Prove di laboratorio

Materie:Appunti
Categoria:Chimica

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Testo

Bo, 12/5/’96-6/6/’96

PROVA 1
SCOPO: misurare la velocità di diffusione di due gas in soluzione.
MATERIALE: 2 cannucce di vetro;
HCl in soluzione;
NH3 in soluzione;
cotone idrofilo;
4 tappi;
pinzette;
cronometro (ris.:00’ 00’’ 01; fondoscala: 99’99’’
99’’’);
strumento artigianale per asciugare l’interno delle
cannucce;
un cartoncino nero.
METODO: abbiamo inserito due pezzi di cotone idrofilo, per mezzo delle pinzette, alle due estremità della cannuccia, dopo avervi versato qualche goccia l’uno con HCl e l’altro con NH3. Abbiamo chiuso le estremità della cannuccia con due tappi ed abbiamo fatto partire il cronometro. Lo abbiamo fermato quando si formava una specie di anello bianco all’interno della cannuccia, che si formava in seguito alla reazione delle 2 sostanze a contatto. Dato il colore chiaro di questa sostanza, abbiamo tenuto durante tutta la prova la cannuccia su un cartoncino nero, in modo da poterlo meglio vedere.
OSSERVAZIONI: durante la prova, abbiamo sempre operato con la massima velocità in quanto i gas, essendo molto volatili, se messi vicino, provocavano vapori tossici. Per misurare la distanza percorsa all’interno della cannuccia dai vapori dei due gas, abbiamo preso in considerazione le lunghezze l e l’ (vedi disegno). Abbiamo misurato la distanza tra l’anello e la superficie di cotone più vicina a questo, poiché avevamo ipotizzato che le prime particelle che formavano l’anello provenissero dagli strati più superficiali dei batuffoli.
Alle misure di lunghezza e di tempo abiamo associato un’incertezza pari alla semidispersione massima, che costituisce una “grezza” stima delle incertezze, ma tuttavia l’unica che potevamo usare, avendo a disposizione un numero di dati così limitato, che non ci ha consentito di calcolare la deviazione standard.
RACCOLTA DATI SPERIMENTALI:
Riportiamo qui di seguito i dati ottenuti sperimentalmente:
l’ (mm)
l (mm)
t (s)
270
180
179
265
200
162
280
160
180
258
195
157
280
174
215
264
195
172
ELABORAZIONE DATI SPERIMENTALI:
semidispersione max dei tempi = (215-157)/2=30s
semidispersione max di l’ = (280-258)/2=10mm
semidispersione max di l = (200-160)/2=20mm

Riportiamo qui di seguito la tabella dei valori sperimentali con le semidispersioni massime associate e le velocità di diffusione.
l’(mm)+m x10
l(mm)+mm x10
t(s)+30(s)
vNH3 (l’/t)
m/s
vHC (l/t) mm/s
27
18
180
1,5 0,4
1,0 0,3
27
20
160
1,7 0,4
1,1 0,4
28
16
180
1,6 0,4
0,9 0,3
26
20
160
1,6 0,4
1,3 0,4
28
17
220
1,3 0,3
0,8 0,2
26
20
170
1,5 0,4
1,2 0,3
ALTRE OSSERVAZIONI: Notiamo che le misure della velocità di diffusione dell’HCl sono compatibili entro le incertezze in gioco; la stessa cosa si può dire per l’ NH3. Questo ci sembra ragionevole, in quanto abbiamo operato in condizioni di temperatura costante e quindi la velocità misurata in ogni prova doveva essere la stessa. Secondo noi la temperatura influiva, in quanto se questa fosse aumentata sarebbe aumentata anche l’agitazione termica delle particelle del gas che si muovevano maggiormente, con conseguente aumento della loro velocità di diffusione. Notiamo inoltre che la velocità di diffusione dell’HCl risulta compatibile con quella dell’NH3; probabilmente questo era dovuto alle altre incertezze in gioco, anche perché si nota che le velocità dell’NH3 sono tendenzialmente maggiori. Noi comunque ipotizziamo che le velocità di diffusione dei gas alla stessa temperatura siano le stesse, in quanto le particelle di ognuno di esse sono distanziate e non risentono di attrazioni tra di loro, se il gas è poco denso ed è a temperatura elevata ed a bassa pressione atmosferica. Noi però operavamo a volume ridotto e quindi potevano entrare in gioco forze di attrazione tra le particelle, che potevano rallentare il loro moto e far diminuire di conseguenza la velocità di diffusione del gas. Sempre facendo riferimento al fatto che la velocità dellHCl era tendenzialmente minore, secondo l’ipotesi appena avanzata, le forze di attrazione tra le particelle di HCl, dovevano essere ragionevolmente maggiori e di conseguenza l’HCl dovrebbe, sempre secondo la nostra teoria, era maggiore l a differenza di elettronegatività nei singoli legami nell’HCl.
