Energia e metabolismo

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Testo

ENERGIA E METABOLISMO
Una cellula è in grado di svolgere tutte le attività che sono necessarie alla crescita, alla moltiplicazione, al mantenimento e alla conservazione delle sue funzioni. Queste attività si basano su una grande varietà di trasformazioni chimiche che costituiscono nel loro insieme il metabolismo cellulare. Si distinguono reazioni di sintesi (costruzione) e reazioni di demolizione, che avvengono contemporaneamente in diverse regioni della cellula.
Le reazioni di sintesi sono reazioni in cui due o più sostanze semplici (substrati) si uniscono a formare una molecola più complessa (prodotto) e il loro insieme costituisce l’anabolismo; le reazioni di demolizione sono invece quelle che portano alla degradazione di composti chimici complessi in sostanze più semplici e nel loro insieme costituiscono il catabolismo.
Se i processi anabolici prevalgono su quelli catabolici, l’organismo cresce o aumenta di peso, se invece prevalgono i processi catabolici, come avviene durante i periodi di digiuno o di malattia, l’organismo smette di crescere e diminuisce di peso. Quando i due processi metabolici si bilanciano si dice che l’organismo è in uno stato di equilibrio stazionario.
Energia per i processi vitali
Tutte le attività della cellula possono essere ricondotte principalmente ad uno dei seguenti tipi di lavoro:
1. lavoro meccanico, come lo spostamento di singoli organuli nella cellula o dell’intera cellula o la sua contrazione (come avviene nelle fibre muscolari), (mitocondri e ribosomi).
2. lavoro di trasporto, che consiste nell’introduzione o nell’espulsione di sostanze nella cellula o fuori da essa;
3. lavoro chimico, che consiste nella trasformazione chimica di sostanze come, per esempio, la sintesi di grandi molecole a partire da molecole più piccole (come la sintesi delle proteine partendo dagli amminoacidi).
I processi vitali, come tutti gli eventi che coinvolgono lavoro, non possono aver luogo senza un adeguato apporto di energia.
La cellula è la più piccola entità biologica capace di manipolare energia. Comune a tutte le cellule è la capacità, per mezzo di adeguati enzimi, di trarre energia dal loro stesso ambiente, per convertirla in forme biologicamente utilizzabili, e di utilizzarla per dirigere i processi che la richiedono.
Secondo i due principi della termodinamica, le cellule, e quindi gli organismi, non possono ne creare, né distruggere energia, ma possono solo trasformarla da una forma all’altra. Cosi le cellule delle piante, catturano l’energia irradiata dal Sole grazie alla clorofilla, ela utilizzano per le reazioni di sintesi di complesse molecole organiche (carboidrati, grassi e proteine) a partire da sostanze inorganiche più semplici come anidride carbonica, acqua e ammoniaca. Parte dell’energia solare utilizzata per queste reazioni rimane immagazzinata all’interno delle molecole organiche prodotte sotto forma di energia chimica. Le stesse cellule possono poi trasformare questa energia accumulata in altre forme utili: movimento, elettricità, luce, calore. Queste trasformazioni vengono realizzate trasferendo l’energia da un legame chimico a un altro e anche in questo caso parte dell’energia viene dissipata sotto forma di calore. Quando queste molecole vengono ingerite dagli animali erbivori e successivamente dai carnivori, l’energia in esse contenuta viene utilizzata dalle cellule di questi animali per la costruzione di altre molecole organiche.
L’energia utilizzata da tutti gli organismi viventi deriva quindi dal Sole e gli organismi la restituiscono all’ambiente alla fine della loro vita. Da un punto di vista termodinamico il metabolismo è, quindi, l’insieme dei processi chimici con cui le cellule catturano e distribuiscono l’energia che fluisce continuamente attraverso l’organismo.
Reazioni esoergoniche ed endoergoniche
Le reazioni chimiche che avvengono nelle cellule vengono definite endoergoniche o esoergoniche a seconda che comportino un consumo o una liberazione di energia. Le prime sono perlopiù reazioni anaboliche, mentre le seconde sono generalmente reazioni cataboliche.
Mentre le reazioni esoergoniche sono spontanee, quelle endoergoniche non possono procedere spontaneamente, a meno che non vengano catalizzate da enzimi; esse devono essere “spinte in salita” perché i prodotti possiedono energia maggiore dei reagenti.
