ribaltamento delle norme morali.
VV. 97 - 98: “La terra dove nata fui su la marina dove ‘l Po discende...” = Ravenna
VV. 104 - 105: “mi prese in modo così forte che come vedi l’amore ancora non mi abbandona”
V. 108: Caina →sacca dove si trovano i traditori, coloro che uccidono se stessi
V. 112: “Aimé, quanti pensieri dolci e quanto amore portò loro a questo passo” →si mostra il contrasto tra desiderio e perdizione eterna.
V. 118: “Dolci sospiri” →l’amore all’inizio
V. 120: “Dubbiosi disiri” →Ovidio ci spiega che quando ci si innamora non si sa come risponde l’amato/a.
V. 127: “Per diletto” →per il puro piacere di leggere. Condanna per Dante che dice che un libro si legge solo per leggere.
V. 129: leggiamo con ansia di saper la trama. E l’amore ci scolorò il viso (Ovidio).
V. 133: “Desiato riso” →la bocca di Ginevra. Qui dice che, come Lancillotto, Paolo bacia Francesca, ma nel libro è Ginevra che bacia Lancillotto.
L’autore e il libro stesso svolgono la funzione di galeotto (personaggio del libro) che è colui che involontariamente informa i due dell’amore dell’altro, dà dunque quella certezza in più.
V. 138: “avante” →è una reticenza →da quel giorno non lessero più ma fecero altro.
CANTO VI:
Cerchio dei golosi. Tutti i canti numero 6 dei tre livelli sono dedicati a un tema politico:
1) Inferno: situazione di Firenze
2) Purgatorio: realtà d’Italia
3) Paradiso: con Giustiniano si parlerà della visione politica dantesca
Canto più breve che fissa dei criteri di lettura per la cantica.
Cerbero: belva crudele e contraria alla natura (cane con tre teste, pelle e cada di serpente). Virgilio è la guida all’averno.
Note del linguaggio delle petrose:
FIRENZE:
invidia: volere il male altrui (non è vedere il bene proprio)
Ciacco: maiale
V. 69: “Piaggia” →che è in grado di bilanciare la politica o colui che si barcamena fra vari fuochi prima di sconfiggere Firenze coi francesi (a soluzioni per parlare di Bonifacio VIII)
superbia e avarizia.
ARGOMENTO CHIAVE: Dante chiede a Ciacco perché Firenze sia così malridotta. “Quella Firenze invidiosa che ti ha apostrofato come un maiale. Dimmi se ci sono ancora dei giusti e quali sono le cose che l’ha resa così”. Dante parla di gente che ha fatto del bene a Firenze. Dante caccia queste anime all’inferno. Non è accettabile la logica seconda la quale i vizi privati non vengono puniti se socialmente si è attivi.
Firenze è divisa per colpa dei cittadini, i giusti non vengono più ascoltati.
Questo canto presenta un altro indicatore, abbiamo il primo segnale per cui Dante si stacca dai bianchi e poi dai neri. Costoro sono l’espressione della divisione interna della città. E Dante che nel viaggio è fresco di priorato ci dirà che condannerà e prenderà posizione in termini universalistici.
CANTO X:
Incontro con gli eretici.
Epicurei = (per Dante) non credono all’immortalità dell’anima →con questo termine egli raccoglie tutti coloro con questa idea.
Grande questione nata da un verso nel quale incontra Farinata degli Uberti (battaglia di Montaperti) e il padre dell’amico Guido Cavalcanti: Cavalcante Cavalcanti.
V. 63: “Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno”
V. 4: Captatio Benevolentia
V. 7: si inizia a capire il contrappasso degli eretici: in vita si sono posti un limite che non va oltre la vita →essi vengono messi in tombe, che simboleggiano il loro limite in vita (Boccaccio →storia di G. Cavalcanti, che passeggia nel cimitero, e che interpellato...)
V. 13: valle di Iosafàt = valle in Palestina nella quale si dice che avverrà il giudizio universale
V. 22: EXABRUBTO = rompere una roccia. Una apparizione così significa improvvisa e imprevedibile

V. 28: “subitamente” rende l’idea di exabrubto
V. 39: le tue parole siano cognite, conosciute, misurate
V. 46: capiamo che Dante e la sua famiglia appartengono allo schieramento guelfo, che fu cacciato due volte da Firenze.
V. 50: 1266 →sconfitta del partito ghibellino, che non tornò più a Firenze.
dal V. 52: comparsa di Cavalcante Cavalcanti, che si drizza e si vede dalla testa in su
