I, III e IV canto dell'Inferno

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Testo

CANTO I - INFERNO
Parafrasi
A metà del cammino della nostra vita terrena mi ritrovai in una selva oscura poichè avevo smarrito la via diritta. Ahi quanto è doloroso dire qual era quella selva selvaggia, impervia ed insuperabile, che al solo ricordo la paura si rinnova. E' tanto amara che la morte lo è poco di più; ma per trattare del bene che vi ho trovato, dirò delle altre cose che vi ho visto. Io non so ben raccontare come vi entrai, tanto ero pieno di sonno in quel punto in cui abbandonai la via della verità. Ma dopo che giunsi ai piedi di un colle, là dove terminava quella valle che mi aveva riempito il cuore di paura, guardai verso l'alto e vidi la sua sommità rivestita già dei raggi del sole che guida (con la sua luce) gli altri uomini per la via diritta. Allora si calmò un poco quella paura che mi era restata nell'interno del cuore la notte che io trascorsi con tanto affanno. E come colui che con il respiro affannoso, uscito fuori del mare, si volge all'acqua pericolosa e guarda intensamente, così il mio animo, che ancora fuggiva, si volse indietro a riguardare il passaggio che non lasciò giammai vivo nessun individuo. Dopo che ebbi riposato un poco il corpo stanco ripresi la via per il pendio deserto, in modo tale che il piede fermo era sempre il più basso. Ed ecco, quasi al cominciare della salita (più ripida) una lonza leggera e molto agile che era coperta di pelo maculato; e non si allontanava dalla mia vista, piuttosto impediva tanto il mio cammino che io fui più volte costretto ad indietreggiare. Era passato del tempo dal principio del mattino ed il sole saliva in alto in congiunzione con quelle stelle che erano con lui quando l'Amore Divino impresse per la prima volta il movimento a quelle cose belle; sì che l'ora mattutina e la dolce stagione primaverile mi erano di buon auspicio per sperare di scampare da quella fiera dalla pelle variegata; ma non abbastanza per non farmi spaventare dalla vista di un leone che mi apparve. Questi sembrava che venisse contro di me, con la testa alta e con fame rabbiosa, in modo tale che sembrava che anche l'aria ne tremasse. Ed una lupa, che nella sua magrezza sembrava carica di ogni desiderio, e aveva fatto vivere miseramente già molte genti, questa mi comunicò tanta angoscia con lo spavento che emanava dalla sua apparizione che io persi la speranza di raggiungere la vetta. E come colui che guadagna volentieri e giunge il tempo che lo fa perdere, che in ogni suo pensiero piange e si rattrista; lo stesso effetto provocò in me la bestia senza pace la quale, venendomi incontro, mi respingeva a poco a poco là dove il sole tace. Mentre io cadevo rovinosamente in basso, mi si offrì alla vista uno che, a causa del lungo silenzio, appariva fioco. Quando vidi costui nel vasto deserto gli gridai "Abbi pietà di me, chiunque tu sia, un uomo reale o un'ombra!" Mi rispose: "Non sono un uomo reale, lo fui, ed i miei genitori furono lombardi, di patria mantovana entrambi. Nacqui sotto Giulio Cesare, sebbene alla fine del suo dominio, e vissi a Roma sotto il buon Augusto, al tempo del paganesimo. Fui poeta e cantai di quel giusto figliuolo di Anchise che venne da Troia dopo che la superba Ilione fu bruciata. Ma tu perchè ritorni a tanta noia? Perchè non sali il piacevole monte che è il principio e la causa di ogni gioia? "Allora sei tu quel Virgilio e quella fonte di saggezza che spandi un così largo fiume di parole?" gli risposi con la fronte bassa (per la vergogna). "O onore e luce degli altri poeti mi valga il lungo studio ed il grande amore che mi ha fatto cercare la tua opera. Tu