La teoria evoluzionistica: creazionisti contro scienziati

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Testo

La teoria evoluzionistica: creazionisti contro scienziati.
La teoria evoluzionistica, lasciataci da Charles Darwin, è considerata una delle cinque più grandi idee sviluppate dalla scienza; ci da una spiegazione dell’origine delle specie vivente, uomo compreso, basata sul meccanismo della selezione naturale, ed è universalmente accettata dal mondo scientifico ancora oggi, a 150 anni dalla sua pubblicazione. Certo, biologi ed evoluzionisti continuano a dibattere sull’argomento, ma non mettono mai in discussione il quadro generale di tale teoria.
Eppure nonostante la sua importanza, la teoria dell’evoluzione è stata eliminata dai programmi delle scuole italiane agli inizi del 2004, ed è stata reinserita, anche se in sordina, solo nell’ottobre 2005, a seguito delle numerose proteste di scienziati e intellettuali. Parliamo di rientro in sordina perché Darwin viene riabilitato sì, ma in maniera un po’ sibillina, in quanto il suo nome non è mai esplicitamente collegato alla parola evoluzione e non si fa mai menzione della teoria dell’origine della specie. Anzi, la voce che prima del 2004 citava l’evoluzione biologica della specie non è stata più reinserita.
A questo punto è logico chiedersi il motivo per cui si è arrivati ad eliminare una teoria scientifica così importante. La risposta potrebbe essere la paura che incute l’evoluzione, perché molti la considerano una minaccia alla dignità dell’uomo, che discenderebbe, come tutti gli altri viventi, da un’altra specie e non sarebbe quindi una creatura divina.
E’ questa la chiave di volta di tutto il complesso discorso: l’eterno conflitto tra scienza e religione, che dura dai tempi di Galileo, quando fu chiamato nel 1632 per essere processato per eresia dopo la pubblicazione del “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.
La “dottrina” dei creazionisti, il Creazionismo, indica la credenza assoluta nell'interpretazione letterale, e non simbolica, del racconto biblico delle origini (secondo cui il mondo sarebbe stato creato da Dio così com'è, in sei giorni, circa seimila anni fa) e, di conseguenza, negazione di tutti i modelli scientifici di evoluzione, sia per l'Universo nel suo complesso, sia per gli esseri viventi e l'uomo. Il movimento creazionista, piuttosto che estinguersi in modo naturale, di fronte all'avanzata delle evidenze scientifiche, sta conoscendo invece una stagione di inaspettata riscossa: quasi inesistente in Italia e in Europa, riscuote spazio e attenzione negli Stati Uniti, costringendo scienziati ed educatori a resistenze ardue, e in qualche caso anche a battaglie legali.
Come viene invece vista dal punto di vista scientifico l’evoluzione?
Il pensiero evoluzionistico si è affermato soprattutto nell’800 ad opera di Charles Darwin, il famoso naturalista, ma idee evoluzionistiche si erano intraviste, molto prima, anche se non avevano assunto i connotati di una vera e propria teoria.
La concezione fissista era predominante prima di questo secolo; la celebre frase linneana sintetizza la concezione dell’epoca: “le specie esistenti sono tante quante in principio ne creò l’Ente Infinito”. Tale concezione affondava le radici nel pensiero religioso ed era aderente alla Genesi biblica: secondo tale concezione le specie furono create da Dio a popolare la Terra, specie che immutate si presentano agli occhi dello scienziato che dovrà solo classificarle.
Come si vede, il creazionismo impregnava la cultura del tempo ed era predominante anche nei periodi più antichi.
Empedocle di Mileto si può considerare il primo pensatore “non fissista” in quanto sostenne lo sviluppo graduale della vita sulla Terra e un’origine delle piante antecedente a quella degli animali.
Più incisiva fu invece l’opera del filosofo matematico Luis Moreau de Maupertuis, che sostenne il principio dell’adattamento della specie all’ambiente, anticipando il concetto di selezione naturale, pietra miliare della teoria darwiniana.
Nel 1809 il naturalista Jean Baptiste de Lamarck formulò una teoria dove proponeva una modificazione graduale e continua dell’organismo causata dall’ambiente in cui esso vive. Secondo Lamarck i cambiamenti derivati dall’ambiente venivano ereditati e, con il trascorrere del tempo, le variazioni diventavano cosi profonde da portare alla nascita di nuove specie. La teoria lamarkiana è nota come la teoria della variazione delle specie per mezzo dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti determinata dall’uso e disuso di un organo. Se infatti il disuso per generazioni di un organo portava alla sua riduzione, l’uso continuo portava al suo sviluppo o alla sua modificazione con comparsa di organi nuovi.
