Divina Commedia: Paradiso

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Testo

LA DIVINA COMMEDIA.
“Paradiso”
Canto I
Descrizione:
luogo:
paradiso terrestre
guida:
Beatrice
potenza motrice:
/
beati:
/
anime beate:
/
questioni dottrinali:
teoria dell’ordine dell’universo
Struttura:
1-36:
proemio al Paradiso ed invocazione ad Apollo
37-81:
trasumanazione e ascensione di Dante
82-93:
primo dubbio di Dante
94-142:
secondo dubbio di Dante e soluzione di Beatrice
Tematiche
-Difficoltà di esprimere le cose viste in Paradiso.
-La luce si identifica con la gloria e la potenza divina.
-Beatrice ha il ruolo di sciogliere i dubbi di Dante.
Analisi dei versi
1-12: protasi (Dio=luce).
4-6: stilema del Paradiso.
5-9: recusatio intesa come sgomento.
13-36: invocazione ad Apollo (In, vv3, Pg vv6, Pd vv23).
13-15: allitterazione.
19-21: episodio di Marsia ed episodio delle Pieridi (Pg).
25-27: umiltà verso Dio.
34-36: umiltà verso gli uomini.
37-38: descrizione paesaggio fra Letè ed Eunoè.
39-42: determinazione cronologica che segna il cambio del paesaggio.
39: quattro cerchi e tre croci (croci formate da equatore, orizzonte, coluro equinoziale ed eclittica) oppure quattro virtù cardinali (fortezza, giustizia, temperanza e prudenza) e tre virtù teologali (fede, speranza e carità).
41: mondana cera=materia del mondo.
43-45: si stanno alzando=vedono la sfera terrestre.
40: miglior corso=periodo dell’Ariete.
40: miglior stella=costellazione dell’Ariete.
43-48: Beatrice comincia ad osservare il sole.
48: aquila; per la sua capacità di guardare il sole e per la sua forza di ascensione verso l’alto.
49-72: Dante comincia anche lui a guardare il sole, non per sua volontà (due similitudini ed una spiegazione).
49-50: I similitudine=raggio riflesso.
51: II similitudine=pelegrin ha due significati: come persona lontana dalla sua terra e falco che dopo essere piombato sulla preda torna in alto.
52-54: spiegazione=non è un atto di volontà di Dante perché Dante è puro e quindi può tendere solo a Dio.
57: Dante qui si dovrebbe staccare dalla terra, non è segnalato specificamente perché avviene come fatto interno, non materiale.
58-63: descrizione nuovo paesaggio.
60: similitudine per sottolineare la luminosità del luogo.
67-69: stato d’animo di Dante attraverso un paragone (Glauco).
70-72: definizione di trasumanare.
73-75: Dante si chiede implicitamente se è anima sola o anche corpo, ma non vuole approfondire.
76-84: descrizione del Paradiso.
88-93: ammonimento di Beatrice a Dante.
94-98: Dante è assalito da un nuovo dubbio.
100-102: Beatrice ha compassione di Dante.
103-141: spiegazione di Beatrice al dubbio di Dante, è costruita sui principi della filosofia scolastica. Il dubbio di Dante non viene risolto, ma viene riassorbito nel grande tema, filosofico e teologico, dell’ordine cosmologico che, in forme diverse, ritornerà in tutta la III cantica.
112-114: compare la figura delle anime sperdute nella vastità del mondo e la sicurezza di una mano invisibile che le guiderà alla meta.
124-126: similitudine della freccia (predestinazione).
Canto II
Descrizione:
luogo:
I cielo: cielo della luna
guida:
Beatrice
potenza motrice:
I gerarchia: carità dello spirito / I ordine: angeli
beati:
/
anime beate:
/
questioni dottrinali:
origine metafisica e non fisica delle macchie lunari
Struttura:
1-18:
monito ai lettori
19-45:
Dante e Beatrice giungono al cielo della luna
Tematiche
Descrizione dell’ordinamento universale affrontata nella dimensione teologico-cosmologica.
Analisi dei versi
1-18: protasi
8-9: Dante dà per acquisito l’aiuto delle nove muse e di Apollo, ma specifica anche l’aiuto di Minerva (dea della saggezza).
13: alto sale=mare.
16-18: paragone tra la meraviglia dei lettori e quella degli argonauti quando videro Giasone.
19-36: salita al cielo della luna e compenetrarsi di Dante in essa.
23-24: ritorna l’immagine della freccia=volo brevissimo, non si deve parlare di spazio e tempo perchè è un volo spirituale; ciò spiega il verso 21.
29-30: Beatrice dice a Dante di ringraziare Dio.
31-33: descrizione del cielo della luna, per mezzo anche di una similitudine (vv 33).
35-36: similitudine che spiega la compenetrazione.
37-45: meraviglia di Dante per la compenetrazione.
46-148: discussione scientifico-filosofica.
Canto III
Descrizione:
luogo:
I cielo: cielo della luna
guida:
Beatrice
potenza motrice:
I gerarchia: carità dello spirito / I ordine: angeli
beati:
anime che sulla terra vennero meno ai voti
anime beate:
Piccarda Donati; Costanza di Altavilla
questioni dottrinali:
i gradi della beatitudine celeste: la carità e l’abbandono in Dio
Struttura:
1-33:
apparizione delle anime beate
34-57:
Piccarda Donati
58-90:
Piccarda spiega a Dante i vari gradi di beatitudine
91-108:
spiegazione dell’inadempienza del voto
109-120:
Piccarda addita lo spirito di Costanza imperatrice
121-130:
sparizione delle anime
Tematiche
Nel lume della luna le figure luminose si distinguono appena, appaiono e scompaiono alla vista come immagini evanescenti. Anche il canto dell’Ave Maria sembra spegnersi dolcemente. Persino l’argomento politico sfuma nel tono elegiaco del rimpianto per una vita di pace che è stata negata (Costanza d’Altavilla). Nel discorso di Piccarda si alternano registri stilistici diversi: quello umano e familiare dei ricordi terreni, fa riscontro quello più alto e dottrinale delle questioni teologiche.
Problemi affrontati
-Graduazione della beatitudine delle anime del Paradiso.
-Collocazione definitiva delle anime.
-Debolezza umana.
Analisi dei versi
1: Beatrice è paragonata al sole perchè come esso dà luce e calore, così essa con il suo amore ha scaldato il cuore del poeta e lo illumina con la sua dottrina.
10-15: similitudine costituita da tre similitudini.
14-15: con la “perla” cambia il registro stilistico: siamo in un clima di gentilezza e delicatezza poetica.
17-18: Dante cade nell’errore contrario a quello di Narciso, il quale, secondo la tradizione classica, specchiandosi in una fonte e vedendo la propria immagine riflessa se ne innamorò. Dante vede figure reali e le scambia per riflesse.
28: suole=presente gnomico.
30: questo verso ci trae in errore, le anime non risiedono nel cielo della luna, ma nell’Empireo, questa precisazione si avrà nel canto IV, vv. 28-63.