Quando una cellula ha bisogno di fare una reazione che va in una direzione energeticamente non favorevole, usa il meccanismo chiamato delle reazioni accoppiate: essa effettua una reazione endoergonica usando l’energia prodotta da un’altra reazione (o da una serie di reazioni) che sia energeticamente favorevole, cioè esoergonica.
Per trasferire l’energia ceduta da una delle due reazioni (o serie di reazioni) a quella che la richiede occorre un intermediario. L’ Adenosintrifosfato (ATP), è appunto l’intermediario, la moneta di scambio, nelle reazioni accoppiate che avvengono nella cellula. Strutturalmente l’ATP è un nucleotide costituito da adenosina (adenina + ribosio) e da tre gruppi fosforici. L’energia è immagazzinata nei legami tra i gruppi fosforici.
Gran parte dell’energia contenuta nei legami si sprigiona quando l’ATP si trasforma in ADP (adenosin difosfato) e fosfato inorganico (Pi). L’energia che si sprigiona viene utilizzata dalla reazione endoergonica della coppia di reazioni. Solitamente il fosfato inorganico (Pi) che viene rimosso dalla molecola di ATP si lega ad un’altra molecola. Questo processo è conosciuto come fosforilazione. In generale il processo si può esprimere con l’equazione:
W(glucosio) +ATP W~P + ADP
Nell’equazione scritta sopra W rappresenta qualche composto come, per esempio, il glucosio:
glucosio + ATP glucosio~P + ADP
La cellula usa l’energia trasportata dall’ATP per sintetizzare macromolecole come protidi, lipidi, glucidi, acidi nucleici, per allontanare le sostanze di rifiuto e per tutti i lavori meccanici. La cellula esaurirebbe ben presto l'ATP non fosse in grado di ricostruirlo. La ricostruzione dell’ATP si può ottenere ricombinando di nuovo ADP e fosfato. Tuttavia la maggior parte dell’ATP viene prodotta nel corso di un processo chiamato chemiosmosi che si basa sulla tendenza degli ioni H+ a passare da uno scomparto all’altro di una membrana quando la loro distribuzione sui due lati della membrana non sia omogenea. Infatti se due compartimenti di un organulo cellulare presentano concentrazioni diverse di ioni H+ ai due lati della membrana che li separa si instaura un gradiente ionico. L’energia potenziale del gradiente viene sfruttata per caricare di fosforo le molecole di ADP trasformandole in ATP con l’ausilio dell’enzima ATP sintetasi. Questo processo avviene soprattutto nei mitocondri e nei cloroplasti. Nei cloroplasti l’energia necessaria per creare il gradiente proviene dalla conversione di energia luminosa, mentre nei mitocondri proviene dall’ossidazione degli zuccheri.
LA FERMENTAZIONE
La fermentazione è il processo al quale le cellule ricorrono quando manca o scarseggia l’ossigeno (anerobiosi) ed anche la principale modalità con cui si procurano l’energia molti microrganismi. Nel corso della fermentazione molecole di glucidi vengono demolite e trasformate in molecole più semplici con liberazione di energia.
La fermentazione richiede un complesso di reazioni; la prima parte di questo complesso di reazioni è la glicolisi che si conclude con la formazione di acido piruvico. L’acido piruvico prodotto dalla glicolisi viene quindi convertito in sostanze diverse a seconda del tipo di fermentazione: per esempio, nella fermentazione alcolica è trasformato in alcol etilico, nella fermentazione lattica in acido lattico. Il processo di fermentazione è tipico di microrganismi come lieviti e altri funghi e batteri e rappresenta il processo energetico più primitivo messo in atto dalle cellule per ricavare energia dalle molecole organiche.
Alcuni organismi sono anaerobi facoltativi: per esempio, il lievito di birra Saccaromyces cerevisiae, in condizioni anaerobiche trasforma il succo d’uva in vino, convertendo il glucosio in alcol etilico attraverso la glicolisi e la fermentazione alcolica. Lo stesso lievito, in un ambiente dove sia presente abbondante ossigeno è in grado di condurre vita aerobia effettuando la respirazione cellulare per procurarsi energia attraverso la demolizione del glucosio in anidride carbonica e ossigeno.