PROVA 2
SCOPO: determinare come influiscono i soluti sulla temperatura di solidificazione e di fusione di un gas.
MATERIALE: ghiaccio;
7 provette;
1 cronometro analogico(risoluzione=1s;fondoscala=89760s)
termometro (risoluzioneo=0,1°C; fondoscala=50,0°C)
4 bacchette di vetro;
NaCl;
calorimetro;
becker;
varie soluzioni con H2O:
glucosio 0,5-1m;
NaCl 0,5-1m;
FeCl3 0,5m;
saccarosio 0,5-1m;
KNO3 0,5-1m;
pipetta graduata.
METODO: abbiamo riempito il calorimetro ponendovi all’interno uno strato di ghiaccio e uno di NaCl. Durante questa operazione abbiamo utilizzato l’NaCl perché, essendo un soluto in soluzione con ghiaccio ci ha permesso di ottenere una temperatura di sistema abbastanza bassa (15°C). Abbiamo poi posto in una provetta 5 ml di soluzione costituita da acqua (solvente) e glucosio (concentrazione molale=0,5). Per misurare la concentrazione del soluto abbiamo utilizzato la concentrazione molale in quanto, dovendo effettuare un’esperimento in cui la temperatura del sistema variava notevolmente, non potevamo considerare dei volumi. Infatti questi avrebbero potuto variare, perciò un altro metodo per misurare la concentrazione non sarebbe stato affidabile.
Abbiamo immerso la provetta all’interno del calorimetro facendo in modo che il miscuglio ghiaccio-sale superasse il livello nella provetta in modo che in questa la temperatura si abbassasse notevolmente e fosse omogenea e la soluzione si potesse così solidificare. Prima di immergere la provetta nel calorimetro, abbiamo rilevato la temperatura della soluzione, mescolandola continuamente per qualche secondo con il termometro in modo da uniformarla. Questa temperatura era ragionevolmente quella ambientale, per il principio dell’equilibrio termico.
Abbiamo poi rilevato la temperatura della soluzione nella provetta nel bagno refrigerante ogni 30 s fino a che questa non era completamente solidificata. Anche durante questa operazione abbiamo cercato di mantenere il termometro al centro della soluzione ed abbiamo mescolato continuamente per uniformare la temperatura. Una volta che la soluzione si era solidificata abbiamo estratto la provetta ed abbiamo fermato il cronometro; lo abbiamo poi fatto ripartire riazzerandolo dopo aver tirato fuori la provetta, cioè dal momentoin cui la soluzione iniziava nuovamente a fondersi; abbiamomisurato la temperatura della soluzione sempre ogni 30 s fino a che questa non aveva raggiunto lo stato liquido. Tutte queste operazioni le abbiamo poi ripetute con le altre soluzioni a nostra disposizione.
RACCOLTA DATI SPERIMENTALI:
riportiamo qui di seguito la tabella che abbiamo compilato inserendo i dati di tutti i gruppi:
saccarosio
KNO3
FeCl3
glucosio
NaCl
0,5 molale
(-0,7);
(-1,1);
(-1,5);
(-0,8);
(-0,7);
(-1,1)
(-2,2);
(-2,3);?;
(-2,5);
(-2);(-2)
(-4);?;
(-4,7);
(-4,7);
(-4,5);
(-4,5);
(5);(5);
(4,2);
(-4,3)
(-1,2);
(-1,1);
(0;-2);
(-0,7);
(-0,7);
(-1,1);
(-0,8).