31: credi alle anime perchè possono dire solo la verità.
39: non gustata=la dolcezza della beatitudine non può essere compresa se non da chi la prova perchè va al di là di qualsiasi esperienza umana.
42: occhi ridenti=qui le anime esprimono la loro laetitia attraverso gli occhi ridenti, un aumento della luminosità.
48: Piccarda è diventata più bella perchè la beatitudine celeste accresce la bellezza stessa del sembiante e Dante dirà di riconoscerla nei vv. 58-60.
51: in la spera più tarda=metafora (visione errata universo).
55-57: risposta alla domanda di Dante al vv. 41.
64-66: Dante pone il primo problema.
70-87: Piccarda risponde al primo problema
69: primo foco=l’amore di Dio.
85-87: il ritmo solenne e largo di questa terzina conclude in tono altamente lirico il discorso di Piccarda.
91-93: similitudine per proporre un’altra domanda.
95-96: paragone=il voto inadempiuto è paragonato ad una tela non finita di tessere.
97-108: Piccarda risponde al terzo problema.
109-120: Piccarda presenta Costanza.
121-130: sparizione di Costanza e delle altre anime.
La figura di Piccarda Donati
-Al centro è la figura monografica di Piccarda beata (vv. 34-90), ai due lati sono le subordinate figurazioni di Dante e Beatrice (vv. 1-33) e di Piccarda e Costanza (vv. 91-130).
-Pur nel paradiso, Piccarda poeticamente sembra ricordare ancora certi toni e certe modulazioni del Purgatorio; la dolcezza di certi incontri crepuscolari, fatti di nobiltà e di cortesia, in un’aria di elegiaca soavità, in uno svolgersi di lenta malinconia.
-Già nel Purgatorio la felicità paradisiaca di Piccarda è preannunciata in quel famoso incontro con Farese nel quale Dante non esitò ad esercitare la sua missione di inesorabile giudice nei riguardi di tre illustri componenti dell’antica famiglia dei Donati: Farese (Pg), Piccarda (Pd) e Corso (In).
Piccarda, Francesca e Pia
Piccarda
Francesca
Pia
la debole innocente
la peccatrice
l’impenitente fino all’ultimo
si distacca dalla terra e perdona
anela ad una pace che non avrà
accenna alla cerimonia nuziale
ci tace un dramma politico familiare
ci risparmia una storia trita di tradimenti e di dolci incontri
ci tace una tragedia troculenta
collocata nei primi canti del paradiso
collocata nei primi canti dell’inferno
collocata nei primi canti del purgatorio
vittima della violenza
vittima della violenza
vittima della violenza
patì ed ebbe il suo intimo dramma
patì ed ebbe il suo intimo dramma
patì ed ebbe il suo intimo dramma
accenna ai violenti, ma senza ira
accenna ai violenti, ma senza ira
accenna ai violenti, ma senza ira
narra con dolcezza
narra con dolcezza
narra con dolcezza
Canto VI
Descrizione:
luogo:
II cielo: cielo di Mercurio
guida:
Beatrice
potenza motrice:
I gerarchia: carità dello spirito / II ordine: arcangeli
beati:
anime che furono attive per conseguire fama
anime beate:
Giustiniano; Romeo di Villanuova
questioni dottrinali:
concezione provvidenziale e cristocentrica della storia
Struttura:
1-27:
risposta alla prima domanda
28-36:
ragioni della digressione sull’impero
37-54:
storia dell’aquila romana: l’età dei re e della repubblica
55-96:
storia dell’aquila romana: l’età imperiale
97-111:
invettiva contro i guelfi e i ghibellini
112-126:
risposta alla seconda domanda: condizione degli spiriti di Mercurio
127-142:
Giustiniano indica lo spirito di Romeo di Villanuova
Tematiche
-Il VI canto, unico caso della commedia, accoglie il discorso di un unico personaggio.
-Il solenne discorso di Giustiniano ha un preludio (V canto) e un epilogo (VII canto).
-Si tratta di un canto politico ma, diversamente dalle concitate domande e risposte del VI canto dell’Inferno e del Purgatorio, qui le parole di Giustiniano si sollevano solenni nella dimensione dell’eternità.
-Il tempo storico appare riassorbito in un ordine temporale dove tutto è scritto e i tumulti dell’attualità sono osservati dall’alto.
-La vicenda personale di Dante affiora negli umanissimi versi conclusivi del canto, nell’immagine di Romeo.
-Un profondo legame si stabilisce tra il personaggio di Romeo, il giusto che affronta con fermezza la ingiusta condanna dell’esilio, e l’apoteosi dell’Aquila imperiale.
Analisi dei versi
1-9: ampia introduzione di Giustiniano al suo discorso, questa indica l’altezza del tono lirico di esso, l’importanza e la gravità della materia trattata.
1: l’Aquila, simbolo dell’Impero, non è solo soggetto grammaticale, ma anche quello logico di tutto il discorso.
1-2: portò il simbolo dell’Impero da Oriente a Occidente, cioè in senso contrario al movimento del sole.
10: dopo l’ampia premessa, in questo verso solenne si compendia la sostituzione della prima risposta.
13: ovra=opera.
14: piue=più (epitesi).
13-21: la triplice ripetizione di fede (15-17-19) ha lo scopo di segnare i gradi di una ascesa: dalla fede erronea (13-15) alla fede vera (16-18) alla fede confermata e glorificata (19-21). Le tre terzine costituiscono un trittico sul tema Giustiniano e la fede.
19-21: questa affermazione era uno dei basilari postulati della logica aristotelica e si denomina “principio di non contraddizione”.
36: così questa storia mirabile dell’Aquila romana cessa di essere cronaca di avvenimenti per innalzarsi nella sfera solennemente religiosa di un disegno provvidenziale, che fece di Roma il centro dell’unità spirituale e materiale dell’umanità.
37-39: la terzina sintetizza la preistoria immediata di Roma.
40-42: la terzina sintetizza la storia del periodo regio da Romolo a Tarquinio il Superbo.
43-45: questa e le tre strofe seguenti sintetizzano la storia dell’Aquila romana nel periodo repubblicano.
49: anacronismo=designare i Cartaginesi col nome di arabi.
57: Cesare è considerato da Dante l’iniziatore dell’impero e con lui comincia quindi quello che era il sogno politico del poeta, il mondo unito sotto un solo monarca.
61-63: si allude alla guerra civile tra Cesare e Pompeo.
70: Iuba=Giuba, re della Mauritania.
82-90: le terzine hanno una particolare grandiosità, sottolineata da un linguaggio aulico e da un periodare complesso, e fanno spicco per la loro particolare struttura stilistica.
121-123: qui Giustiniano ribadisce ciò che già Piccarda aveva detto: “gli spiriti beati non hanno alcuna invidia per i gradi più alti di beatitudine”.
