Dante

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Testo

DANTE

La Vita
Della vita di Dante possediamo pochissime notizie certe: per quanto riguarda il nome possiamo dire quasi sicuramente che Dante era il diminutivo di Durante, mentre per quanto riguarda il cognome potrebbe essere il patronimico (di Alagherio) oppure il gentilizio (degli Alagheri). Nasce nel 1965, anche se non sappiamo il giorno esatto; apparteneva, insieme alla famiglia, alla piccola nobiltà cittadina. La madre (Bella) muore assai presto, prima del 1275, e Dante, a 12 anni, è assegnato a nozze con Gema Donati, dalla quale ha quattro figli: due di questi (Pietro e Iacopo) saranno tra i primi e più importanti commentatori della “Divina Commedia”. Dopo un primo incontro giovanile, a diciotto anni incontra Beatrice, che morirà nel 1290. Dopo questa data Dante cessa la produzione artistica e abbandona gli studi. Questa crisi sembra passata con la composizione della “Vita Nova” (1292-1293). Nell’ultimo decennio del secolo si avvicina alla vita politica: nel 1297 risulta iscritto all’arte dei medici e speziali, condizione necessaria per partecipare alla vita politica cittadina. La scena politica fiorentina era dominata dalla lotta tra due principali schieramenti: i guelfi bianchi, che rappresentavano gli interessi del popolo grasso, e i guelfi neri, sostenitori della restaurazione del potere nobiliare e disposti ad appoggiarsi al papa per raggiungere questo scopo. Dante, difensore dell’autonomia del comune, si schierò con i neri, ma si trovò contro il papa Bonifacio VIII che, per affermarsi in Toscana, cercava di favorire i neri. Con la vittoria dei Neri viene condannato prima ad una multa e a due anni di esilio, poi, essendosi rifiutato di pagare la multa, all’immediata confisca dei beni e alla condanna a morte. Dopo un periodo di esilio con gli altri Bianchi si distacca da loro ritenendo inutili i tentativi militari per ritornare in patria. Da qui inizia a formarsi in lui un’altra visione politica rifiutando la municipalistica ed elaborando un ideale universalista. Intanto si sposta in vari luoghi d’Italia e in questo periodo compone l’Inferno, il Purgatorio, il “De vulgari eloquentia” ed il “Convivio”. Ritorna ad una sorta di impegno politico con la discesa di Arrigo VII di Lussemburgo, del quale condivide apertamente l’impresa. Ma Arrigo morì nel 1313 e il suo entusiasmo fu presto smorzato. Nel 1315 gli fu concessa un’amnistia a patto che riconoscesse il suo torto e pagasse una multa simbolica. Ma Dante si rifiutò e la condanna a morte fu confermata per lui e per i suoi figli. Nel 1318 si sposta a Ravenna, dove muore il 13 o 14 settembre del 1321, quando aveva appena concluso il Paradiso.