solo sei il mio maestro ed il mio autore; tu solo sei colui dal quale io trassi lo stile bello che mi ha fatto onore. Vedi la bestia a causa della quale sono volto indietro, aiutami da lei, famoso saggio, poichè essa mi fa tremare le vene e i polsi." “A te conviene percorrere un'altra strada", rispose dopo che mi vide piangere, "se vuoi scampare da questo luogo selvaggio: poichè questa bestia, a causa della quale tu gridi, non lascia passare nessun altro per la sua via, ma tanto lo impedisce che lo uccide; ed ha una natura così malvagia e colpevole, che non sazia mai la voglia bramosa, e dopo il pasto ha più fame di prima. Molti sono gli animali con cui si ammoglia, e saranno ancora di più finchè non verrà il Veltro, che la farà morire con dolore. Questi non desidererà potere (terra) ne' ricchezze (peltro), ma sapienza, amore e virtù, e la sua origine sarà tra feltro e feltro. Egli (il veltro) sarà la salvezza di quella umile Italia per la quale morì la vergine Camilla e (morirono) di ferite Eurialo, Turno e Niso. Costui (il veltro) caccerà la lupa per ogni città, finchè l'avrà rimessa nell'inferno, da dove la tirerà fuori la prima invidia (il demonio) (oppure:da dove la trasse all'inizio l'invidia). Per cui io, per il tuo bene, penso e vedo con chiarezza, che tu mi segua, ed io sarò la tua guida e ti trarrò di qui attraverso un luogo eterno, dove udrai le grida disperate, vedrai gli antichi spiriti che soffrono, ciascuno dei quali invoca la seconda morte (dell'anima); e vedrai coloro che sono contenti nel fuoco (dell'espiazione) perchè sperano di venire, quando sarà, alle genti beate. Se tu poi vorrai salire ad esse (alle genti beate) ci sarà per guidarti un'anima più degna di me, nell'andarmene ti lascerò con lei; poichè quell'imperatore che regna lassù non vuole che io vada nel suo dominio poichè fui estraneo alla sua legge. Egli impera in tutti i luoghi, e là regna; là è la sua città ed il suo trono: oh, felice colui che sceglie per quel luogo!" Ed io dissi a lui: " Poeta, io ti chiedo di nuovo, in nome di quel Dio che non hai conosciuto, che tu mi conduca là dove ora dicesti affinchè io fugga questo male e altri peggiori, in modo tale che io veda la porta di San Pietro e coloro che tu descrivi così infelici". Allora egli si mosse ed io lo seguii.
Spiegazione
Metà del cammino della nostra vita: 35 anni. Nel Convivio Dante dice che la nostra vita procede ad arco, il punto sommo di quest’arco e il 35° anno. Dante nacque nel 1265 quindi l’azione del poema quindi si svolge nel 1300, 8-15 aprile, anno in cui Bonifacio VIII indisse il I° Giubileo. La selva oscura rappresenta la vita peccaminosa dovuta alla confusione dei poteri spirituale e temporale. L’epiteto selvaggia e la ripetizione della congiunzione innanzi agli altri due, , il verso pieno di consonanti aspre fanno sentire lo sforzo di cercare le parole e danno l’impressione della selva paurosa. Il bene che egli vi trovò non può essere che Virgilio. Dante non sa dire come vi entrò perché, appena abbandonata la via della virtù, l’anima si sfascia di torpore e diventa prigioniera dei vizi. Il pianeta è il sole, quarto pianeta nella concezione tolemaica, simboleggia la luce di Dio che assiste chi vive virtuosamente. La selva conduce alla morte dell’anima, alla dannazione. La piaggia è deserta poiché pochi sono coloro che si ravvedono. Il passo può essere in salita o anche incerto, poiché il piede più alto, ossia quello che si porta innanzi, tenta il terreno. La lonza ha un aspetto agile e guizzante, screziata, impaurisce il poeta, ma l’ora mattutina (l’ora più bella del giorno) e il periodo primaverile (essendo il sole in Ariete, come quando Dio creò