Dante attraverso Giustiniano esprime la sua concezione politica
Qui non una parola di Beatrice: nessuna descrizione, appena una similitudine. Vi si discorre soltanto di politica e di giustizia. In compenso non abbiamo qui nulla di oscuro; e nemmeno testi incerti o di dubbia interpretazione. Meno nell’ultimo breve episodio di Romeo, tutti i nomi e gli eventi cui si allude sono tra i più universalmente noti. Una lunga serie di figure storicamente familiari, da Enea a Carlomagno, da Lucrezia a Cleopatra, ci sfila dinanzi, in una rapida rassegna, intesa a dimostrazione di una tesi storica e politica, che infiammò tutto l’animo del poeta. Dante visse con intensa passione nelle lotte e negli avvenimenti del suo tempo, le sue idee di ordinamento sociale e politico si ricollegavano strettamente con la sua fede religiosa, con tutte le sue convinzioni intorno ai destini dell’umanità e alle leggi dell’universo. La giustizia è considerata come base e fine di ogni ordinamento politico. La parola stessa di giustizia torna ripetutamente: Dio è la viva giustizia, il segno dell’Aquila non può dipartirsi dalla giustizia, etc... La dimostrazione storica si arresta a Carlomagno, come al punto di congiunzione tra la legittimità del Sacro Impero e le tradizioni dell’ Antico Impero dei Cesari. Con la fusione del romano con il germanico, con il rinnovato e più stretto contatto del Papato con l’Impero. Egli non vuole schierarsi né per l’Impero contro il Papato, né per questo contro quello. Il suo sogno è, non la sovrapposizione dell’un potere all’altro, ma la loro reciproca indipendenza e ordinata cooperazione. La tesi imperialista di Dante è semplice nel suo ardito: condizione della felicità umana è la pace universale. A questa si giunge mediante la libertà, la giustizia, l’amore.
Canto VIII
Descrizione:
luogo:
III cielo: cielo di Venere
guida:
I gerarchia: carità dello spirito / III ordine: principati
potenza motrice:
Beatrice
beati:
spiriti amanti
anime beate:
Carlo Martello d’ Angiò
questioni dottrinali:
la decadenza delle famiglie; le diverse indoli degli uomini
Struttura:
1-12:
origine del nome del pianeta Venere
13-30:
salita al III cielo ed incontro con le anime
31-84:
colloquio con Carlo Martello d’Angiò
85-135:
spiegazione di Carlo Martello d’Angiò sull’indole degli uomini
136-148:
necessità di assecondare le varie tendenze
Tematiche
Luce e musica, i due motivi dominanti della terza cantica, appaiono fusi nell’apparizione degli spiriti amanti: il gioco luminoso che permette agli splendori di emergere dallo sfondo splendente del cielo è analogo al gioco musicale del campo polifonico che permette di distinguere una voce dall’altra. Le immagini dunque non esprimono solo se stesse, ma significano l’armonia del Paradiso. Sempre le stesse caratterizzano un luogo di metafisica spiritualità, non un luogo terrestre. Le modalità dell’incontro con Carlo Martello richiamano alla memoria altri incontri, quelli di Casella (Pg II), di Bonagiunta (Pg XXIV), di Brunetto Latini (In XV), dominati da una atmosfera di nostalgica dimestichezza; ma qui i motivi biografici scompaiono ben presto, riassorbiti nel problema politico del cattivo governo e in quello teologico delle influenze celesti sul comportamento umano.
Analisi dei versi
1-6: rievocazione affettuosa di un dolore familiare di una regina e insieme profetizza, a consolazione di lei e di tutti che la giustizia divina non tarderà a far cadere sui colpevoli dei danni dei discendenti di Carlo il giusto pianto del castigo.
1-12: proemio dedicato a Venere, strutturato in un solo periodo; si narra anche un episodio di poesia latina, che ha la funzione di rottura dopo l’aridità ragionativa del canto VII; nelle altre due cantiche invece ci sono indicazioni temporali.
1: periclo=caduta della sillaba atona apostonica.
2: ciprigna=oggi di Venere (di Cipro).
6: chiasmo.
7: Dione=madre di Venere.
7: Cupido=figlio di Venere.
12: perifrasi.
13-30: canto Osanna, come nel cielo di Mercurio, dopo che Giustiniano lo ha cantato gli spiriti si dileguano velocissimi verso l’Empireo.
16-17: fiamma/favilla, voce/voce=allitterazione.
17-18: Dante vi aveva già accennato in Pg XXVIII, 18 ricordando il bardane.
22-23: analogia con la similitudine di Pg V 37-40 fa ritenere che Dante intenda qui i turbini (venti non visibili) e i lampi (venti visibili). Secondo la fisica del tempo sia i primi sia i secondi si generavano dall’urto di vapori caldi e secchi con “fredde nubi”.
23: festini=latinismo.
31-84: incontro con Carlo Martello; questa parte rievoca la relazione terrena fra Dante e il principe angioino e stigmatizza, ancora una volta per bocca di questo, la “mala signoria” degli Angioini.
37: incipit di una canzone che Dante commentò nel secondo trattato del Convivio. Da questo commento sappiamo che Dante poneva allora non i Principati, bensì i troni come motori del cielo di Venere, seguendo l’ordinamento proposto da Gregorio Magno.
44: s’avea=avere invece di essere; scambio frequente.
44-45: affetto umano per C. Martello.
46: piue: epitesi.
49-57: affetto reciproco si fa più sentire=l’incontro terreno nel 1294 quando C. Martello andò a Firenze per accogliervi il padre reduce dalla Francia, ma non si stabilì, per mancanza di tempo, un’amicizia ferrea tra loro.
61: s’imborga=denominale da borgo; è neologismo dantesco.
62: Catona=località della Calabria.
63: Verde=Garigliano o Liri.
67-70: perifrasi per indicare la Sicilia.
85-135: incontro con Carlo Martello, questa parte di tono didascalico, C. Martello spiega la ragione per cui i figli possono non ereditare le indoli dei padri.
102: salute è termine complesso per varie sfumature di significato ed è parola chiave del lessico dantesco.
103-104: ritorno all’immagine dell’arco che scocca la freccia, frequente nel Paradiso.
109: l’ordine di tali gerarchie o cori angelici variò lungo la tradizione medioevale da pensatore a pensatore, Dante stesso diede nel Convivio un ordine che mutò poi nella Commedia, in cui essi vengono enumerati secondo la teoria della pseudo Dionigi Aeropagita.
130-131: Eson e Jacob=figli di Isacco.
136-148: necessità di assecondare le varie tendenze.
Riassunto
Dante si accorge di essere nel cielo di Venere dalla splendente bellezza di Beatrice. Nella luminosità ci sono splendori che accorrono più o meno velocemente, intonando l’Osanna, per il grado diverso di beatitudine. Un’anima si offre di rispondere alle sue domande. E’ Carlo Mrtello, che dice a Dante che gli avrebbe mostrato i frutti dell’amicizia se non fosse morto. C. Martello comincia a parlare di storia fino a cadere sull’argomento del figlio, per parlare della diversità tra padri e figli e dell’influenza celeste sul comportamento umano
Perchè l’introduzione in Paradiso di tre anime di peccatori d’amore, riscattatisi alla fine della vita
Dante vuole ribadire il principio che l’uomo, di là da ogni formalismo religioso, deve fare i conti direttamente con Dio, il solo che possa scrutarlo nel suo intimo. Che il pentimento anche all’ultimo istante potesse cancellare tutta una vita di peccato era dottrina comune della chiesa e Dante aveva posto questo convincimento alla base degli episodi di Manfredi (Pg III) e Bonconte (Pg V). Il pentimento in extremis può portare al Purgatorio: una vita eroica di bene può invece riscattare il passato peccaminoso e portare al Paradiso.