La Vita Nuova
La “Vita nuova” è una serie di testi poetici giovanili di Dante contornati da un racconto in prosa steso più tardi che funge da contesto narrativo e commento. Il tema è l’amore tra il poeta e Beatrice. La Vita nuova ha quarantadue capitoli con un’alternanza di testi poetici e testi in prosa. La Vita nuova non è ricollocabile in un genere letterario, è, un po’ come la Commedia, un genere unico; è volta a porsi come rappresentazione complessiva della realtà, facendo dell’esperienza di un singolo individuo la condizione universale dell’uomo. Quest’opera rappresenta la prima espressione del sincretismo di Dante (cioè la fusione di elementi e aspetti di religioni o dottrine filosofiche diverse in un unico insieme). La struttura è il prosimetro (prima opera in Italia con questo stile), cioè appunto l’alternanza tra prosa e rima, e il modello per Dante è stato il “De consolatione philosophiae” di Boezio per il tema della ricerca filosofica. Un altro modello fondamentale per Dante per quanto riguarda l’opera autobiografica sono le “Confessioni di Sant’Agostino”, che presentano anche una trattazione amorosa del soggetto affiancata da Dante al “De amicitia” di Cicerone, nel quale è presente l’importanza dell’amore come nobile manifestazione di soggettività. Per questo l’opera si ricollega alla tradizione lirica cortese, ma anche per il contatto con altri due elementi: la vida (breve narrazione biografica da cui probabilmente è venuto il suggerimento per il titolo) e la razo (ragione, commento e esposizione di testi poetici). Un altro modello è quello religioso dell’agiografia: infatti al modello francese dell’alter Christus (come si proclamava S.Francesco, nuovo Cristo) è avvicinata l’esaltazione di Beatrice come figura allegorica di Cristo. A questo si affianca anche il modello biblico. Nella vita nuova è presente una nuova poetica: infatti Dante pone al centro dell’attenzione la descrizione degli effetti dell’amore sull’interiorità del poeta, ma bensì la rappresentazione della donna amata, e le lodi da rivolgerle. Il pubblico di questa nuova poetica dovrà caratterizzarsi sia per l’esperienza d’amore sia per la consapevolezza teorica del suo significato. Si può anche dire che la Vita nuova inizia comincia simbolicamente e finisce allegoricamente. Infatti la parte simbolica (primo cominciamento) rappresentante il simbolismo medievale è data dalla parte in vita di Beatrice, e secondo questo simbolismo esiste una corrispondenza fra trascendenza (mondo dei valori) e immanenza (mondo dei fenomeni) e quest’ultimo si manifesta solo se esiste il primo, quindi i fenomeni sono considerati come simboli dei valori. Con la morte di Beatrice questa dimensione simbolica non è più possibile e quindi c’è il passaggio alla nuova dimensione allegorica (secondo cominciamento). Questa si definisce per una maggiore necessita di razionalizzazione: il sonetto è più particolareggiato e la sfera dei valori deve essere conquistata per mezzo di una complessa ricerca da farsi attraverso le apparenze terrene. C’è la prosa in volgare, e c’è anche un inizio di “mitologia personale”, cioè di insiemi di dati personali dove non si riescono a distinguere i veri da quelli fittizi che avrà il suo culmine nella “Divina Commedia”.
Il Convivio
Il Convivio è un’enciclopedia incompiuta del sapere medievale; è scritta in volgare ed è strutturata in trattati contenenti temi affini tra loro ed organizzati come commento a testi poetici introduttivi (canzoni). Il titolo è spiegato dallo scrittore col fatto che egli intende organizzare un banchetto (convivio) metaforico, dove al posto delle cibarie siano serviti ai partecipanti gli argomenti del piacere. Dante è ai piedi di questo tavolo e raccoglie le briciole di questa mensa e vuole condividere questa ricchezza con quante più persone è possibile (per questo il linguaggio è il volgare). L’opera doveva comprendere quindici trattati (il primo introduttivo) dedicati a quattordici canzoni. Purtroppo è rimasto incompiuto: infatti ne sono stati conservati solamente i primi quattro trattati. L’interruzione è probabilmente dovuta alla stesura della “Commedia”, e comunque non oltre il 1308, dato che nell’ultimo trattato riferito agli imperatori più recenti, Dante non nomina Arrigo VII, eletto proprio in quell’anno. I temi del Convivio sono: la difesa del volgare (I trattato), l’esaltazione della filosofia (II e III trattato), la discussione intorno alla nobiltà, dove avviene la proposta della monarchia universale (IV trattato). Sceglie il volgare anche per l’amore per la propria lingua naturale (quella insegnata dalla madre), che distinguerà da una lingua artificiale.