il mondo) erano di buon auspicio e danno speranza al poeta. Il leone gli va incontro e sembra incutere timore all’aria. La lupa, nella sua magrezza, sembra portare il peso di tutte le bramosie provocano sbigottimento e spingono Dante verso la selva. Il poeta si ritrova nella condizione dell’avaro che, se perde ciò che ha messo insieme con molte cure, si addolora e si dispera. Le tre fiere, come sostiene G. Casella, rappresentano le tre categorie aristoteliche dei peccati infernali: incontinenza (lonza), violenza (leone), frode e cupidigia (lupa). Mentre Dante retrocede verso la selva, gli si profila improvvisamente l’aiuto divino nella persona di Virgilio. Dante sceglie Virgilio poiché fu sommo scienziato, profeta di Cristo per l’egloga IV, cantore dell’impero universale e dell’Inferno. Virgilio rappresenta la ragione umana, la quale quando il peccatore comincia a ravvedersi è ancora fioca e solo quando il peccatore si è ravveduto essa assume chiarezza e forza. Virgilio nacque sonno Giulio Cesare (70 a.C.) ed era di Mantova (Antes), in Lombardia. Visse sotto Ottaviano Augusto al tempo del paganesimo. Le ombre spesso parlano nella lingua che parlavano in vita. La parola noia deriva dal latino noxia, nocumento, dolore. Questo termine aveva anticamente un significato molto più fort e grave di quello attuale. Prima di rispondere alla domanda di Virgilio, Dante, che comprende di avere dinnanzi a sé l’altissimo poeta di Enea, dimentica per un momento il pericolo che lo minaccia, per manifestare la sua ammirazione. Dante nel XX canto dirà che egli conosce l’Eneide a memoria. Virgilio fu il maestro di Dante in quanto ebbe su di lui maggiore efficacia educativa. Virgilio avverte Dante che egli, per scampare dalla selva, deve tenere un altro cammino fin quando non verrà un Veltro (cane da caccia abile e velocissimo) che ucciderà la lupa e sarà in tal modo la salvezza d’Italia. Gli animali a cui la lupa si accoppia sono gli uomini vinti dal peccato. Il peltro è una lega di argento, e più propriamente ricchezza, denari. Il feltro è un panno di lana battuta. La profezia del Veltro ha dato luogo a molte interpretazioni:
1. un imperatore poiché “tutto possedendo e più desiderando non potendo” -Monarchia è superiore a qualunque cupidigia ed è nemico della lupa: Arrigo VII, Ugoccione della Faggiola, Can Grande della Scala – cane -> veltro / …tra Feltro e Feltro... si pensa tra Feltre del Bellunese e Montefeltro nelle Marche che sono possedimenti di Can Grande.
2. il veltro è un pontefice riformatore (Benedetto XI, nato a Treviso compresa tra Feltre del Bellunese e Montefeltro nelle Marche).
3. Dante stesso poiché di feltro era il beretto di Castore e Polluce, rappresentanti la costellazione di Gemelli. È un’ipotesi da scartare poiché Dante profeta una venuta ed egli evita le fiere aspettando l’arrivo del veltro.
4. Una persona indeterminata di stirpe umili, virtosa ed elusa dalla cupidigia.
Poiché la Lupa domina nel mondo e il Veltro non è ancora venuto, Virgilio propone a Dante un’altra via che conduce alla salvezza. Il luogo eterno è l’Inferno poiché sono Paradiso ed Inferno sono eterni, il Purgatorio un giorno cesserà di esistere. La seconda morte è la morte dell’anima o anche l’annientamento o anche, fondandosi sulla S.Scrittura, come la dannazione. L’anima più degna è Beatrice. Il fine ultimo del viaggio di Dante è “lo tuo me’” cioè la felicità sopranaturale, la contemplazione di Dio. Le guide saranno Virgilio per l’Inferno e Purgatorio, Beatrice per l’Eden e Paradiso, prima di entrare nelle sfere, San Bernardo nelle sfere. La porta di S. Pietro è la porta del Purgatorio, ma alcuni intendono la porta del Paradiso.