Il pianeta Venere
Era stato designato dal poeta: “lo bel pianeta che d’amor conforta” (PG I, 19). Il pianeta è una massa compatta di luce nella quale si distinguono le luci dei singoli spiriti, che si muovono più o meno velocemente secondo il grado di beatitudine. Per alcuni con il cielo di Venere comincia il Paradiso, per altri l’Antiparadiso comprende anche il cielo di Venere.
Perchè Carlo Martello è assegnato a questo cielo
Hp(a): Alcuni studiosi pensano che Dante recuperasse quell’impressione che Clemenza, sposa bambina di Carlo, fece su di lui ragazzo quando passò da Firenze, ossia di un amore precoce e fresco. Dante prova tenerezza a ricordare quel giovane amore, un amore casto.
Hp(b): Secondo altri studiosi Carlo Martello sarebbe collocato qui non per il sentimento provato per la moglie.
Canto XI
Descrizione:
luogo:
IV cielo: cielo del sole
guida:
Beatrice
potenza motrice:
II gerarchia: sapienza del figlio / I ordine: potestà
beati:
spiriti sapienti
anime beate:
San Tommaso
questioni dottrinali:
centralità della povertà; la vita deve essere tutta cristiana
Struttura:
1-12:
contrasto tra la vanità delle cose e la gloria celeste
13-27:
i due dubbi di Dante
28-42:
San Tommaso comincia il chiarimento del primo dubbio: i due campioni della chiesa
43-117:
vita di San Francesco
118-139:
biasimo ai domenicani degeneri
Analisi dei versi
1-3: apostrofe che fa da proemio al canto.
1: cura=affanno, latinismo.
3: metafora.
13: ne lo=rima composta, caratteristica della poesia siculo-toscana, in particolare di Guittone.
15: candelo=forma antica di candela.
18: quando le anime si accingono a sciogliere un dubbio di Dante, manifestano con una maggiore luminosità la loro letizia.
22-24: fin da qui si nota come il linguaggio di S. Tommaso si elevi con uno stile retoricamente alto, come conviene al tema agiografico che tratterà.
26: questo II dubbio verrà chiarito da S. Tommaso nel canto XIII.
28-36: con questo solenne esordio ha inizio l’elogio di S. Francesco.
29-30: enjambement.
32-33: perifrasi per indicare la chiesa.
35: principi=capi, latinismo.
37-39: sintesi dei due “campioni” della chiesa.
43-48: ampia perifrasi per indicare la posizione geografica di Assisi, rientra nel gusto retorico del tempo e se ne trovano altri simili nella commedia.
43-44: perifrasi per indicare il fiume Chiascio.
45: fertile è latinismo che ha solo questa occorrenza in Dante.
50: l’immagine del sole per indicare un santo era frequente nell’agiografia francescana.
54: Oriente=perchè vi nacque quel sol spirituale che era S. Francesco.
55: il latinismo “ortus” è particolarmente appropriato, perchè il termine latino è in genere riferito al sorgere degli astri.
57: virtute (potenza fecondatrice) e conforto (influsso benefico) continuano la metafora del sole.
70: feroce=fiera, latinismo frequente nella lingua antica
79: Bernardo=Bernardo di Quintavalle.
81: la ripetizione del verbo “correre” e l’enjambement che pone il “corse” in posizione di rilievo, vogliono sottolineare l’ardore del frate nel seguire le gioie della santa povertà.
85: sen va=verso la fine del 1209 o al principio del 1210.
89: fi=figlio, forma tronca propria dei dialetti toscani antichi.
92: Innocenzio=Innocenzo III.
115: preclara=latinismo, che è usato solo qui nella commedia ed è assente anche nelle altre opere volgari di Dante.
118-120: la terzina segna il passaggio dal panegirico di S. Francesco al biasimo dell’ordine domenicano.
121: il nostro patriarca=San Domenico.
123: merce è plurale di mercia, sinonimo di merce, mercanzia.
126: il latinismo “salti”, “diversi” e quello precedente del vv 124 “pecuglio” fanno parte del linguaggio oratorio.
Riassunto
Le anime della ghirlanda, dopo aver compiuto un altro giro di danza si fermano, riprendendo ciascuna il suo posto. San Tommaso riprende a parlare, per chiarire il I dubbio di Dante spiega come la Provvidenza divina, per venire in aiuto della chiesa, ha predisposto due campioni: l’uno, Francesco, infiammato di carità; l’altro Domenico, splendente di sapienza. Egli domenicano rievocherà la vita di S. Francesco. Da Tommaso vengono così ricordati gli episodi salienti della vita del santo: la rinuncia ai beni paterni, la scelta della povertà come regola di vita, etc.... Se questo è stato l’uno dei due campioni della chiesa, conclude S. Tommaso, Dante può ben comprendere anche la grandezza dell’altro, S. Domenico; ma l’ordine da questi formato ha abbandonato i comandamenti del suo pastore e segue altre strade che lo conducono lontano dalla retta via.
Canto XII
Descrizione:
luogo:
IV cielo: cielo del sole
guida:
Beatrice
potenza motrice:
II gerarchia: sapienza del figlio / I ordine: potestà
beati:
spiriti sapienti
anime beate:
San Bonaventura
questioni dottrinali:
importanza della fede
Struttura:
1-21:
danza e apparizione della seconda corona
22-45:
Bonaventura comincia l’elogio di San Domenico
46-105:
vita di San Domenico
106-126:
Bonaventura biasima la degenerazione dei francescani
127-145:
presentazione degli spiriti che formano la seconda corona
Analisi dei versi
2: la benedetta fiamma=Tommaso che aveva chiarito il dubbio.
3: la santa mola=la corona dei beati; essa si muove in cerchio, orizzontalmente, come la macina del mulino.
4-5: parallelismo dei due canti.
7-9: le “muse” sono il simbolo della poesia e le “serene” simboleggiano la dolcezza del canto.
10-18: la complessa similitudine si riferisce alle due corone, concentriche che si muovono e cantano insieme, avendo la corona esterna.
12: iunone...iube=nella mitologia antica, Iride, messaggera di Giunone.
14-15: perifrasi per indicare la ninfa Eco che, innamoratisi di Narciso e non ricambiata, si consumò a poco a poco, fino ad essere ridotta ad ossa e voce.
19: metafora che va messa in relazione con l’altra per la quale le due corone di spiriti vengono dette ghirlande.
22: tripudio=danza, latinismo.