V. 60: “se l’unità di misura per fare questo viaggio è l’ingegno, perché mio figlio non è con te?”
V. 61: Dante: ”Non vengo da me, non ho scelto io di fare questo viaggio, io sono un INVIATO (su desiderio di qualcun altro)
V. 63: CUI →verso quella persona che il vostro Guido disdegnò, verso la quale egli rifiutò di essere condotto
Differenza intellettuale tra Dante e Cavalcanti: il viaggio non viene dall’ingegno, ma ha un approdo che è rappresentato da Beatrice; è su investitura divina. Guido non ha permesso che l’amore lo conducesse a questa visione verticale, perché è un intellettuale laico, e si mantiene in un margine. Equivoco: siccome Dante parla al passato il padre capisce che è morto e lo chiede, e Dante tace. Morte di Cavalcanti →1300 in esilio per malaria →in quel momento egli è ancora vivo
V. 77: l’idea del ritorno mancato dei ghibellini lo tormenta più della pena →assurdo teologico →eretico, con i piedi ancora piantati per terra
V. 81: “peso di quell’arte” →annuncio dell’esilio di Dante. Egli non volle mai tornare in cambio del riconoscimento di colpe da lui non commesse
V. 86: 1260 sconfitta di Montaperti: fiume Arbia vicino al luogo della battaglia
V. 97 - 99: Farinata gli anticipa la disgrazia dell’esilio, ma non sa cosa succede nel presente: pena del contrappasso, gli epicurei possono vedere il futuro, ma non il presente
V. 100: essi vedono male come un presbite
V. 108: tutta la loro conoscenza finirà quando finirà il futuro (Giudizio Universale)
V. 109: Dante colpisce come mai Cavalcante non sapeva che suo figlio era ancora vivo.
V. 129: “Drizzare il dito” →gesto sacro di giuramento
V. 132: in realtà non sarà Beatrice a annunciargli il suo destino in esilio, ma sarà Cacciaguida.
CANTO XXVI:
L’ottavo cerchio è diviso in 10 sacche, dove si trovano i fraudolenti. Nel 21° i barattieri: linguaggio petroso riciclato per presentare i demoni infernali che lo ostacolano.
Fra l’8° e il 9°: nell’ottavo i malvagi sono ingannatori, nel nono si accolgono i traditori che hanno approfittato della fiducia per ingannarli e rovinarli. Il cerchio non si divide in quattro parti: Caina, Guidetta (Guida →traditori dei benefattori).
Il canto XXVI è costituito dalla bolgia dei consiglieri fraudolenti, che approfittano della propria intelligenza per ingannare. Dante incontra due anime che ora scontano insieme la propria pena eterna: Ulisse e Diomede.
Del primo interpretazione molteplice: molti hanno cercato il vero motivo che condanna Ulisse agli occhi di Dante. Egli è il campione della curiosità, Dante intende punirlo per il peccato di superbia intellettuale, ma non regge perché Dante lo mette nei consiglieri fraudolenti. I motivi veri sono il triplice peccato di frodo da lui commesso: avere ingannato Achille (Troia), il cavallo di Troia insieme a Diomede, furto della statua dal palladio, protettrice di Troia. Dante si deve però confrontare con il suo straordinario personaggio, Dante è animato da una febbrile ricerca della verità, e di fronte a Ulisse lo caccia all’Inferno? Perché? Non basta essere stati degli eroi in qualche settore dell’attività umana se queste non sono sorrette dalle virtù cristiane. Dante valuta le anime in base alle loro scelte morali e religiose ricordando la coerenza di fondo.
Ideale della magnanimità: grandezza intellettuale (fino al Convivio), ma dopo nel quarto libro si avvicina a metafore spirituali, si chiede in cosa consista la felicità dell’uomo: consiste nel poter tornare al suo creatore (Finalistica), poter tornare all’origine da cui si proviene. Il magnanimo esercita le proprie virtù intellettuali unite a quelle morali (dianoetiche ed etiche). Ulisse che parla a Dante è un peccatore per le sue frodi, è colui che ha fatto l’esperienza della dannazione, formula una rilettura della sua esistenza scoprendo che il suo volo si è basato solo su presupposti razionali, ha avuto la presunzione di abbattere tutti i vincoli esistenti (colonne d’Ercole). Sant’Anselmo d’Aosta (filosofo): “se prima non crederete, non potrete capire”. Dante si trova di fronte ad un campione della ragione, e lo condanna, però ci vuole anche la “virtù”.
Distinzione fra Ulisse condannato per colpa oggettiva, e per colpe (durante l’aldilà) votate solo al piano dell’intelletto, è una inutile follia.

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