CANTO III - INFERNO
Parafrasi
"Attraverso me si va nella città che soffre, attraverso me si va nell'eterno dolore, attraverso me si va tra la gente perduta. La giustizia mosse Dio a crearmi: mi fece la divina potenza, la somma sapienza ed il primo amore. Prima di me non furono create cose se non eterne ed io duro eternamente. Lasciate ogni speranza, o voi che entrate'. Queste parole di colore oscuro vidi scritte sulla sommità di una porta; per cui dissi: "Maestro, il loro significato mi è duro". Ed egli a me, come persona saggia: "Qui conviene abbandonare ogni sospetto; qui conviene che ogni viltà sia morta. Noi siamo venuti nel luogo dove io ti ho detto che tu vedrai le genti dolorose che hanno perso il bene dell'intelletto". E dopo avermi preso per mano con volto lieto, per cui io mi confortai, mi introdusse alle cose segrete. Qui sospiri, pianti e alti lamenti risuonavano per l'aria senza stelle, per cui all'inizio ne piansi. Voci diverse, orribili parlate, parole di dolore, accenti di ira,grida e lamenti, e insieme ad essi rumore di percosse facevano un tumulto, che si aggira sempre in quell'aria tinta senza tempo, come la sabbia quando spira il turbine. Ed io, che avevo la testa cinta di orrore, dissi: "Maestro, che è quel che io odo? e che gente è che pare così vinta nel dolore?" Ed egli a me: "Tengono questo misero modo le anime tristi di coloro che vissero senza infamia e senza lode. Sono mischiate a quel coro cattivo degli angeli che non furono ribelli ne' furono fedeli a Dio, ma fecero parte a sè. I cieli li cacciano per non essere meno belli, ne' li riceve il profondo inferno, poichè i malvagi avrebbero qualche gloria dalla loro presenza. Ed io: "Maestro, che è tanto pesante per loro, che li fa lamentare così fortemente?" Rispose: "Te lo dirò molto brevemente. Questi non hanno speranza di morte e la loro cieca vita è tanto bassa, che sono invidiosi di ogni altra sorte. Il mondo non lascia che vi sia ricordo di loro; la misericordia e la giustizia li sdegnano: non parliamo di loro, ma guarda e passa". Ed io, che guardai, vidi una insegna che girando correva tanto veloce che sembrava indegna di qualunque posizione; e dietro le veniva una così lunga fila di gente che io non avrei creduto che la morte ne avesse disfatta tanta Dopo che vi ebbi riconosciuto alcuni, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltà il gran rifiuto. Istantaneamente compresi e ne fui certo che questa era la setta dei cattivi che non piacciono a Dio ne' ai suoi nemici. Questi sciagurati che non furono mai vivi, erano nudi e molto stimolati da mosconi e da vespe che si trovavano lì. Esse rigavano il volto di sangue, che, mischiato alle lacrime, era raccolto ai loro piedi da fastidiosi vermi. E dopo che mi diedi a guardare oltre, vidi gente sulla riva di un grande fiume; per cui io dissi: "Maestro, ora concedimi che io sappia chi sono, e quale legge le fa sembrare così desiderose di trapassare, come io vedo attraverso la fioca luce". Ed egli a me: "Le cose ti saranno raccontate quando noi fermeremo i nostri passi sulla triste riva dell'Acheronte". Allora con gli occhi vergognosi e bassi, temendo che le mie domande gli fossero pesanti, fino al fiume evitai di parlare. Ed ecco venire verso di noi su una nave un vecchio, bianco per la vecchiezza dei capelli, gridando: "guai a voi anime colpevoli! Non sperate mai di vedere il cielo: io vengo per condurvi all'altra riva nelle tenebre eterne, nel caldo e nel gelo. E tu che sei costì, anima viva, separati da codesti che sono morti". Ma dopo che vide che io non me ne andavo, disse. "Per un'altra via, per altri porti verrai a riva, non qui, per attraversare: conviene che ti porti un legno più leggero". E il duca a lui : "Caronte, non ti crucciare: si vuole così là dove si può ciò che si vuole, e non chiedere di più". Quindi furono quete le barbute gote