29-30: similitudine, la bussola era stata inventata poco tempo prima e l’immagine dell’ago, attratto dalla stella polare, era già diventata usuale termine di paragone nei poeti del Duecento.
32: l’altro duca=San Domenico.
33: del mio=San Francesco.
34-36: terzina parallela ai versi 40-42 del canto XI.
37-45: le terzine, che introducono la biografia-panegirico del santo, corrispondono alle terzine introduttive (vv. 28-36) del canto XI.
43: com’è detto=come era stato detto da Tommaso nei vv. 31-36 del canto XI.
44: al cui fare, al cui dire=il fare di San Francesco, il dire di San Domenico.
46-54: le tre terzine descrivono il luogo dove nacque S. Domenico e corrispondono ai vv.43-48 del canto XI.
47: Zefiro o Favonio era considerato il vento che soffiava da occidente e portava i benefici effetti della primavera.
52: Calaroga=Calaruega, piccolo borgo della vecchia Castiglia.
55-57: i tre versi corrispondono ai vv. 49-51 del canto XI.
55: nacque=nel1170.
57: da notare la forma chiastica dell’espressione e di nuovo il termine bellico “nemici”.
71-72: l’immagine riecheggia il linguaggio evangelico.
83: Enrico di Susa=Ostiense.
86-87: vigna=chesa; vignaiolo=Papa.
98: appostolico=raddoppiamento della “p” per la grafia del tempo.
101: quivi=in Provenza.
105: arbuscelli=fedeli che seguono l’ortodossia cattolica.
106-111: questi versi corrispondono ai vv. 118-123 del canto XI.
106: la chiesa è paragonata a un auriga che sta su un carro a due ruote (biga).
110: Tomma=Tommaso d’Aquino.
112-114: questa e la terzina seguente corrispondono alle terzine vv. 124-129 del canto XI.
114: l’immagine è quella di una botte, incrostata di tartaro finché è ben curata, ma che facilmente può muffire, se trascurata.
117: verso di difficile interpretazione.
121-123: metafora.
127: Bonaventura=San Bonaventura da Bagnoregio.
134: Pietro Spano=Petro di Giuliano da Lisbona.
136: Natan=profeta ebraico.
137: Grisostomo=S. Giovanni Crisostomo; Donato=Elio Donato.
138: la prim’arte=la grammatica.
139: Robano=Robano Mauro.
140-141: Gioacchino da Fiore.
144: ‘l decreto latino=il preciso discorso.
Riassunto
Non appena Tommaso ha terminato di parlare, la santa ghirlanda di anime riprende la danza e il canto e prima di aver terminato il giro intorno a Dante, Beatrice viene circondata da una seconda ghirlanda di anime. Quando la danza e il canto si interrompono inizia a parlare San Bonaventura, indotto ad elogiare San Domenico, dal momento che Tommaso ha elogiato San Francesco, cui è suo seguace. Domenico è l’altro campione voluto da Dio per soccorrere la chiesa in pericolo. Egli nacque nel villaggio di Coluarega. Un sogno profetico rivelò alla madrina la futura gloria del battezzando e per questo fu chiamato Domenico. Divenuto in poco tempo dottore, chiese la licenza di combattere per la fede contro gli eretici che sgominò con la forza di un torrente in piena. Grande è stato Domenico come grande è stato Francesco, ma l’ordine francescano ha abbandonato l’esempio del maestro. Concludendo il suo discorso Bonaventura presenta a Dante gli undici splendori che con lui formano la ghirlanda: Illuminato, Agostino, Ugo da S. Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro Spano, il profeta Natan, Crisostomo, Anselmo d’Aosta, Elio Donato, Robano Mauro, Gioacchino da Fiore.
La figura della donna Povertà
Primo marito della Povertà era stato Cristo, dopo di lui la donna era stata disprezzata, non era stata richiesta di nozze da nessuno. In ciò dunque Francesco è l’”alter Christus” e forse per far rilevare questo Dante dice, con evidente tensione polemica, che fra Cristo e Francesco per più di mille anni non c’era stato nessun altro che avesse amato la Povertà; ma in questo passo peraltro, Dante intende “povertà” come la intendeva il Cristianesimo originario, cioè come rinuncia assoluta alla proprietà personale: la stessa vita in comune era criticata in quanto i cenobiti, non essendo angustiati dall’incertezza del futuro, non erano veramente poveri: ci si deve sostenere individualmente solo con il lavoro e con l’elemosina.
Parallelismo dei canti XI e XII
Parte:
canto XI
canto XII
Premessa generale
vv. 28-36 (3 t.)
vv. 37-45 (3 t.)
Identità d’azione dei due santi
vv. 40-42 (1 t.)
vv. 34-36 (1 t.)
Luogo di nascita
vv. 43-51 (3 t.)
vv. 46-54 (3 t.)
Nascita
vv. 49-51 (1 t.)
vv. 55-57 (1 t.)
Passaggio dalla biografia al biasimo
vv. 118-123 (2 t.)
vv. 106-111 (2 t.)
Biasimo dell’ordine
vv. 124-129 (2 t.)
vv. 112-117 (2 t.)
Monaci fedeli
vv. 130-132 (1 t.)
vv. 121-123 (1 t.)
Differenze fra il canto XI e il XII
Il canto XII appare assai meno convinto del canto XI. E ciò non perché Dante, come alcuni dicono, si riconosce più in Francesco che in Domenico: semmai potrebbe essere vero il contrario; ma in verità in lui, come abbiamo visto, ambedue i santi sono ugualmente energici. Il fatto è che nel secolo intercorso fra la predicazione di Francesco e la stesura della commedia, della biografia del santo si era già impadronita una ricchissima tradizione francescana, storica e leggendaria; il che non era avvenuto della biografia di Domenico: ciò basta a spiegare la minore articolazione, in Dante, di quest’ultima rispetto all’altra. Per esempio: alla morte di Francesco sono dedicate tre terzine (vv. 109-117), mentre si tace di quella di Domenico, sebbene Dante avesse visto a Bologna il sepolcro di lui; ma ciò perché il trapasso di Domenico non aveva avuto la drammaticità inconsueta e l’esemplarità di quella di Francesco, definitivo suggello allo sposalizio con la Povertà.
