La struttura atomica

Materie:Riassunto
Categoria:Chimica

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Testo

Scuola: Liceo Scientifico.
Classe: Quarta.
Disciplina: Chimica generale.
Argomento: Struttura atomica.

Percorso operativo
L’unità didattica ha inizio con una breve trattazione storica al fine di mettere in evidenza la costanza e l’antichità nel pensiero umano dell’esistenza di una particella elementare, l’atomo, costituente fondamentale della materia. Tuttavia, la prova sperimentale dell’esistenza degli atomi è stata acquisita solo dalla scienza del XIX e XX secolo.
Il primo modello atomico che può essere considerato tale è quello di Dalton (1803).
Secondo la sua teoria:
• gli atomi sono particelle estremamente piccole, dure, sferiche, indivisibili e indistruttibili. Essi costituiscono la parte più piccola della materia;
• ogni elemento è composto da un solo tipo di atomo.
Questa teoria è confermata sperimentalmente e interpreta bene le leggi quantitative della chimica. Nel corso dell’800, però, si sono accumulate osservazioni e prove sperimentali (fenomeni di elettrolisi, scarica nei gas rarefatti) che indicano una struttura più complessa rispetto a quella descritta utilizzando atomi non divisibili.
Le indicazioni più convincenti sul collegamento fra struttura degli atomi e fenomeni elettrici si sono avute dallo studio del passaggio della corrente attraverso i gas. Una volta ottenuto un vuoto abbastanza spinto in tubi di scarica è stato possibile evidenziare i cosiddetti raggi catodici (per i quali è stato proposto successivamente il nome di elettroni) e, attraverso diverse esperienze, si è compreso che essi avevano natura corpuscolare e carica negativa.
Analogamente è stata messa in evidenza l’esistenza dei protoni (particelle cariche positivamente).
Per chiarire quanto detto si possono esporre alla classe gli esperimenti effettuati da Thomson, Goldstein e Millikan con i gas rarefatti nei tubi catodici.
Si comincia così, ad immaginare l’atomo, elettricamente neutro, come formato da particelle positive e negative.
Thomson (1904), in base ai dati sperimentali e alle teorie al momento disponibili, ritiene che gli elettroni debbono essere come affogati in una sfera diffusa di elettricità positiva che li attrae e rende possibile una loro presenza ravvicinata.
Tale modello viene messo in crisi dalle nuove conoscenze atomiche e soprattutto dagli esperimenti di Rutherford (1911).
Lo stesso Rutherford elabora un nuovo modello atomico, noto come modello atomico planetario, la cui principale caratteristica è la seguente: nell’atomo vi è una parte molto piccola, chiamata nucleo, in cui è concentrata quasi tutta la massa (circa il 99%), carica positivamente, ma che occupa soltanto una piccolissima parte del volume complessivo dell’atomo. In questo modello, gli elettroni ruotano intorno al nucleo in numero uguale ai protoni, garantendo la neutralità dell’atomo.
Secondo Rutherford, l’atomo è perciò costituito “quasi tutto da spazio vuoto”. A tali conclusioni vi arriva a seguito dell’esperienza effettuata con particelle α e lamina d’oro.
Nell’esporre questi argomenti si può chiarire agli alunni il modo di procedere del metodo sperimentale. Data un ipotesi, in questo caso la disposizione delle particelle cariche nel modello atomico di Thomson, si elabora una procedura sperimentale che ne verifica la correttezza.
Il risultato atteso dell’esperimento è che le particelle α attraversassero “indisturbate” la lamina d’oro; ma l’esperimento ha messo in luce che se circa l’80% dei raggi α non mostrava alcuna deviazione, il 20% circa subiva deviazioni e circa cinque radiazioni su 40.000 venivano riflesse.
Il modello di Thomson è risultato inadeguato ad interpretare i dati ottenuti ed è stato necessario formulare una nuova ipotesi coerente con essi.
Il modello planetario proposto da Rutherford si dimostrerà, però, anch’esso insufficiente.
Si arriva, dunque, a Bohr (1913), secondo il quale la meccanica e l’elettromagnetismo classici non possono essere applicati al mondo atomico e così, integra le idee di Planck sui livelli energetici quantizzati con le orbite elettroniche dell’atomo.
E’ necessario ricordare che sul problema della natura della luce si sono contrapposte lungamente la teoria corpuscolare e la teoria ondulatoria. Tra il 1864 e il 1873 il fisico e matematico J. C. Maxwell sviluppa una teoria che attribuendo alla luce natura ondulatoria, la qualifica come una particolare radiazione elettromagnetica, tuttavia alcune osservazioni non possono ancora essere spiegate. Il 14 Dicembre 1900 M. Planck ripropone il problema della natura della luce esponendo la sua teoria quantistica. Planck ritiene che ci si possa liberare dei paradossi dell’emissione e assorbimento della luce da parte dei corpi solo se si postula che l’energia delle onde elettromagnetiche può esistere solo in forma di pacchetti discreti, detti quanti. E’ importante far notare che questa teoria contiene alcune caratteristiche sia della teoria ondulatoria sia della teoria corpuscolare e che modernamente quindi si attribuisce alla luce una natura duale.
Il modello atomico proposto da Bohr giustifica le diverse proprietà osservate.
I punti qualificanti del nuovo modello atomico quantistico sono i seguenti:
• l’elettrone può esistere solo in determinati stati stazionari corrispondenti a determinati valori della sua energia;
• l’elettrone descrive orbite circolari;
• l’elettrone può compiere salti quantici se sull’atomo incide energia, passando dalla distanza r ad un’altra che sia anch’essa permessa, assorbendo una quantità discreta di energia, che viene riemessa sottoforma di onda elettromagnetica, quando l’elettrone torna allo stato iniziale.
Questo comportamento è in accordo con gli spettri di emissione e di assorbimento.
Nelle formule di Bohr ha un ruolo notevole n che è stato chiamato numero quantico principale . Al variare di n, varia la distanza dell’elettrone dal nucleo e la sua energia.
Questo modello, definibile “a scala quantizzata”, è essenzialmente ancora un modello meccanico, basato sull’equivalenza elettroni = corpuscoli, utilizzando, però, la meccanica quantistica e non più la meccanica classica.
Il modello viene perfezionato da Sommerfeld (1916) soprattutto per spiegare la struttura fine delle righe spettrali. Egli dimostra che gli stati effettivi dell’atomo devono essere caratterizzati non solo da n, ma anche da altri due numeri quantici, azimutale l e magnetico m, collegati al primo con una matematica molto semplice.
Tuttavia, il modello di Bohr-Sommerfeld anche se è riuscito a spiegare molto bene lo spettro a righe dell’idrogeno, si è rivelato del tutto insufficiente per gli altri elementi, già a partire dell’elio.
E’ il fisico francese L. de Broglie che per primo propone di attribuire alle particelle materiali, e quindi agli elettroni, anche proprietà ondulatorie, associando l’equazione di Planck e l’equazione di Einstein.
Tutti i microcorpi si comportano sia come corpuscoli sia come onde, già Bohr aveva fatto osservare che i due aspetti si escludono reciprocamente e nello stesso tempo sono complementari.
Heisenberg è riuscito ad esprimere quantitativamente queste considerazioni di Bohr, riassumibili nel “principio di indeterminazione”. Esso ha valore generale ma effetti importanti solo sui microcorpi che proprio per la loro piccola massa rendono percepibile in modo evidente il loro comportamento ondulatorio.
Schrodinger (1926) sviluppando ulteriormente il pensiero di de Broglie ha costituito una particolare meccanica ondulatoria fondata su un’equazione, nella quale vengono attribuite contemporaneamente all’elettrone la natura di un’onda e la natura di una particella. Risolvendo l’equazione d’onda di un particolare stato quantico (definito dai numeri n, l, m) attorno ad un atomo, si ottiene una funzione d’onda.
La rappresentazione grafica di tale funzione appare come una nuvola diffusa di probabilità, diversa per ogni stato quantico n, l, m. La densità di questa nuvola per ogni punto dello spazio rappresenta la probabilità di trovare l’elettrone in quel determinato punto. Un orbitale rappresenta la regione dello spazio che racchiude il 90% di probabilità di trovare un determinato elettrone. Gli orbitali hanno un significato probabilistico-matematico da non confondere con le orbite di Bohr.
La trattazione ondulatoria porta a risultati almeno in parte coincidenti con la trattazione solo quantistica di Bohr.
Nella realtà quantistica i numeri quantici sono associati a realtà fisiche:
• n stabilisce il contenuto energetico dell’orbitale e assume solo valori interi, da 1 a infinito;
• l definisce la forma dell’orbitale e il numero dei sottolivelli possibili per i vari livelli, collegato a n dalla relazione 0 ≤l≤ n-1;
• m definisce l’orientamento dell’orbitale nello spazio e assume valori –l ≤m≤ +l.
A questi si aggiunge il numero magnetico di spin, ms, che attribuisce all’elettrone un momento angolare intrinseco e che assume valori – ½ o + ½.