Alla base del pensiero lamarkiano quindi, è presente la convinzione che:
• le specie nel corso del tempo si modificano andando incontro ad evoluzione e perciò non sono fisse;
• l’evoluzione è un processo graduale e continuo;
• l’evoluzione è determinata direttamente dall’ambiente che ha un ruolo attivo nell’adattamento di ogni specie, facendo insorgere le variazioni che vengono acquisite per ereditarietà dai viventi.
Nel 1815 George Leopold Cuvier si oppone all’idea di Lamarck: da ricerche effettuate su ritrovamenti fossili, dimostrò che in passato sulla Terra erano vissute specie che poi si estinsero. Notò anche che nei diversi piani di stratificazione, che contraddistinguono i depositi sedimentari fossiliferi, organismi più semplici si alternavano a quelli più complessi.
Su questa base ipotizzò l’avvicendarsi di catastrofi naturali nella storia dei viventi. Queste catastrofi avrebbero portato all’estinzione tutte le forme di vita di una data area e alla loro sostituzione, ad opera di un nuovo atto creativo divino, con forme via via più complesse: il catastrofismo.
Fu il nonno di Charles, Erasmus Darwin, ad esercitare una notevole influenza sulla formazione naturalistica e sullo sviluppo del pensiero evoluzionistico del nipote. I punti focali della sua opera, di assoluta novità per le idee del tempo fondate sul creazionismo, erano:
• aver articolato il concetto di selezione naturale:
• aver datato il tempo evolutivo in milioni di anni e per la precisione in mille milioni di anni.
La genialità di questa intuizione è evidente se si pensa al fatto che la concezione creazionista, che affondava le radici nella genesi biblica, assegnava alla Terra un’età di circa 6.000 anni, un tempo troppo breve per dar spazio alla lunga storia evolutiva dei viventi;
• aver presupposto l’origine della vita complessa da forme semplici microscopiche: “formatesi per spontanea volontà”.
Il 12 febbraio del 1809 nacque da una famiglia ricchissima Charles Darwin, quinto di sette figli.
Dopo aver compiuto gli studi secondari nel locale collegio, nel 1825 venne mandato a studiare medicina nell’Universita di Edimburgo. Dopo due anni, il padre, accortosi dei suoi risultati scadenti e del poco interesse che nutriva nei confronti di quella materia, lo indusse ad intraprendere la carriera ecclesiastica. Qui conobbe il professor Henslow, che spinse il giovane Charles a seguire i suoi veri interessi verso gli studi naturalistici. All’età di 22 anni, Darwin si imbarcò come naturalista britannico a bordo del brigantino Beagle, in viaggio nel Sudamerica e in particolare attorno alle isole del Pacifico.
Già prima di tale viaggio, i suoi studi lo avevano condotto all’idea della mutabilità delle specie e della loro possibilità di evoluzione. Secondo questa visione, il processo evolutivo, cui sono soggetti tutti i viventi, fin dall’origine produce una tale diversità che può portare a variazioni con diramazioni rispetto alla specie originaria e alla formazione di due o più specie distinte.
Con questo nuovo modo di pensare si imbarcò quindi a bordo del Beagle.
A colpirlo in modo particolare furono le isole Galapagos, per la diversità di forme viventi, e due osservazioni in particolare stimolarono la sua riflessione.
1. Ogni isola del Pacifico sembrava possedere la propria specie di fringuelli, che aveva caratteristiche simili a quella osservata nel continente sudamericano, ma che allo stesso tempo presentava singolari differenze rispetto alle specie delle isole vicine.
I fringuelli presenti su ogni isola, infatti, erano differenti soprattutto nei becchi, adattati alla particolare fonte di cibo.
Tutti i fringuelli osservati, pur presentando diversità notevoli, possedevano caratteri morfologici generali che permettevano di classificarli nei fringuelli.
2. Il ritrovamento di fossili di gliptodonte, un gigantesco antenato dell’attuale armadillo, mettevano in evidenzia relazioni di parentela tra le specie estinte e quelle attuali.
Darwin cercò una spiegazione di questa diversificazione e similitudine nelle parentele rilevate in un così ristretto gruppo di isole, e per poterla dare dovette documentarsi e studiare.