La fermentazione lattica è operata da alcuni batteri del latte che trasformano il lattosio in acido lattico; il processo viene sfruttato per la produzione di yogurt e latticini.
Le cellule dei muscoli dell’uomo hanno normalmente un metabolismo aerobico, ma durante un intenso esercizio fisico l’apporto di ossigeno può risultare inferiore alla richiesta. In queste condizioni le cellule muscolari adottano il metabolismo anaerobico effettuando così una fermentazione che ha come prodotto finale acido lattico. L’accumulo di acido lattico è responsabile della sensazione di fatica che si avverte durante uno sforzo fisico.
LA RESPIRAZIONE CELLULARE
Nella maggioranza delle cellule la principale fonte di energia è la demolizione del glucosio (C6H12O6) mediante una reazione di ossidazione che ha luogo in due stadi distinti: il primo stadio è rappresentato dalla glicolisi, il secondo dalla respirazione cellulare o dalla fermentazione a seconda che avvenga in presenza o in assenza di ossigeno. La respirazione cellulare è un processo che richiede ossigeno e che consiste nella completa demolizione degli zuccheri (CH2O)n con produzione finale di anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O).
Glicolisi
La glicolisi è rappresentata da una serie di 9 reazioni che avvengono nel citoplasma; ciascuna reazione è catalizzata da un enzima specifico. Durante la glicolisi, una molecola di glucosio viene gradualmente trasformata in due molecole di acido piruvico liberando energia. L’energia liberata viene sfruttata per produrre due molecole di ATP e due molecole di NADH. L’acido piruvico ottenuto contiene ancora molta energia e viene demolito ulteriormente in modo diverso a seconda che la cellula sia in presenza di ossigeno (aerobiosi) o in assenza di ossigeno (anaerobiosi).
Respirazione cellulare
In presenza di ossigeno (aerobiosi) l’acido piruvico viene ossidato e demolito totalmente in CO2 e H2O con il processo di respirazione cellulare. Questo processo che ha lo scopo di produrre ATP ha luogo nei mitocondri e può essere diviso in tre fasi principali: la decarbossilazione dell’acido piruvico , il ciclo di Krebs o ciclo dell’acido citrico e la catena respiratoria
L’acido piruvico entra nel mitocondrio e perde una molecola di C02, trasformandosi in un gruppo acetile che si lega a un complesso chiamato coenzima A (CoA). Si formano così l’acetilcoenzima A e una molecola di NADH.
Il ciclo di Krebs, o ciclo dell’acido citrico, consiste in una serie di reazioni chimiche che si svolgono grazie all’intervento di un gruppo di enzimi presenti nei mitocondri. Nella prima reazione della serie, il gruppo acetile si lega all’acido ossalacetico formando acido citrico. L’acido citrico subisce una serie di ossidazioni che portano alla formazione di due molecole di CO2, e una di ATP e alla formazione di due coenzimi trasportatori di elettroni: NADH (dalla riduzione di NAD) e FADH2 (dalla riduzione di FAD).
Le reazioni del ciclo di Krebs non richiedono ossigeno.
La catena respiratoria (o catena di trasporto degli elettroni) richiede la presenza di ossigeno, e consiste nella formazione di ATP utilizzando l’energia contenuta nel NADH e nel FADH2. I due coenzimi precedentemente ridotti si ossidano cedendo elettroni alla catena respiratoria che è costituita da una serie di proteine di trasporto. Gli elettroni passano da un trasportatore all’altro perdendo energia ad ogni passaggio: è appunto questa energia che viene sfruttata per la produzione di ATP. I componenti più importanti della catena respiratoria sono i citocromi. L’ultimo trasportatore della catena cede gli elettroni all’ossigeno che li utilizza per formare acqua.
La produzione di ATP durante la catena respiratoria è detta fosforilazione ossidativa
Il bilancio totale della demolizione aerobica del glucosio può essere così riassunto:
C6H12O6 + 6O2 6CO2 + 6H2O + energia (686 kcal/mole)
delle 686 kilocalorie liberate nell’ossidazione, 266 sono utilizzate per sintetizzare l’ATP mentre le restanti sono disperse nell’ambiente sotto forma di calore. L’energia liberata in questo processo viene sfruttata così efficientemente che per ogni molecola di glucosio si ricavano 36 molecole di ATP.