S. Francesco e S. Domenico a confronto
San Francesco
San Domenico
• sposa la Povertà
• sposa la Fede
• biografia poetica più articolata
• biografia poetica meno articolata
• indomito combattente a favore della chiesa
• indomito combattente a favore della chiesa
• l’azione con cui egli, “giovinetto”, diede primamente prova della sua “gran virtute” è un’azione di guerra, alla quale egli andò impetuosamente (“corse”) e sulla quale si proietta l’ombra della morte: una guerra combattuta secondo la legge della cavalleria, per una donna, la Povertà
• egli è detto “duca” e con termini cavallereschi “drudo/de la fede”; anche “paladino”, “atleta”: quest’ultima parola è usata nel senso specifico, che aveva spesso nella letteratura agiografica, di “difensore” come in un giudizio di Dio, di campione. Sua madre sognò che avrebbe partorito chi avrebbe incendiato il mondo
• è il guerriero della chiesa, come una delle due ruote di una biga
• è il guerriero della chiesa, come una delle due ruote di una biga
• egli ebbe nella vita l’animo di combattente e ciò appare anche in quel che di lui scrisse Bonaventura, la cui “Legenda Maior”, Dante segue assai da vicino
• per egli operava in Dante il ricordo della crociata contro gli Albigesi
• deve travolgere per il suo amore caritativo
• deve convincere con la parola o con le armi
Canto XV
Descrizione:
luogo:
V cielo: Marte
guida:
Beatrice
potenza motrice:
II gerarchia: sapienza del figlio / I ordine: potestà
beati:
spiriti militanti: hanno combattuto per il trionfo della fede
anime beate:
Cacciaguida
questioni
dottrinali:
la carità si volge alle buone opere; i beati intercedono per gli uomini e leggono i loro pensieri in Dio.
Struttura:
1-12:
il silenzio dei beati
13-30:
Cacciaguida si avvicina a Dante e lo saluta
31-69:
Cacciaguida invita Dante a parlare
70-78:
Dante chiede allo spirito di manifestarsi
79-96:
Cacciaguida si rivela
97-129:
l’antica Firenze
130-148:
Cacciaguida parla di sé e della sua vita
Tematiche
La triade dei canti di Cacciaguida costituisce il luogo strutturale nel quale il viaggio nell’oltretomba riceve la solenne conferma del fine per cui è stato voluto e il viator viene investito della mission cui è destinato. Le immagine poetiche e le situazioni narrative sottolineano il momento solenne: il cielo di Marte, il cielo dei combattenti per la fede; la croce luminosa, simbolo del Cristo; la discesa dell’anima splendente lungo i bracci della croce; il silenzio dell’attesa.
Analisi dei versi
1-6: le anime beate interrompono il loro canto per permettere a Dante di esporre i suoi desideri. Il poeta esprime questo concetto attraverso l’immagine della lira e delle sue corde mosse o fermate dalla mano del suonatore; le due terzine hanno un andamento solenne.
1: si liqua=latinismo, si manifesta.
7-9: incidentale, ma consueta dichiarazione di Dante circa il problema se sia legittima e proficua l’intercessione dei santi.
10-12: ammonimento consueto a non desiderare beni fallaci perdendo così il bene supremo.
13-18: il lume, che si rivelerà poi essere l’antenato del poeta, Cacciaguida, si sposta lungo il braccio destro della Croce; tale movimento è paragonato dal poeta all’improvviso trascorrere, nella serena luminosità del cielo, di una stella cadente (subito foco) che, dando l’impressione di una stella che muti luogo, costringe gli occhi di chi guarda a seguirla; se non che, nel punto in cui essa si è accesa, non sparisce nessun astro, e breve e rapida è la luminosità di essa. Questa lunga similitudine continua ai versi 19-24.
23: il braccio destro della croce e quello inferiore corrispondono a due dei raggi che dividono in quadranti un circolo, dunque la croce è di tipo greco (4 bracci uguali).
24: paragone per indicare l’intensità della luce di quello spirito, che si staglia nella diffusa luminosità della croce.
25-27: similitudine ricavata dall’Eneide (incontro tra Enea e il padre Anchise nell’Eliso) dà un tono di affettuosa intimità e prepara all’incontro dell’avo con il discendente.
28-30: se il ricordo virgiliano sottolinea la somiglianza di questo incontro con quello dell’Eneide, l’eco biblica di molte espressioni, serve a dare una particolare gravità al linguaggio, quasi una sua sacralità. L’episodio di Cacciaguida, collocato nel centro del Paradiso, forma l’ideale perno non solo della cantica, ma del poema intero, perché in esso è confermata l’alta missione di Dante: missione poetica e morale, che è come l’essenza stessa del poema. Né va dimenticato che, il ritrovarsi nella terzina le reminiscenze di Virgilio e della Bibbia, colloca con solennità maggiore il poeta accanto ad Enea ed a Paolo nella missione ristoratrice del mondo.
39: le parole che Cacciaguida aggiunge alla prima esclamazione in latino risultano incomprensibili a Dante. Ciò è dovuto al fatto che il discorso di Cacciaguida, dopo il saluto, è rivolto a Dio, non a lui; è il linguaggio dell’unione dell’uomo con Dio (vv. 28-29 e seg.).
49-54: il discorso grave e solenne che continua fino al vv.69, si esprime nelle forme di un’alta oratoria.
62: speglio=specchio, cioè Dio, in cui si rispecchia il pensiero di tutti.
63: pandi=manifesti, latinismo.
73-78: lungo e solenne preludio alla domanda contenuta poi nei versi seguenti (85-87), rientra nel tono generale del canto, dove si cerca un alto effetto oratorio.
79: voglia e argomento corrispondono a “l’affetto e ‘l senno” del v. 73, in quanto la volontà è atto del sentimento e l’argomento atto dell’intelligenza, quindi capacità di argomentare.
85: vivo topazio, al v.22 aveva chiamato quello spirito gemma, qui prevale il valore simbolico, visto che il topazio non è rosso (come Dante dice che gli appaiono gli spiriti del cielo di Marte).
89: se Dante è la fronda, Cacciaguida, suo capostipite, è la radice.
97-99: con questa terzina ha inizio la parte più suggestiva del canto: alla terzina iniziale segue una serie di negazioni, in cui il contrasto fra la Firenze antica e la moderna è scandita con la forza di un’indagine che scende ai particolari più intimi della vita familiare; poi segue la rievocazione commossa dell’antica probità e degli antichi costumi dell’età di Cacciaguida, di cui due quadri di intimità domestica formano l’ideale conclusione. Un’ultima terzina chiude il quadro, riavvicinando le due Firenze, l’antica e la moderna, con forza ed energia estrema.
125: nel linguaggio del tempo, “famiglia” comprendeva anche la servitù.
130-132: la terzina riassume il quadro felice della Firenze antica. Si noti la struttura dei tre versi: i quattro aggettivi qualificativi, forti enjambements che conferiscono alla terzina un ritmo particolare.
136: Moronto ed Eliseo sono due fratelli di Cacciaguida.
137: Val di Pado=Valle Padana.
139: Currado=Corrado III di Hohenstaufen.
142-144: contro i Saraceni.
148: il verso fa supporre che Cacciaguida andasse direttamente in Paradiso, come tutti i martiri della fede.