Due trattati, quello di Charles Lyell, Principi di Geologia, e quello di Thomas Malthus, Saggio sulla teorie delle popolazioni, guidarono Darwin verso le risposte a tutte le domande formulate. Nel suo libro Lyell esponeva le prime teorie mobiliste che assimilavano i cambiamenti a cui la Terra era andata incontro nel corso dei tempi a quelli in corso in epoche recenti (Principio dell’attualismo).
Fu facile per Darwin intuire che, se tali cambiamenti potevano essersi verificati a carico dei continenti, nelle specie primitive potevano essere intervenute delle variazioni che avrebbero poi portato, per diramazioni successive, alle specie attuali.
Dal secondo trattato Darwin prese ispirazione per il concetto fondamentale dell’evoluzione e cioè quello di selezione naturale.
A metà inoltrata del secolo XIX, nel 1859, Darwin fu pronto ad enunciare la sua teoria evoluzionistica pubblicando il suo capolavoro, Sull’origine delle specie, in cui riportò numerose e dettagliate prove a supporto della sua argomentazione.
Il successo dell’opera fu enorme.
Un giovane naturalista, Alfred Russel Wallace, era giunto, indipendentemente da Darwin, alle sue stesse conclusioni: poiché le sue osservazioni arrivarono a Darwin, inviate da Wallace stesso, prima che la teoria darwiniana fosse pubblicata, la teoria evolutiva è anche nota come teoria di Darwin-Wallace.
Essa si articola in sei punti fondamentali:
1. ogni essere vivente, a causa del processo riproduttivo, genera organismi simili a se stesso;
2. in ogni popolazione naturale di individui appartenenti alla stessa specie vi sono variazioni ereditabili, le mutazioni, che insorgono negli individui e non sono generate dall’ambiente;
3. la prole prodotta ad ogni atto riproduttivo è normalmente numerosa e gli individui generati sono in numero superiore a quelli che possono realmente trovare sostentamento nell’ambiente;
4. della numerose prole prodotta da ogni coppia di individui di una popolazione, sopravvivono e raggiungono il successo riproduttivo solo gli individui che sono portatori di variazioni vantaggiose per la sopravvivenza nell’ambiente. Il ruolo dell’ambiente non è, pertanto, quello di produrre variazione nell’individuo, ma bensì di selezionare le variazioni vantaggiose (selezione naturale).
5. in tempi lunghi il processo di selezione naturale consente, all’interno delle popolazioni, un accumulo così vasto di variazioni da comportare una o più diramazioni che conducono alla specializzazione, cioè all’origine di nuove specie da una specie originaria;
6. tutti gli organismi viventi si sono originati da un progenitore comune attraverso modificazioni continue e graduali nel tempo.
La teoria, formulata in questi termini, era logica e fu accettata dalla comunità scientifica, anche se accompagnata da aspri dibattiti, soprattutto sulla selezione naturale e sulla discendenza di tutti i viventi da un antenato comune. Scatenò perciò grandi controversie: per essere accettata pienamente da tutta la comunità culturale si dovrà arrivare al XX secolo.
La riluttanza verso il concetto di selezione affondava le radici in un punto della teoria, di cui lo stesso Darwin era consapevole: come potevano verificarsi le variazioni che conferivano vantaggi riproduttivi agli individui che ne erano possessori? Come potevano trasmettersi da una generazione a quella successiva tali caratteristiche?
Purtroppo Darwin, insieme a tutta la comunità scientifica del tempo, non conosceva il lavoro di Mendel e non si era ancora scoperto il processo di maturazione e formazione delle cellule gametiche, cioè non si conosceva ancora la meiosi, né era stata formulata la teoria cromosomica dell’ereditarietà.
Gli scienziati del XIX secolo concepivano l’ereditarietà secondo la teoria della mescolanza dei caratteri e non sapevano dell’esistenza dei fattori mendeliani che si trasmettevano come unità discrete ai discendenti.
Da un punto di vista logico la teoria della mescolanza dei caratteri ereditari porta non alla conservazione delle variazioni, ma alla “diluizione” delle caratteristiche da una generazione a quella successiva, fino a uguagliare e non a diversificare i caratteri della prole. In questo modo viene meno proprio il materiale su cui dovrebbe agire la selezione naturale. La teoria darwiniana, inoltre, parlava di derivazione da due o più specie da un antenato comune, ma nei ritrovamenti fossili non erano presenti quelle forme di transizione, cioè gli anelli di congiunzione, da una specie ad un’altra.
Nel 1861 il ritrovamento dell’Archaeopteryx, datato 140 milioni di anni fa, gettò una nuova luce a conferma della teoria darwiniana. Il fossile presentava caratteristiche intermedie tra quelle degli uccelli e quelle dei rettili.