al traghettatore della palude livida, che aveva intorno agli occhi ruote di fiamme. Ma quelle anime, che erano stanche e nude, cambiarono colore e battevano i denti, non appena intesero le crudeli parole. Bestemmiavano Dio e i loro genitori, la specie umana e il luogo e il tempo e il seme dei loro avi e dei loro figli. Poi tutte insieme si ritrassero, piangendo forte, verso la riva malvagia che attende ciascun uomo che non teme Dio. Caronte demonio, con gli occhi di brace, chiamandole per cenni, le raccoglie tutte; colpisce con il remo qualunque di esse si adagia. Come d'autunno cadono le foglie l'una dopo l'altra, finchè il ramo vede a terra tutte le sue spoglie, nello stesso modo il seme malvagio di Adamo, si gettanno da quel lido una per volta, al cenno di Caronte come uccello obbediente al richiamo. Così se ne vanno per l'onda bruna, e prima che siano discese di là, anche di qua si raduna una nuova schiera. "Figliuolo mio" disse il maestro cortese, "quelli che muoiono nell'ira di Dio si raccolgono qui da ogni paese: e sono pronti a sorpassare il fiume malvagio, poichè la giustizia divina li sprona, in modo tale che la paura si trasforma in desiderio. Di qui non passa mai un'anima buona; e perciò, se Caronte si lamenta di te, puoi ben capire ormai perchè parla così". Detto questo, la campagna buia tremò così forte, che il ricordo mi fa ancora sudare per lo spavento. La terra lacrimosa produsse un vento, che fece balenare una luce vermiglia che soverchiò i miei sensi; e caddi come un uomo che si addormenta.
Spiegazione
La ripetizione delle parole “per me si va” al principio di ogni verso può far pensare ad un triplice tocco di campana funebre. L’iscrizione sembra anticipare quello che Dante troverà nell’Inferno. Appena entrato nel vestibolo, Dante ode un tumulto vago e confuso. Mentre Dante, poeta cristiano, rimane atterrito dalle manifestazioni di dolore, Virgilio, poeta pagano, si sofferma, nell’Eneide dalla quale Dante prende spunto, più sullo spettacolo del medesimo dolore. Nel vestibolo dell’Inferno sono collocati gli ignavi, coloro che non hanno fatto né il bene, né il male. Con essi vi sono gli angeli neutrali, cioè quegli angeli che nella ribellione di Lucifero a Dio, non si schierarono né per uno, né per l’altro dei competitori. Gli ignavi, una moltitudine infinita, sono condannati a correre nudi dietro ad una insegna e non ad una croce poiché sarebbe sconveniente trovare la croce nell’Inferno, sia pure a scopo di espiazione. Essi sono stimolati da mosconi e da vespe, che rigano ad essi il volto di sangue, mischiato alle lagrime, cade a terra, dove è raccolto da vermi schifosi. Con le parole “colui che fece il gran rifiuto” sembra che Dante abbia voluto alludere a Celestino V, eletto papa nel 1294, suscitando, per la fama della sua santa vita, le speranze di tutta la Cristianità, ma ritenendosi inetto all’alta carica, dopo solo 5 mesi, rinunciò alla carica. Dopo l’incontro con C. V Dante, senza neppure più una parola per lo spettacolo miserando, distoglie lo sguardo dagli ignavi e passa oltre, verso la riva dell’Acheronte. Giunto all’Acheronte, il cui nome significa assenza di gioia, Dante incontra Caronte, che traghetta le anime all’altra riva. La descrizione di Caronte riprende quella fatta da Virgilio nell’Eneide. La prima cosa che colpisce Dante è il volto di Caronte, ma la sua figura di demonio si compie soltando quando erompe il grido minaccioso ed iroso, mentre gli occhi si irradiano tutto intorno di fiamma. Mentre Dante assiste alla spaventosa scena del concorso al fiume, un terribile terremoto, accompagnato dal vento e da baleni, gli fa perdere i sensi e lo fa cadere in un sonno profondo. In questo canto si nota l’ammirazione di Dante verso Virgilio. L’intero canto prende spunto dall’Eneide, le similitudini delle foglie, le descrizioni degli ambienti e di Caronte.