Riassunto
Le anime sfavillanti che formano la croce tacciono tutte nello stesso momento, ispirate dallo stesso amor di carità. Un’anima, lasciando il suo posto all’estremità del braccio destro, scende ai piedi della croce simile a fiamma dietro l’alabastro. Con lo stesso amore con cui Anchise si fece incontro ad Enea nell’Ade, quell’anima si rivolge a Dante pronunciando parole di benvenuto, dapprima in latino e poi in una lingua elevata, incomprensibile a mente umana. Placato l’ardore della felicità, il discorso si fa comprensibile e Dante apprende di aver esaudito con la sua venuta una lunga attesa: l’anima, che si rivela come suo trisavolo, aveva letto nella mente di Dio l’ascesa al cielo di Marte di un suo discendente. Per lui rievoca la Firenze dei suoi tempi, non ancora sconvolta dall’avidità dei mercanti e dal lusso delle famiglie. I cittadini, all’interno dell’antica cerchia di mura, conducevano una vita sobria e serena: le donne e gli uomini vestivano modestamente, l’ansia di guadagno non aveva ancora spinto i cittadini ad abbandonare le loro case per commerciare in terre lontane, né la lussuria era penetrata nei focolari domestici. In quella città nacque e fu battezzato con il nome di Cacciaguida, sposò una donna della Valle Padana dalla quale derivò alla famiglia il nome di Alighieri. Al seguito dell’imperatore Corrado combattè contro gli usurpatori del sepolcro e fu ucciso.
Commento del Binni
Nel Paradiso i fondamentali temi poetici di Dante raggiungono la loro espressione più alta e profonda, la loro forma superiore ed epica, così come la sua arte. In questo regno i personaggi divengono piuttosto nuclei lirici, voci in cui la forza drammatica-plastica dell’Inferno si tramuta in caratterizzazioni più intime, non bisognose quasi di segni fisici, così i motivi più validi dell’animo e degli ideali danteschi raggiungono la loro espressione più sintetica, purificata dai loro aspetti più contingenti e passionali: evocazione e rappresentazione, non vaghe larve in un cielo di evasione mistica ed ascetica che abolisca ogni aspetto e ricordo della terra o li riporti solo nelle immagini di paragone. Così avviene particolarmente per il tema civile e cittadino, per il tema della concreta patria terrena, Firenze, che, dopo le frequenti e frammentarie apparizioni nelle altre cantiche e specie nell’Inferno, in toni di invettiva, in forma a volte di ira partigiana e più strettamente municipale, ritorna nel Paradiso con la sua missione do poeta-profeta, con il suo dolore di esule. Nel Paradiso questa sua fede si precisa integralmente, il significato della sua vita e della sua opera si completa e si illumina e le parziali, oscure profezie sul suo esilio si spiegano nella parola di Cacciaguida. E ugualmente l’immagine di Firenze, prima tormentosa e passionale, si sdoppia nel contrasto di quella di un presente corrotto, e giudicato più con superiore e severo distacco che con iroso accanimento, e di quella di un passato e di uno sperato futuro di pace, nella cui rappresentazione epica e mitica le note più segrete dell’animo di Dante, la sua ricca, delicata e virile vita di sentimenti familiari e cittadini, la malinconia dell’esule privo di città e di casa, incerto della sua tomba, vibrano più intimamente e si traducono in un quadro poetici di straordinaria perfezione classica.
Quella rappresentazione della Firenze antica è certo il momento più alto, la meta suprema del canto XV, ma errerebbe chi volesse isolarlo antologicamente come lirica a sé, perché esso vive e si giustifica nella complessa unità dei canti di Cacciaguida e più immediatamente nel suo accordo con tutta la prima parte del canto XV, con il finale epico-storico della vicenda di Cacciaguida e della sua morte in battaglia. Tutti e tre i canti non costituiscono, come spesso è stato detto, un semplice inserimento parentetico di temi mondani privati nella diversa poesia del Paradiso, ma una sublimazione una sintetica chiarificazione di questi nelle condizioni di quel regno e di quella poesia, la quale potrà riespandersi con nuovo slancio nelle rappresentazioni più dirette dell’ineffabile, dei misteri della fede, delle visioni paradisiache.
Negli ultimi versi la narrazione della vita di Cacciaguida e della sua morte in battaglia al servizio della fede e dell’imperatore e la stessa intonazione sacra e cavalleresca marziale e civile in cui essa è scandita approfondiscono l’incanto di pace della Firenze sobria e pudica viva di affetti dolcissimi e ricca di intimità fin nei rapporti più semplici e naturali, ma insieme eroica e santa, capace di combattere fino al sacrificio per i propri sublimi ideali, ben lontana così da un mediocre quieto vivere.
Canto XVII
Descrizione:
luogo:
V cielo: Marte
guida:
Beatrice
potenza motrice:
II gerarchia: sapienza del figlio / I ordine: potestà
beati:
spiriti militanti: hanno combattuto per il trionfo della fede
anime beate:
Cacciaguida
questioni
dottrinali:
libertà umana, libero arbitrio e onnipotenza di Dio
Struttura:
1-30:
Dante chiede all’avo notizie sulla sua vita futura
31-45:
Cacciaguida accenna alla prescienza divina
46-51:
profezia dell’esilio
52-69:
affanni dell’esilio
70-93:
alcuni conforti nelle tristi vicende future
94-99:
parole di conforto dell’avo
100-120:
dubbio di Dante
121-142:
la missione del poeta
Tematiche
In questo canto si conclude il lungo incontro con Cacciaguida, un incontro a cui è affidata la sacralizzazione del viaggio nell’oltretomba e dell’opera che dovrà descriverlo. I tre canti costituiscono un insieme unitario per la permanenza dell’ambientazione, ma soprattutto per la mirabile dissolvenza dei motivi terreni e autobiografici nella dimensione di un’eternità dove tutto è sempre presente. Se nei canti XV e XVI il tema dominante è Firenze, nel XVII emerge in tutta la sua dolorosa fierezza l’immagine dell’ “exul immeritus”, un’immagine che ripropone aspetti e situazioni disseminati nelle profezie di Ciacco, Brunetto, Farinata e Vanni Fucci (Inf. VI, X, XV, XXIV), di Currado Malaspina, Oderisi, Bonagiunta e Forese (Purg. VIII, XI, XXIII, XXIV), ma che tutti li riassorbe nella severa consapevolezza di una prova da superare. Nei lunghi e sofferti anni della stesura dell’opera si vengono attenuando i coinvolgimenti personali e le cose terrene sono valutate con distaccata severità, pur conservando la loro vitale significazione: nonostante la strutturazione unitaria, infatti, l’opera è pur sempre un’opera in itinere, e gli anni della stesura della terza cantica sono ormai lontani dalle prime, traumatiche esperienze dell’esilio.
Analisi dei versi
1-3: per indicare lo stato d’animo con cui si accinge a chiedere notizie sul proprio futuro, Dante si paragona a Fetente.
1: Climenè=i nomi Greci sono accentati.
5: santa lampa=Cacciaguida.
12: già vista la metafora della sete per indicare il desiderio di sapere (Pg. XXI, 1-2).
13-17: qui il discorso prende un tono solenne e alto, come sempre nelle parole che Dante rivolge all’avo.
13: insusi, verbo creato da Dante dalla preposizione suso (=su).
15: capere, latinismo, essere contenuto.
20: monte=purgatorio.
21: mondo defunto=inferno.
24: tetragono=è propriamente il cubo, simbolo di stabilità perfetta. Metaforicamente il vocabolo vuole significare l’atteggiamento dell’animo forte di fronte alla sventura. La rettitudine dell’animo del poeta, la vita integerrima, spesa per il bene della sua città, lo rendevano veramente tetragono ai colpi della fortuna.