I modelli sono rappresentazioni semplificate della realtà elaborate dagli scienziati allo scopo di descrivere e comprendere fenomeni della realtà stessa. I modelli scientifici, infatti, non sono né “fotografie di fenomeni” né tanto meno rappresentano la realtà miniaturizzata. In conclusione, la scienza tende ad ideare modelli della realtà che non vanno, però, identificati con essa.

Esperienza di laboratorio: saggio alla fiamma.
Il saggio si basa sul fatto che alcuni sali metallici, portati alla fiamma non luminosa del bunsen, vengono volatilizzati, atomizzati, eccitati a stati metastabili dai quali decadono velocemente ai rispettivi livelli fondamentali, emettendo radiazioni luminose di lunghezza d’onda caratteristica, che impartiscono alla fiamma colorazioni particolari.
Per effettuare questa esperienza occorrono i seguenti strumenti:
• becco Bunsen;
• filo di platino;
• acido cloridrico;
• metalli da identificare.
Il becco Bunsen consiste di un tubo adduttore, innestato nella base, attraverso il quale il gas proveniente dalla rete esterna è convogliato nel bruciatore, dopo essere stato miscelato con l’aria attraverso un opportuno regolatore. Se il regolatore è aperto, il flusso di gas che lo attraversa richiama l’aria, si mescola con essa e brucia completamente dando una fiamma non luminosa o ossidante.
Il test viene condotto usando un filo di platino che viene immerso in HCl 1:1 non contaminato e poi impregnato di un po’ di polverina da analizzare per convertire i sali contenuti nel campione nei rispettivi cloruri, che, in generale, sono più volatili. Si pone alla fiamma osservando le colorazioni da essa assunte. Seguono alcuni esempi:
Litio - rosso carminio
Sodio – giallo cadaverico
Potassio – rosso violetto
Stronzio – rosso scarlatto
Calcio e Bario – rosso mattone
Ammonio e Bario – verde pappagallo.

Dopo ogni determinazione, il filo di platino va pulito in HCl finché non dia più colorazione alla fiamma.

Esempio