La respirazione cellulare viene effettuata anche dalle cellule procariote. In queste, che sono sprovviste di mitocondri, il ciclo di Krebs si svolge nel citoplasma, mentre i componenti della catena di trasporto degli elettroni sono integrati nella membrana plasmatica.
L’ATP funge da trasportatore di energia e la cellula usa l’energia trasportata dall’ATP per compiere lavoro chimico, meccanico, osmotico, elettrico, ecc.
LA FOTOSINTESI
Le alghe, i licheni, i muschi, le felci , le piante superiori e alcuni batteri, sono capaci di svolgere la fotosintesi grazie alla presenza della clorofilla e di pigmenti accessori.
Un pigmento è una sostanza colorata capace di reazioni fotochimiche, capace cioè di assorbire le radiazioni luminose. Ciascun pigmento assorbe radiazioni di lunghezza d’onda specifica. Le radiazioni non assorbite vengono riflesse e sono responsabili del colore del pigmento.
La clorofilla per esempio, il pigmento vegetale responsabile del colore verde delle foglie, assorbe le radiazioni che appartengono alla banda del blu e del rosso mentre riflette quelle della banda verde. La clorofilla è una complessa molecola che contiene un atomo di magnesio ed è solubile in alcool, acetone e benzolo. In realtà, non esiste un unico tipo di clorofilla, ma sono state identificate varie molecole (le clorofille a, b, c e d) con strutture leggermente diverse tra loro e in grado di assorbire radiazioni luminose di diversa lunghezza d’onda.
I pigmenti accessori assorbono radiazioni luminose di lunghezza d’onda diversa trasferendo in seguito l’energia alla clorofilla. Tra i pigmenti accessori, particolarmente notevoli sono i carotenoidi (caroteni e xantofille)
Nelle cellule eucariotiche la clorofilla è contenuta nei cloroplasti, mentre nei procarioti si trova all’interno di membrane distribuite lungo la periferia della cellula. Nei vegetali meno evoluti tutte le cellule dell’organismo contengono clorofilla e compiono la fotosintesi.
Le piante più evolute, invece, possiedono tessuti specializzati le cui cellule contengono clorofilla e possono compiere la fotosintesi. Le cellule fotosintetiche delle piante sono raggruppate nelle foglie e nei giovani fusti.
All’interno di ogni cloroplasto i pigmenti clorofilliani sono localizzati sulla membrana che costituisce i tilacoidi dove avvengono le reazioni fotochimiche che innescano il processo fotosintetico. Le reazioni chimiche successive avvengono invece nello stroma, la porzione fluida dei Cloroplasti dove si trovano in soluzione gli enzimi specifici che catalizzano ciascuna reazione.
Le due fasi della fotosintesi
In modo semplificato si può riassumere quanto avviene nella fotosintesi con la seguente equazione:
6CO2 + 6H20 + energia→C6H12O6 + 6O2
L’anidride carbonica (CO2) utilizzata in questo processo è quella atmosferica ed entra nelle foglie tramite speciali aperture dette storni; l’acqua (H2O) viene assorbita dalle radici. L’energia è quella luminosa proveniente dal Sole che raggiunge le piante ed è captata, assorbita e trasformata in energia chimica che viene inglobata nelle molecole del glucosio (C6H12O6), uno zucchero che rappresenta la principale sostanza nutritiva di tutte le cellule viventi. Il processo di conversione dell’anidride carbonica atmosferica in composti organici è detto fissazione dell’anidride carbonica o anche organicazione del carbonio.
La fotosintesi si realizza attraverso la successione di due fasi distinte: la fase luminosa e quella oscura. La prima è avviata solo dalla luce e dipende strettamente dalla clorofilla. La seconda fase è detta oscura non perché si realizza al buio, ma perché, a differenza della prima, non necessita di luce come fonte di energia.
La fase luminosa
Durante questa fase, detta anche fase fotochimica, l’energia luminosa è assorbita e poi trasformata in energia chimica, vale a dire utilizzata per formare ATP e NADPH attraverso un processo chiamato fotofosforilazione non ciclica. Inoltre viene liberato nell’ambiente ossigeno proveniente dalla demolizione di molecole di acqua.
