Il volgare di Dante

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Categoria:Dante

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Testo

IL VOLGARE DI DANTE

Tra' proscritti fu Dante. Condannato in contumacia, non rivide più la sua patria. Ira, vendetta, dolore, disdegno, ansietà pubbliche e private, tutte le passioni che possono covare nel petto di un uomo lo accompagnarono nell'esilio. Chi ha visto l'indignazione di Dino può misurare quella di Dante.
Il priorato fu il principio della sua rovina, com'egli dice, ma fu anche il principio della sua gloria. Non era uomo politico: mancavagli flessibilità e arte di vita, era tutto un pezzo, come Dino. Priore, volle procurare una concordia impossibile, e non riuscì che a farsi ingannare da' Neri in Firenze e da Bonifazio in Roma. Esule, non valse a mantenere quella preminenza che era debita al suo ingegno e alla sua virtù: si lasciò soverchiare dai più audaci e arrischiati: e non potendo impedire e non volendo accettare molti disegni, si segregò e si fece parte per se stesso. Toltosi alle faccende pubbliche ripiegatosi in sé, sviluppò tutte le sue forze intellettive e poetiche.
Dopo la morte di Beatrice erasi dato con tale ardore allo studio, che la vista ne fu debilitata. Finisce la Vita Nuova con la speranza di dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna. E fece di questo suo primo e solo amore la bellissima e onestissima figlia dell'Imperatore dell'universo alla quale Pitagora pose nome Filosofia. Frutto di questi nuovi studi furono le sue canzoni allegoriche e scientifiche.
Tra questi studi nacque la seconda Beatrice, luce spirituale, unità ideale, l'amore che congiunge insieme intelletto e atto, scienza e vita. Intelletto, amore, atto, era questa la trinità, che fu il suo secondo amore, la sua filosofia, Beatrice divenne un simbolo, e la poesia vanì nella scienza.
Quel mondo lirico, che a noi pare troppo astratto, parve poco spirituale ai contemporanei, che chiamavano sensuale quel primo amore di Dante, e poco intendevano questo suo secondo amore. E Dante, per cessare da sé l'infamia e per mostrare la dottrina nascosa sotto figura di allegoria, volle illustrare e comentare le sue canzoni egli medesimo.
Era dottissimo. Teologia, filosofia, storia, mitologia, giurisprudenza, astronomia, fisica, matematica, rettorica, poetica, di tutto lo scibile avea notizia e non superficiale, perché di tutto parlò con chiarezza e con una padronanza della materia. Il disegno gli si allargò: al poeta tenne dietro lo scienziato, e pensò di chiudere, in quattordici trattati, quante erano le canzoni, tutta la scienza nella sua applicazione alla vita morale. Un lavoro simile, che Brunetto chiamò Tesoro e altri chiamavano Fiore o Giardino, egli chiamava Convito, quasi mensa dov'è imbandito il pane degli angeli, il cibo della sapienza. Brunetto avea scritto il Tesoro in francese, gli altri trattavano la scienza in latino. La prosa volgare era tenuta poco acconcia a questa materia, massime dopo l'infelice versione dell'Etica di Aristotile, fatta da un tal Taddeo, celebre medico, nominato l'ippocratista. Bisogna vedere quante sottili ragioni adduce Dante per scusarsi di scrivere in volgare. Celebra il latino come perpetuo e non corruttibile, e perché molte cose manifesta concepute nella mente, che il volgare non può, e perché il volgare seguita uso e lo latino arte: onde il latino è più bello più virtuoso e più nobile. Ma appunto per questo il comento latino non sarebbe stato suggetto alle canzoni scritte in volgare, ma sovrano; e il comento per sua natura è servo e non signore, e dee ubbidire e non comandare. Ora il latino non può ubbidire, perché comandatore e sovrano del volgare. Oltreché, come può il latino comentare il volgare, non conoscendo il volgare? E che il latino non è conoscente del volgare, si vede: ché uno abituato di latino non distingue, s'egli è d'Italia, lo volgare dal tedesco, né il tedesco lo volgare italico o provenzale. Ecco le opinioni, le forme e le sottigliezze della scuola. Questa novità di scrivere di scienza in volgare, che è come dare a' convitati pane di biado e non di formento, gli pare così grande, che a difendersene spende otto capitoli, modello di barbarie scolastica. Lasciando stare le sottigliezze, la sostanza è questa: ch'egli usa il volgare di si, perché loquela propria, e delli suoi generanti e suo introducitore nello studio del latino, e perciò nella via di scienza che è ultima perfezione. Scrisse in volgare le rime, il volgare usò deliberando, interpretando e quistionando; dal principio della vita ebbe con esso benivolenza e conversazione; il volgare è l'amico suo, dal quale non si sa dividere. Coloro fanno vile lo parlare italico e prezioso quello di Provenza, che per iscusarsi del non dire o dal dire male accusano e incolpano la materia, cioè lo volgare proprio. La plebe o, come dice egli, le popolar persone cadono nella fossa di questa falsa opinione per poca discrezione: per che incontra che molte volte gridano: Viva la loro morte e muoia la loro vita, purché alcuno cominci, e sono da chiamare pecore e non uomini. Gli altri vi caggiono per vanità o per vanagloria o per invidia o per pusillanimità. Questo disamare lo proprio volgare e pregiare l'altrui gli pare un adulterio, conchiudendo con queste sdegnose parole:

«E tutti questi cotali sono gli abbominevoli cattivi d'Italia, che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, se è vile in alcuna cosa non è se non in quanto egli suona nella bocca meretrice di questi adulteri».

E però egli scrive questo comento in volgare, per fargli avere in atto e palese quella bontade che ha in podere e occulto, mostrando che la sua virtù si manifesta anche in prosa, senza le accidentali adornezze della rima e del ritmo, come donna bella per natural bellezza e non per gli adornamenti dell'azzimare e delle vestimenta, e che altissimi e novissimi concetti, convenientemente, sufficientemente e acconciamente, quasi come per esso latino vi si esprimono. E finisce con queste profetiche parole:

«Questo sarà luce nuova, sole nuovo il quale surgerà ove l'usato tramonterà».

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