(-2);
(-2);
(-2);
(-1,7);
(-1,8).
1 molale
(-2,2);
(-2,3);
(-2);(-2).
(-2,8);
(-2,8);
(-2,4);
(-2,5);
(-3);(-3).
(-2,2);
(-2,1);
(-1,8);
(-1,9);
(-2,2);
(-2,1).
(3,8);?;
(-3,9);
(-4);
(-3,4);
(-3,4).
vedi anche tabelle allegate ai grafici.
ELABORAZIONE DATI SPERIMENTALI: utilizzando i dati sperimentali abbiamo realizzato vari grafici, poendo in ascissa il tempo ed in ordinata la temperatura. Osservando le tabelle, per quanto riguarda KNO3 (1m), saccarosio (1m) e saccarosio (0,5m) si nota che per un certo periodo le misure di tempo le misure di temperatura rimangono costanti entro le incertezze, sia per la fusione che per la solidificazione: in quell’intervallo le sostanze stavano passando di stato;nel caso della fusione, il calore ceduto dall’ambiente non faceva infatti variare la temperatura, ma era utilizato per rompere i legami intermolecolari; nel caso della solidificazione, la sostanza cedeva calore, ma la temperatura non si abbassava in quanto questo calore era utilizzato per formare i legami tra le molecole.
Durante tutte le prove abbiamo utilizzato soluzioni contenenti acqua, la cui temperatura di fusione e di solidificazione è 0°C. Per ogni sostanza abbiamo notato però che le temperature erano diverse. Abbiamo quindi per prima cosa concluso che i soluti influissero sulla temperatura di fusione e su quella di solidificazione del solvente. Notiamo inoltre che per il saccarosio, il glucosio e l’NaCl la temperatura di fusione per la soluzione 0,5 m è circa la metà di quella della stessa soluzione, ma con concentrazione 1m. Ci potrebbe quindi essere una correlazione tra la molalità di una soluzione e la temperatura di fusione e solidificazione della stessa. Inoltre notiamo che la temperatura di fusione di ogni sostanza è minore di quella di fusione dell’acqua; concludiamo quindi che il soluto tenda a mantenere la soluzione liquida, probabilmente perché, affinchè la soluzione si solidifichi, oltre alla formazione di legami ad idrogeno tra le molecole di acqua, si devono prima rompere anchei legami tra le particelle del soluto e quelle del solvente.
In seguito abbiamo compilato una tabella inserendo le misure delle temperature di fusione e di solidificazione di tutti i gruppi (vedi raccolta dati sperimentali). Abbiamo calcolato la media di queste temperature per ogni sostanza e vi abbiamo associato la semidispersione massima, in quanto avevamo a disposizione troppo pochi dati per operare con metodo statistico e calcolare la deviazione standard.
Sostanza
Temperatura di fusione
saccarosio(0,5m)
-(1,0+0,4)
saccarosio (1m)
-(2,1+0,2)
KNO3(0,5m)
-(2,2+0,3)
KNO3(1m)
-(2,8+0,3)
FeCl3 (0,5m)
-(4,5+0,5)
glucosio(0,5m)
-(1+1)
glucosio(1m)
-(2,2+0,2)
NaCl(0,5m)
-(1,9+0,2)
NaCl(1m)
-(3,7+0,3)
sostanza
F(1m)/F(0,5m)
saccarosio
(2,1+0,6)
KNO3
(1,3+0,3)
glucosio
(2+2)
NaCl
(1,9+0,4)
Ora scegliamo la temperatura media più bassa e calcoliamo i rapporti tra le altre temperature di fusione e questa. La temperatura media più bassa risulta quella del saccarosio 0,5 molale; ci sarebbe anche quella del glucosio 0,5 molale, ma,avendo un’incertezza assoluta numericamente uguale alrisultato non è attendibile.