Le molecole coinvolte nelle reazioni della fase luminosa della fotosintesi, che si trovano nei cloroplasti sulle membrane dei tilacoidi, formano due fotosistemi, il fotosistema I e il fotosistema II, che differiscono uno dall’altro per la lunghezza d’onda della luce che riescono a captare. Ogni fotosistema è formato da 250-400 pigmenti capaci di assorbire le radiazioni luminose. In ciascun fotosistema una molecola di clorofilla a costituisce il centro di reazione, capace di dare il via alle reazioni della fase luminosa. Gli altri pigmenti, servono a captare la luce e a trasferire l’energia assorbita da una molecola all’altra fino al centro di reazione, dove avviene la conversione dell’energia luminosa in energia chimica (la fase oscura).
Durante la fase luminosa, l’energia fornita dalla luce è sufficiente anche per rompere una molecola d’acqua formando ossigeno e idrogeno: l’ossigeno è liberato nell’atmosfera, mentre l’idrogeno, con la sua energia, viene incorporato nell’NADP per formare NADPH.
Fase oscura
La fase oscura è la fase in cui l’energia, accumulata nelle molecole di ATP e NADPH, viene utilizzata per formare una molecola organica, il glucosio, a partire da un composto inorganico, l’anidride carbonica. Dal momento che l’intero processo avviene indipendentemente dalla luce, si parla di fase oscura.
Le reazioni della fase oscura hanno luogo nello stroma dei cloroplasti, dove sono localizzati tutti gli enzimi necessari. Anche in questo caso il processo si svolge in diverse tappe che costituiscono un ciclo perché si concludono con la rigenerazione del composto di partenza. Il ciclo della fase oscura è chiamato ciclo di Calvin. Per generare una molecola di glucosio sono necessarie 6 molecole di
Chemiosintesi
Vi sono alcuni tipi di batteri che ricavano la loro energia mediante speciali processi di ossidazione: questo procedimento viene denominato chemiosintesi. Fra i batteri chemiosintetici ricordiamo i solfobatteri, che ricavano energia trasformando l’acido solfidrico in zolfo; i ferrobatteri che ricavano energia dall’ossidazione di sali ferrosi; i batteri nitraicanti che provvedono al loro metabolismo utilizzando anidride carbonica e ammoniaca. Altri batteri ossidano l’idrogeno trasformandolo in acqua mentre i batteri metanogeni ricavano energia trasformando il metano in anidride carbonica e acqua.
LA SINTESI DELLE PROTEINE
La struttura e le funzioni di un organismo vivente dipendono dalle sostanze che lo costituiscono e dalle reazioni chimiche che in esso avvengono. Le sostanze che costituiscono un organismo sono essenzialmente proteine e le reazioni chimiche sono controllate dagli enzimi che sono anch’essi proteine. Le proteine sono composti complessi, formati da una sequenza di venti amminoacidi, che si combinano in vario modo: l’enorme numero di possibili combinazioni tra i venti tipi di amminoacidi determina la grande varietà di proteine che sono responsabili della struttura e del funzionamento dell’intero organismo.
Per fare le proteine nel modo in cui vanno fatte occorrono precise informazioni e queste sono annotate, per ciascuna proteina, nel materiale genetico, ossia nel DNA e precisamente sono codificate nelle sequenze di nucleotidi delle molecole di DNA. Quando si duplica, il DNA trasmette queste istruzioni dalla cellula madre alle cellule figlie e in questo modo ogni nuova cellula e ogni nuovo organismo possono disporre delle informazioni necessarie alla sintesi di tutte le proteine responsabili delle loro strutture e delle loro funzioni. Nel DNA le informazioni sono organizzate in unità fondamentali costituite da sequenze di nucletidi dette geni; ciascun gene interviene nella determinazione di una proteina.
Il codice genetico e i nucleotidi
Un codice è un insieme di simboli usato per immagazzinare informazioni; se si conosce la natura gel codice è possibile tradurre un’informazione da una forma in un’altra.
L’alfabeto della lingua italiana è un codice formato da 21 simboli che sono le lettere con le quali possiamo comporre un numero enorme di parole.