Archaeopteryx è la testimonianza fossile proprio di uno degli anelli mancanti, essendo stato identificato come una specie di transizione tra uccelli e rettili. Il ritrovamento era proprio la prova che serviva a Darwin per convincere maggiormente la comunità scientifica della validità del meccanismo proposto nella sua teoria.
Ovviamente i punti interrogativi a cui Darwin e gli scienziati dell’epoca non avevano saputo rispondere non rimasero irrisolti.
Nel 1869 il monaco moravo Gregor Mendel, dopo una lunga serie di studi sulla trasmissione caratteri ereditari nei piselli, arriva alla conclusione che ogni caratteristica è trasmessa attraverso le generazioni separatamente dalle altre.
Nel 1884 un altro studioso tedesco, August Weismann, arriva alla conclusione che le caratteristiche degli individui derivano da una mescolanza del materiale germinale paterno e materno.
Nel 1915 gli americani Thomas Morgan ed Hermann Muller chiariscono, in seguito ad approfonditi studi sui moscerini della frutta, che i geni sono contenuti nelle particelle cellulari chiamate cromosomi e dimostrano come l’ambiente esterno possa portare a mutazioni genetiche.
Nel 1944 l’americano Oswald Avery dimostra che l’informazione genetica non è trasmessa attraverso le proteine, ma utilizzando il DNA e che quindi è attraverso questa molecola che si determinano le variazioni su cui la selezione naturale lavora.
Nel 1962 l’americano James Watson e gli inglesi Francis Crick e Maurice Wilkins ricevono il premio Nobel per essere riusciti a capire la struttura della molecola del DNA, che forma i cromosomi e quindi i geni.
Però il desiderio di conciliare a tutti i costi scienza e fede resiste strenuamente e, negli ultimi mesi, ha trovato un tratto unificante: la teoria del cosiddetto “progetto intelligente” o “intelligent design”, secondo la quale in natura esisterebbero le prove di un grande architetto celeste, esistendo strutture troppo perfette per pensare che siano state create per puro caso.
Quest’idea, di un essere soprannaturale che gioca un ruolo fondamentale nelle dinamiche della vita, fa sorridere invece altri studiosi, che parlano addirittura di “stupid design”, riferendosi a tutte quelle imperfezioni, traccia evidente dell’evoluzione, che gli esseri viventi presentano.
Insomma, un altro inutile tentativo di accordare due aspetti, due modi di pensare, due realtà, troppo diverse fra loro, a dir poco inconciliabili.
In linea generale io concordo con la teoria evoluzionistica proposta dal mondo scientifico, e non credo affatto che la Terra possa essere stata creata in sei giorni circa seimila anni fa. Però mi trovo in disaccordo su quando afferma Erasmus Darwin, e cioè che l’origine della vita complessa deriva da forme semplici microscopiche “formatesi per spontanea volontà”. Sono dell’idea che, all’inizio di tutto, ci sia stato un intervento divino che ha dato la spinta a questo grande motore che è la Vita, ma che poi abbia lasciato campo libero all’evoluzione, a tutti i suoi tentativi e, perché no, ai suoi sbagli.
Osserviamo ora cosa pensano gli italiani intervistati dalla società Observa per il mensile Quark del febbraio 2006 riguardo questa spinosa questione.
1. Che cosa ha reso possibile l’esistenza dell’uomo?
• 30% - Un’evoluzione dovuta alla selezione naturale, senza intervento divino;
• 27% - La creazione divina;
• 24% - Un disegno divino che guida l’evoluzione
• 19% - Non risponde.
2. Nelle scuole che cosa si dovrebbe insegnare?
• 65% - Sia l’evoluzione che la creazione cristiana (56% - Perché la scuola non deve imporre una sola interpretazione; 32% - Perché il mistero dell’uomo è troppo grande per essere spiegato solo dalla scienza; 8% - Perché l’evoluzione è compatibile con la religione; 4% - Non risponde.);
• 12% - Solo la teoria dell’evoluzione di Darwin (36% - Perché è la sola teoria scientificamente provata; 36% - Perché è materia di competenza scientifica; 28% - Perché la scuola non deve imporre la religione.);
• 12% - Non risponde;
• 11% - Solo la visione cristiana della creazione (59 % - Perché il mistero dell’uomo è troppo complesso; 15 % - Non risponde; 13% - Perché l’evoluzione non è scientificamente provata; 13% - Perché la scuola non deve imporre la visione scientifica.).
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La teoria evoluzionistica: creazionisti contro scienziati.

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