CANTO V - INFERNO
Parafrasi
Così discesi dal primo girone giù nel secondo, che cinge minor luogo, e tanto maggior dolore, che costringe al lamento. Vi sta orribilmente Minosse, e ringhia: nell'entrata esamina le colpe; giudica e ordina l'esecuzione a seconda di come si avvinghia. Dico che quando l'anima mal nata gli viene davanti, si confessa tutta; e quel conoscitore dei peccati vede in quale luogo dell'inferno condannarla; si cinge con la coda tante volte per quanti gradi vuole che sia messa giù. Davanti a lui ne stanno sempre molte; vanno a turno ognuna al giudizio; dicono ed ascoltano, e poi sono precipitate giù. "O tu che vieni al luogo di dolore", mi disse Minosse quando mi vide, interrompendo cotanto ufficio, "guarda come entri e colui di cui ti fidi; non t'inganni l'ampiezza dell'ingresso!". E il mio duca a lui: "Perchè pure gridi? Non impedire il suo andare fatale: si vuole così là dove si può ciò che si vuole e non chiedere di più". Ora cominciano a farmisi sentire le dolorose note; ora sono giunto là dove mi colpisce molto pianto. Io giunsi in un luogo muto di ogni luce, che muggisce come fa il mare per la tempesta, se è combattuto da venti contrari. La bufera infernale, che non si ferma mai, colpisce gli spiriti con la sua rapina; li tormenta voltandoli e percuotendoli. Quando giungono davanti alla rovina, qui le grida, il pianto, il lamento; qui bestemmiano la virtù divina. Capìi che a un tormento così fatto erano dannati i peccatori carnali, che sottomettono la ragione al desiderio. E come gli stornelli sono portati dalle ali nel tempo freddo, a schiera larga e piena, così il vento gli spiriti malvagi sbatte di qua, di là, di sù, di giù; nessuna speranza li conforta mai, non solo di riposo, ma di pena minore. E come le gru vanno cantando i loro lamenti facendo una lunga fila di sé in aria, così vidi venire, traendo lamenti, ombre portate dalla detta tempesta; per cui io dissi: "Maestro, chi sono quelle genti che l'aria nera castiga così?" "La prima di coloro di cui tu vuoi sapere notizie", mi disse allora quello, "fu imperatrice di molti popoli. Fu così rotta al vizio della lussuria, che rese lecita la libidine nella sua legge, per cancellare il biasimo in cui era caduta. Ella è Semiramide, di cui si legge che succedette a Nino e fu sua sposa: dominò la terra che ora governa il Sultano. L'altra è colei che si uccise per amore, e ruppe il giuramento alle ceneri di Sicheo; poi c'è Cleopatra lussuriosa. Vedi Elena, per la quale si volse un tempo tanto reo, e vedi il grande Achille, che alla fine combatté con amore. Vedi Paride, Tristano", e più di mille ombre mi mostrò indicandomele e nominandole, che amore separò dalla nostra vita Dopo che ebbi udito il mio dottore nominare le donne e i cavalieuri antichi, mi sopraffece la pietà e fui quasi smarrito. Io cominciai: "Poeta, volentieri parlerei a quei due che vanno insieme, e sembrano essere così leggeri al vento". Ed egli a me: "Vedrai quando saranno più vicini a noi; e tu allora pregali in nome di quell'amore che li conduce, ed essi verranno". Così non appena il vento li volse verso di noi, parlai: "O anime affannate, venite a parlar con noi se altri non lo negano!". Come colombe chiamate dal desiderio con le ali alzate e ferme al dolce nido vengono per l'aria portate dal desiderio; quei tali uscirono dalla schiera dove è Didone, venendo a noi per l'aria maligna, tanto forte fu il grido affettuoso. "O animale grazioso e benevolo che vai visitando per l'aria persa noi che tingemmo il mondo di sangue, se Dio ci fosse amico, noi lo pregheremmo per la tua pace poiché hai pietà del nostro male perverso. Di quel che vi piace ascoltare e parlare, noi ascolteremo e parleremo a voi, finché il vento, come ora, tace. La terra dove nacqui siede sulla marina dove il Po discende con i suoi affluenti per gettarsi a mare. Amore, che subito infiamma il cuore nobile, prese costui per il bel corpo che mi fu tolto, e