I simboli del codice genetico per tutti gli esseri viventi sono soltanto quattro e si trovano nelle molecole di DNA: si tratta delle quattro basi azotate (Adenina A, Citosina C, Timina I, Guanina G) che caratterizzano ciascuno dei quattro nucleotidi. L’alfabeto del DNA, pertanto, è di natura chimica ed ha solo quattro lettere che vengono utilizzate per formare le parole, ovvero gli amminoacidi, che unendosi tra loro formano le proteine dalle quali dipendono tutte le caratteristiche di ogni individuo e di ogni specie vivente.
Come può un alfabeto così limitato codificare i tanti caratteri propri di ciascuna specie vivente, vegetale ed animale? Le parole del codice genetico, corrispondenti a ciascun amminoacido sono formate da sequenze di tre basi azotate. L’insieme di tre basi in un certo ordine è chiamato tripletta. Poiché le basi sono 4, sono possibili 43= 64 triplette. In natura esistono 20 amminoacidi disponibili per formare proteine, e ciascun amminoacido corrisponde ad una tripletta. Gli amminoacidi, attaccati uno all’altro in diverse combinazioni formano le proteine ed è proprio la successione delle triplette nella molecola del DNA che definisce la sequenza di amminoacidi in una proteina: si può quindi affermare che ogni proteina è registrata nella sequenza delle triplette dei nucleotidi presenti nella molecola del DNA. Non solo: determinate triplette funzionano anche come segnali che indicano al DNA dove iniziare e dove terminare la sintesi di una proteina.
Ciascun segmento del DNA nel quale è codificata l’informazione per una particolare proteina strutturale o per un enzima (anche gli enzimi sono proteine) prende il nome di gene.
Ma come si passa dalle triplette di basi agli amminoacidi e da questi alle proteine? La molecola di DNA, a causa delle sue dimensioni non può uscire dal nucleo della cellula, mentre la fabbricazione delle proteine avviene nel citoplasma e precisamente nei ribosomi. C’è quindi necessità di un intermediario, o per meglio dire un messaggero, che prelevi l’informazione dal DNA all’interno del nucleo e la trasferisca nel citoplasma. Per poter uscire dal nucleo questo messaggero deve essere formato da una molecola di dimensioni inferiori a quelle del DNA: questa molecola è l’acido ribonucleico, o RNA, che differisce dal DNA non soltanto perché è più piccolo ma anche perché lo zucchero è rappresentato dal ribosio e non dal desossiribosio e perché una delle sue quattro basi è l’uracile (U) al posto della timina.
La sequenza di basi che nel DNA specifica la fabbricazione di una proteina viene riconosciuta da enzimi speciali che sono capaci di trascrivere l’informazione in una molecola di RNA messaggero (mRNA). Questo migra dal nucleo al citoplasma dove un’altra forma di RNA, detta RNA transfer (tRNA), ha il compito di tradurre le triplette nel linguaggio degli amminoacidi. In altri termini, traduce il codice genetico nell’ordine di assemblaggio dei diversi amminoacidi per formare una determinata proteina.
Sintesi delle proteine
La sintesi delle proteine si sviluppa attraverso due tappe fondamentali: la trascrizione e la traduzione.
Sotto certi aspetti, il processo di sintesi delle proteine è simile a quello di replicazione del DNA: infatti inizia anch’esso con l’apertura dell’elica del DNA. A mano a mano che la doppia catena del DNA si apre, le basi di uno dei due filamenti agiscono come uno stampo per la sintesi della molecola di RNA messaggero: ad esse aderiscono infatti i nucleotidi complementari a quelli del DNA che si legano tra loro. Il processo è catalizzato dall’enzima RNA polirnerasì. La molecola dell’RNA messaggero è dunque costituita da una singola catena di nucleotidi, disposti secondo una sequenza di basi complementare alla sequenza esistente sulla molecola di DNA che ha funzionato da stampo. Pertanto, l’RNA messaggero che così si forma ha una sequenza di basi azotate ben determinata, che dipende dalla sequenza di basi azotate presenti nella molecola di
DNA.