27: il male che ci aspettiamo colpisce con minor dolore. L’immagine è ricavata da un verso assai noto di una raccolta medievale di favole di Esopo, conosciuta con il nome di “Galterus anglicus”.
31: ambage, latinismo, tortosuità.
32: s’inviscava, il verbo è proprio del linguaggio venatorio.
34-35: linguaggio chiaro, distinto. Tenendo conto che le prime parole dell’avo (XV, 28-30) sono in latino e che nel canto XVI, 33, si parla di una favella diversa da questa moderna, si è voluto sostenere che Cacciaguida parlasse sempre in latino.
41: viso=vista, come quasi sempre in Dante.
46-47: la cacciata di Dante da Firenze è paragonata alla cacciata di Ippolito da Atene per causa della matrigna.
49-51: la profezia di Cacciaguida, come tutto il viaggio nell’oltretomba, è immaginato nella primavera del 1300.
52-53: si noti l’amarezza di quel “come suol” che trova il migliore commento nelle parole stesse di Dante nel Convivio, in una pagina famosa sul suo esilio.
53-54: sono state proposte varie interpretazioni: la più semplice sembra la più accettabile: la punizione verrà e sarà testimonianza certa di verità, perché viene da Dio: sarà come la dispensasse la verità stessa.
55-60: sono le due terzine più dolorose del canto e tra i più celebri versi della commedia. Esprimono i dolori dell’esilio, l’angoscia dell’abbandono di ogni cosa diletta.
62: la compagnia=i compagni d’esilio, i fuoriusciti Bianchi.
66: rossa la tempia=c’è chi intende rossore di vergogna, ma è forse più probabile, anche per la parola tempia, che si alluda invece al sangue, e cioè al tentativo dalla Lastra.
72: gli Scaligeri avevano come stemma di famiglia una scala, su cui fu aggiunto il simbolo imperiale, l’aquila, il “santo uccello”.
76: colui=Cangrande I della Scala.
82: prima che il papa Clemente V, Guascone, inganni il grande imperatore Arrigo VII; prima cioè del 1312, allorquando Clemente, che dapprima aveva favorito la discesa di Arrigo VII, in Italia, gli si volse contro, incitando i Guelfi italiani alla ribellione e alla lotta.
97: invidiare costruito alla latina con il dativo.
100-102: fuori di metafora significa che Cacciaguida, tacendo, indicò che ormai aveva terminato di chiarire i dubbi del poeta; l’immagine è ricavata dall’arte della tessitura.
129: l’espressione fortemente plebea, rivela ancora una volta il realismo espressivo del poeta, che dà alle immagini una potenza e un vigore straordinario.
131: l’espressione metaforica richiama l’immagine del cibo già presente in agrume del v. 117.
132: digesta=digerita, latinismo.
136: però=perciò.
139-142: queste parole di Cacciaguida confermano il carattere esemplare che, per lo più, hanno i personaggi della Commedia.
Riassunto
Confortato da Beatrice ad esprimere il suo ardente desiderio di conoscere il futuro. Dante chiede a Cacciaguida di chiarire le oscure profezie udite durante il viaggio nell’oltretomba. L’antenato risponde che Firenze lo caccerà dal suo seno realizzando le trame in atto alla corte pontificia. Dante conoscerà le pene dell’esilio. La famiglia degli Scaligeri lo ospiterà con grande generosità e lìm Dante potrà conoscere, ancora bambino, Cangrande della Scala. Di lui Cacciaguida rivela le grandi gesta che però Dante dovrà tenere segrete. Dante chiede anche se dovrà tacere le cose che ha appreso nei tre regni. Cacciaguida risponde che ciò deve essere rivelato agli uomini; la rivelazione avrà sapore amaro per molti, ma diverrà nutrimento vitale per l’umanità.
Commento del Momigliano
Se volete conoscere Dante esule, Dante lodatore del passato, Dante giudice, dovete leggere i suoi colloqui con Cacciaguida. I personaggi della Divina Commedia
Sono un po’ tutti, oltre che figure vive per se stesse, rivelazioni del carattere di Dante: ma Cacciaguida lo è più di tutti. Anzi, il trisavolo in fondo è lo sdoppiamento del nipote: e quel lungo colloquio non è che la drammatizzazione di un soliloquio. Dante che si consiglia con Cacciaguida è, veramente, Dante che si consiglia con la sua coscienza: quei tre canti sono una confessione, una professione di fede, una protesta. La Divina Commedia,che nasce dal bisogno del poeta di piegarsi su se stesso e di scrutarsi e riconoscersi per salire dal male al bene, non ha la forma riflessiva di una meditazione,l’apparenza di una confessione. E’ difficile trovare nella Divina Commedia Dante isolato , in colloquio con se stesso.
I tre canti sono, come dicevo, un dialogo fra nipote ed avo, e conservano nel loro complesso la fisionomia domestica e affettuosa , e insieme solenne, d’un colloquio fra un giovane e un antenato. Dante è già provato dalla vita, ed è a metà del suo corso . ha trentacinque anni; ma Cacciaguida è il vecchio che ha una più lunga esperienza. E la sua esperienza sembra ancora aumentata dal fatto che egli è vissuto un secolo prima di Dante, in “popol giusto e sano” e da un secolo guarda alle vicende terrene con la sapienza inesauribile del paradiso.
Nessuno più di una persona di famigli poteva partecipare alle sue disgrazie, confortarlo e consigliarlo. E, direi, nessuno meglio di un antenato lontano.
Nel colloquio tra Dante e il trisavolo c’è, con l’affetto e con la familiarità, una dignità morale, una larghezza di orizzonti che in un colloquio fra Dante e il padre non sarebbero state possibili. Cacciaguida ha la maestà delle grandi ombre del limbo: e questa gli deriva dall’esser vissuto un secolo innanzi, dall’aver passato la sua vita in una Firenze ancora integra e tranquilla, dall’esser morto in una crociata. Cacciaguida ha già intorno a sé , per tutte queste ragioni, un alone di leggenda, che ad un congiunto vicino del poeta doveva mancare.
Gli argomenti del colloquio sono: la Firenze onesta e serena di un tempo (canto XV), la sua decadenza (canto XVI), l’esilio di Dante e il consiglio che gli dà Cacciaguida di narrare apertamente quello che egli ha visto nell’inferno e nel purgatorio (canto XVII):Dante lodatore del passato, Dante esule, Dante giudice.
L’argomento fondamentale è l’esilio: perciò il canto che domina sugli altri è l’ultimo, che si può chiamare il canto di Dante E’ il canto dell’esilio, della dignità , dell’onestà imperitura.
La Divina Commedia ha l’aria d’un rifugio spirituale dall’esilio, d’un conforto contro le ingiustizie della terra: è un mondo di giustizia, in cui si saldano i conti aperti in terra
Il canto XVII è il canto più intero per quel che si riferisce alla incrollabile tempra morale di Dante.

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