Fmin(°C)/f(°C)
Saccarosio(1m)/saccarosio(0,5m)
(2+1)
KNO3 (0,5m)/saccarosio(0,5m)
(2+1)
KNO3 (0,5m)/saccarosio(0,5m)
(3+1)
FeCl3(0,5m)/saccarosio(0,5m)
(5+2)
saccarosio(0,5m)/glucosio(0,5m)
(1+1)
glucosio(1m)/saccarosio(0,5m)
(2+1)
NaCl(0,5m)/saccarosio(0,5m)
(2+1)
NaCl(1m)/saccarosio(0,5m)
(4+2)
PROVA 3
SCOPO: osservare un fenomeno di osmosi.
MATERIALE: 1 becker;
acqua;
lugol;
1 filo di cotone;
soluzione di amido, glucosio e acqua;
sacchettino di membrana semipermeabile;
1 provetta;
1 cartina per rilevare il glucosio.
METODO: abbiamo riempito il becker con acqua e 5 o 6 gocce di lugol; l’assistente di laboratorio ha versato all’interno della membrana semipermeabile una soluzione di amido, glucosio e acqua; in seguito abbiamo chiuso il più accuratamente possibile l’apertura della membrana con il filo di cotone, essendo l’altra già stata chiusa dall’assistente. Infine, l’abbiamo posta all’interno del becker, facendo attenzione a non immergere anche la parte con il nodo. Abbiamo atteso qualche tempo ed abbiamo osservato ciò che avveniva.
OSSERVAZIONI: per comprendere cosa fosse successo, cioè quali particelle fossero passate attraverso la membrana, avevamo alcuni indizi. Infatti, mischiando in una provetta amido e lugol, avevamo osservato che la soluzione era di colore blu. Questo colore era stato assunto anche dal liquido all’interno della membrana, ed abbiamo quindi concluso che delle particelle di iodio fossero passate, attraverso la membrana, dal becker all’interno del “sacchettino”. Abbiamo immerso infine nel becker una cartina che rilevava la presenza di glucosio nella soluzione con cui veniva a contatto ed abbiamonotato che da bianca diveniva verde chiaro, cioè vi era una concentrazione di circa 100milligrammi di glucosio su decilitro di soluzione. Abbiamo perciò concluso che il glucosio era passato dall’interno della membrana nel becker. Secondo noi passavano attraverso la membrana quelle particelle che avevano dimensioni minori o uguali ai fori della membrana.
PROVA 4
SCOPO: vedere come la diffusione delle particelle di un soluto solido all’interno di un solvente liquido sia influenzata dalla temperatura di quest’ultimo.
MATERIALE: 3 cilindri graduati contenenti acqua a 23°C,50°C,80°C;
3 cristalli di permanganato di potassio;
1 cannuccia.
METODO: l’assistente di laboratorio ha immerso la cannuccia di vetro all’interno del cilindro graduato; ha infilato in essa un cristallo di permanganato di potassio fino a che non raggiungeva il fondo; ha alzato velocemente la cannuccia tenendone chiusa un’estremità con il dito, per fare in modo che le particelle del cristallo non si diffondessero subito nell’acqua compromettendo l’esito della nostra prova. Questa operazione è stata ripetuta dalla Valeria per ognuno dei cilindri graduati contenenti acqua a diverse temperature.
OSSERVAZIONI: abbiamo osservato che il permanganato di potassio posto nel cilindro contenente acqua a 23°C si diffondeva più lentamente di quello posto nel cilindro con acqua a 50°C, che a sua volta si diffondeva più lentamente di quello posto in acqua a 80°C. Innanzitutto concludiamo che il permanganato di potassio sia una sostanza polare in quanto si mescolava con l’acqua. La diversa velocità di diffusione era sicuramente causata dalla diversa temperatura dell’acqua. Nell’acqua ad 80°C le particelle erano dotate di minore energia cinetica e si muovevano di conseguenza più velocemente, urtando più frequanemente le particelle del permanganato, che si diffondeva in un tempo minore.
CONCLUSIONI: maggiore è la temperatura di un solvente, più velocemente il soluto si diffonde in esso (a patto che siano entrambi polari o apolari.[VF1] [VF2]
[VF1]
[VF2]

Esempio