"La Divina Commedia"

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Testo

Versione in prosa di "L'ultimo viaggio di Ulisse" tratto da "La Divina Commedia" di Dante Alighieri

La punta più alta della fiamma antica cominciò ad agitarsi mormorando, proprio come quella (una lingua di fuoco) che il vento agita, quindi facendo ondeggiare la punta di qua e di là, come una lingua parlante, emise una voce e disse:
"Quando mi allontanai da Circe, che mi trattenne più di un anno là presso Gaeta, prima che Enea la denominasse a tal modo, né la tenerezza paterna, né il rispetto del vecchio padre, né il dovuto amore che avrebbe dovuto far lieta Penelope, poterono vincere dentro di me l'ardore che io ebbi nel divenire del mondo esperto e dei vizi umani e del valore; ma mi affidai al mare profondo con una sola nave e con quella piccola schiera di compagni che non ho mai abbandonato.
Vidi l'una e l'altra costa (del Mediterraneo) fino alla Spagna, fino al Marocco e l'isola della Sardegna, che il mare bagna tutto intorno.
Io ed i miei compagni eravamo vecchi e stanchi quando arrivammo a quello stretto passaggio (stretto di Gibilterra) dove Ercole segnò i suoi confini invalicabili, affinché l'uomo non si arrischi ad andare oltre, ed a destra lasciai Siviglia e dall'altra già mi aveva lasciato Ceuta (in Marocco).
"O fratelli" dissi "che per centomila pericoli siete giunti ad occidente, a questa così breve porzione di vita, non vogliate privarvi dell'esperienza di conoscere il mondo inesplorato al di là del sole (verso occidente), di quel mondo disabitato.
Ricordatevi della vostra origine, non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire il bene e la conoscenza del vero.
Con questa piccola orazione feci diventare i miei compagni così desiderosi di proseguire il viaggio che a mala pena li avrei trattenuti, e volta la poppa ad oriente, trasformammo i remi in ali dal volo folle, avanzando sempre verso sinistra (sud-ovest).
Già la notte ci mostrava tutte le stelle dell'emisfero australe e il polo così basso che non era visibile al di fuori della superficie marina. Cinque volte la luna si era illuminata ed altrettante spenta ed erano trascorsi cinque mesi dal momento che avevamo intrapreso la nostra imprevedibile navigazione, quando ci apparve una montagna velata per la distanza e mi parve tanto alta che non ne avevo mai viste così. Noi ci rallegrammo, ma subito la nostra gioia si tramutò in pianto, perché dalla terra sconosciuta cominciò a provenire un turbine e percosse il legno della prora (parte anteriore della nave).
Tre volte ci fece girare con tutte le acque; alla quarta la poppa si alzò e la prora si abbassò, come a Dio piacque, ed alla fine il mare si richiuse sopra di noi.

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