Il De Vulgari Eloquentia
Quest’opera fu probabilmente composta tra il 1303 e il 1304, contemporaneamente al convivio. Probabilmente la sua stesura segue i primi tre trattati del Convivio, dei quali riprende e sviluppa alcuni temi, e precede quella del quarto trattato, che realizza modelli messi a fuoco teoricamente nel De Vulgari. Il tema dell’opera è la definizione di un volgare illustre, capace di affiancare le grandi lingue classiche (latino in particolare). Anche quest’opera, come il Convivio, è incompiuta. Nel primo libro viene dimostrata la nobiltà del volgare illustre, superiore persino al latino, che è considerato da Dante una lingua artificiale (substrato), mentre il volgare è considerata lingua naturale, in quanto appresa dalla nascita senza studio. A sostenimento di questa teoria Dante afferma che le prime popolazioni avevano una lingua madre, ma quando sono venute a contatto l’une con le altre, sono diventate necessarie lingue comuni per comunicare. Dante inoltre analizza 14 tipi di volgare esistenti e, non trovandone nessuno corrispondente con quello usato dai migliori scrittori, decide di stilare le caratteristiche fondamentali del volgare illustre, che deve essere illustre, cardinale, regale, curiale. Illustre perché luminoso e capace di dare lustro a chi ne fa uso nei propri scritti; cardinale perché costituisce il cardine al quale fanno riferimento tutti gli altri volgari; regale perché se esistesse in Italia una reggia, questa sarebbe la sua collocazione più ovvia; curiale perché, in mancanza di una curia (ideale) in Italia, risponde alle norme rappresentate dagli Italiani più prestigiosi, che la rappresentano. Nel secondo libro Dante inizia a definire tutti gli usi possibili del volgare illustre: solamente i poeti più colti e ingegnosi possono far uso di questo volgare, e solamente nella trattazione di temi elevati (politici, amorosi, morali). La forma più degna è quella di maggiore nobiltà, cioè la canzone. Il verso deve essere l’endecasillabo, eventualmente alternato al settenario. In Dante è sempre fortissima l’esigenza di intervenire a livello teorico attorno alle proprie scelte artistiche: infatti il De Vulgari può essere letto come una pausa di riflessione teorica intorno alle massime questioni creative, attinenti al linguaggio ed alla retorica. Secondo Dante ogni volgare può identificarsi in quello illustre, a patto però che si liberi dai propri vincoli provinciali. Come col Convivio, anche in questo caso l’interruzione dell’opera (probabilmente erano previsti altri due libri) è quasi certamente dovuta al progetto della Commedia. In sostanza il tentativo del De Vulgari è quello di porre il volgare come una lingua ”regolata”, cioè grammaticale.
La Monarchia
La Monarchia è composta da tre libri, anche se probabilmente l’intenzione del poeta era quella di farne di più. E’ scritta in latino perché si rivolge a persone alle persone colte. Il primo libro sostiene la necessità, storica e filosofica, della monarchia universale, che ha il fine di garantire all’uomo le condizioni che servono alla realizzazione delle proprie potenzialità pratiche e spirituali. Infatti ciò che porta contese e guerre e che impedisce all’uomo il libero arbitrio sono i beni materiali; qualora il sovrano possedesse tutti i beni, allora nel mondo regnerebbero pace e giustizia. La necessità dell’impero è anche dovuta alla necessità di un ordine gerarchico con a capo un'unica guida che orienti tutta l’umanità. Il secondo libro è dedicato a considerazioni di carattere prevalentemente storico, interpretate però ala luce di una concezione provvidenzialistica e teologica. L’unificazione dell’impero è stata voluta da Dio per far si che la parola di Cristo si diffondesse meglio. Il terzo libro è dedicato ai rapporti tra l’impero e la Chiesa. C’era la diatriba tra i filoimperiali, che sostenevano la supremazia del potere temporale su quello del papa, e i filopapali, assai più diffusi in Italia e più vicini a Dante. Dante afferma che al papa non spetta nessun potere temporale ed è da considerarsi nullo il documento di Costantino (poi dimostratosi un falso). Il poeta afferma che entrambe le autorità derivano direttamente da Dio, quindi sono allo stesso livello ed entrambe destinate alla realizzazione dell’uomo. Per quanto riguarda la felicità terrena, questo spetta all’imperatore; mentre per la beatitudine eterna spetta al papa. La posizione di Dante è assai originale in quanto non concorde ne coi filoimperiali ne coi filopapali.

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