il modo ancora mi offende. Amore, che a nessuno amato consente di non corrispondere, mi prese di costui un piacere così forte, che come vedi, ancora non mi abbandona. Amore ci condusse alla medesima morte: la Caina attende chi ci spense alla vita". Queste parole ci furono dette da loro. Quando io ebbi ascoltato quelle anime dolenti, chinai il viso e lo tenni basso, finché il poeta mi disse: "Che pensi?". Quando risposi, cominciai: "Oh lasso, quanti dolci pensieri, quanto desiderio condusse costoro al passo doloroso!" Poi mi rivolsi a loro e parlai io, e cominciai: "Francesca, le tue sofferenze mi rendono triste e pietoso e mi fanno piangere. Ma dimmi: nel tempo dei dolci sospiri, in che modo e con quali mezzi Amore concedette che conosceste i desideri dubbiosi?". E lei a me: "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e ciò sa il tuo dottore. Ma se hai tanto desiderio di conoscere la prima radice del nostro amore, dirò come colui che piange e dice. Noi leggevamo un giorno per diletto di Lancillotto, e come amore lo strinse; eravamo soli e senza alcun sospetto. Per più passi gli occhi ci sospinse quella lettura, e ci impallidì il viso; ma solo un punto fu quello che ci vinse. Quando leggemmo il desiderato sorriso di essere baciato da tanto amante, questi, che mai da me sarà separato, la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno più non leggemmo". Mentre l'uno spirito diceva questo, l'altro piangeva; sì che io per la pietà svenni come se morissi. E caddi come cade un corpo morto.
Spiegazione
Il canto V è il canto dei lussuriosi e di Paolo e Francesca. Dante giunse innanzi all’entrata del secondo cerchio dove si trova Minasse, giudice dell’Inferno. Minasse, mitico re e legislatore di Creta, era stato scelto dagli antichi poeti, per la sua saggezza e per la sua severità, come giudice dei morti. Dante, come del resto tutte le altre figure o verità pagane dei cerchi infernali, trasforma Minasse in un demonio. Il Minasse dantesco, a differenza di quello omerico, è un mostro dalla voce ringhiosa. Le numerosissime anime dei reprobi sono spinte a confessarsi senza infingimenti. Minasse, come già Caronte, tenta di arrestare il viaggio di Dante, insinuando in lui la sfiducia verso la sua guida. Dante entra nel secondo cerchio, dove sono puniti i lussuriosi. Essi sono eternamente travolti da una bufera, simbolo della bufera dei sensi, da cui sono agitati nella vita. Dante per darci più efficacemente l’immagine di queste anime trasportate dalla bufera, ricorre a due similitudini tratte dal costume degli uccelli. La similitudine degli stornelli ha carattere visivo e serve a mostrarci il volo irregolare di queste anime; la similitudine della gru ha invece carattere acustico e serve a farci sentire le grida di dolore dei dannati. Tra i lussuriosi, divisi in due schiere, a seconda che la loro passione fosse bassa e bestiale o ardente e fatale Dante trova i seguenti personaggi:
Semiramide, regina degli Assiri
Didone, essa promise di essere fedele al suo marito defunto ma poi s’innamorò di Enea.
Cleopatra, si uccise per non cadere nelle mani di Ottaviano.
Elena il cui rapimento fu causa della caduta di Troia.
Achille, che promise di non combattere più contro i Troiani.
Paride
Tristano, innamoratosi di Isotta fu ucciso dal marito di questa, suo zio.
Dante alla vista di tanti amanti infelici prova quasi pietà. Si annuncia così il sentimento predominante nell’episodio di Francesca da Rimini. Francesca andò in sposa a Giovanni Malatesta. Paolo, fratello minore di Giovanni, si innamorò della cognata, e Giovanni, cogliendo entrambi in colpa, li uccise. Dante manifesta il desiderio di parlare con due anime. Appena il vento li piega verso Dante, lui li prega in nome di quell’amore che lì li ha portati. Francesca e Paolo raccontano la loro storia e Dante per la pietà sviene, cadendo a terra come un corpo morto.

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