Supponendo, ad esempio, che un segmento di DNA contenga la sequenza di nucleotidi AACGGCAATTT, sull’mRNA questa viene convertita nella sequenza di nucleotidi UUGCCGUUUAAA (nell’mRNA la base U prende il posto della base I). Particolari triplette nucleotidiche del DNA, dette promotori, costituiscono il segnale di partenza per la sintesi dell’mRNA e altre sequenze, dette di terminazione, rappresentano il segnale di arresto.
Il processo di trasferimento del codice dal DNA all’mRNA prende il nome di trascrizione e le triplette di codice di mRNA complementari a quelle del DNA vengono chiamate codoni. Uno dei codoni segnala l’inizio per la fabbricazione delle proteine, e altri due ne segnalano la fine.
In molti geni, le sequenze nel DNA che codificano per proteine, chiamate esoni, possono essere interrotte da segmenti non codificanti chiamati introni. In questi casi la frazione di DNA che include tutti gli esoni e gli intronì di un gene viene in un primo momento trascritta in una molecola di RNA chiamata RNA nucleare (nRNA); in un secondo momento gli introni vengono rimossi dall’nRNA e viene prodotta la molecola di mRNA.
Terminata la trascrizione, la molecola di mRNA neoformata si stacca dal filamento del DNA ed esce dal nucleo per passare nel citoplasma, dove si lega ai ribosomi.
Per poter sintetizzare la proteina corrispondente alla sequenza scritta in codice sulla molecola del DNA, la molecola dell’mRNA deve essere “tradotta”. La traduzione avviene proprio nei ribosomi.
Il processo di traduzione coinvolge tutti e tre i tipi di RNA: l’mRNA che trasporta il messaggio, l’rRNA (RNA ribosomiale) che è parte integrante del ribosoma, e il tRNA. Il tRNA, in particolare, fa da “interprete”, traducendo il linguaggio degli acidi nucleici in quello delle proteine. Questa molecola è infatti in grado da un lato di legare gli amminoacidi dall’altro di riconoscere i codoni dell’mRNA..
Esistono tanti differenti tipi di tRNA quanti sono i codoni dell’mRNA, quindi uno per ogni amminoacido. Ogni molecola di tRNA possiede ad una estremità una sequenza di tre nucleotidi detta anticodone complementare ad un codone del mRNA all’estremità opposta si trova un sito per l’attacco di un amminoacido.
La sintesi di una molecola proteica inizia quando una delle due parti di cui è costituito un ribosoma si attacca ad un’estremità del filamento di mRNA ponendo così in evidenza il primo codone, codone iniziatore, di questo filamento. Al codone iniziatore si attacca quindi il primo tRNA i ribosomi, scorrendo sull’RNA messaggero, leggono il codice e accolgono gli RNA di trasporto.
Inizialmente un enzima, l’RNA polimerasi riconosce uno specifico promotore, cioè una sequenza di basi posta all’inizio dell’mRNA. Una estremità delI’mRNA si lega quindi al ribosoma. A questo complesso si associa poi il primo tRNA, detto anch’esso iniziatore, al quale è legato un Amminoacido che non entrerà a far parte della proteina da sintetizzare.
In seguito il secondo codone dell’mRNA si colloca in una precisa posizione sul ribosoma e ad esso si associa il secondo tRNA con l’anticodone complementare al codone dell’mRNA e portante un amminoacido. A questo punto si forma il legame peptidico tra i primi due amminoacidi grazie all’intervento di un enzima, la peptidi transferasì, e contemporaneamente il primo tRNA esce dal ribosoma. Il ribosoma si sposta quindi di un codone lungo l’mRNA.
Nel ribosoma arriva un terzo tRNA e si forma un nuovo legame peptidico tra i primi due amminoacidi e l’amminoacido portato da questo. L’operazione si ripete più volte legando gli amminoacidi uno dopo laltro secondo la specifica sequenza contenuta nel mRNA, fino a che la catena polipeptidica è completa.
Quando il ribosoma arriva a uno dei codoni di terminazione o codoni di stop si ha la terminazione: la traduzione si interrompe, la proteina si stacca dal tRNA e il ribosoma si dissocia.
Gli RNA di trasporto, una volta portati a destinazione gli amminoacidi, tornano liberi e possono di nuovo, prendere dal citoplasma altri amminoacidi specifici per fabbricare altre proteine.

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